Un Nome Non Sempre Parla Bene di Sé

etichette grafica marketing brandingUmby e Farabuto, Garganega e Blend Rossi, Ca' dei Colli.

Per questa azienda veneta siamo stati indecisi se recensire la loro Garganega che si chiama, a quanto sembra, "Umby" oppure se occuparci del Rosso Veronese che si chiama "Farabuto". E allora li abbiamo analizzati entrambi. In un certo senso ne valeva la pena. Dunque, l'etichetta di "Umby" (sembra proprio questo il nome del vino, visto che nella texture sullo sfondo si legge "Umberto", quindi immaginiamo sia l'omaggio a un fondatore o comunque a un membro della famiglia) presenta una grafica non entusiasmante, dal punto di vista cromatico e anche di quello grafico, pur risultando semplice e ordinata. Il colore verde acqua che dir si voglia, non fa bella mostra di sé, insomma non è molto "palatale". Il nome "Umby" si commenta da solo. Affettivamente funziona, ma dal punto di vista della comunicazione, del marketing, non è una buona idea. Considerato anche che la "y" non si riesce quasi a leggere, probabilmente si è voluto simulare un calice con dentro un grappolo d'uva, ma non si capisce bene perché le immagini che reperite in rete, e anche nel sito del produttore, sono di scarsa qualità. Per quanto riguarda la seconda etichetta qui mostrata, il vino, un blend di rossi del Garda veneto, su chiama "Farabuto" e così viene giustificato in un testo nel sito internet dell'azienda: "Farabuto in forma dialettale è un’espressione forte con il significato di truffatore, imbroglione. Si presenta quindi come un vino dalla doppia personalita". Insomma, non è proprio valorizzante. Forse gaglioffamente  e goffamente simpatico, ma di certo non positivo. L'etichetta del "Farabuto" si presenta meglio, cromaticamente e creativametne, rispetto a quella di "Umby": risulta abbastanza elegante con un buon gusto, sia pure a minimi termini.

Trovare la Via di Uscita per un Nome

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Tixe (o Exit), Pinot Grigio, Palazzone.

Non riusciamo a comprendere quale ragionamento ha guidato i titolari della Residenza Palazzone (nome ufficiale dell'azienda) nel creare questo enigmatico nome, per il Pinot Grigio della casa. Il gioco grafico in etichetta è chiaro: la scritta, ben impressa, "Tixe", crea sullo sfondo un'ombra dove si legge Exit. So what? Forse cercando una "via di uscita" per nominare questo vino hanno creduto di trovare in questo espediente la soluzione giusta. Certamente incuriosisce, impatta, fa soffermare, ma a parte il giochino dell'ombra (forse c'è un riferimento all'ombra de vin? Dato che il Pinot Grigio è tipicamente delle venezie ma qui siamo in Umbria...) l'etichetta è davvero scarna. Possiamo dire "moderna"? Diciamolo. Qualcosa da dire lo abbiamo anche su come è scritto il nome aziendale (il logo in rosso) con quelle due "z" di Palazzone, in parte sovrapposte, che non aiutano la lettura e che sembrano quindi un inutile ve'zz'o. Tornando infine al nome del vino, che ufficialmente è Tixe, possiamo aggiungere che dalla sua ha la brevità e una buona pronunciabilità. Ma le ombre permangono.

Quid Pro Quo Culturali di una Nota Azienda

Lo Sbrancato, Sangiovese Rosato, Il Poggione.

L'azienda produttrice di questo rosè è nota soprattutto per il Brunello di Montalcino, del quale vanta un'ottima e stimata produzione. Il vino rosato in questione, anch'esso prodotto con il vitigno Sangiovese (24 ore sulle bucce, ad ottenere un rosato dalla classica sfumatura cromatica), si chiama "Lo Sbrancato". Al centro dell'etichetta si nota la raffigurazione artistica di un branco di cavalli allo stato brado. Per chiarire subito l'origine di questo nome riportiamo le parole del sito web del produttore: "Il suo nome riprende l'omonimo quadro del 1888 presente nella sala degustazione aziendale". Non viene citato l'autore di questa opera pittorica. Il significato del titolo dell'opera, diventato nome del vino, invece dovrebbe essere noto in quanto intuitivo: un cavallo che non vuole restare nel branco e sceglie una dinamica più individualista. "Sbrancato" nel senso di non appartenenza al branco. Non suona molto bene come parola, anche se letta correttamente. Se poi si cade nel possibile fraintendimento con "sbracato", il riflusso negativo è ancora più presente. La conclusione è che nonostante la presenza di questa opera d'arte in azienda e la volontà di celebrarla, il nome di questo vino poteva essere concettualmente più legato al prodotto, al territorio o al vitigno e soprattutto più elegante.

