L'Identità dei Vini "Base" (Questo è il Problema)

Rosso Puro, Rosa Vivo, Bianco Luna, 
Calabria Igt, Battaglia.

Non è facile trovare in Italia qualche produttore di vini che decide di attribuire un vero e proprio nome alla propria gamma "bassa", spesso degli Igt, cioè quei vini "blend", a basso costo e di limitate pretese. Si pensa forse che un vino "generico" non possa avere una personalità. Certo, sono vini con un carattere e una percezione qualitativa inferiore ai top di gamma, ma se non si mettono in atto attività minime di comunicazione (etichette, naming, promozione) il prodotto è destinato a soffrire ancora di più la propria condizione di "figlio di un Dio minore" e di conseguenza a finire nel calderone dei vini anonimi, che hanno quindi velleità date solo dal "primo prezzo". Qualcuno però ci riflette, come l'Azienda Vini Battaglia, calabrese, che decide di fornire di un buon nome anche la propria linea base di produzione. E un questo caso i nomi sono anche belli, snelli, fonetici, semplici ma perfettamente in linea con il prodotto che rappresentano. Riescono anche ad esprimere, minimamente, dei concetti: Rosso Puro, sensazione di genuinità, Rosa Vivo, freschezza, vitalità, Bianco Luna, mistero, sensualità. La grafica delle etichette si difende bene: sono semplici nell'impaginazione, ma cromaticamente attenzionali. Fanno linea, variando il colore, e attirano comunque l'attenzione con evidenza ma senza esagerare nell'esuberanza o nel kitsch. Onore quindi anche agli Igt: ogni vino che vuole essere posto all'attenzione di possibili acquirenti ha bisogno di avere una storia, una propria "esistenza", un concetto, una personalità da esprimere.

Quando una Nullità è Segno di Carattere

branding comunicazione marketingNullius, Sangiovese, La Canosa.

Nome latino, assonante con l'italiano "nulla", in questo senso facilmente equivocabile perché di fatto qui non si tratta di una assenza bensì di una presenza di carattere. Ma vediamo quali sono le ragioni di questo nome, raccontate direttamente dal produttore marchigiano nel sito internet dell'azienda: "Questo assolo Sangiovese prende il nome dall’espressione latina “Nullius Diocesis” (una bolla papale), usata per indicare l’autonomia religiosa di un paese (Rotella, sede dell'azienda), letteralmente: “non appartenente ad alcuna diocesi”. Godere dell’autonomia religiosa ai tempi dello Stato Pontificio di cui la nostra regione faceva parte, era sinonimo per i paesani di grande carattere, forza, caparbietà ed orgoglio". Un'espressione di indipendenza, quindi, di carattere, che si rispecchia, secondo il produttore, nel vino che prende questo nome. Certo la prima impressione, se il nome non viene spiegato, è quella che abbiamo indicato all'inizio di questa breve trattazione. In generale, nella creazione di un nome, sarebbe meglio considerare di attribuire una piena e immediata comprensione, per non far dipendere la percezione da una spiegazione che, sia pur doverosa ed efficace, a volte non è possibile fornire direttamente all'acquirente. Per quanto riguarda il design dell'etichetta siamo di fronte a una creazione pulita, elegante, sui toni del rosso e del nero, dotata di sintesi e di buon gusto, moderna ed attraente. La verticalità del nome, non sempre ottimale, in questo caso appare limpida e fruibile grazie al carattere di scrittura molto "netto" e al suo colore (bianco) che stacca molto dal fondo scuro: la leggibilità viene agevolata anche se non orizzontale.

Un Nome Capovolto che Origina dalla Vite

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CapoVolto, Verdicchio dei Castelli di Jesi, 
La Marca di San Michele.

