Cavalli Blu e Nomi Anglosonanti

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Winoswin, Nero d'Avola, Maggio Vini.

Non sappiamo cosa ha spinto questo produttore siciliano, di Vittoria (Ragusa), a chiamare questo vino "Winoswin" e soprattutto a decidere di proporre un cavallo blu in etichetta e di collocare questa etichetta nella sezione "Exclusive Label" della propria gamma. Nel sito internet infatti, la sezione dove figura il vino "Winoswin" viene così presentata: "Tre diverse interpretazioni del più nobile vitigno siciliano, il Nero d’Avola, e un’eccellente espressione regionale del Syrah: sono i nostri quattro Exclusive Label, quattro rossi che rappresentano altrettante linee esclusive, per mercati specifici e per gli appassionati". Si parla di mercati specifici. Dai gusti particolari, a quanto sembra. Non sapendone, per ora, di più, possiamo fare delle ipotesi: "Winoswin" deriva da una traduzione dall'italiano che potrebbe essere "Vino vincente", oppure sezionando "Win-os-Win" otteniamo una specie di incitamento. O ancora "Winos" come "ubriaconi" in inglese e "Win": gli ubriaconi vincono. Chilosà, è un bel rebus. Per quanto riguarda il cavallo blu, volutamente non centrato in etichetta (diciamo che è spostato, orientato, verso sinistra), forse c'è qualche favola misterica, qualche racconto, fiaba, aneddoto che lo può giustificare. O molto più probabilmente si tratta di un semplice cavallo blu.

Colline Sinuose, Bellezze Naturali, Nomi Evocativi

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La Bella Addormentata, 
Spumante Extra Dry, Col Miotin.

C'è una sagoma di un corpo femminile sulle colline di Pieve di Soligo, e dicono di vederla in molti. Non sappiamo se si tratta dell'effetto della bevuta di una grande caraffa di Glera, che da quelle parti scorre più veloce e copiosa delle acque dei fiumi. Per fugare ogni dubbio osserviamo il logo, riportato anche sulle etichette dei vini, di un produttore della zona, Col Miotin, che ritrae proprio le colline retrostanti l'azienda, evidenziando un profilo all'orizzonte che può in effetti ricordare una donna sdraiata. La chiamano "La Bella Addormentata" e anche il vino dedicato a questa bellezza naturale si chiama così: si tratta di un prosecco "diverso", nel quale alla Glera vengono affiancati varietali autoctoni come il Verdiso. L'azienda produce anche un classico Valdobbiadene Docg che rientra nei disciplinari, ma la passione per i vini di un tempo e per le vecchie vigne porta a sperimentare e a uscire quindi dal "tracciato" del solito Prosecco "commerciale". Un nome tira l'altro, per cui l'idea del produttore è stata quella di creare una "sorella" per la Bella: in questo caso "Arrabbiata". Infatti si chiama "La Bella Arrabbiata" la versione brut di questo spumante, più nervosa e scattante, asciutta ma con molta personalità (con meno grammi/litro di zuccheri, solo 7, mediamente). Non sappiamo se la favola potrà continuare, magari aggiungendo altri personaggi femminili come ad esempio "La Bella Appassionata" o chissà quale altra versione della famosa e sinuosa bellezza femminile che all'alba e al tramonto mostra le sue grazie sulle colline di Soligo e Solighetto. Ci permettiamo, questo sì, di ribadire: "viva le donne, viva il buon vino!". 
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Vino che Sembra Acqua (di Colonia)

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Corte al Passo, Vermentino, Fratelli Nistri.

Se non fosse per il nome di questo vino, "Corte al Passo", tipicamente topografico e altrettanto figuratamente toscano, nome non malvagio a dire il vero, questa bottiglia (a sinistra) potrebbe contenere benissimo dell'acqua di colonia. E in questo caso non si tratta solo del famigerato azzurro-cielo che occupa tutto lo spazio disponibile, creando una macchia di colore ben visibile ma opinabile, ma anche della cornice graziata che circonda l'azzurritudine. Poi, certo, il logo al centro con l'alfiere connota il prodotto in ambito arcaico-nobile e la scritta "Vermentino" fuga ogni dubbio sul contenuto. Ma a una prima occhiata la sensazione è quella di un prodotto da toeletta. Stiamo logicamente e appositamente
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esagerando un po' con i termini per far comprendere quali sono i canoni del packaging in grado di influenzare la percezione di chi osserva. Inoltre il design "industriale" che propone il prodotto in vetro trasparente non aiuta. E il colore del vino nemmeno, ma su quello ha deciso madre natura (e i tempi di macerazione, naturalmente). E anche l'altro Vermentino di famiglia non scherza con i colori forti (qui a destra), presentandosi con una livrea gialla e blu. Nome bizzarro invero: "CampiSalti" probabilmente anch'esso da ubicazione del vigneto.

