Il Cantone Pugliese dell’Aleatico


Cantone di Cristo, Aleatico, Giuliani.

Non siamo in Svizzera dove i cantoni definiscono le aree geografiche nonché linguistiche del paese. Qui siamo molto più a sud, nelle Murge, in provincia di Bari. Il cantone di cui “parla” questo vino, dunque, si riferisce probabilmente a qualche reperto topografico nonché storico. Il nome di questo Aleatico, infatti, è “Cantone di Cristo”. Una specie di benedizione, visto che come passito si avvicina molto alla tipologia di vini che vengono ancora oggi utilizzati nello svolgimento della Messa di rito Cattolico. Si tratta di uno dei pochissimi vini rossi dolci d’Italia e per la precisione il produttore, che data un imprimatur del 1886, così ce lo racconta: “Cantone di Cristo è un vino dolce, un vino da meditazione, da gustare lentamente durante la lettura di un buon libro, davanti al camino, in una situazione di completo relax. È adatto anche a fine pasto, abbinato a un ottimo caciocavallo di media stagionatura o a dolci di mandorle, pasticceria secca e cioccolato”. L’etichetta è caratterizzata da un arbusto decorativo collocato proprio sopra al nome del vino. Alla base il nome del vitigno e quello dell’azienda produttrice. La bottiglia è di quelle snelle e alte come sovviene per i vini dolci. Sfondo scuro, particolari in oro e argento, eleganza ma anche sobrietà che connotano un prodotto ricercato e di sicuro effetto scenografico.

Un Packaging Conciato per le Feste


Creadele, Packaging Personalizzato.

Si sa che in dicembre, ogni Santo Dicembre, la ricerca di regali originali diventa frenetica. Con l’obiettivo di regalare qualcosa di unico e non solo come gesto simbolico. Ed ecco che un’azienda formata da tre giovani donne, Adele, Giulia e Valentina, propone confezioni personalizzate in legno (anche pregiato, come il larice). L’azienda artigianale si trova a Selvino, in provincia di Bergamo, paese immerso nelle montagne e circondato da boschi. L’idea è quella, tra le altre proposte della bottega artigianale, di vestire le bottiglie di vino con un ulteriore “abito”, oltre all’etichetta d’ordinanza, che impreziosisce il regalo potendo scrivere nomi e dediche. Semplice ed efficace. Le cassettine portabottiglia possono avere la chiusura a gancio o con un coperchio scorrevole. Nel caso mostrato nella foto assistiamo a una divertente dicotomia: dalle montagne al mare, cassetta di legno per un vino siciliano, un Grecanico che si chiama Roccarosa. In etichetta una bella raffigurazione di un paese in riva al mare con alle spalle un massiccio roccioso. Packaging delle feste per tavole festose. E che sia di buon auspicio per tutti i lieti calici!

Bottiglia Quadrata, Lambrusco a Tutto Tondo


Nerodilambrusco, Otello Ceci, Cantine Ceci.

La bottiglia innanzitutto: in questa foto non si percepisce ma la sua forma è inusuale, cioè quadrata. Si comprende invece molto chiaramente “al tatto”, prendendo in mano la bottiglia, che non siamo di fronte alle solite curvature. Bensì a quattro spigoli. Si fa notare anche così, questo Lambrusco della storica cantina Ceci. E anche per il nome del vino: Nerodilambrusco, tutto attaccato. Fa parte della Linea Edizione 1813 che è dedicata al fondatore dell’azienda, Otello. Interessante il commento che l’azienda ha inserito nella scheda tecnica di questo vino: “Impara le regole come un professionista, in modo da poterle rompere come un artista”. (Pablo Picasso). “Otello Ceci Nerodilambrusco è la rottura delle regole, è il potere dell’artista. È un’idea, una promessa, un patto. C’è tutto il mondo del Lambrusco in questo vino e del suo essere riconosciuto, ma ci sono anche strade poco frequentate dalla tradizione che esaltano il gusto del Lambrusco, ed è qui che inizia il viaggio nell’emozione delle scoperte, dove profondità e leggerezza sono le vie che esaltano l’arte di questo vino”. Un omaggio a Picasso e alla voglia di stupire con creatività e unicità. Si può fare, anche con un vitigno bistrattato come il Lambrusco. Completano l’opera un packaging in stile molto classico con inchiostri dorati e in rilievo. P.S.: attenzione, in etichetta notiamo due numeri: 1813 e 1938, potrebbero generare confusione. 1938 è l’effettivo anno di fondazione dell’azienda.

