A Come Asolo, Autostrada, Autoclave

branding marketing comunicazione graficaA3, Asolo Prosecco Superiore Docg, 
La Tordera.

Sarà mai possibile chiamare un vino "A3" come un formato di fogli di stampa o un'autostrada? Tutto questo è già successo, in Veneto, nella zona del Prosecco. Forse non si trova una ragione, ma una spiegazione sì, nel sito del produttore: "A3 è un Extra Brut con 3 grammi di residuo zuccherino, espressione dell’identità delle colline di Asolo, dove la natura del terreno predispone a vini di struttura, piacevolezza ed eleganza". Ed ecco il nome del vino in etichetta, con uno stile (carattere di scrittura) moderno e "di design", su sfondo scuro, elegante, ad etichettare una bottiglia tozza, "da Champagne" che ottiene il risultato di valorizzare il prodotto. In alto (in stampa) e in basso (in rilievo sul vetro della bottigia) troviamo il nome del produttore, La Tordera. E c'è una spiegazione anche per questo: "Il nostro nome lo dobbiamo a una dolce collina, territorio del Cartizze. Questa collina anticamente ospitava un roccolo comunemente chiamato Tordera. Nella stagione autunnale, infatti, i tordi scendevano dalle vicine montagne in cerca di cibo tra i filari dei vigneti, da questa tradizione l’altura ha preso il nome di Tordera. Nonostante il roccolo non esista più, il nome è rimasto vivo nella memoria collettiva". Bravi, se non altro per aver spiegato i nomi, del vino e dell'azienda. Meno convincente il forte contrasto che si genera tra la (un po' sterile) modernità di A3 e la storicità (geolocalizzante, praticamente dialettale) di La Tordera. Fa da testimone a questo strano connubio semantico la sagoma di un tordo. Ma diciamo che era dovuto.

Colore su Nero, Lettere su Lettere

branding marketing comunicazioneFalanghina, Nardone (Nardone).

F come Falanghina. E nella stessa gamma del medesimo produttore abbiamo G come Greco, F come Fiano, T come Taurasi, A com Aglianico. In realtà le "F" sono due su questa etichetta: una grande e colorata, l'altra simile ma che figura come iniziale del nome del vitigno. Le lettere in questione sono tracciate a pennello, presentano un tratto "sporco", smangiato, artistico. Da lontano si fanno notare: sarà per il colore incisivo, sarà per la lettera grande, sarà per lo spunto pittorico. Il fondo nero dell'etichetta enfatizza il tutto. Funziona ma non convince. Ma se funziona, si può quindi dire che l'etichetta è riuscita. E allora andiamo a vedere qualcosa che non va nel marchio, che figura in alto, cioè il nome dell'azienda: Nardone. Ripetuto due volte, chissà perché. Infatti sotto al primo nome, il medesimo si ripete più in piccolo, in giustezza, proprio alla base del "fratello maggiore" (e anche il dominio internet dell'azienda è "nardonenardone" tutto attaccato). Una frasca di vite, in grigio, riesce comunque a sottrarre leggibilità e a non aggiungere nulla in fatto di preziosità. Da rivedere. Ma nel complesso, queste etichette possono dire la loro. Complimenti con riserva.
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Barolo di Tradizione o di Transizione?

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Barolo, Viglione.

Il packaging non è solo naming, logicamente. È un complesso di cose. Un'etichetta si valuta nel suo aspetto generale, certo con specifiche attenzioni agli elementi di rilievo e infine a quello che riesce a comunicare. Abbiamo già affrontato la "questione piemontese", soprattutto nelle Langhe, dove il conflitto tra classicità e tradizione contro modernità e "transazione" è ben presente ai giorni nostri. Insomma c'è chi il Barolo lo tratta come un vecchio padre e chi come un giovane virgulto. Ecco quindi una etichetta di Barolo molto "trasgressiva" rispetto ai canoni storici di quelle zone. Il nome dell'azienda, in alto, è certo scritto e impaginato nel modo classico, alla Roagna e alla Gaja, per intenderci: fascia nera e scritta grande.
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Ma subito sotto, centralmente, una vignetta, diremmo scherzosa, propone un uomo che bacia un calice di vino con trasporto. Originale lo stile dell'illustrazione, originale di conseguenza l'etichetta, anche per le ragioni sopra descritte. E pensare che il produttore in questione è un tradizionalista, per quanto riguarda il vino. Diciamo pure un "naturalista". Questo non vieta però, evidentemente, di adottare una comunicazione in stile innovativo. Molti sono gli esempi specularmente contrari, con etichette che resistono alle lusinghe della "comunicazione moderna" proponendosi con stile arcaico e ben "collaudato". Tipo quella riportata qui di fianco a destra. Chi avrà ragione? Tutti e nessuno. Ma soprattutto deve averla la qualità del vino.

