Non Tutto è Perduto

CruPerdu, Franciacorta Brut, Castello Bonomi.

Questo Franciacorta prodotto con il 70% di Chardonnay e il 30% di Pinot Nero della medesima annata, si chiama "CruPerdu". Potrebbe sembrare lingua francese, o un francesismo, ma in realtà può essere ricondotto anche a un modo dialettale di significare... il suo significato. Ecco infatti la spiegazione del produttore che si può leggere nella pagina dedicata del sito web: "È l’estate del 1986 quando Luigi Bersini, Chef de Cave alla Bonomi, lasciando le vigne per dirigersi verso il bosco, scorse tra edere ed arbusti selvatici alcune piante di vite. Scoprì che il bosco, negli anni, si era impossessato di una porzione di terreno nascondendo un vecchio vigneto. La passione e l’amore per la terra hanno convinto il bosco a ritirarsi per consentire una seconda vita a quei preziosi filari. Il vigneto perso, il CruPedru, dona il nome a questa splendida cuvée". La storia, sia pure semplice, suscita interesse per due ragioni: in primis perché recuperare un vecchio vigneto è sempre, storicamente e qualitativamente, interessante. Secondo perché l'opera dell'uomo che riporta in vita la vite diventa encomiabile agli occhi di appassionati e degustatori. Certo che il vino avrebbe potuto chiamarsi anche "CruRecu", scherziamo giusto per dire che il senso di vigneto "recuperato" sarebbe stato ugualmente nobilitante. Ma insomma, una storia c'è ed è stata giustamente evidenziata, proprio a partire dal naming. Per quanto riguarda il resto dell'etichetta, la grafica, il packaging, l'impaginazione degli altri elementi presenti, possiamo notare la classica forma a scudo (molto presente nelle etichette della Franciacorta) che racchiude il nome e il logo del produttore (un castello ben stilizzato), mentre un tassello in basso isola il nome del vino. Etichetta molto classica, ben eseguita, ma che concede poco alla creatività e quindi all'emozione.

Un Tempranillo "di Nicchia" in Toscana

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Vigna alle Nicchie, Tempranillo, 
Pietro Beconcini.

Le etichette di questo stimato produttore di San Miniato (Pisa) si fanno notare per alcuni particolari di cartotecnica, per alcune scelte grafiche e per alcuni nomi attribuiti ai vini in gamma (oltre a quello qui presentato abbiamo anche: Ixe, Fresco di Nero, Reciso, Maurleo, Caratello, Aria, etc.). Ma non sono etichette eccezionali. Spiccano delle soluzioni originali e coraggiose ma anche degli errori di comunicazione legati al modo di presentare gli elementi del packaging. Diciamo che c'è un sostanziale pareggio tra le positività e le negatività. Abbiamo preso come esempio l'etichetta di uno dei vini di punta dell'azienda, prodotto con il Tempranillo, vitigno di origine spagnola riscoperto, tra l'altro ancora su piede franco (pre-filossera), anche nelle campagne toscane dove ha sede questo produttore. L'esperimento ha condotto alla produzione di un vino d'eccellenza che si chiama "Vigna alle Nicchie". Il nome, va detto subito, non riporta a "nicchie" nel senso di anfratti, bensì: "La vigna delle nicchie è chiamata così perché questo piccolo appezzamento di collina è un giacimento di conchiglie fossili di mare (“nicchie” in dialetto toscano) su una base di argilla bianca e arenaria. Proprio su questa collina si trova l’unico vigneto secolare di piante Tempranillo, da cui vengono prodotte in numero limitatissimo le bottiglie di questo vino". Così riferisce il produttore nel proprio sito internet. Bello, anche se va spiegato, il riferimento alle conchiglie fossili, evidentemente un componente importante nella struttura organolettica del vino. L'etichetta, graficamente, presenta in alto il nome, scritto con un carattere che non ne facilita la lettura, la firma del produttore al centro (in corsivo ma in fin dei conti leggibile), tre definizioni tecniche in basso (vitigno, regione, alcool), uno sfondo scuro con una "riserva di stampa" dove a fatica emerge l'elmo di un alfiere e infine un taglio, fisico, nella carta, che "squarcia" l'etichetta come una sciabolata (o forse rappresenta un tralcio, chissà). Una sottile cornice racchiude il tutto. Pregi: la cartotecnica con il taglio (meglio sarebbe stato sottolinearlo anche cromaticamente), la "filigrana" con la texture dell'alfiere, il fondo nero che fa emergere gli elementi. A sfavore: come già detto il carattere di scrittura del nome, l'eccessiva sobrietà dell'impaginazione che non valorizza il design in generale, la cornice poco visibile e quindi poco efficace del punto di vista contenitivo, la "gratuità" del taglio trasversale (cioè la sua posizione, non l'idea in se stessa che è valida) che va a "colpire", a interrompere, l'immagine sottostante.