Dialetti Foresti che Sembrano Stranieri

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Rousori, Dolcetto d'Alba. Pafoj, Nebbiolo. Icardi.

etichette labels marketing brandingLa rassegna dei nomi dei vini italiani ispirati a forme dialettali è infinita. Come sono infinite le sfumature storico-culturali di ogni regione, di ogni singola valle di questa variegata penisola. Il vino italiano spesso si confronta in realtà regionali, limitate, facendo fatica a varcare anche solo i confini provinciali. Eppure ci sono realtà che vendono all'estero più che in Italia, sia pure "parlando" idiomi locali. Un fulgido esempio di nome "dialettale" ci viene da questo Dolcetto d'Alba (di Treiso, per l'esattezza), dove il produttore non si accontenta di citare il nome della località dove si trova la vigna (già nome difficile e sconosciuto), decide inoltre di "nominarlo" in dialetto "stretto". Nasce un nome, "Rousori" che sa di francese e che imbarazza (i non piemontesi) nella ricerca della giusta pronuncia di quelle "o" e "u" affiancate. Forse uno straniero ci andrebbe più sicuro. Ma è anche questo il bello dell'Italia. In particolare, nel proprio sito internet, a proposito di questo nome il produttore dice: "Ausario, in Treiso, è il nome del vigneto da cui origina questo vino. Il toponimo, in piemontese, suona come 'Rousori': da qui il nome del nostro Dolcetto d'Alba Doc". Niente da dire, tutto da apprendere, dal punto di vista della fonetica dialettale. Il design in etichetta peraltro è, di contrasto, moderno, colorato, dinamico, contemporaneo. Si fa notare, certo. Nella gamma di questo produttore (che ha tutte etichette dalla grafica molto cromatica) notiamo anche un altro nome curioso: "Pafoj" (Nebbiolo 100%). Anche qui una "j" finale traccia percezioni esterofile (in dialetto piemontese la "j" è ancora molto presente) pur significando una precisa accezione del luogo: "non sono matto". "Pa" è negazione, "foj" sta per "folle". Il produttore giustifica così: "Pafoj: non siamo matti. Un nuovo stile per un vino classico". In effetti se un nome non è un po' matto rischia di confondersi nella mischia di tutti quei nomi così generici da essere, oltre che "ignoranti", semplicemente ignorati.

Nomi che Nascono da Locuzioni Tramandate

grafica comunicazione marketingMenelic, Roero Arneis Docg, Emanuele Rolfo.

marketing branding comunicazioneIn dialetto del nord, dal Piemonte alla Lombardia, forse fino al Veneto, il modo di dire "te sèt pròpi un menelìc!" si indirizza a un ragazzino particolarmente sveglio e birbante. Ma da dove origina questo nome così particolare? Probabilmente attinge dalla storia del "negus" Menelik II d'Etiopia, e dalla "Lingua di Menelicche" che in conseguenza all'atteggiamento beffardo del ras etiopico, in un certo senso, prese il suo nome. La Lingua di Menelicche è quella trombetta retrattile molto colorata che si usa a carnevale per schernire amici e passanti. Simpatico il nome, suona e scorre bene, originale, troncato ma non trasmette percezioni esterofile, piuttosto sensazioni di derivazione dialettale, appunto. Il produttore Emanuele Rolfo, decide di utilizzarlo per tre dei suoi prodotti: l'Arneis "base", l'Arneis "cru" e lo spumantizzato. L'etichetta meglio riuscita è quella azzurra (se non fosse per il colore che, come di consueto su questo blog, viene ritenuto criticabile): difetta forse nel carattere di scrittura del nome, piuttosto "vecchio" e non chiaramente leggibile. Il design si presenta "leggero", lineare, pulito, con un interessante "taglio" che rompe la staticità dell'etichetta e regala dinamismo agli occhi. Nella seconda etichetta proposta qui in visione, quella in alto a destra, vediamo un enigmatico "bollo" rotondo centrale con delle sigle delle quali non comprendiamo l'utilizzo, visto che il logo aziendale dovrebbe essere quello alla base, "Emanuele Rolfo" in caratteri loghizzati. Inesattezze che non compromettono certo la qualità del vino e il buon nome del produttore, ma che, una volta risolte, potrebbero agevolare l'azienda nella comunicazione, percezione, consolidamento d'immagine dei vini prodotti e commercializzati.