Bella storia quella che dà origine al nome di questo Verdicchio dei Castelli di Jesi. Potrebbe sembrare altro, tipo un gioco di parole, oppure verrebbe la tentazione di sezionare il nome e prendere il significato di Capo e quello di Volto (inteso come faccia). E invece la spiegazione e tutta nel territorio, nella storia, nella viticoltura. Per cui regge molto bene il racconto che se ne può fare e la curiosità che può suscitare. Ecco l'interessante spiegazione fornita dal produttore: "Il nome del vino è stato preso dal metodo di allevamento della vite 'a capovolto' usato molto dai vignaioli della generazione dei nostri nonni in tempi di povertà e scarsità quando alla pianta della vite era richiesta la maggior produzione di uva possibile. Il tralcio (Capo) veniva curvato ad arco (Volto), per avere più superficie, più gemme e quindi più uva. L'utilizzo di questo nome è un filo rosso che continua ad unirci a quella generazione". L'etichetta non accompagna il significato contadino del nome se non mostrando degli appezzamenti di vigna, quindi la terra, sempre con un legame molto localizzante. Almeno, questa è la nostra interpretazione di quel reticolo grafico di quadrati irregolari posizionato sopra al nome. Certo il naming è originale e circostanziato. Per cui vale già lo sforzo creativo (dell'azienda) e la percezione che se ne potrà avere (da parte dei fruitori). Resta da dire che non è valorizzante il discorso della quantità (il sistema di coltivazione al quale il nome fa riferimento) al posto della qualità (oggi in auge). La scelta di un nome è sempre una questione di equilibrio, di ingredienti da soppesare. Per questo la sua piena riuscita non è bersaglio facile.

Civiltà Contadine danno Voce a Nomi Particolari

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Grida delle Biade, Chardonnay, 
La Celata.

Uno dei nomi più originali finora analizzati in questo blog che si occupa dell'identità primaria dei vini. Quella che si percepisce per prima: il suo nome. Abbiamo qui un nome composito, nemmeno tanto facile da pronunciare e da recepire, ma ricco di storia e in grado di evocare echi lontani del territorio. Per questo molto interessante. Riportiamo subito l'ottimo rational a supporto delle scelta semantica, che troviamo ben descritto nel sito del produttore: "Si comanda e si impone: puntuali come l’estate arrivavano le grida delle biade. Gridate, appunto, nei giorni di mercato e poi affisse sui portali delle chiese, nelle osterie e nelle botteghe, sancivano cosa era lecito e cosa no nella gestione dei grani prodotti nel territorio del ducato: il transito, la quantità e la qualità della produzione, l’esportazione, il prezzo, il controllo dei produttori, dei fruitori, lo stoccaggio. Spesso erano norme restrittive, repressive e imponevano pesanti oneri fiscali.
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I trasgressori erano puniti con pene pecuniari, in alcuni casi anche corporali". Siamo sui colli piacentini, nella val Trebbia, territorio combattuto perché di passaggio di merci e popolazioni, con una storia frastagliata di vita vissuta. Il produttore, sfrutta la storia del territorio proponendo anche altri nomi che traggono origine del passato di quei luoghi, chiamando ad esempio "Battaglia della Trebbia" il proprio Gutturnio e ancora "Polveriera" il Barbera. Etichette pulite, graficamente molto luminose e lineari, senza fronzoli, dove questi nomi originali sono assolutamente protagonisti come posizionamento grafico e ingombro in etichetta. Vini che si fanno vedere, riescono quindi a distinguersi nell'offerta, molto ampia e variegata di quelle zone vinicole.

Packaging Innovativo, Naming "Lineare"

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Passito, Primitivo, Cantine Imperatore.