In Alto i Cuori (il Vino Aiuta)

branding marketing comunicazione illustrazione enologiaSursum Corda, Passito da Malvasia del Lazio, Federici.

C'è una storia millenaria dietro all'affermazione in latino che è anche il nome di questo passito del Lazio, "Sursum Corda". Una storia interessante e sostanzialmente... rincuorante. Il significato è "in alto i cuori" e tale accezione appartiene da sempre al rito della Messa Cattolica in latino. Viene pronunciata dal sacerdote in concomitanza con il gesto di alzare le mani mentre i fedeli rispondono "sono rivolti al Signore". È bello, è un incoraggiamento, un modo di trasmettere sensazioni positive. Da notare che in altri riti orientali il "sursum corda" diventa "sursum mente", cambiando le carte in tavola ma non il moto incoraggiante rivolto alla platea. In pratica, nel gergo di tutti i giorni questa affermazione corrisponde a un deciso "su col morale!". Il nome di questo vino, viene sinergicamente accompagnato dal visual, dal disegno in etichetta, dal design, quindi. Fondo nero, elegante, e tratti quasi fumettosi a rappresentare un cuore che fugge da una gabbia. Bello anche questo: l'umore, il morale, si eleva quando si libera dalle gabbie mentali e fa volare via leggero il cuore. Infine piace anche la forma della bottiglia, adeguata per un passito, a chiusura di un progetto ben riuscito.

Un Bianchello che Sa di Champagne

Bianchello Ribelle, Bianchello del Metauro, Tenuta Cà Sciampagne.

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Stiamo parlando di un vino prodotto con uno dei vitigni meno conosciuti d'Italia, tale Bianchello del Metauro. Dal nome del fiume Metauro che sfocia nell'adriatico a Fano, nelle Marche. Diciamo subito che già il nome del vitigno "Bianchello", diminutivo, non lo rende nobile all'attenzione. Questo Bianchello in particolare è anche "ribelle" per scelta del produttore. A compensazione del suo nome non certo sontuoso, dobbiamo dire due cose: che il vitigno è ottimo e colpevolmente ignorato da esperti e consumatori, e che, in questo caso, il "Ribelle" ha il suo perché. Si tratta di "uve raccolte e selezionate a mano, fermentazione spontanea con soli lieviti indigeni in acciaio, macerazione di 3 mesi, separazione manuale e per gravità dei mosti/vini dalle bucce e fecce. Nessuna filtrazione, nessun solfito aggiunto e imbottigliamento manuale per gravità", citando la scheda prodotto di Rolling Wine. Certo incuriosisce anche il nome del produttore, "Tenuta Cà Sciampagne", che richiama o schernisce la nota regione francese dalle costose bollicine. A proposito di questo, nel sito dell'azienda troviamo scritto che: "Tenuta Ca’ Sciampagne deve il suo nome alla località catastale su cui sono piantumati buona parte dei vigneti". Verità o edulcorazione di qualche scritto arcaico, di fatto questo Sciampagne sembra proprio una simpatica allusione. E il design dell'etichetta? Uno stemma (molto bello) e un disegno antico (l'azienda si trova alle porte di Urbino), impaginazione ordinata (se non ordinaria), canoni classici, promossa con un 6 politico.
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Danze Russe o Vini Piemontesi?

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Pradvaj, Roero Arneis, Malabaila.