Post-Moderno Cartoon in Terra di Confine

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Schioppettino di Prepotto, Pizzulin.

grafica labelling winelabels etichette vinoSi può dire tutto e il contrario di tutto riguardo a questa etichetta ma certo non si può negare che sia simpatica a prima vista. Grazie ad un gioco di cerchi (di bolle colorate se vogliamo) ci si accorge subito di un accattivante muso di cane, un bracco probabilmente, che ci guarda con grandi occhi. Un design che "si diverte" con le forme e con i contrasti, creando con pochi tratti e tre colori (solo due, il rosso e il nero, se consideriamo il bianco come una assenza di colore), un'immagine forte e "proprietaria". Certamente originale, soprattutto nella regione e nell'ambito in cui si muove, il Friuli, dove il tradizionale ancora la fa da padrone. C'è da dire che l'azienda si trova a Prepotto, sul confine con la Slovenia, dove negli ultimi anni si assiste a scelte di design, per le etichette dei vini, di maggior intraprendenza. Probabilmente oltre ad esserci una contaminazione tra usi e costumi (e vitigni) si verifica uno "scambio di idee" anche per quanto riguarda il packaging. Non abbiamo un nome per questo vino (e nemmeno per gli altri della gamma dei rossi aziendali): il nome è "Pizzulin", in pratica il cognome del titolare che curiosamente è simpatico anch'esso ed evoca assonanze ludiche e fanciullesche. Degna di nota per la modernità dei tratti anche l'etichetta, del medesimo produttore, del bianco "rarisolchi" (in questo caso un nome c'è) da Pinot Bianco e Sauvignon. Etichetta che riportiamo sulla destra.

La Disuguaglianza Come Valore

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Anisos, Blend di Bianchi, Eugenio Rosi.

Al contadino non far sapere... narra una vecchia filastrocca. Ma questo è il caso in cui il contadino, coltivatore, agricoltore, viticoltore "fa sapere" qualcosa di interessante a noi. Cioè utilizza parole colte per nominare il proprio vino. Come prodotto si tratta di un blend di vitigni a bacca bianca che nasce in Vallagarina, in Trentino. Terra di vino senza ombra di dubbio. Anzi, da quelle parti l'ombra diventa tipicamente proprio un calice di bianco, a tutte le ore, come una allegra merenda. Il blend di "Anisos", questo il nome, si compone in massima parte di Nosiola, con la partecipazione di Chardonnay e Pinot Bianco, tutti coltivati a quote alte, da 400 a 750 metri di altitudine. Tornando alla bottiglia di vino, nel fronte etichetta, le prime parole che si leggono (quelle in piccolo sotto all'illustrazione) sono "Anisos, vino disuguale." E infatti, andando ad esplorare la letteratura scopriamo che Hoepli dice: "Aniso-, primo elemento di parole composte di terminologie scientifiche che indica disuguaglianza: anisocoria, anisotropo". E Treccani conferma: "...dal gr. ἄνισος 'disuguale', comp. di ἀν- priv. e ἴσος 'uguale', primo elemento di parole composte della terminologia scientifica latina e italiana (come anisogamete, anisosillabico, ecc.) nelle quali indica disuguaglianza o dissomiglianza". Insomma un vino che non assomiglia a nessuno. Ambiziosa affermazione che può permettersi solo un vino "artigianale". E a quanto si evince dai racconti del produttore stesso e di chi ha assaggiato questo nettare di montagna, è proprio così. P.S: soprassediamo, per ora, sulle tre inquietanti figure fantasmiche in rosa che "abitano" l'etichetta: diciamo che si tratta di una scelta artistica e quindi, anch'essa, culturale.