Vini Eroici o Vini Egoici?

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PaCo "Sensazioni di Paolo",
Rosso Veronese Igt, Paolo Cottini.

Questa versione per l'export di uno dei vini di Paolo Cottini (nome dell'azienda) ha in evidenza qualche elemento interessante. Non segnatamente valorizzante per il vino in questione, ma interessante per la nostra analisi. L'etichetta è spartana, "nero su bianco", si concede solo piccole emozioni generate da un lettering moderno ma nemmeno troppo ricercato. Diciamo che la comunicazione sta tutta nelle parole, dove "PaCo" è il nome del vino direttamente derivato dal nome del produttore (e quindi dell'azienda) che infatti così commenta nel proprio sito internet: "Paolo Cottini è il nome con il quale Paolo e Sara hanno voluto innestare la loro personale identità ai vini da loro prodotti". Giocando con le lettere, diciamo noi, se Sara c'entra qualcosa allora il nome dovrebbe essere "PaSa", ma insomma queste sono cose personali e famigliari. Quindi, dopo questo strano nome sincopato, abbiamo una definizione, un sottonome, un mantra, una "precisazione": "Sensazioni di Paolo". Evidentemente il tentativo di dire che dentro a quel vino sono concentrate le sensazioni del produttore, sensazioni scaturite mentre l'ha fatto, in vigna e in cantina. La nostra sensazione è che il tutto sia molto egoriferito e non cliente-riferito, come i più aggiornati dettami del markerting suggeriscono. La ridondante personalità di Paolo, si direbbe, esubera in etichetta al punto da acquisire un eccessivo protagonismo. Ringraziamo l'account Instagram di RossoBiancoBolle per la bella fotografia.

Un Amarone Anglo-Bresciano Export Oriented

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Amarone della Valpolicella, Onepiò.

Si verifica un connubio davvero insolito in questo nome aziendale (che caratterizza e denomina anche tutti i vini della produzione): "Onepiò". Di primo acchito non siamo riusciti a decifrarlo chiaramente (già questo non gioca in favore della comunicazione del prodotto) e quindi siamo andati a cercare nel sito dell'azienda, trovando questo rational: "Il nome dell’Azienda proviene dal termine “1 piò”, unità di misura usata dai contadini locali nella provincia di Brescia, in Italia settentrionale, per indicare la dimensione “1/3 di ettaro”, dimensione della Cantina stessa. Onepiò Winery è un’Azienda Vitivinicola che unisce le linee architettoniche moderne alla tradizione della vita contadina". Quindi la spiegazione sarebbe che l'utilizzo di 1 (one) in inglese riporta alla modernità e la dizione "piò" (il termine viene dalla denominazione dell'aratro, derivante dal longobardo "plom") riconduce alla tradizione rurale. Il fatto è che, a nostro modesto parere, l'unione, in questo caso, non fa la forza. Non incide quindi come nome facilmente pronunciabile e quindi memorabile. Certo la sintesi è dalla sua parte. Anche una certa "rotondità" grafica e fonetica, ma per il resto non sembra destinato agli allori del naming. Nello specifico, l'etichetta qui mostrata denuncia un problema di leggibilità anche cromatica per ciò che riguarda le scritte in rosso su sfondo amaranto, a fronte di una impaginazione estremamente lineare e ordinata.

La Buona Vita delle Terre Siciliane

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Rosato Terre Siciliane Igt, Bonavita.