Brutto un Nome, Bello l’Altro (Vitigno)


Altrauva, Ortrugo, Lusenti.

Il nome del vitigno di cui è composto al 100% questo vino è proprio brutto. E’ una parola che si potrebbe definire cacofonica: “Ortrugo”. E non è nemmeno un vitigno noto e particolarmente virtuoso. Viene coltivato unicamente sulle colline piacentine. In questo caso a Ziano Piacentino dove l’azienda Lusenti porta avanti una tradizione di famiglia (biologica, su 20 ettari), oggi grazie a Lodovica Lusenti e a sua figlia Martina. Il nome del vino invece è gradevole e originale “Altrauva”. A segnare il passo di questo vitigno che risulta così inconsueto da essere strano: in dialetto locale “ortr  ug” significa proprio “altra uva” (giacchè una volta veniva utilizzata solo come blend aggiuntivo con la Malvasia di Candia, assoluta protagonista di quelle colline). Oggi l’altra uva in questione consente di produrre un vino bianco frizzante, diventato tipico di quelle zone, adatto anche ai salumi. Cosa aggiungere su questa etichetta? In alto vediamo il logo dell’azienda, una coppia di colombi nella piccionaia; tutto attorno una serie di decorazioni che sembrano palle dell’albero di Natale (o chicchi di caffé) di colore giallo e verdognolo (sì, ok, sono gli acini d’uva). Nota creativa: il nome del vino viene scritto con le lettere disassate a formare dislivelli tipografici che apportano un aspetto originale. 

PiWi, PiWi, Hurrà!


Novello, Blend di Piwi, La Cantina Pizzolato.

Questa fantasiosa etichetta rivela alcune interessanti peculiarità di una collezione di vini naturali (bio, vegani, PiWi e quant’altro) ad opera di Settimo Pizzolato, fondatore dell’omonima cantina. A dire il vero l’esatta dizione, cioè il nome dell’azienda, è “La Cantina Pizzolato”. Strana composizione che “allunga il brodo”, ma forse anche questo serve a farsi notare. Le etichette di questa serie di vini PiWi (varietà di vitigni “resistenti”, cioè tipologie che non vengono contaminate da funghi e altre malattie della vite) hanno inoltre una caratteristica molto particolare: sono apribili come la pagina di un libro e leggibili. Vengono definite come “etichette parlanti”. In pratica in alto a sinistra, dove si vede una libellula, è possibile aprire l’etichetta tirando il lembo corrispondente all’ala sinistra dell’ecologico insetto. Operando tale gesto, nel retro di questo packaging decomponibile si leggono le caratteristiche del vino, e in particolare dei vitigni PiWi. Quello che vediamo in etichetta sono alcune parole concentrate al centro di un cerchio nero: Pizzolato, Piwi, Novello, Vino Biologico, Senza Solfiti Aggiunti. Questo bollo informativo giace su un fondo decorato con flora artistica di colore rosso acceso. Sulla sinistra, in alto, una libellula azzurra. Lo stile è tra il moderno e il “digitalizzato”, l’effetto cromatico molto attenzionale. In alto a destra un piccolo logo con degli archi stilizzati di un edificio (probabilmente la sede dell’azienda). Progetto ambizioso e coraggioso. L’etichetta pure. P.S.: i due vitigni che compongono questo vino si chiamano Merlot Khorus e Cabernet Cortis.

Un Traminer Otticamente Perfetto


Traminer Aromatico, Cantina Puiatti.

Che questo vino “arancione” (esteriormente) sia riconducibile alla nota cantina friulana Puiatti, non presenta dubbi in merito. Il nome del produttore viene scritto in etichetta così grande da poter essere catalogato come cartello segnaletico. Complice anche il colore di fondo di questo packaging che possiamo definire, come minimo, “ottico”. Al centro unicamente il nome del vitigno, Traminer Aromatico. Niente più. La semplicità più concreta e statuaria che si possa immaginare. In questo blog abbiamo più volte discettato sul fatto che “nel meno c’è il più”, cioè che la semplicità, in comunicazione, vince sempre. Forse non sempre. Laddove semplicità significa anche sterilità. In pratica è molto comodo mascherarsi dietro a delle scelte creative semplici, magari per mancanza di idee. Certo, questa etichetta si fa notare, quel risultato lo ottiene. E forse anche quello di farsi ricordare. Potrebbe mancare un po’ di emozione? Qualcosa che provochi un guizzo romantico, un vibrazione semantica, una circostanza mnemonica? Il colore in questo caso compensa la mancanza di altri elementi. Diciamo pure che l’idea, in questo caso, sta in quel colore arancione che raramente si vede nelle etichette dei vini. E la chiudiamo qui.