Nome Interessante (se Solo Apparisse in Etichetta)

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Carasöi, Dolcetto di Ovada Superiore, Vini Facchino.

naming packagingdesign brandingSe ne vedono tante nel mondo del vino che ci si abitua a tutto. Certo, questa non è una delle etichette più belle tra quelle che abbiamo analizzato anche perché... il nome non c'è! Il fatto è che questo vino un nome ce l'ha, ed è anche molto significativo. In pratica, nel sito internet del produttore e, crediamo, sui suoi cataloghi on e off line, questo Dolcetto di Ovada viene chiamato Carasöi. Non vi è dubbio su questo, tant'è che il produttore dedica un paragrafo intero nelle sue pagine web (tra l'altro si tratta del vino "di punta" di questa casa vinicola), alla spiegazione delle origini del naming. Vediamo cosa dice: "Il nome “Carasöi” deriva dal dialetto ovadese e ricorda una delle tradizionali operazioni che i saggi contadini eseguivano in vigneto. Infatti, quando tutti i pali dei vigneti erano in legno, dopo la potatura, a cavallo tra l’inverno e la primavera (ancora oggi nei vigneti storici eseguiamo quest’operazione, che prevede la sostituzione dei pali che con il tempo si deteriorano) i pali che ne avevano bisogno, venivano sfilati dal terreno e la parte basale, sempre a contatto con il terreno e l’umidità, veniva tagliata via e utilizzata poi come legna da ardere. Alla parte superiore veniva invece rifatta la punta e il palo veniva ripiantato. Quest’operazione viene chiamata “ancarasè” e i monconi di palo che venivano tagliati via si chiamavano proprio “carasöi”. E a chiusura di questo "angolo di storia contadina" il produttore ribadisce: "E proprio perché questo vino racchiude in se stesso la storia e la tradizione del nostro territorio, abbiamo deciso di dargli questo nome". Però, guardando l'etichetta sembra quasi che il nome sia "Superiore", piuttosto che quello di cui abbiamo parlato e che il produttore ha deciso di attribuire, in teoria, al proprio vino. Forse “Carasöi” è scritto sul retro dell'etichetta della quale non abbiamo documentazione fotografica, ma che senso avrebbe? Da notare anche quella frase sotto alla foto del vignaiolo in etichetta che recita "Garanzia di un grande vino", piuttosto generica e poco sostanziale dal punto di vista semantico. Altra e ultima stranezza: il logo aziendale, riportato qui in alto a destra, è interessante, arcaico ma attenzionale. Ma anche di questo nell'etichetta non vi è traccia. Morale? Anche nel comunicare il vino, come per la vigna, servono dei pali ben piantati.

Il Conte e il Clone, Ovvero la Storia del Prosecco

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Balbi Pieve, Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg,  Grapes.