Un nome, una promessa: "Bonavita". Si tratta di un cognome per l'esattezza. Che la dice tutta su come si può vivere bene coltivando la vigna e producendo vino in una delle regioni più emozionanti d'Italia. In particolare in quella parte di Sicilia nord-orientale non troppo turistica ma ugualmente bella e florida. L'azienda produce solo due vini, il Faro Doc (dalla località dove sono coltivati 2 ettari e mezzo di vigne, Faro Superiore, che si affaccia sullo stretto di Messina) e un Rosato Terre Siciliane (entrambi composti da Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio e Nocera). Tornando al nome (al cognome) che caratterizza le etichette: quanto è di buon auspicio ma anche psicologicamente di buon viatico all'acquisto, al consumo, alla convivialità, questo epiteto impresso sulle bottiglie! Confrontato con certi nomi cupi ed evocativi di mondi tramesti, questo "Bonavita" vince alla grande ancora prima di aver assaggiato il vino. C'è anche un nesso storico, riportato nel semplice ma funzionale sito dell'azienda: "...si va per una stradetta mulattiera, la quale conduce verso un bel paesaggio svizzero che con sapiente proprietà i nostri antichi padri hanno voluto battezzare Buonavita. La veduta Buonavita a buon conto può dirsi che sia un riassunto condensato d’un caratteristico paesaggio con fresca e perenne carezza... ma anche rinomatissimo era il vino del Faro nell’antichità... sono venuti i Francesi ad esportarlo... predomina in tutti i vigneti la detta Nocera, che ben signoreggia sulle amene ed apriche alture di Faro Superiore" (Monsignor Francesco Alizio, Messina, 1933). Nel testo citato qui sopra "Buonavita", nel tempo, si è trasformato, per pronuncia, in "Bonavita", mutando da luogo a cognome, poi tramandato di generazione in generazione. Curioso il riferimento a un "paesaggio svizzero" in Sicilia, da parte del Monsignore. Per quanto riguarda il label design, nello specifico del Rosato, va notato un certo rigore classico nel lettering e nell'impaginazione e una vérve artistica nell'immagine centrale (che cambia di anno in anno) nel proporre opere pittoriche. Per l'annata 2016, riportata qui in alto a sinistra, l'immagine, molto coerente con "Bonavita", propone auliche e soleggiate scene di Dolce Vita. E allora prosit!
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La Poesia Sposa il Marketing (o Viceversa)

branding grafica comunicazioneCuvée, Spumante Extra Dry, Bacio della Luna.

C'è poesia nel nome di questa azienda. Nome che viene reiterato in tutte le etichette di vini come se fosse il nome stesso dei vini. Bello anche il logo, in completa sinergia con il nome: una luna all'orizzonte che scende, su uno specchio d'acqua, baciando se stessa. O se vogliamo, baciando tutti coloro che si fanno coinvolgere emozionalmente da questa rappresentazione. La luna, come argomento "da etichetta" è in effetti un po' inflazionata. A ragione, tutto sommato. La luna con i suoi influssi regola e scandisce molte attività agricole. Ma se trattata con stile, come in questo caso, sia con il nome sia con il design, può risultare interessante, coinvolgente, efficace. Qui infatti non si sta parlando genericamente della luna come in molti altri casi di winelabelling, in questo caso è il bacio della luna a fare concettualmente da padrone. Un racconto in tre parole, bacio-della-luna, in grado di provocare vibranti emozioni. In alcune etichette della produzione, che ha sede in Veneto nella zona del Prosecco DOCG, il concetto viene ulteriormente rafforzato con una elegante rappresentazione delle fasi lunari. Nel complesso quindi abbiamo una gestione dell'immagine, logo ed etichette, molto accurata e che parte "a monte" con una chiara visione del progetto di comunicazione. Il tutto, probabilmente, frutto degli influssi e del chiarore di una serata di luna piena, chissà.
naming packaging vino etichette



Nel Creare Nomi Serve Precisione


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Perciso, Lambrusco a foglia frastagliata, 
i Dolomitici.

Il vino in questione nasce da una varietà di Lambrusco che l'azienda "i Dolomitici" (nonché "Liberi Viticoltori Trentini", nome molto evocativo per quanto riguarda la percezione della zona di produzione) ha deciso di continuare a coltivare nel territorio di Avio. Un Lambrusco apparentemente fuori sede (anche se di "varietà antica, saldamente legata al territorio trentino") almeno per le conoscenze a disposizione dei comuni mortali (e possibili acquirenti, soprattutto quelli al di fuori della provincia). La dicotomia (ripetiamo, riservata ai potenziali acquirenti non esperti, che sono però la maggioranza) tra Lambrusco e Trentino potrebbe inficiare la credibilità nella resa enogastronomica del vino in oggetto. Il sinonimo "Enantio" avrebbe potuto evitare il querebus. Ma queste sono scelte di marketing nelle quali non entriamo: il mercato dirà se si tratta di una mossa indovinata. Parliamo quindi del nome e dell'etichetta. Il nome di questo vino ha almeno un paio di problemi: uno di fonetica e l'altro di semantica, collegati tra loro. Se si tenta di pronunciare questo nome, "Perciso", la lingua incespica e cerca di dire "Preciso". Anzi, sicuramente molti ci "cascheranno" leggendolo male e pronunciandolo di conseguenza. Il nome in realtà nasce per essere "Per Ciso", ecco la spiegazione del produttore: "Narciso detto “Ciso” è il nome del contadino che ci ha consegnato la vigna di Lambrusco a foglia frastagliata che coltiviamo assieme. Dunque Perciso, un vino dedicato a Ciso". E allora perché non scriverlo con le due parole staccate, o almeno, "PerCiso" con la "C" maiuscola? Per quanto riguarda l'etichetta, estremamente semplice, forse accusa una sommarietà che lascia poco all'immaginazione, ovvero all'emozione. Insomma, forse non è stato svolto un lavoro di "percisione", gusto per giocare con le parole.