Decisamente insolita questa bottiglia di vino. Perché di vino si tratta, anche se dentro c'è un passito, cioè un vino liquoroso. E in questo specifico caso, davvero particolare. Un "Passito", come dice chiaramente il nome del vino, ottenuto da vitigno Primitivo appassito sui tralci. Consideriamo quindi prima il nome, "Passito": niente di più semplice, forse troppo, ma certamente non manca in linearità, così come, possiamo dire, in spontaneità. Certo di "Passito" ce ne sono migliaia (non da vitigno Primitivo, quelli sono pochi), ma in questo caso viene in aiuto la confezione, il design della bottiglia, che per il colore e la forma potrebbe ricordare quella del latte o quella di un Vov. Discutibile? Certamente. Originale? Anche. In aggiunta a queste evidenze il produttore ha pensato di creare una ulteriore nota di originalità, nascondendo sotto l'etichetta un "drop stop" per agevolare il servizio una volta stappata la bottiglia. Per quanto riguarda il design grafico dell'etichetta, poco da aggiungere, se non che, oltre al nome, emerge il logo aziendale come è giusto che sia. Il risultato finale, la sensazione, è che ci si trova a disagio, per un codice colore insolito (bianco), una forma non consueta, un nome che di fatto non esiste. Ma l'appeal, in un certo senso, c'è. Il resto probabilmente lo farà il calice.

Arte in Etichetta (il Nome Conferma)

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Collezione Jazzisti, Minutolo Passito, Mazzone.
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Tra i vari e sfaccettati nomi che si incontrano sulle facce delle bottiglie dobbiamo catalogare anche quelli come questo, "Collezione Jazzisti", che possiamo definire molto descrittivi. Non si tratta di un nome, in effetti, ma della spiegazione degli intenti comunicativi del produttore. In questo caso le bottiglie del vino passito in esame (da vitigno autoctono molto particolare, il "Minutolo") riportano ogni anno un soggetto diverso, sia pure sempre dedicato al mondo del jazz, celebrando l'unione sensoriale tra musica e vino, spesso e giustamente, portata all'attenzione degli estimatori. Il produttore infatti, Mazzone, nella scheda on-line dedicata a questo vino scrive: "Il suo nome vuole mettere in risalto le opere pittoriche del maestro Pollio, che cambiano ogni anno, e che ben si accompagnano con questo vino". Il vino è come il jazz, insomma, ogni volta diverso, frutto di abilità artistiche, estro creativo e spesso anche improvvisazione. Ottimo abbinamento quindi, da meditazione, per il gusto e per l'udito (procurandosi adeguato supporto sonoro e collezione di brani). I toni scuri dell'etichetta ben esprimono un mondo notturno, interiorizzante, in un certo senso intimo, che un passito di buona fattura deve trasmettere. Il calore della sua gradazione elevata (14.5 e oltre) farà il resto nella mente e nelle vene dei consumatori.

Un Barolo di Carattere (in Comunicazione)

Le Coste di Monforte, Barolo, Cascina Amalia.

grafica font branding marketing comunicazionepackaging branding marketing immagineNon essendo qui evidente un nome in particolare (anche se è da ritenersi nome "Le Coste di Monforte") andiamo ad analizzare come sono scritte le varie diciture. Emerge all'occhio il nome dell'azienda, Amalia. Spicca per dimensione e anche per particolarità del carattere (font, per i tecnici) di scrittura. Originale, certo, vistoso anche. Lo stile un po' retrò, tra il futurismo e certe etichette di amari degli anni '60, lo colloca a metà tra la volontà di sdoganare la classicità dei vini di Langa e quella di restare comunque con un piede nella tradizione. Per non tradire le aspettative dei consumatori "storici", verrebbe da dire (c'è da considerare sempre che le generazioni avanzano, e quelli che sono stati clienti storici 20/30 anni fa, probabilmente oggi non ci sono più, ci sono i loro figli, con tutto quello che consegue). Tutte le etichette di questo produttore portano in primo piano "Amalia" con questa forza visiva, con carattere, appunto, anche dal punto di vista della percezione "pre-degustazione". Vediamo infatti a destra il design più leggero, ma con il medesimo stile, del Barolo non cru. Mentre in alto a sinistra c'è il top di gamma. Ordinati, piacevoli, anche gli altri elementi descrittivi, tutti con una scelta di font (carattere) ben studiata e ben amalgamata. Interessante anche il dinamismo del logo, una A che "piroetta" con eleganza. Etichetta, quindi, non priva di opportunità di miglioramento, ma tra le migliori del "vecchio" Piemonte, attualmente in comunicazione.

