Etichette Nettamente Sobrie, Anche Troppo

grafica makerketing comunicazioneChardonnay, Meroi.

marketing winelabels concept"Nel meno c'è il più" diceva qualche filosofo. E noi siamo d'accordo. Tanto più che molte volte in queste pagine abbiamo vantato il design minimalista di alcune etichette in stile, diciamo così, "moderno". Ma qui siamo di fronte a un caso limite. Un limite verso il basso, cioè a togliere. Infatti in questa etichetta non c'è praticamente nulla: due tasselli di colore, chiaro e scuro, e due parole, il nome del produttore e il nome del vitigno che compone il vino. Certo il messaggio è chiaro. Ma la sterilità della comunicazione appiattisce l'animo. Per altro tutta la linea dei vini di questo produttore friulano è stata progettata su questa linea grafica. Tranne che per due o tre vini che invece del nome del vitigno hanno un nome proprio, come ad esempio il "Nèstri" e il "Ros di Buri" (e il Blanc di Buri). Anche il sito web è molto minimalista, a conferma della scelta "rastremata" di questa azienda. Molto svizzeri, piuttosto che friulani (anche se i friulani, in effetti, non hanno un carattere molto caldo). Un packaging freddo, quindi, come le montagne più orientali d'Italia, che non lascia nulla all'emozione o a qualche spiraglio di calore creativo. Certo che la pulizia grafica è in grado comunque di farsi notare negli scaffali, in mezzo a una confusione di forme e colori, ma probabilmente qualche elemento aggiuntivo, concettuale oltre che ornamentale, non avrebbe fatto male su tutta la linea.

Quasi Sempre Barolo si Scrive con una Sola "Elle"

grafica comunicazione brandingRiserva Alfredo Barollo, Metodo Classico, Barollo.

etichette winedesign winelabelsQuesta azienda è nota soprattutto per il Prosecco. Ma produce molti altri vini. E come avrete notato la particolarità di cui vogliamo parlare è il nome (cognome) che campeggia in etichetta: Barollo, che la grafica opportunamente fa notare con due "l" in rosso. Proprio perché la somiglianza (diciamo anche l'assonanza) con il noto Barolo è evidente. I punti da considerare sono due: in primis il fatto di chiamarsi Barollo può aiutare per la notorietà, anche solo come risultati di ricerca su Google dove qualcuno, o sbagliando a digitare o in funzione delle formule di correzione automatica del noto motore di ricerca, può "atterrare" in Veneto invece che in Piemonte. In secondo luogo il pericolo di finire in un calderone di confusione, in modo particolare per il pubblico e clientela esteri. Ecco quindi l'idea, immaginiamo, di evidenziare le due "l" di Barollo in rosso, quasi a dire "attenzione, siamo il Barolo con due elle!". Ma a parte gli scherzi il corto circuito semantico, fonetico e di significato è tutt'altro che latente. Per quanto riguarda le etichette di Barollo, molto lineari e moderne, sono state certamente studiate con accortezza e ben si presentano sugli scaffali. Riportiamo qui anche il pay-off di questa azienda (per l'export): "Contemporary Italian Wines". Forse hanno ragione loro: il vino è tradizione ma è anche contemporaneo laddove ogni vendemmia è nuova storia a sé stante.
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Nomi a Vele "Spiegate"

grafica branding comunicazioneGrill, Teroldego, Eredi Aldo Cobelli.

