Come si Veste un Vino Grasso?

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El Gordo del Circo, Rueda Verdejo, 
Casa Rojo.

branding concept marketing comunicazioneCome si può definire un vino grasso? A livello organolettico si possono utilizzare sinonimi come "denso" o "pieno". E come preparare il cliente a questo tipo di esperienza enoico-gustativa ancora prima dell'apertura della bottiglia? Facile. Con un'etichetta "grassa"! El Gordo, infatti, in spagnolo significa "grasso", per chi avesse ancora dei dubbi dopo aver visto questo simpatico ciccione in bicicletta. Si tratta certamente di una scelta particolare, che fa dell'ironia un cavallo di battaglia e un punto di attenzione. Sicuramente queste etichette strappano un sorriso di simpatia, si fanno notare, forse sono fin troppo giocose per un vino "serio" (il Verdejo di Casa Rojo è un vino molto quotato, di qualità medio-alta) ma questa è stata la scelta del produttore che, non contento, ha creato una linea con diversi soggetti. In un'altra etichetta di questa serie il simpatico ciccione è vestito solo di un'enorme botte e in un'altra ancora si vede un leone che... se l'è mangiato, avendo tra le zampe solo le sue mutande leopardate. Insomma vignette come etichette. Praticamente dei fumetti che raccontano una storia e che, in fin dei conti, semplicemente e con simpatia, vogliono dire che il vino è grasso!

Lieti Calici in Liete Etichette

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Dogliani, Cascina Corte.

Ci sono etichette che hanno il dono di essere "gentili". Di risultare subito gradevoli, in un certo senso. Eccone un esempio. Si tratta dell'etichetta di un Dolcetto di Dogliani della Cascina Corte. Il vino non ha nome, se non quello celeberrimo della cittadina che da tempo immemore ospita la tradizione del Dolcetto. Ma è la parte visuale dell'etichetta quella che attira l'attenzione: una coppia in abiti medievali, una principina e un principino, brindano lieti. Immagine semplice, su fondo piatto, molto visibile, intelleggibile, che trasmette subito un senso di serenità. Sarà l'atto del brindare che da sempre porta con sé sensazioni e celebrazioni positive, sarà il sorriso dei due amanti, il loro cenno d'intesa, quel delicato tenere in mano i calici. L'etichetta in sé è molto semplice ma a volte basta un gesto "indovinato" per riuscire a comunicare una somma di elementi che risolve la situazione senza tanti altri svolazzi. Certo i caratteri di scrittura sono molto elementari, come quello del nome aziendale alla base del design, ma in generale il risultato può piacere. Un'etichetta dotata di una semplicità "spontanea", si potrebbe ben dire. E benedire.

Un Pinot Noir di Contrabbando

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Pinot Escobar, Pinot Noir (alsaziano).

colombia alsaziaLa storia di Pablo Escobar, al quale senza dubbio questa etichetta si ispira, è nota in tutto il mondo. Non che "l'eroe" dei narcos abbia compiuto atti meritevoli, ma insomma il suo nome si è elevato a leggenda, presenziando anche in diversi libri e film. Del noto narcotrafficante Wikipedia dice: "Pablo Emilio Escobar Gaviria è stato un criminale e politico colombiano, uno dei più noti e ricchi trafficanti di cocaina di sempre. Nel 1983 ha avuto una breve carriera politica. Conosciuto come il Re della cocaina, è considerato come il criminale più ricco della storia, con un patrimonio stimato di oltre 30 miliardi nei primi anni novanta". Tornando all'etichetta in questione, la posa del personaggio ritratto (che è proprio a lui) non lascia dubbi, anche in presenza di un sorriso smagliante, sul tipo di attività che egli portava avanti. Si può definire "simpatica" questa etichetta? Ironica, forse. Ma certamente il caso può dare adito a qualche perplessità, magari anche qualche critica. Alla base dell'etichetta leggiamo "100% pinot noir ilegal". Chi lo sa. Forse questo vino esce dal "disciplinare" come molto spesso nella sua vita ha fatto Pablo Emilio. Vi risparmiamo la sanguinosa cronologia degli eventi che hanno contraddistinto il "curriculum" del trafficante. Per la cronaca dei giorni nostri, il vino è molto buono! Quasi una droga!