logo photo designSembra proprio che l'attuale successo produttivo e quindi commerciale del Prosecco (la Glera, il Valdobbiadene, che dir si voglia) debba qualcosa a un componente di una ricca famiglia di imprenditori della seta che ebbe storia in Pieve di Soligo: i Balbi Valier. E in particolar modo al conte Marco Giulio Balbi Valier. Grazie al sito TigullioVino scopriamo infatti che "...i meriti di aver dato inizio alla storia moderna del Prosecco vanno al Conte Marco Giulio Balbi Valier che negli anni sucessivi al 1850 aveva isolato e selezionato un clone di Prosecco migliore degli altri, individuato ancora oggi come 'Prosecco Balbi'." Il Conte, su un libretto dell'epoca scrive tra l'altro: "...viti Prosecche, più sicure ed ubertose di ogni altra qualità, e che danno un vino bianco sceltissimo, pieno di grazia e di forza". Apprendiamo inoltre che la nascita del Prosecco "del Conte" portò all’abbandono di varietali di scarso pregio come il Prosecco "Piave" che, secondo la Rivista di Viticoltura e di Enologia italiana di Conegliano “promette molta uva dapprincipio, ma cade al momento della fioritura; quindi di difficile allegagione”. Ma veniamo all'etichetta di queste nuove bollicine prodotte con 100% di uve Glera varietà Balbi (che garantiscono risultati organolettici migliori grazie anche ad un grappolo "spargolo" che favorisce la "presa di luce" da parte degli acini). Si tratta di bottiglie a tiratura limitata, visto che il vigneto dal quale origina l'uva si estende solo per 1 ettaro. Il nome è un abbinamento tra il cognome del celebre Balbi c il nome del luogo di elezione, Pieve. Si tratta della località Pieve di Soligo e delle colline circostanti (in particolare, per questo vino, i pendii della "Miceina"). Etichetta semplice, che afferma giustamente la paternità del benemerito Conte "ampelografo" e la provenienza della materia prima. In aggiunta al nome, chiaro e molto leggibile, vediamo la raffigurazione del Palazzo Balbi Valier che ancora oggi fa bella mostra di sé al centro del paese. La sua particolatità è dovuta alla serie di ben 11 monofore, con decorazioni, e al fatto che conta 4 piani, per l'epoca una costruzione complessa e ardita. La sponda concettuale c'è, vista l'importanza, per tutta la denominazione, della scoperta clonale del Conte Balbi Valier. Scoperta che a rigor di logica andrebbe sottolineata ancora di più da parte del Consorzio e degli enti preposti alla promozione del Valdobbiadene Docg.

Bocciato o Rimandato a Settembre?

packaging branding grafica comunicazioneBocia Rosso, Merlot e Cabernet, Ornella Bellia.

etichette vino brandingChe dire di questo "Bocia Rosso"? Vediamo: "bocia" in veneto significa, bambino, ragazzetto, giovane, quindi si cerca di esprimere il concetto di "vino giovane" (insomma una specie di Vino Novello) adatto a un consumo "18-25". Nel sito del produttore si invita al consumo "con piatti tradizionali come pasta e carne, pesce e verdure. Ottimo come aperitivo per accompagnare stuzzichini e spuntini". Insomma, un consumo globale, a tutto campo. Così il lato commerciale è coperto, almeno si spera. Ma veniamo all'etichetta, analisi interessante da fare. Si nota subito la cromìa rosso fuoco e subito dopo due occhi bianchi che sbucano dal buio. Certo attenzionali, in parte anche inquietanti. Ma l'attenzione la conquista. Sono gli occhi di una donna, vista la folta chioma soprastante (infuocata). Il design dell'etichetta sembra dividersi in due parti: sopra, con temi molto "moderni", dalla grafica emancipata, sotto le solite cornici un po' datate con nome del vino e del produttore (a proposito il nome del produttore è da notare: Ornella Bellia, non è un errore, anche se d'acchito si è portati a leggere "Ornella Bella", quale che sia la donna dalla folta chioma). Molto particolare, e coordinata con il resto, la capsula. Intrigante. Si fa anche notare, sul collo della bottiglia, una dicitura "tattica" (cioè in riferimento ad una attività promozionale "mordi e fuggi") che recita "griglie roventi" sotto a un cappello da cuoco stilizzato. Insomma, ci sono particolari interessanti, buone idee, in mezzo a qualche dubbio concettuale. Un'insalata che probabilmente poteva essere ricettata meglio.

Un Tuffo nel Tufo (Dialettale)

Thou Bianc, Chardonnay, Bava.

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Il Piemonte ha molte affinità con la Francia. Questioni di storia, popoli, frontiere, guerre, ma in sostanza effetto dell'adiacenza. È anche questione di vino e quindi, spesso, di nomi del vino. Potrebbe sembrare così anche in questo caso dove il nome "Thou" richiama in parte cadenze francesi (ma "bianco" è scritto "Bianc", evitando il francese "blanc", fortunatamente). Il "colpevole" è il dialetto, che pesca sicuramente oltralpe. Dialetto piemontese (della zona di produzione, Cocconato, di questo bianco da Chardonnay: il vitigno quello sicuramente è tutto francese) che vuole significare "tufo". Spiega infatti il produttore nel proprio sito internet: "A Cocconato, i grandi banchi di argille e sabbie gialle di buona parte della provincia astigiana cedono il passo a banchi di gesso e terreno calcareo con marne bianche e tenere - dette in piemontese "Thou Bianc" (tufo) - che si disgregano al sole rendendo la terra chiara. Questi terreni così originati sono tradizionalmente riservati ai vigneti di uve rosse perché danno vini di grande forza ed eleganza. E’ stato quindi sorprendente scoprire che qui i vini bianchi diventano sapidi, intensi, molto profumati e longevi". La radice quindi c'è. La ragion d'essere del nome. Altra storia è la pronunciabilità e la memorabilità che in questo caso non sono agevoli, sia pure con un nome così breve. Le "h", la lingua italiana non sa mai bene dove metterle e come gestirle. Per il resto, nell'etichetta, vediamo un design pulito e modernista, con pochi elementi non assiepati. Unica critica, la decisione di scrivere il nome in verticale. Caratterizza ma compromette in parte la leggibilità.
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Nomi Ladini che Varcano Confini