Curiosamente sia il nome di questa azienda vinicola, sia il nome di questo vino, sono foneticamente vicini alla lingua russa. Non al cirillico come caratteri, bensì ad una eventuale trasposizione. Basti ricordare che Balalaika è il celebre strumento musicale russo a corde e che Pravda (verità) è un noto quotidiano di Mosca nonché ex organo del partito comunista (oggi esiste una versione on-line che nulla c'entra con la vecchia Pravda). E invece... si tratta proprio di Piemonte e delle sue origini. Giova ricordare che nel dialetto e soprattutto nei cognomi piemontesi ricorre ancora oggi la lettera "J" (vedi anche il noto produttore Vajra). Serve soprattutto la descrizione che l'azienda in oggetto redige, nel proprio sito web, per spiegare entrambi i nomi qui in esame: "Nell’archivio Malabaila, mazzo 9, si legge: “nell’anno 1508 il Conte Daniele Malabaila di Canale, anche a nome dei fratelli, acquista da Bernardo e Ludovica dei Conti Roero la ‘motta’ ossia la cascina Pradvaj che comprende un prato ed una collina di giornate 40 per la somma di 1949 fiorini”. A questo punto, volendo fare i pignoli, bisogna dire che "Malabaila" non suona così bene, evocando, il suo prefisso, parole come malafemmina, maladrino, malasorte, e via discorrendo. Ma il nobile cognome è quello e certo non si poteva cambiare. Per quanto riguarda il design dell'etichetta, pur reso abbastanza elegante da un fondo nero, da cornici e inchiostri argentati e da blasoni stemmati, non eccelle per originalità e attenzionalità. Il vino però, per altro e senz'altro, è davvero buono.

Dalla Necropoli un Soffio di Vitalità

branding marketing comunicazione winelabellingVelca, Montepulciano d'Abruzzo (rosato), Muscari Tomajoli.

L'azienda che produce questo rosato è di recente costituzione (2007) e coltiva le proprie uve nei pressi delle vestigia di Tarquinia, dove notoriamente sono conservati ed esposti numerosi dipinti etruschi che si trovano nella vasta necropoli. Il delicato tema visivo proposto in etichetta indica certamente una propensione femminile per il consumo di questo vino: un busto (svestito) di una giovane donna in stile etrusco, riproposto dall'artista Guido Sileoni, accenna da una posa elegante e in parte misteriosa. La donna sembra avere tra le mani un uovo, o forse un piccolo scrigno contenente qualcosa di sacrale. In generale l'immagine trasmette qualità, cura, attenzione, storia, origini e anche una certa aristocrazia. Eleganti anche i toni cromatici e la scelta dei caratteri di scrittura. Per quanto riguarda il nome del vino, "Velca" ecco cosa ci riferisce il produttore: "... il nome trae origine dalla storia etrusca: si ispira infatti a Velia Spurinna, meglio conosciuta come Fanciulla Velca". Etichetta attenzionale, sia pure molto classica, che si distingue bene nel panorama della concorrenza.

La Bizzarra Ironia di una Capra Umanizzata

winelabelling marketing branding comunicazioneCamars, Montepulciano (d'Abruzzo), 
Tenimenti Spinsanti.
  
A Camerano, provincia di Ancona, nelle Marche, questa azienda vinicola dalle proposte autoctone, si distingue per alcune etichette fuori dagli schemi. E si distingue anche per avere una sezione, nel proprio sito web, dedicata appositamente a descrivere nomi e "abito" dei vini. Prendiamo tra tutte quella relativa a un vino rosso, da Montepulciano d'Abruzzo, dove si evidenzia il "viso" di una capra dal corpo umano. Incuriosisce, subito dopo la visione di questa immagine, la scritta soprastante: "grande personalità in evidenza". Il nome del vino è "Camars". Tutto questo va spiegato, non c'è dubbio. Riportiamo quindi il testo in inglese che il produttore ha pubblicato in rete: "(Camars) Etruscan name for Camerano, a small village at the foothills of Mount Conero, where our winery is based. When I was young I had a very quiet and calm personality. Then as I grew older, I was faced with tension filled sibling rivalry with my younger brother. As a result, my temperament had changed to the point where my Grandmother one day compared my temperament to that of a goat". Davvero singolare la "giustificazione" che il titolare fornisce per l'adozione del disegno di una capra in etichetta. Senso dell'umorismo, aneddoti famigliari e un sano non prendersi sul serio. Il risultato è un'etichetta che attira l'attenzione (positivo), va ampiamente spiegata (negativo), risulta comunque elegante nell'impaginazione e nella scelta degli elementi di design (ottimo). Non molto interessante il logo aziendale (dubitativo). Approvato il claim aziendale che figura sotto al logo: "Riflessi di vite" (valido).