Un Toro di Corsa tra Monza e la Maremma

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Vermentino, Sada.

grafica logo winedesign comunicazione advIl logo, eletto a simbolo dell'azienda vitivinicola Sada è una specie di "toro da corsa". La testa è sicuramente di un bovino mentre la coda sembra quella di un leone. E anche la posa assomiglia a quella di un felino in dinamica estensione. Sembra che questa devozione taurina sia dovuta al periodo di fondazione dell'azienda (aprile), appartenente alla costellazione del Toro. Nell'illustrazione infatti vengono evidenziati gli astri che compongono tale figura astrale. Certo colpisce questa plasticità dell'animale-marchio, donando una sorta di unicità alle etichette. Tra gli altri particolari notiamo un sole raggiante sotto alla pancia dell'animale e alla base delle etichette la Corona Ferrea simbolo della città di Monza, niente a che fare con la Toscana, alta Maremma, dove ha sede l'azienda, simbolo dovuto invece alle origini nobiliari della moglie del titolare, la contessa Cristiana Durini. Per il resto, grafica pulita, equilibrata, spaziosa, senza altri frizzi creativi se non quello, come detto all'inizio, del "toro-felino". Per la cronaca i nomi dei vini rossi di punta dell'azienda, nota soprattutto per un vino bianco, il Vermentino toscano, sono: Integolo (Montepulciano, Cabernet, Alicante), Baldoro (idem ma con prevalenza di Cabernet), Carpoli (Cabernet Sauvignon e Franc con Petit Verdot).

Capisaldi del Branding, all'Estero Come in Italia

Caposaldo, Moscato Igt.

Certo che, quanto meno foneticamente, "Caposaldo" somiglia un po' a camposanto. La qual cosa non è piacevole se dovesse emergere anche solo episodicamente. Complice anche una non efficacissima leggibilità del carattere di scrittura. Ma diciamo che è un rischio minore. 
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L'analisi di questo nome allora, fugato il dubbio sull'orecchiabilità della pronuncia, procede con il significato vero e proprio: Caposaldo, secondo Treccani è (1) in topografia, punto stabile di riferimento situato in luogo opportuno ove sia facile riconoscerlo, recante l’esatta posizione planimetrica o altimetrica; (2) elemento fortificato facente parte di un centro di resistenza, situato in posizione atta a controllare direttamente una o più vie tattiche dell’attacco nemico; (3) base, fondamento, punto essenziale". La testa di cavallo di foggia greca sullo sfondo dell'etichetta induce quindi a considerare riferimenti bellici. Il croma dai toni indiscutibilmente (ma discutibili) azzurri non gioca in favore del prodotto vino in senso classico (sono colori più adatti all'acqua) ma di certo si fa notare a scaffale. La sovrapposizione delle scritte sui tracciati delle figure risulta infine fastidiosa per chi si appresta alla loro fruizione. Per tutto il resto (e per concludere) l'etichetta risulta forse risolta in modo fin troppo semplicistico, sia pure potendo recare qualche elemento di spicco. Il mercato di riferimento (e quindi anche il tipo di target) è quello estero (export).

Grappoli di Attenzione per un Rosso Toscano

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Chicchirossi, Blend di Rossi Toscani, Fattoria San Michele a Torri.
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Quello che colpisce di questa etichetta, molto essenziale, è la nitidezza dell'illustrazione del grappolo d'uva, o meglio, della sua rappresentazione. Molto bello, attraente, luminoso, coerente con il nome "Chicchirossi", molto "realistico" ma forse poco reale, in senso di poco somigliante a un vero grappolo d'uva. Certo colpisce molto il cromatismo rosso brillante sullo sfondo scuro. L'iconografia è classica (un grappolo, se ne vedono dappertutto) ma attira l'occhio e stabilisce un "contatto". Anche il nome, a dirla tutta, nella sua semplicità descrittiva risulta comunque originale e non inflazionato. Chiamare "chicchi" gli acini d'uva può essere un po' arcaico o forse infantile, ma ci può stare, soprattutto per differenziarsi dagli altri, dai concorrenti. È anche probabile che "chicchi" sia più utilizzato in Toscana, come verbalizzazione, rispetto ad altre parti d'Italia. Per chiudere questa breve analisi, ritorniamo su quanto accennato all'inizio: emerge una essenzialità data da pochi elementi. In sostanza tre: il nome del vino, l'illustrazione "fotografica" al centro dell'etichetta e infine logo e nome del produttore alla base della bottiglia. Poche cose, ben "tornite". 