packaging marketing comunicazionepackagingdesign grafica marketing comunicazioneMyò, Linea Vini Friulani, Zorzettig.

Parliamo oggi di un nome che per le sue caratteristiche e per la sua metamorfosi creativa si può considerare emblematico. Ciò non significa automaticamente "bello", certamente degno di alcune considerazioni. Andiamo con ordine. Di primo acchito, il nome riporta al "mio" possessivo. Subito dopo subentrano sensazioni esterofile grazie alla "y" che lo caratterizza non poco (visto che le lettere sono solo tre e la "y" sta proprio al centro). Nome inglese? No, ci mancherebbe: l'azienda vinicola che lo ha partorito è fieramente friulana, molto attaccata alle origini e alla propria terra. Quindi? Nome ladino (con la "d"): lingua "retoromanza" la cui area storica di influenza confina con il Friuli. E quindi, incuriositi da questo dilemma anglo-ladino abbiamo fatto delle ricerche scoprendo che il nome proviene da un documento del 1380. In particolare è interessante il racconto di Annalisa Zorzettig (titolare dell'azienda) sulla dinamica che ha portato al nome in questione: "Parlai col monsignore di Cividale per scoprire qualcosa. Abbiamo cercato nella storia, nei nomi latini, nei vecchi scritti in friulano e venne fuori  una ballata scritta da un anonimo. Una ballata molto vicina alla realtà di quegli anni in cui la gioia del raccolto, vista con gli occhi di oggi, può sembrare sproporzionata: infatti la storia è legata a un anno di buon raccolto, evento che non si riusciva a ripetere in tutte le stagioni perché si era non solo nelle mani della natura ma anche di guerre e razzie. Un uomo innamorato dedica il suo raccolto alla sua innamorata con una passione e un amore non comune. “Piruc myò doç inculurit quant yò chi viot, dut soti ardit”: la traduzione è necessaria: “mia pera tutta colorita, quando io ti vedo sono tutto ardito”, frase con un evidente sfondo passionale che accomuna l’amore per la natura quando è generosa e quello nei confronti della donna. Mi colpì per la sua semplice intensità che simboleggia, oggi per me, la famiglia e gli affetti, con un richiamo fortissimo alla terra friulana; e poi "Myò" è "mio", ma diventa automaticamente "tuo", di chi tiene la bottiglia in mano. Myò è ladino che diventa quasi internazionale per come è scritto". Perchè quindi questo nome è emblematico per il "naming", la disciplina che si occupa di trovare il nome giusto ai prodotti? Per varie ragioni, non tutte della medesima matrice, ma tutte valide: è breve (molto breve, solo tre lettere), è originale (incuriosice), richiama una certa "esterofilia" (ma origina da un dialetto storico locale, quindi non ne patisce l'influenza), ha basi certe e circostanziate (il documento con il testo della ballata), persegue un certo filone romantico (sia dal punto di vista passionale, la storia tra un innamorato e la sua donna, sia da quello tradizionale e territoriale, l'importanza del buon raccolto), allude alla parola "mio" in italiano, che afferma il
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possesso (competenza) da parte di chi produce il vino ma anche quello di chi lo acquista e lo consuma. Insomma, una serie di elementi che molti nomi di vini si sognano appena. Un'ultima curiosità legata in questo caso al cognome del produttore: Zorzettig. Sembra che tra i vitigni  storici coltivati in Friuli, sia stato ritrovato, in documenti del 1763, un vitigno oggi scomparso che si chiamava “Zorza”, detto anche  "Zorze", con tutta probabilità il femminile di "Zorz", del nome proprio "Giorgio". Questo per affermare che nel dedalo infinito dei dialetti italiani spesso si nascondono perle di saggezza e di semantica.