Finalmente si inizia a trovare in rete qualche illuminato produttore di vini che spiega, sia pure brevemente, il significato dei nomi attribuiti ai propri prodotti. Sono ancora delle mosche bianche coloro che spendono qualche minuto del loro tempo (si tratta davvero di poco impegno) per spiegare ai potenziali clienti cosa "c'è dietro" a un nome di un vino. Speriamo che questo esempio sia seguito dai più. Ecco quindi il caso degli Eredi di Aldo Cobelli che nel sito aziendale parlano dei loro quattro vini: Grill, Gèss, Arlevo e Nosiol. Su quattro nomi, a nostro modesto parere, hanno fatto centro con tre di essi. Uno, Grill, suscita qualche perplessità. Vedremo tra breve perché. Partiamo dalla definizioni fornite dall'azienda. "Géss" (Gewürztraminer): "Il nome lega il vino al territorio: Gess non è altro che la traduzione dialettale della parola gesso. La nostra azienda si sviluppa quasi interamente su una vena di gesso che era ben visibile ai tempi in cui l’area era dedita all’attività estrattiva di questo materiale, della cava oggi non è rimasta traccia." Passiamo a "Arlevo" (Chardonnay): "Dal desiderio di produrre un vino territoriale da un’uva non di certo autoctona nasce il nome Arlevo. Parola dialettale che nella nostra zona sta ad indicare il figlio, non solo nel senso stretto del termine ma nella complessità dell’allevare quella creatura nata dall’amore della sua famiglia". Poi abbiamo "Nosiol" (Nosiola): "E’ una varietà autoctona molto coltivata fino a 15-20 anni fa sulle nostre colline ma ora in via di lenta estinzione per motivi esclusivamente economici... in questa determinata zona del Trentino è sempre stata chiamata al maschile “Nosiol”. Era il vino che si beveva sempre in “caneva” prima del pasto, al ritorno dai campi, in compagnia della luce tenue delle candele". E infine "Grill" (Teroldego): "...il nome Grill si lega saldamente al territorio. Grill è la zona di cui fa parte l’appezzamento, ed era il nome di un vecchio maso abbattuto anni or sono in seguito all’ampliamento dell’attività estrattiva delle cave di gesso". Tutto bene quindi, bei racconti. La perplessità riguarda appunto quest'ultimo vino, Grill, per l'identità che questo nome ha con la parola che significa (Treccani) "Tipo di ristorante, generalmente situato lungo le autostrade, in cui si consumano semplici e rapidi pasti sostanzialmente costituiti da piatti di carne alla griglia". Certo potrebbe risultare un "consiglio di abbinamento", visto che Grill è un vino rosso che va d'accordo con le carni rosse, ma probabilmente si sarebbe potuto ovviare alla contaminazione semantica scegliendo un altro nome. Complimenti comunque all'azienda anche per il design delle etichette, elegante e netto, raffiguranti le foglie della vite dei relativi vitigni.
               

Belli Novelli e Fantasia al Comando

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Novello d'Autore, Vino Novello, Di Filippo.

La "guerra" che si scatena ogni anno a ottobre/novembre per il cosiddetto Vino Novello (ultimamente però in ribasso) è sostanzialmente una competizione commerciale di basso profilo. Ma tra gli scaffali si può notare anche una concorrenza basata sul packaging-design con etichette molto colorate, fantasiose, allegoriche, che in generale si permettono di essere più fuori dagli schemi rispetto alle etichette dei vini "del resto dell'anno". Le etichette del Novello, in generale, meriterebbero una raccolta e una analisi approfondita. Sembra quasi che il fatto che il Novello sia un vino dal consumo facile, possa autorizzare l'adozione di etichette ugualmente "facili".
In realtà molte di esse sono più belle e impattanti di quelle classiche. Si tratta di un territorio semantico spesso di sperimentazione da parte di molti artisti che finalmente possono sbizzarrirsi con forme e colori variegati. Come un questo caso, riportato in alto a sinistra, che raffigura un'opera di Massimiliano Bardi, artista fiorentino. Qui il tema proposto dall'azienda all'autore è stato il folklore umbro, visto che il produttore ha sede a Cannara (Perugia). In pratica, ciò che il vino novello "perde" in qualità, essendo un vino da consumo e non certo da invecchiamento o con velleità qualitative, vuole guadagnarlo in immagine. Come se un uomo o una donna di "poca sostanza" puntassero tutto sulla propria bellezza esteriore, eleganza degli abiti compresa. In basso a destra invece un grande "classico" del Novello: una delle eclatanti etichette di George Duboeuf, beaujolais, Francia.

Arte, Orchi, Dame, Cavalieri, Vini e Territori

packaging grafica etichette vinoFiano di Avellino, La Casa dell'Orco.