Nomi Vietnamiti per Vini Italo-Bordolesi

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Tâm, Bolgheri Superiore, Batzella.

È un bel "pasticcio" questa etichetta. In senso gastronomico, cioè riferito a quando si mettono insieme tanti ingredienti che magari nulla c'entrano uno con l'altro. Vediamo di districare un po' la matassa. L'azienda si chiama Batzella, dal cognome di uno dei due fondatori. E già qui ci sono delle difficoltà di pronuncia e pazienza che in etichetta viene pure scritto in modo spezzato, probabilmente complicando le cose (la lettura diventa "Batz" e poi "ella"). Il nome del vino è “Tâm” e viene giustificato in questo modo dal produttore, nelle proprie schede prodotto: "Il nome “Tâm” vuol dire “passione” in Vietnamita, la passione che muove noi produttori alla ricerca di quell’elusivo equilibrio fra eleganza e potenza nei nostri vini". Il fatto è dovuto, si presume, alla nazione di origine dell'altro fondatore, la compagna del Batzella. La questione vietnamita non si conclude qui, perché riguarda anche il design dell'etichetta, alquanto particolare. Infatti nel sito web si dice che: "Il disegno dell’etichetta è ispirato dal carattere cinese con cui si scrive TÂM, cioè cuore, passione". Il concept è forte, preciso, valido, ma la scelta di esprimerlo in modo così orientaleggiante potrebbe generare qualche perplessità. Prima di fare queste scelte diciamo "affettive", servirebbe valutare che impatto può avere sul pubblico un'etichetta in vietnamita, che riporta, doverosamente, anche l'origine toscana del vino (Bolgheri), generando un corto circuito percettivo. Origine toscana anch'essa discutibile visto che si tratta di un vino costituito dal cosiddetto "taglio bordolese". Insomma un bel mix di culture, diciamo così. Precisiamo una volta di più che i commenti qui riportati riguardano unicamente la grafica delle etichette e non vanno nel merito della qualità del vino che spesso, per le etichette commentate, è ottima così come, anche in questo caso, sono stimati i relativi produttori.

L'Etichetta con Dentro Altre Etichette

grafica branding concept comunicazioneLanghe Favorita, Abrigo Giovanni.

graphic design branding comunicazione marketingQuesta etichetta è un rebus. Come modo di dire (si dice di qualcosa di enigmatico) e anche come raffigurazione (che somiglia a quelle dei rebus della Settimana Enigmistica dove, attraverso le immagini, bisogna arrivare a formulare una frase). In questo caso si tratta evidentemente dell'opera (firmata) dell'artista Daniele Fissore, intitolata "Picnic". Raffigura in effetti la scena di un pic-nic tra un gruppo di persone. Una mano di donna in primo piano sta per prendere una bottiglia. Primo enigma: sullo sfondo si vede il mare. E pur considerando che il vitigno Favorita è fortemente imparentato con il Vermentino e il Pigato liguri, rimane pur sempre una tipicità e una produzione piemontese. L'azienda infatti ha sede e vigne a Diano d'Alba in provincia di Cuneo. Secondo inghippo: le bottiglie raffigurate nella scena del pic-nic in questione sono degli altri vini di produzione della medesima azienda, il "Rosetto", da uve a bacca rossa non meglio precisate, e un Dolcetto, probabilmente il "Garabei", sempre di produzione della medesima azienda che produce questo Langhe Favorita del quale stiamo commentando l'etichetta. Insomma una specie di pubblicità occulta di altri vini, all'interno dell'etichetta di un vino diverso da essi. Bizzarro. Si vede anche una bottiglia più piccola, da bevanda gassata, che sembrerebbe proprio il Chinotto Lurisia, ma non complichiamoci la vita. Il vino non ha un nome (e questo non è bene) e quindi viene rappresentato dal nome del vitigno, dal nome del produttore e in sostanza e prevalenza da questa raffigurazione pittorica, molto estiva (e qui ci siamo, la Favorita è un vino per l'estate) che però lascia decisamente perplessi.