L'Irriverente Leggerezza del Non-Bio

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comunicazione branding marketingBionasega, Rosso Toscana Igt, Rodolfo (Rudy) Cosimi.

Nell'ampia varietà di nomi che le aziende vinicole attribuiscono ai loro vini si trova di tutto. Sono migliaia e migliaia le bottiglie che il mercato richiede di nominare. Chi risolve con semplicità, chi commettendo errori grossolani, chi adottando l'ironia. E proprio di quest'ultima si tratta, nel caso che esponiamo oggi: un'ironia definita dal suo stesso creatore, "irriverente". Quindi volutamente irriverente. Lo "sgarro" avviene nei confronti del "bio" e di tutti i suoi estimatori. Il nome in analisi parla chiaro: "Bionasega". Che nella parlata toscana significa "bio una sega", cioè "non ci penso neanche a farlo bio", praticamente. E cosa dice a proposito di questo nome, il produttore? “Abbiamo messo questo nome perché un vino normale ha bisogno di un nome particolare: il mercato, a volte saturo di vini più o meno Bio chiede anche buoni vini, semplicemente buoni". Si tratta chiaramente di una provocazione. Ma anche di un tentativo di attirare l'attenzione. Il prezzo da pagare è la disapprovazione di tutta quell'area di potenziali clienti che fa riferimento al mondo biologico, vegetariano, vegano, biodinamico e simili. Il vantaggio è quello di avere visibilità e la simpatia di chi il biologico non lo sopporta, in quanto filosofia limitativa. Come sempre sarà il mercato a dire se la scelta è stata opportuna. Da parte nostra possiamo solo dire che l'originalità è sempre meglio dell'anonimato. Sempre senza esagerare, logicamente. Quando l'originalità diventa fine a se stessa allora si è varcato il limite. Per quanto riguarda l'etichetta nel suo complesso, possiamo segnalare una "furbata": la scritta "Made in Montalcino" alla base, volta a citare il nome del paese noto per il Brunello (che viene reiterato anche sotto al nome del produttore, in alto) ed avvantaggiarsi quindi della sua celebrità, in qualche modo. Il packaging design lascia un po' perplessi, con il particolare di un volto di donna e dell'occhio di un cane, sembra. Tutto molto cupo, forse troppo.

Gli Etruschi e il Vino: Derive e Derivazioni

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Cautha e Thesan, Cabernet / Petit Verdot e Canaiolo Nero, Le Lase.

branding comunicazione marketigUn produttore che in realtà sono quattro sorelle. Il nome aziendale, Le Lase, come dice il sito internet della winery, "...viene dalle meravigliose figure della mitologia etrusca: grande famiglia di spiriti femminili alati, creature semidivine, che incarnano il significato di genio e di ingegno", Nome, quello dell'azienda, breve, assimilabile, ma di significato sconosciuto ai più, se non spiegato nel dettaglio. Anche i nomi dei vini si ispirano alla storia e alla "religione" etrusca. Vengono chiamate in causa delle divinità come Cautha, sorella del Sole e Thesan, dea dell'Alba. Sono nomi brevi, concettualmente pregnanti, molto particolari (quindi si portano dietro una bella dote di originalità) ma sono poco memorabili, a causa di quelle "h" che si mettono in mezzo alla comprensione e che in italiano corrente non sono molto usate. Prendiamo l'esempio di Christo, l'artista Bulgaro che recentemente ha creato The Floating Piers sul lago d'Iseo, dove basta una "h" per rendere difficoltoso (almeno in Italia) un nome tutto sommato "globale". Sono due casi, questi, in cui la storia e la mitologia fanno da "conduttori del gioco semantico", donano spessore culturale, originalità, come già detto, ma tolgono comprensione alla percezione immediata. Cosa scegliere tra cultura e popolarità? Il vino stesso in generale ha sempre vissuto questa impasse. Come sempre la risposta spetta a chi il vino lo acquista e lo consuma con gioia. Ovvero al mercato. Infine un accenno al design delle etichette che è elegante, incisiva, equilibrata, con una bella macchia di colore a base nero, con elementi molto colorati al centro. Desta attenzione e interesse.