Nome dell'azienda, nome del vino, nome del territorio di provenienza e, come vedremo tra breve, anche sintesi di una narrazione tra leggenda e storia (si sa che spesso la storia è proprio fatta di "storie"). L'accezione di cui parliamo in questo articolo è "La Casa dell'Orco" che caratterizza tutta le produzione di questa azienda irpina con sede a Pratola Serra (Avellino). Nella gamma dei vini di questo produttore troviamo, oltre al Fiano di Avellino riportato in alto a sinistra, anche un Greco di Tufo, un Taurasi, una Falanghina del Sannio e una Coda di Volpe e un Aglianico. Interessante anche se un po' confuso il racconto che riguarda il nome in questione: "Il nome dell'azienda trae origine dall'omonima località sita nelle campagne della frazione San Michele, tra Pratola Serra e Montefalcione, dove è ancora possibile ammirare, in prossimità di uno dei nostri vigneti, un maestoso monumento megalitico costituito da tre pietre alte circa cinque metri e larghe due, infisse nel terreno una accanto all'altra secondo una disposizione denominata dagli archeologi "menhir alignment". Colpita dal fascino del luogo, la scrittrice lucana Maria Padula, nota anche per la sua pregevole produzione pittorica, vi ambientò un breve e suggestivo racconto in cui narrava di come Silpa, pastore irpino, liberasse gli abitanti della zona dalla sanguinaria ferocia di Cronopa, l'Orco".
comunicazione naming packaging marketing
La Casa dell'Orco quindi è rimasta come indicazione di qualcosa che fu, un aneddoto fiabesco, o forse chissà, una storia con un fondo di verità. Le etichette di questo produttore, non male dal punto di vista del'impaginazione e del design, riportano tutte una bella illustrazione a colori che ritrae una dama a un cavaliere in atteggiamento amoroso. Il logo, molto moderno, di sintesi, conferma il racconto riportato qui sopra, raffigurando tre monoliti eletti a simbolo dell'azienda.

La Luna Antagonista del Sole (nella Vite e nella Vita)

packaging branding comunicazioneLuna Argenta, Linea vini, MGM Mondo del Vino.


branding comunciazione marketingIl nome di questa linea di vini che spazia dalla Puglia (Negroamaro e Primitivo), alla Toscana (un Rosso Igt), dalla Sicilia al Veneto (Prosecco!) è evocativo e ben riuscito: "Luna Argenta". Da sempre la luna viene chiamata anche "astro d'argento" e qui, con una lieve concessione poetica, l'argento diventa "Argenta" esprimendo comunque il suo senso. L'etichetta presa in esame è pulita, graficamente ben riuscita, le informazioni sono definite e chiare a il nome ha il suo giusto protagonismo sotto a una lancia di luna stilizzata. Bene. Ma andiamo oltre, visto che il produttore nel proprio sito web ci spiega (qualcuno per fortuna lo fa, ma sono ancora in pochi) l'origine e le ragioni di questo nome: "Le più antiche tradizioni legate alle terre d'origine di 'Luna Argenta' raccontano di come la luna e le sue fasi siano fondamentali alla produzione di un buon vino. Fin dalla piantagione della vite stessa l'attenzione al ciclo lunare è di straordinaria importanza. Un aforisma locale recita infatti -più che il sole fa la luna crescere gli acini-". C'è un concetto, insomma, che regge le scelte creative legate all'etichetta. E che bel concetto: attenzione alle fasi lunari (gli antichi insegnano) e soprattutto questo azzardo semantico e anche agronomico secondo il quale è la luna che fa crescere l'uva (e quindi diventa importante tanto quanto il sole). Quindi, nome interessante accompagnato da un rational "che sta in piedi". Complimenti.

Il Marketing delle Definizioni (è di Chi se ne Appropria)

branding marketing grafica comunicazione
Extra Brut Extra Old, Champagne, 
Veuve Clicquot.