L'Attimo del Sorso, Gioia e Immediatezza

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Leuconoe, Aglianico del Vulture, 
Cantine Madonna delle Grazie.

grafica branding labelling marketing comuniazione advNarra la leggenda che Orazio dedicò un poema a Leuconoe (il nome di questo Aglianico vinificato in bianco) una delle donne che egli amò di più nella sua vita. Il significato di questo nome non lascia dubbi, riguardo alla dedica a una donna "dalla candida mente". Significativa è anche, e molto, la parafrasi della poesia: "Tu non chiedere - non è concesso sapere - quale fine a me e quale fine a te gli Dèi abbiano concesso, o Leuconoe, e non consultare i calcoli babilonesi. È meglio patire ciò che sarà, sia che Giove ci attribuirà molti inverni o che questo sia l'ultimo, il quale fa infrangere le onde del mar Tirreno sulle opposte scogliere. Tu sii saggia e filtra i vini e recidi ogni lunga speranza che oltrepassi il breve spazio del tempo immediato. Mentre parliamo esso è già fuggito. Cogli l'attimo, credendo il meno possibile nel domani". Nell'illustrazione in etichetta il produttore, con stile originale, moderno ma che richiama l'Antica Grecia, raffigura una donna dalla chioma "di grappolo", in suadente posa. Etichetta molto attraente, con uno stile proprio; nome un po' difficile da pronunciare e da assimilare ma dal significato profondo che esprime un concetto che il vino, questo vino ma anche il vino come prodotto in generale, può evidentemente sostenere. Saggezza e immediatezza. Che altro?

La Donna Piace Vellutata (Ammandorlata) e Odorosa

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Vino alla Mandorla, vino aromattizzato, Turrisi.

grafica illustrazione branding marketingDicono che per attirare l'attenzione, quando non si ha una alternativa forte, concettuale, incisiva, sia sufficiente, se non necessario, scomodare cuccioli di animali o nudi d'uomo (e donna). Ed ecco qui un esempio che sembra calzare a pennello. Si tratta di un vino aromatizzato alla mandorla che non ha un nome vero e proprio e che delega l'attenzionalità e la memorabilità a una illustrazione che possiamo definire lasciva, sia pure con stile artistico. La chicca, diciamo così, concettuale, è nella frase che viene riportata a destra e a sinistra della figura di donna ignuda al centro dell'etichetta: "L'ebbrezza di un sapore unico, figlio del sole e di madre Venere, forza di fuoco, trasparente come occhio d'ambra, vellutato e odoroso come di te, donna". Non sappiamo se il prodotto è stato pensato per un pubblico femminile o per quello maschile (di riflesso). Certo che il tutto non è particolarmente dotato di equilibrio comunicativo, anche, ad esempio, come cromatismi, che vedono mescolati il rosa, i toni del rosso e dell'arancio, con l'oro della cornice. Per tutto il resto deciderà il gradimento del pubblico!

In Alto i Cori (nel Senso di Cuori)

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Allegracore, Etna Rosso Doc, 
Fattorie Romeo del Castello.

Sono più di una le particolarità dell'etichetta di questo vino e dell'azienda che lo produce. Partiamo dal nome, "Allegracore". Molto bello. Evoca positività, convivialità, serenità. Potrebbe sembrare un neologismo, una invenzione, invece sembra proprio che sia legato all'antico e locale nome della zona dove cresce la vite di Nerello Mascalese che genera questo vino rosso, tipico delle pendici dell'Etna. Si tratta della Contrada Allegracore, appunto. Nome toponomastico, prontamente e giustamente adottato dall'azienda per questo vino.
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Altra particolarità di questa etichetta. che come grafica e impaginazione non offre grandi emozioni, è il fatto che sulla destra mostra una... carta da parati. Proprio così. D'autore, che firma in basso, ma pur sempre una carta da parati. Nelle molteplici versioni dell'etichetta (crediamo diverse per ogni annata) si trovano vari motivi floreali con le relative definizioni (in piccolo in verticale) come "sala da pranzo" o "anticucina". Certamente originale, anche se il senso di tutto ciò non è molto chiaro. Oltre a questo, leggendo in rete la storia dell'azienda, si scoprono altre notizie interessanti, ad esempio che i locali dell'azienda ospitano una collezione di etichette e di bottiglie d'autore a cura di Chiara Vigo, figlia della titolare Rosanna Romeo del Castello, autrice inoltre del libro "Arte e vino. L'etichetta d'autore come immagine del gusto". Se aggiungiamo che nel corso dell'ultima devastante eruzione dell'Etna, nel 1981, la lava ha miracolosamente evitato di distruggere la vecchia vigna di famiglia, passando proprio di fianco ad essa, la cronaca delle particolarità è completa.