Un Assaggio di Qualità nella Piana Rotaliana


Clesurae, Teroldego, Cantina Rotaliana.

Questa etichetta veste il vino di punta di una cantina sociale trentina, frutto della fusione, avvenuta nel 1968, tra la Cantina Cooperativa di Mezzolombardo e l’Enologica Rotaliana. Il nome attuale dell’azienda riassume infatti queste due realtà, anche semanticamente: Cantina Rotaliana. Si tratta di una classica cantina “di montagna” (ma che opera in pianura) dove molti piccoli e grandi viticoltori conferiscono le uve (attualmente i soci conferitori sono quasi 300). Il vino che presentiamo in questo breve articolo si chiama “Clesurae”, cioè “serratura” in latino, ma anche “chiusura” con riferimento ai “clos” francesi, piccoli appezzamenti di vigna spesso racchiusi entro il perimetro di mura fatte di sassi e costruite a secco. Sta a significare che le uve che compongono questo vino rosso (vitigno 100% Teroldego, il Re di quella zona chiamata Piana Rotaliana) sono selezionate. Provengono infatti da un vigneto di 50 anni nel quale le rese vengono limitate a 90 quintali per ettaro. Insomma, un vino di tutto rispetto, che rimane 24 mesi in barrique per acquisire maturità e possanza. In etichetta scorgiamo caratteri arcaici, e anche una curiosa illustrazione con due uomini vendemmianti, uno dei quali sta scaricando l’uva da una cesta e l’altro assaggia un acino preso da un grappolo. Ancora oggi infatti, nonostante metodi di rilevazione molto specifici e tecnici, la maturità e la qualità delle uve viene spesso accertata… al gusto. I toni cromatici molto rossi, facilitano una “presa di attenzione” sullo scaffale. Un certa originalità dello stile assolverà anch’essa ai propri compiti.

A Strevi, Caricano l’Asino con il Carialoso


Carialoso, Caricalasino, Marenco.

I nomi dei vini di questa azienda piemontese, che opera nei pressi di Strevi, vicino ad Acqui Terme, sono abbastanza sorprendenti. Nel senso che molti di essi rischiano di “suonare male”. Oltre a questo “Carialoso” (del nome antico della vigna di provenienza delle uve), nella gamma troviamo “Scrapona” (Moscato d’Asti), Bassina (Barbera d’Asti), Ma Mù (Moscato Secco), Valtignosa (Cortese). Infatti per i nomi, la fonetica si mescola con la semantica, generando quella che è la percezione “a valle”, cioè nella mente dell’attuale o del potenziale cliente consumatore. In particolare in una etichetta come questa, molto povera di elementi (ma questo può essere un pregio), cioè incisiva con i suoi contenuti, il nome del vino emerge moltissimo, diventa protagonista, insieme a quello del produttore. Il nome Marenco, in alto, sovrastato da due anatre in volo, prende il sopravvento grazie al carattere di scrittura di forte struttura, ma anche il nome del vino, in azzurro, sia pure in corsivo, acquisisce importanza grazie alla sua centralità. Bella la carta dell’etichetta, di spessore al tatto, che fornisce eleganza e sobrietà al tempo stesso. Certo che “Carialoso” può davvero riportare qualcosa di sgradevole come ad esempio la carie. Chissà se ci hanno pensato, prima di decidere di chiamare così questo bianco del Monferrato… P.S.: il vitigno di questo vino ha pure lui un nome davvero particolare, “Caricalasino”. E non è uno scherzo: si chiama proprio così. Sembra, in origine perché si tratta di uve particolarmente produttive che generavano grossi carichi per quantità e volume (oggi le rese sono ridotte per mano e per scelta del viticoltore).