Nomi Enogastronomici che Mettono Appetito

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Sulla Rotta del Bacalà, Vespaiolo, Cantina Breganze.

packaging design grafica marketingDi nomi strani ne abbiamo visti diversi (anche se non moltissimi, prevale purtroppo il conformismo), questo è uno di quelli. Insolito, composito, ma anche descrittivo. Un nome di un vino che non parla direttamente del prodotto o delle sue caratteristiche ma cita qualcosa di particolare che logicamente c'entra con il vino e con il suo abbinamento gastronomico (consiglio d'uso, quindi). Ed ecco che a Breganze, Vicenza, hanno deciso di chiamare un vino da vitigno Vespaiolo/a (già di per sé particolare) con una frase che potrebbe essere benissimo il titolo di un film, di un romanzo storico, di un documentario: "Sulla Rotta del Bacalà". Proprio con una sola "c", come si pronuncia nella provincia di Vicenza. Il "bacalà", baccalà per alcuni, come lo stoccafisso, è praticamente merluzzo dei mari del nord, atlantico o pacifico, salato nel primo caso o essiccato al sole e al vento, nel secondo. Un prodotto che ha una storia legata ai naviganti, molto interessante. L'etichetta del vino in questione conferma il concept presentando una mappa del nord europa, luogo di produzione e provenienza, ancora oggi, del prelibato pesce per ricette gourmet (una volta cibo povero, da marinai, oggi diventato molto costoso). A proposito della parola "baccalà", Wikipedia dice che: "Baccalà deriva dalla parola basso-tedesca "bakkel-jau" che significa "pesce salato" che è una trasposizione di bakel-jau che significa "duro come una corda", questa parola è utilizzata in molte lingue neolatina (bacalao, bacalhao), mentre dalla parola tedesca "kabel-jau" derivano quasi tutti i termini nelle lingue germaniche." Al centro dell'etichetta, per chiudere il cerchio, ecco il marchio della Venerabile Confraternita del Bacalà alla Vicentina con l'immagine di un "celebrante" che regge il mitico merluzzone. Che dire? Sicuramente un'etichetta originale, che sfrutta la nomea regionale (estesa anche nel resto d'Italia) della nota ricetta. In grado comunque di farsi notare anche fuori dai confini veneti, quanto meno suscitando curiosità.

Vini Succosi, Nomi Belli e Bellicosi

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L'Attaccabrighe, Barbera spumante, vinif. in bianco, Togni Rebaioli.

Il produttore di questo vino non è certo violento o cercaguai. Enrico Togni vive a lavora in un piccolo paese della Valcamonica in provincia di Brescia. Ed è una persona di saldi principi ma di carattere mite. Produce vini particolari animato da una passione sperimentatrice. Uno di questi vini, da vitigno Barbera spumantizzato in bianco, ha ricevuto un nome che non si incontra tutti i giorni: "L'Attaccabrighe". Nome che è destinato a farsi ricordare grazie a un "negative approach" che lo rende in definitiva simpatico. Attaccabrighe perché si tratta di un vino dotato di una spiccata acidità iniziale, che si scontra subito con le papille gustative, immediatamente bilanciata, nella "rissa" palatale, con una rotondità da vino di spessore. Il produttore sottolinea che il nome è stato deciso sulla base della corrispondente dizione in dialetto locale: "Argagn". Insomma, assaggiandolo e commentandolo la gente del posto affermava "A l'è un argàgn". C'è anche da aggiungere che Attaccabrighe nasce anche da una specie di sfida-promessa, lanciata da Enrico Togni nei confronti di amici spumantisti della vicina Franciacorta: creare una bollicina di montagna da un vitigno che di solito genera vini rossi genuini e rubicondi. L'etichetta che siamo in grado di mostrare non è perfetta ma è tutto quello che per ora si reperisce in rete. Il nome, come dicevamo, molto originale, viene "speso" con una grafica che gioca con le lettere, ribaltandole e stravolgendole, senza compromettere troppo la leggibilità. Per il resto il design è accademico. Quasi tipografico. Ma il nome, anche da solo, regge la sinfonia, e il vino, dicono, fa anche meglio.