L'Agnello Perde il Pelo e Diventa Lupo

packaging grafica branding comunicazioneCarmenero, Carmenére, Ca' del Bosco.

Si tratta proprio di "quella" Ca' del Bosco, nota soprattutto per l'omaggio ad Anna Maria Clementi, fondatrice dell'azienda e oggi nome e icona del vino di punta, un Franciacorta dal lunghissimo affinamento. L'azienda produce anche dei rossi. Tra questi spicca questa etichetta (e anche l'originalità del vino che veste) che si manifesta come molto diversa "dal solito". Proponiamo subito la bella descrizione che il produttore riporta nella pagina web dedicata a questa bottiglia: "Provocazione. Ma anche rivelazione. La storia viene ironicamente ben raffigurata sull'etichetta da un lupo con la pelle di agnello. Il Carmenére è un vitigno originario del bordolese, confuso per lungo tempo con il Cabernet Franc. Pur avendo dei tratti organolettici in comune, è un vitigno assai diverso: molto più intenso e speziato. Ca' del Bosco ha conferito nel 1996 l'incarico alla Facoltà di Agraria dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza di svelarne l'esistenza, l'origine e l'identità. Il Carmenero si contraddistingue per il colore molto intenso e cupo, per quel suo aroma potente e speziato, per il gusto pieno, ricco ed originale". L'illustrazione in etichetta, che non rinuncia a turbare gli animi degli estimatori che si avvicinano a questo vino magari per la prima volta, è forte, evocativa, fiabesca ma con contenuti "adulti". È per così dire un azzardo semantico, ma il concetto arriva dritto e preciso, raccontando la sua storia con sagacia e scientificità. Una scelta, compresa quella di proporre un vitigno "strano" (per l'Italia), che denota carattere sia nel vino-lupo, sia in chi ha deciso di proporlo al pubblico.

Acronimie Croniche e Critiche

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MAb, Montepulciano d'Abruzzo, Abbazia di Propezzano.

grafica etichette branding comunicazioneLa battaglia dei semiologi contro le sigle sembra essere già e da sempre una causa persa in partenza, soprattutto in casi come questi. Non parliamo dei nomi degli Studi Legali che sono davvero un caso limite con le indecifrabili iniziali dei soci in modalità elenco alfabetico o "diritto di anzianità" (per cui nascono dei nomi tipo GNMF, piuttosto che A&GN o TRPS che dir si voglia, ma non si riesca). Abbiamo anche esempi di maggior peso per quanto riguarda il marketing mondiale dove UPS, piuttosto che SDA (corrieri) sono stati imitati dalla storica e italiana "Bartolini", riconvertita a BRT. No comment. Ed ecco che anche nel mondo del vino si presentano casi (Clinici? Cinici? Cronici?) in cui i nomi vengono rastremati e ridotti a sigle che lasciano la sincope in bocca. La cantina "Abbazia di Propezzano" ne ha fatta una linea intera di vini, simboleggiando i vitigni con le iniziali dei loro nomi. E così abbiamo un MAb che sta per Montepulciano d'Abruzzo, un PEC che sta per Pecorino, e un FAL (che a dispetto di quello che potrebbe venire in mente) è riconducibile a Falanghina. Essenziali anche le grafiche, in modalità "visual ottico", con un rosone, una croce, un diadema, che differisce solo nel colore per le varie tipologie di vino. Modalità ottica, questa della parte visual, che ci sentiamo di sostenere per la sua indubbia capacità di attirare l'occhio a scaffale e di essere quanto meno abbastanza originale. Per quanto riguarda i nomi dei vini invece, la perplessità permane a livelli elevati. P.S.: nella linea aziendale c'è anche il CAB e la PAS (a voi la facile intuizione).