champagne marketing comunicazioneLa Vedova più famosa del mondo (almeno per quanto riguarda il vino) ha lanciato sul mercato una nuova tipologia di Champagne che di nuovo non ha poi molto, se non una azzeccata definizione (quasi un nome). Questo nuovo Champagne dall'etichetta nera di Veuve Clicquot Ponsardin si avvale della seguente, innovativa, definizione in etichetta: Extra Brut Extra Old. Dove naturalmente la novità è rappresentata da "Extra Old". Dove sta l'arcano? Nel fatto che lo Champagne è composto da "riserve" che vanno dal 1988 al 2010, i cosiddetti "vins de réserve" (47% Pinot Noir, 27% Chardonnay, 26% Pinot Meunier). Nulla di eclatante dal punto di vista del prodotto: da sempre gli Champagne si avvalgono di composizioni che "pescano" in annate precedenti alla vendemmia attuale. Certo qui i "conferimenti" arrivano fino al 1988, ma insomma si tratta del solito mescolone alla francese, abile e circostanziato, ma pur sempre mescolone. La vera novità stà nella definizione "Extra Old". Con questo termine Veuve Clicquot si appropria di un concetto, di un'idea, di una modalità percettiva prima che materiale. Una definizione che serve a collocare il prodotto non solo negli scaffali (come novità) ma serve anche ad attribuirgli un luogo mentale nella curiosità e quindi nelle preferenze degli estimatori. Non resta che dire "bella idea". E anche bella etichetta, distintiva, come da sempre ci ha abituati la nota maison di Reims.

Vino Ancestrale e Volpi Apotropaiche (o Viceversa)

Falanghina Igt Puglia, Volpone.

branding etichette wine comunicazioneIl pay-off (come dire lo "slogan" in termini desueti) della Cantina Volpone è "Ancestrale apotropaicità". Una specie di scioglilingua che va certamente spiegato: (Treccani) "ancestrale" deriva dal francese antico ancestre "antenato", che è sentito profondamente, congenito, connaturato, ingenito, innato, profondo, radicato. E "apotropaico": derivazione del greco ἀποτρόπαιος "che allontana", che serve ad allontanare o ad annullare un’influenza maligna. Ma a parte questo curioso (e complicato) pay-off, ha attirato la nostra curiosità il cognome di famiglia "Volpone", delegato a dare nome all'azienda stessa e ad alcuni vini in gamma (che nelle etichette appare in modo molto evidente). Nel sito aziendale si dice che il simbolo di questo produttore pugliese è una volpe stilizzata a forma di "V", e che la volpe è un simbolo apotropaico degli antenati di quei luoghi. Ma è la parola "Volpone" che non convince: infatti nel gergo popolare "essere un volpone" non è positivo. Significa essere furbi e scaltri ma a danno del prossimo. Quindi leggere "Volpone" in etichetta come prima comunicazione che passa dal prodotto al consumatore non si può considerare totalmente positivo. Certo il cognome della famiglia è questo, ma a nostro modesto parere potevano essere ricercate delle valide alternative.
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Vini Toscani Orientati a Est ma Guardando a Ovest

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Sasyr, Sangiovese e Syrah, 
Rocca delle Macie.

Si rivela abbastanza facilmente, e lo fa da sé, il nome di questo vino: basta scomporre "Sasyr" in "Sa" (Sangiovese) e "Syr" (Syrah) ed ecco i due vitigni che lo compongono. Facile trovare un nome così e anche molto pragmatico, a prova di critica, sembrerebbe. Ma vediamo di fare qualche ragionamento che si spinge sotto la superficie di una scelta abbastanza "comoda". "Sasyr", dicevamo. Nome che concede spazio ad una percezione esotica, complice la "y" del vitigno Syrah (che alcuni scrivono Sirah o anche Shiraz, dal nome originario della città iraniana che gli ha dato i natali ampelografici, e ancora Syrach o Syra, la storia è complessa e non ci dilunghiamo), dalla sua parte ha la brevità, in quanto un nome breve è giù potenzialmente memorabile. Ma qui entra in ballo la logica: "Sasyr" non è un nome che concede tratti alla toscanità, dove ha sede l'azienda. Si dirà che il gioco è quello di mescolare toscanità (Sangiovese) con esoticità (Syrah), ma poi scopriamo che i migliori Sirah hanno luogo nella scoscesa Côte du Rhône e quindi che il modello è quello francese, non quello siciliano (dove eventualmente l'oriente si fa più sentire a livello filosofico, romantico e semantico). Ecco quindi che quella esoticità, indubbia, del nome Sasyr non aiuta, a nostro modesto parere, una percezione di "savoir faire" italiano (e il bisticcio linguistico è volutamente provocatorio, che in Francia tutti quei vitigni li hanno portati i nostri antenati) distraendo la fruizione della comunicazione verso lidi mediorientali. Insomma leggendo in etichetta "Sasyr > Toscana" il sentimento è vero ma non è puro.