Un Saggio Sofista di Troia

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Sofista, Nero di Troia, Tenuta Ripa Alta.

Chi erano i Sofisti? Da Wikipedia apprendiamo, con ottima sintesi, che: "Anticamente il termine σοφιστής (sophistés, sapiente) era sinonimo di σοφός (sophòs, saggio) e si riferiva ad un uomo esperto conoscitore di tecniche particolari e dotato di un'ampia cultura. A partire dal V secolo, invece, si chiamarono "sofisti" quegli intellettuali che facevano professione di sapienza e la insegnavano dietro compenso: quest'ultimo fatto, che alla mentalità del tempo appariva scandaloso, portò a giudicare negativamente questa corrente". Sappiamo anche che dai Sofisti si "distaccò", argomentando quindi in modo differente, la figura di Socrate. Questo Nero di Troia ad opera di una cantina di Cerignola, in Puglia, guidata da una giovane produttrice, Alessandra Leone, si chiama "Sofista". Quasi un vino filosofico, con i suoi 18 mesi di "meditazione" in botti grandi di rovere di Slavonia. L'etichetta, oltre al nome, evoca sapienza anche grazie alla bella raffigurazione di un orologio astrale. Probabilmente nelle scelte per il packaging dei vini di questa azienda ha influito la vicinanza della Grecia che in quelle regioni si manifesta non solo per la tipologia di vitigni ma anche per inflessioni linguistiche e culturali.

Cani, Fate, Vino e Marinai.

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Figlioduncane, Cabernet, Agricola Calafata. 

naming grafica illustrazione comunicazioneLa cooperativa agricola che produce questi vini e che ha generato queste insolite etichette si chiama Calafata. Iniziamo da questo nome, anche perché non è quello che sembra. "Calafata" di certo conduce il pensiero verso una cala (marina) e una fata (magia). Ma nel sito del produttore viene spiegato che: "...prende il nome dai mastri calafati che con la loro sapienza, una corda e della pece rendevano impermeabili al mare e sicure alle tempeste le imbarcazioni fatte con un ascia". A tal proposito Wikipedia ci dice che: "Il calafataggio è una tecnica di impermeabilizzazione dello scafo in legno, eseguita dal mastro calafato. Essa crea una giunzione tra le tavole del fasciame in grado di reggere il mare e resistere nel tempo". Tornando alle etichette del vino, non può passare inosservato il nome di questo Cabernet: "Figlioduncane". Non sappiamo cosa abbia originato questa sorprendente nominazione, possiamo solo notare che l'illustrazione in etichetta riporta un umano con la testa di cane. Lo stile dell'etichetta in generale (così come delle altre etichette della casa) è semplice, ridanciano, originale, coraggioso, disincantato, si potrebbe dire anche artistico. Da notare che nell'etichetta dello Scapigliato (vitigni Ciliegiolo e Aleatico, che mostriamo qui a destra), in basso in piccolo, c'è scritto "Vino da merenda" che aggiunge simpatia a simpatia. I nomi degli altri vini? Levato, Almare, Gronda, Iarsera. Complimenti.

Mucche Frizzanti per Etichette Biodinamiche

Frizzante Rosé, Meinklang.

Questo produttore austriaco ha dato nomi in italiano ad alcuni dei propri vini. In particolare abbiamo notato il "Frizzante Rosé" che per noi italiani è una definizione, ma in questo caso si "erge" a nome, forse perché in Austria l'italianizzazione è comunque sempre di moda. Ma le particolarità di questa etichetta certamente non finiscono qui. Innanzitutto è graficamente molto pulita, essenziale ma non banale. Questo è dovuto al colore che la connota e la fa risaltare se esposta a scaffale. E poi quella mucca fustellata (cioè in pratica l'etichetta è bucata) certamente genera originalità. Forse è un bue da aratro. Questo renderebbe l'immagine più attinente col mondo del vino e in generale con un certo discorso agronomico e "naturale". Il nome dell'azienda, "mein klang" in tedesco significa "il mio suono" (forse quello del campanaccio della mucca o del bove) ma anche "il mio segno", in pratica, "la mia firma". Pochi elementi ma quasi tutti attenzionali. Ultimo nella nostra analisi ma primo nell'impaginazione dell'etichetta, il carattere di scrittura di "Meinklang" che si può definire moderno e anacronistico, ma anche diverso dal solito sia pure mantenendo un'ottima leggibilità.