Omini Bizzarri per il Re del Classico

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Barolo, Diego Conterno.

Le etichette di questo produttore piemontese sono caratterizzate da alcuni "personaggi" estremamente stilizzati, degli "omini" filiformi, che compiono diverse "scenette". Sicuramente si tratta di una modalità nuova per le Langhe, dove regna la classicità non solo nella produzione, ma anche nella comunicazione del vino. Una scelta coraggiosa quindi, distintiva, originale, fuori dagli schemi. E in quanto tale premiante. Certo che per quanto riguarda in particolare il Barolo, qui ritratto a sinistra nella versione "vecchia" e nell'etichetta recentemente rinnovata (col nome del produttore più grande), la fumettistica gag potrebbe sembrare poco seria, troppo giocosa. Nell'etichetta del Barolo di Diego Conterno si vede un omino maschio che dall'alto di una bottiglia (dalle proporzioni sfalsate), avendola forata con un martello, fa defluire il prezioso nettare direttamente dentro a tre bicchieri (curiosamente si tratta di un flut, di un calice a tulipano e di un bicchiere da acqua). Lì di fronte una "omina" donna in attesa, sembrerebbe applaudire. Non c'è che dire, si tratta di qualcosa di bizzarro. Lo stile, diciamo così, fumettistico, è molto sommario, essenziale, fanciullesco. Non ce la sentiamo di esprimere un parere personale positivo, sia pure essendo sempre a favore di soluzioni di packaging innovative e che escono dal "seminato". Sarebbe bello stare a sentire in qualche trattoria della zona i commenti di clienti e colleghi. Per sondare quanto in là può spingersi la voglia di innovare.

Nomi Arrotondati per Vini Austeri

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Rotondo, Aglianico del Vulture, Paternoster.

Questo vino, di una nota azienda di Barile in provincia di Potenza, nella zona vulcanica del Vulture, si chiama "Rotondo". Parola in italiano che lascia pochi dubbi per quanto riguarda il suo significato. Rotondo è il cerchio. Rotondo è il pallone. E parlando di gusto quando si usa questa parola si allude a qualcosa di gradevole al palato. Nel vino in particolare con questa accezione si vuole rappresentare una sensazione vellutata, di confortevole morbidezza. E invece no. Anche perché il vitigno in questione, l'Aglianico è tutt'altro che "rotondo", almeno in origine. Il significato di questo nome va cercato nella toponomastica, come spesso accade per i vini italiani. Infatti il produttore, nel sito internet aziendale, spiega che: "Contrada Rotondo, in agro di Barile, è storicamente uno dei luoghi più suggestivi ed ambiti per la coltivazione del vitigno Aglianico. In loco è ubicata la tenuta “Villa Rotondo”, di proprietà della famiglia". Si tratta quindi del nome di un luogo e non di una caratteristica organolettica. Certo che questo nome potrebbe trarre in inganno il potenziale cliente che vorrebbe trovare corrispondenza tra l'aggettivo e il "gustativo". Può essere che l'azienda abbia volutamente generato questo equivoco per sfruttare la piacevolezza del nome, la sua indubbia rotondità. In ogni caso una riflessione più approfondita sarebbe stata auspicabile.

Metterci la Faccia (Illustrata)

Roero Arneis Docg, Cantina Tibaldi.