Leggerezza e Spessore di Giovani Etichette d'Arte

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Sòfi, Schiava, Franz Haas.

Questo noto produttore di ottimi vini in Alto Adige, ha ormai abituato il proprio pubblico ad etichette di grande originalità, soprattutto per quella regione. Parliamo pure di velleità artistiche in quanto, come scrive il produttore nel sito web aziendale: "...l’artista Riccardo Schweizer, che collaboró anche con Picasso, Chagall, Cocteau, Paul Éluard e Le Corbusier e realizzò le etichette dei vini... 21 anni fa venivano usate etichette molto più tradizionali e semplici... ma oltre alla qualità del vino, la gente iniziò ad apprezzare molto questo genere di etichette, ed anche oggi a distanza di più di vent’anni, sugli scaffali delle enoteche e sui tavoli dei ristoranti, si distinguono e si memorizzano". Anche per una recente linea di vini dedicata alla figlia Sofia la scelta è andata verso un'opera pittorica molto colorata che campeggia al centro della bottiglia. Il nome del vino è "Sòfi" o "Sòfì" nel senso che gli accenti sembrano due, cioè in pratica uno è un accento vero e proprio (sulla "ò") e l'altro è una decorazione, un soffione stilizzato (sulla "ì"). E questo gioco grafico non aiuta a capire bene e subito come promunciare il nome. Andando oltre scopriamo che su questo nome il produttore nel proprio sito web specifica: "Il nome e l’etichetta di questi nuovi vini erano pronti già da tempo. 
Sofia, figlia di Franz e Luisa, già dai tempi della Scuola Materna, aveva espresso il desiderio di avere un vino tutto suo, con una sua etichetta e che portasse il suo nome. 
Come sempre, le cose devono maturare ed hanno bisogno dei propri tempi. 
Nel frattempo Sofia è cresciuta e con lei ci siamo avvicinati ancora di più alle esigenze di un gusto giovane", Ed ecco quindi "Sòfi",
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aggiungiamo noi, scritto con una carattere giovane, quasi infantile, e abbinato a una etichetta trasparente, molto "di design", quasi azzardata anche per una linea di vini "sbarazzina". I vini di questa linea sono 3: una schiava "chiaretta", un Müller Thurgau e un rosato da Merlot. Le etichette appaiono tutte uguali se non fosse per il nome della tipologia/vitigno, in verticale, in piccolo, sulla sinistra. Forse troppo ridotta, questa specifica, per orientare adeguatamente il consumatore. Per il resto, che dire? Una linea... perfettamente in linea con lo stile di Franz Haas, che piaccia o no.

Un Nome dai Molti Significati

immagine comunicazione marketingPariglia, Vermentino di Sardegna Doc, Contini.

grafica illustrazione branding marketingL'etichetta di questo vino è semplice, pulita, cromaticamente elegante, gradevole e risulta anche simpatica, allegra, grazie ai disegni che sono in prima evidenza: tre visi di donna, forse in costume tipico e sembrerebbe, sotto di esse, sei mazzi di fiori o tralci di vite o comunque decorazioni barocche. In bella evidenza anche il nome "Pariglia". Nome che ha diverse accezioni. Vediamole con l'aiuto dei dizionari on-line. Dice Treccani: "pariglia" /pa'riʎa/ s. f. (dal fr. pareille, lat. pop. parĭcŭla, der. del lat. class. par "pari, uguale"). - (insieme di due di cose uguali specialmente di cavalli), coppia, paio, (di persone) o (fam.) accoppiata. Ma vediamo anche che "pariglia" può ricordare espressioni figurate come "rendere la pariglia" (a qualcuno) cioè ricambiare il trattamento avuto, soprattutto quando si siano ricevuti torti, offese e simili. Cioè anche rendere pan per focaccia, rivalersi su qualcuno. E poi l'etimo: "Pariglia", dal rumeno Pareche, dal provenzale Parelh e Pareille, dallo spagnolo Pareja e dal portoghese Parelha, dal latino Parilis, uguale, di pari forma, da "Paricula". Forse questo nome si riferisce alle pariglie di cavalli che una volta si utilizzavano in vigna al posto dei trattori, forse si riferisce ai cavalli che trainano carri di qualche festa folkloristica. Insomma ce n'è per tutti i gusti, tanto le parole sono materia affascinante e infinita. Ed è per questo che nell'attribuire un nome è bene verificarne tutte le valenze, positive ed eventualmente negative.