Spiritualità e Simpatia, Tradizione e Allegria.

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Tentenublo, Rioja (rosso e bianco), Roberto Olivàn.

La simpatia di questa etichetta è indiscutibile. Un vero e proprio fumetto, tracciato in nero su bianco. Una "scenetta" dove uno strano personaggio rincorre quello che potrebbe sembrare un grappolino d'uva (ma più avanti vedremo che non lo è). Note musicali aleggiano nell'aria. Approfondendo la ricerca su questo piccolo produttore spagnolo si scopre che "Tentenublo" è anche il nome aziendale e che nella parlata locale (siamo a Lanciego, Alava) questa parola onomatopeica si riferisce alle campane che in alcuni paesi del Rioja, ancora oggi, suonano con il benaugurato obiettivo (non si sa se vibrazionale o spirituale) di allontanare (o come minimo attenuare) la caduta di grandine sui raccolti. È tradizione, durante il suono di queste campane, recitare una litania: "Tente nublo, tente en ti, no te caigas, sobre mi, guarda el pan, guarda el vino, guarda los campos, que están floridos". Tutto molto poetico, tradizionale, apotropaico, coinvolgente. Ed ecco quindi che scopriamo che il personaggio "inseguitore" è una campanella e il personaggio inseguito e scacciato è un grano di grandine. Crederci o no, il tutto è molto bello. P.S.: l'ironico viticoltore si fa ritrarre, nel proprio sito internet, in una foto dove insegue il suo trattore (vero) a bordo di un trattorino giocattolo.
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La Danza delle Idee

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Septette, Pinot Noir, Dancin Vineyards.

C'è poco da dire: qui c'è un'idea. Anzi, c'è molto da dire. Iniziamo con il nome dell'azienda, "Dancin", che assona con dancing, danzare. Ma di fatto questo nome deriva dai nomi propri dei due titolari: Dan e Cindy. Dan ha nonni italiani e condivide con Cincy una grande passione per il "re dei francesi". il Pinot Noir. Tutto questo si concretizza in una azienda vinicola in Oregon. Un mix formidabile di filosofie e tradizioni "sparse" per il mondo. Passiamo alle etichette e all'idea principale del design che possiamo vedere e godere in esse: una ballerina classica viene vestita con degli "slanci" di vino, degli spruzzi molto ben ripresi fotograficamente. La ballerina danza col vino. L'effetto estetico è sorprendente perché da lontano il vino sembra proprio un vestito. Facendo attenzione si scopre il "trucco", ovvero l'idea visiva. Cosa comunicano queste immagini? Eleganza, innazitutto. Qualità, dinamismo, bravura, eccellenza, equilibrio, fascino, passione... e quante altre sensazioni? Potremmo andare avanti ancora con molte parole e definizioni. Tutto in una immagine di sintesi che occupa lo spazio di una piccola etichetta. Questo accade quanto le idee "parlano", e comunicano un sacco di cose in un attimo. Analizzando i nomi dei vini scopriamo la conferma per l'attenzione verso il mondo della danza: Mélange, En Avant, Capriccio, Passé, Ballerina, Brisé, Melodia, Adagio, Tribute, Danceur, Allegro, Finale. Nulla da aggiungere, solo da osservare. Etichette che affascinano, che fissano l'attimo e che si fanno guardare e riguardare. E che si portano volentieri in tavola.
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Energia Illimitata dal Vino al Design

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Betty Rosay, Gamay, 
Domaine de l'Octavin.