Da qualche anno si assiste alla "presa di posizione" di molte giovani donne nelle aziende vitivinicole di proprietà famigliare. Il caso delle sorelle Tibaldi attiene a questo nuovo corso davvero interessante perché inietta nuove energie (ed una più ampia sensibilità, non solo olfattiva e gustativa) in un mondo che fino a poco tempo fa è stato prettamente maschile. Ecco il racconto delle dirette interessate che si trova nella Home Page del sito aziendale: "Circa un anno fa, abbiamo pensato di rinfrescare, dare un tocco più colorato alla nostra etichetta, ideando un'immagine che rappresentasse una giovane cantina nata dal legame tra due giovani sorelle che con allegria e forza trasformano in lavoro la propria passione: il vino. L'immagine che avevamo in mente era un'immagine fresca, allegra, colorata ma soprattutto elegante e femminile. Chi meglio di due artiste donne a trasformare con carta e pennello quest'idea in realtà? Ci siamo rivolte a Carla e Giulia che hanno saputo cogliere i nostri caratteri distintivi e ne hanno creato un'immagine che interpreta appieno le due sorelle, spiritose e vivaci". In pratica il logo che occupa tutte le etichette dell'azienda è stato creato da due donne (illustratrici) per due donne (produttrici). Il risultato? Simpatico, senza dubbio. I due visi ammiccanti di Monica e Daniela creano empatia, allegria, fiducia. Forse il design complessivo delle etichette è migliorabile: adesso è molto essenziale, lineare e "semplice". Nulla di sbagliato, ma qualche elemento grafico valorizzante protrebbe giovare ad una percezione più strutturata dei prodotti.
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La Storia Infinita dei Nomi Autoctoni

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Grecomusc', Irpinia Bianco Igt, 
Cantine Lonardo.

La strana storia di questo vino e del suo vitigno inizia dal nome. Un nome attribuito all'uva in questione dagli avi di quelle terre. Una via di mezzo tra il sentito dire e l'adattamento dialettale di caratteristiche morfologiche. Bella ed esaustiva la spiegazione del produttore nel proprio sito internet. Ecco un sunto: "Uva bianca autoctona nota in passato in Irpinia con il nome di “Grecomusc’” ma iscritta dal 2009 nell’elenco dei vitigni autoctoni italiani con il nome di “Rovello” o “Rovello Bianco”. Il nome coniato dai vignaioli locali è legato al più famoso vitigno “Greco”, anche se con esso non ha alcun legame di parentela. È stato semplicemente usato a lungo come uva da taglio per il Greco. Il Rovello Bianco ha il grappolo grande ma spargolo e il chicco possiede la singolare caratteristica che la buccia cresce a dismisura rispetto alla polpa interna e genera così l'inconfondibile aspetto di uva moscia, "Grecomusc’" appunto. Ciò genera un rapporto solido/liquido a sfavore di quest’ultimo, e genera condizioni di vinificazioni con una scarsa resa in liquido". Insomma una storia di nome e di fatto. Una delle curiosità davvero interessanti che sgorgano da quella fonte infinita di tipologie autoctone di uve italiche. Che patrimonio di conoscenza e che variabilità produttiva!

Cartotecnica, Poetica e Latino per Distinguersi

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Ad Libitvm, Barbera d'Asti, 
Carlin de Paolo.