Un Internazionale Maglione Rosso (Anche per Vini Bianchi e Rosati)

grafica etichette comunicazione marketingTussock Jumper, Prosecco e altri vini.

grafica illustrazione advertisingUn caso da "case-history" questo del "maglione rosso". Viene dalla Nuova Zelanda ma gli ideatori e fondatori sono un olandese e un portoghese-americano: la società nasce internazionale già alla base. Diciamo internazionale perché il concept è proprio qui: 16 vini diversi da 11 paesi del mondo, tutti imbottigliati nelle zone di coltivazione delle uve. E in gamma c'è anche un Prosecco e un Nero d'Avola, oltre a Merlot, Riesling, Moscato, Tempranillo, etc. Concetto di prodotto, forte e valido che viene poi "veicolato" in modo altrettanto bene con la comunicazione, affidata ad un iconografico maglione (jumper) rosso che veste animali che simboleggiano i vari paese di provenienza delle uve (l'idea viene da una prima etichetta che raffigurava una pecora col maglione). Giusto per citare gli "italiani", abbiamo una volpe per la Glera (Prosecco) e un lupo per il Nero d'Avola siciliano. L'elenco è lungo: koala, pecora, mucca, maiale e anche un pinguino (per il Cabernet argentino). Tutti i "personaggi" indossano la macchia rossa del maglione che diventa nota distintiva immediata a scaffale e in tutte le comunicazioni visive, off e on-line. La gamma dei vini copre naturalmente tutti i gusti (i principali, almeno) immaginabili per un pubblico certo non da esperti ma almeno da buoni consumatori. L'operazione mediatica si connota, insomma, con simpatia, incisività, lungimiranza, eleganza e anche con una certa specificità, nonostante l'ampia offerta. Nel dettaglio, per quanto riguarda il naming: Jumper è "maglione", ma anche, secondo il produttore, "saltare" da un vino all'altro, divertendosi a provare il meglio di ogni paese di produzione, mentre Tussock è un'erba che cresce in tutto il mondo e simboleggia la volonta "verde" del produttore e la naturalità dei prodotti.
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Nomi del Mistero: la "K" Aiuta Sempre

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Karana, Colli del Limbara, Cantina Gallura.

Lo "strano" di questa bottiglia inizia dal vino, da quello che c'è dentro, prima ancora di quello che si vede fuori. Perché si tratta di un vino prodotto con uve Nebbiolo per il 90% (che di solito sta di casa in Piemonte centrale, nelle Langhe, nell'Altro Piemonte e in Valtellina, mentre qui siamo in Sardegna) e non solo: c'è anche una partecipazione di altri due vitigni, il Sangiovese (che di solito sta in Toscana o in Romagna) e del raro Caricagiola (questo sì, è vitigno autoctono sardo) in minima parte. Anche la denominazione è di quelle poco note "Colli del Limbara" (nome di un monte della Gallura). Ma veniamo al nome del vino: "Karana". Il produttore non ci aiuta con una definizione ufficiale e quindi andiamo a cercare da "mamma Wikipedia" e scopriamo che la parola Karana, in sanscrito, significa "fare" o "facendo" e che in particolare "sono detti Karana i 108 movimenti combinati di mani e piedi nella danza classica indiana... sono movimenti che coinvolgono l'intero corpo ma in maniera indipendente. Queste posture e unità di movimento costituiscono il vocabolario di base di una serie di sequenze nel teatro indiano". Probabilmente qui le intenzioni semantiche del produttore sono inspirate al "fare", al fattuale, che nel lavoro in vigna e in cantina ha ancora oggi, nonostante l'avvento di nuove tecnologie, un'importanza determinante. E il design dell'etichetta? Senza infamia e senza lode ma comunque equilibrata e di bella presenza.