La fantasia di questo produttore (è una donna, che si chiama Alice) è illimitata per quanto riguarda le etichette dei propri vini e a quanto pare anche per la varietà dei blend e delle tipologie che ad ogni annata si inventa, coltivando vitigni come Chardonnay, Savagnin, Poulsard, Trousseau, Pinot Noir, Gamay e altri ancora. Siamo nello Jura e la coltivazione è strettamente biodinamica. Dove lo "strettamente" indica, al contrario del proprio significato, una libertà d'azione molto anarchica. Vini non per tutti, a livello di gusto. Ma a quanto pare molto divertimento nel produrli e nel degustarli. Tra le svarionate etichette di questa piccola azienda (solo 5 ettari coltivati) ci ha colpito (la mente e gli occhi) quella tutta rossa, che si può vedere qui a sinistra, relativa a un Gamay che si chiama "Betty Rosay". Il colore del vino infatti è tra il rosato e l'aranciato. Ma è la figura in etichetta che colpisce di più: una specie di Betty Boop con la testa... da nano! Almeno questo ci sentiamo di interpretare. Betty Boop, come riporta Wikipedia "È la tipica flapper cioè la ragazza alla moda del periodo jazz, irriverente e maliziosamente mascolina. Porta il taglio di capelli più alla moda del periodo, corti e frangiati, indossa un vestitino succinto che lascia scoperte le spalle e la giarrettiera, e pare più che consapevole del suo sex appeal, oltre a essere fornita di una buona dose di auto-ironia". Ma è altresì probabile che il tutto si ispiri a tale Betty Rose, artista del Burlesque che si propone con abiti teatrali della prima metà dell'ottocento. Mescolando Betty Rose con Gamay, quello che esce sarebbe "Betty Rosay". In ogni caso si può parlare certamente di una auto-ironia burlesca che a quanto pare pervade la creatività nel fare sia il vino che le etichette. Con un buona parte di auto-divertimento. 

Quasi un Complimento, Detto Così...

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Stronzetta, Chardonnay Toscana Igt, TuscanFarm.

etichette winelabels marketing comunicazioneDa più di una segnalazione in rete (vista l’originalità del soggetto) siamo giunti a conoscenza di questa etichetta toscana dai tratti gentili e dal nome provocatorio. Il vino è uno Chardonnay che si chiama "Stronzetta", proposto ai propri clienti da un locale bolognese che si chiama La Prosciutteria. Non sappiamo se il nome e l'etichetta sono stati creati da chi ha messo in commercio il vino (tale TuscanFarm) oppure dal produttore in origine. Fatto sta che la "Stronzetta" è regolarmente arruolata per fare compagnia al Maiale, in ogni sua forma e gusto. In etichetta, sul fronte, oltre alla definizione del vitigno e della tipologia di vino, e al nome dello stesso, trionfa la fotografia d'epoca di una giovane e gaudente donna, un po' stronzetta, appunto, proprio come il vino. Almeno questo intendiamo nel cercare di comprendere le intenzioni di chi ha creato questo design. Genera simpatia, forse più tra le nuove generazioni. Lo stile però è d'antan e quindi pesca nella memoria delle foto di una volta, nella tradizione italica, nella nostra nota voglia di vivere e di ridere, che unisce tutti, da nord a sud, giovani e vecchi. Un nome che si ricorda, certamente. Un viso che non si fa dimenticare. Un'operazione rischiosa ma sicuramente d'impatto.

L'Etichetta è un Vestito, Non un Pretesto

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Pretesto, Chardonnay e Sauvignon, Ca' Boffenisio.

A volte il vino è un pretesto, a volte il pretesto va cercato in qualche altra circostanza, sta di fatto che degustare il nettare degli Dèi genera buone sensazioni e facilita le emozioni. Questo vino si chiama proprio così: "Pretesto". Parola abbastanza desueta nel conciliabolo italico. Vediamo dunque cosa riporta Treccani in proposito: "...dal latino pretextus, o praetextum (da praetexĕre: v. pretessere) "ornamento", poi figurativo "argomento ornamentale, non sostanziale". Motivazione non rispondente a completa verità che si adduce come spiegazione del proprio comportamento o del proprio operato, allo scopo di mascherarne i reali motivi.
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Con significato più generico, occasione o modo per ottenere un risultato". Non una parola limpida, quindi, ma abbinata a una bottiglia di vino diventa sfiziosa, presenta il proprio lato indagatorio, ingannevole se vogliamo, sicuramente intrigante. Certo l'etichetta non fa onore a tutta questa descrizione del nome: abbiamo due colori discutibili, un fuxia e un giallo ocra, che in abbinamento fanno un po' a pugni. E poi una faccia di bacco, simpatica, ridanciana, ma che a ben guardare è stata resa in etichetta con una definizione bassa e quindi risulta sgranata, non qualitativa. Si poteva fare meglio.