L'etichetta che qui esponiamo al pubblico giudizio ha una caratteristica "cartacea" (cartotecnica direbbero gli esperti) che la rende abbastanza distintiva (quanto meno attira l'attenzione): una figura d'uomo, illustrata, che praticamente "esce" dal rettangolo dell'etichetta tracciando la propria sagoma direttamente sul vetro della bottiglia.  E' il passo veloce di un contadino di un tempo, forse a rappresentare un mondo che oggi non c'è più ma che attraverso vini tipici ritorna alla mente. E' il simbolo dell'azienda produttrice che si trova a San Damiano d'Asti, in Piemonte, un luogo ancora oggi carico di tradizioni e ricco di testimonianze del passato, architettoniche come culturali. La figura di questo uomo-emblema viene accompagnata, commentata, nel sito web dell'azienda, con queste belle parole: "...con pugno chiuso in segno di fermezza, dal passo lungo e deciso... i pantaloni rattoppati, il cuore largo". Per il resto la grafica dell'etichetta è ordinata ma nei canoni usuali. Il nome del vino, in latino, è stimolante: infatti "Ad Libitvm" si traduce con "a piacere" o "a volontà". Un chiaro invito al consumo del vino in quantità "gioiosa". In particolare per quanto riguarda questa espressione Wikipedia aggiunge: "In particolare, si utilizza spesso negli spartiti musicali, quasi sempre nella forma abbreviata ad-lib, dove indica una serie di battute, in genere un ritornello alla conclusione del pezzo o una coda, che può essere ripetuta un numero indeterminato di volte, a scelta dell'esecutore, e che trae la sua origine quasi sempre da un'improvvisazione effettuata nella fase finale della composizione (da cui l'assenza di scrittura)".

Piccole Aziende Semplici Etichette

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Bianchetta Genovese, Azienda Agricola PinoGino.

branding logo illustrazione comunicazioneColpiscono due cose di questa etichetta ligure: la colorata illustrazione della chiesetta al centro del packaging e il nome dell'azienda, "PinoGino". Il nome del vino non c'è, ma basta citare in etichetta il Golfo del Tigullio e Portofino per fare già centro nell'evocare attenzione verbale. Il primo elemento, dicevamo, la chiesa molto colorata, allegra, insolita, semplice ma iconica, artistica ma senza esagerare. Diciamo pure che la semplicità è la chiave di comunicazione e quindi di lettura di questa etichetta. Non pretende nulla, si dichiara per quello che è e probabilmente per il vino che promette è perfetta. L'azienda produce infatti vini da vitigni autoctoni che fanno della genuinità e della spontaneità la loro forza. Per quanto riguarda il nome dell'azienda, "PinoGino" non ci si deve ingannare pensando a due nomi di uomo, tipo due fratelli, in quanto nel sito si scopre che la titolare è una donna che si chiama Antonella Pino. Null'altro trapela. Forse Gino è il marito o il fidanzato! Nel sito si legge anche che i vigneti sono posizionati attorno all'Abbazia del Conio (o Connio) che sarebbe proprio quella ben raffigurata in etichetta (nella sua struttura reale, ora in stato di abbandono), posizionata nei pressi del paese sede dell'azienda: Castiglione Chiavarese, nell'entroterra ligure alle spalle di Sestri Levante. 

Pop Art e Top Wine tra Azzardo e Sobrietà

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"Quarter Century", 
Lacrima di Morro d'Alba, Lucchetti.

winedesign grafica illustrazione comunicazioneD'accordo, si tratta di una etichetta in "edizione speciale", probabilmente solo per l'export, tra l'altro. Non abbiamo trovato notizie in merito ma la dicitura "Quarter Century" sul retro-etichetta fa pensare a un evento celebrativo che riguarda la storia dell'azienda (o dei vigneti). Certo la grafica di questa winelabel sorprende, a dir poco. Si potrebbe dire che "stordisce", con i colori e le forme accuminate che aggrediscono l'occhio e l'attenzione. Il tema è quello del fumetto, o della pop-art americana di qualche tempo fa, oppure direttamente un omaggio a Roy Lichtenstein, chissà. Fortunatamente l'edizione normale dell'etichetta di questo produttore marchigiano è quella molto più sobria con lo scudo in bianco e nero che abbiamo riportato a destra. Dotata anch'essa, nonostante l'assenza di clamore-colore, di una propria attenzionalità e personalità. Amore per l'arte o voglia di stupire? La strada delle etichette in edizione speciale è comunque rischiosa e va percorsa con cognizione di causa: il "vale tutto" va lasciato sempre come ultima ratio. Se non altro per rispetto verso il prodotto (il vino contenuto nella bottiglia) e dei clienti, siano essi affermati o prospect, dell'azienda.