Corvi del Malaugurio? Anche no

Merenda con Corvi, Pinerolese Barbera.

Ne abbiamo viste tante e questa è particolarmente "oscura" come vicenda. Niente di drammatico, si tratta sempre di naming e concept. Ora: questo vino (e l'azienda che lo produce) si chiama "Merenda con Corvi", testuale. L'immagine è un corvo, logicamente, il cui originale è un'opera a carboncino di un artista locale. Ma quali possono essere le ragioni di una scelta del genere? Andiamo a vedere cosa dice il produttore nel sito internet: "...è il titolo di un'opera dell'artista torinese Luigi Stoisa... disegno del 1979, in grafite su carta. Non è un disegno fine a se stesso ma rientra in un progetto più ampio...". In pratica si racconta che nel corso di una visita presso lo studio dell'artista sopra menzionato il titolare dell'azienda si innamorò dell'opera raffigurante un corvo nero, dal titolo "Merenda con Corvi". Acquistata l'opera, nel prezzo, quasi per gioco, fu concordato che doveva ritenersi compreso anche l'utilizzo di quel nome per vini e azienda. Certo che il corvo non gode di buona fama, forse l'artista che l'ha ritratto sì, ma nel "sentito" popolare il nero volatile è foriero di sventura. Come il gatto nero. Non tutti ci credono, anzi, in tempi  moderni le scaramanzie di una volta tendono a scomparire. Ma insomma, il logo e l'etichetta di certo non sono "solari".

Quando le Perplessità Raddoppiano

marketing branding grafica comunicazioneDoppio Bianco, Pignoletto, Tre Monti.

Non sappiamo perché questo vino si chiama "Doppio Bianco" (in etichetta è solo "Doppio" ma nella scheda tecnica nel sito del produttore viene menzionato come "Doppio Bianco"). Che è bianco si vede, che è doppio forse si sente una volta assaggiato, chissà. Ci interessa come sempre analizzare l'etichetta oltre che la semantica della nominazione. In questo caso, per quanto riguarda il nome, attira la nostra attenzione la modalità con la quale si è deciso di scriverlo, quindi di comunicarlo. Spezzato in due, ma gli artefici, non contentim hanno deciso di girare specularmente (e anche verticalmete) il secondo troncone, con un effetto sì che dovrebbe essere coerente con il significato del nome (il presunto significato di sdoppiamento) ma che compromette la leggibilità complessiva, donando alla percezione visiva un "Oid" invece che "pio" a terminare la parola "Doppio". In pratica abbiamo una rappresentazione certamente originale, che attira anche l'attenzione, ma che al tempo stesso compromette la memorabilità. In aggiunta a questo, l'analisi del design in etichetta non porta buone nuove. La goccia che caratterizza la parte inferiore dove appaiono la altre citazioni di legge sul  vitigno e la tipologia di vino, complice il colore giallastro, potrebbe benissimo asservire a una confezione di olio d'oliva. Il risultato, a nostro parere, non è dei migliori. O meglio... è migliorabile.

Il Senso dell'Immenso nello Spazio di un'Etichetta

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Microcosmo, 
Perricone e Nerello Mascalese, 
Cantine Barbera.

A ben guardare, rispetto a quello che gli scienziati ci propinano come "universo", la nostra piccola Terra è un microcosmo. E su questo piccolo, grande pianeta la Sicilia è sicuramente un ulteriore microcosmo. A world apart. Storia, cultura, tradizioni e splendori. In Sicilia esiste a sua volta un altro microcosmo, precisamente a Menfi, nel sud-ovest, ben rappresentato da Marilena Barbera, vignaiola (ci tiene) e titolare delle Cantine Barbera. Un mondo fatto di rispetto per il terreno e quindi per il territorio, dove le uve crescono felici e i vini di quelle uve fanno contenti chi li beve. Indovinate un po'? Uno dei vini di riferimento delle Cantine Barbera è il "Microcosmo", costituito in prevalenza da un raro vitigno che si chiama Perricone, quasi scomparso e ora in vista di un recupero ad opera di volenterosi e appassionati viticoltori di quella zona. Il significato del nome a questo punto è chiaro, ma vediamo cosa dice Marilena Barbera nel suo sito: "Ogni vigneto è un ecosistema complesso, dove piante, animali, insetti ed infinite tipologie di microorganismi vivono in armonia tra di loro. Un equilibrio che il lavoro dell’uomo non deve sconvolgere, cercando ogni giorno di armonizzare i suoi interventi con la vita della natura. Abbiamo piantato il Perricone con il Nerello Mascalese, in proporzione di 10 a 1 e il vigneto viene trattato come un'entità unica ed interdipendente: potatura, lavorazioni, campionamenti, raccolta avvengono contemporaneamente, perché ciò che ci interessa è l'equilibrio della vigna, non le caratteristiche dei singoli vitigni. Perchè il microcosmo è energia e vita". Un nome lontano dai crismi classici ma descrittivo di un concetto che il produttore vuole fortemente portare avanti. Veniamo al design dell'etichetta, cioè agli elementi grafici e cromatici che accompagnano il nome del vino. Colore arancione, forte, espressivo, molto visibile a scaffale. Caratteri di scrittura moderni, forse troppo "bastone" a detrimento di una perfetta leggibilità. Il marchio aziendale, in alto, ripetuto due volte, in rosso e in bianco vicino al testo, forse si potrebbe ridurre a monopresenza. E infine si fa notare una cosmogonia al tratto, dentro e attorno alla prima "O" di Cosmo, a confermare il concetto, si può proprio dire "enucleato" nel rational del nome da parte dell'azienda. Da notare che si è deciso di scrivere "Microcosmo" scomponendo la parola, a sottolineare la dicotomia tra il minuto e l'immenso. E qui scatterebbero disquisizioni filosofiche destinate a durare secoli e non poche righe.

Un Tedesco in Piemonte: Detto in Dialetto

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L'Alman, Riesling Renano, Anna Maria Abbona.

Il vino, si sa, ha zone di elezione che diventano riferimento. Come il bordolese per il Cabernet e il Merlot (e non Bolgheri, che in sostanza ha "importato"), come le Langhe per il Nebbiolo (non solo la zona di Barolo e Barbaresco ma anche la Valtellina e altre zone del Nord Italia), come le Marche per il Verdicchio e via discorrendo. Certo il Riesling Renano appartiene storicamente a regioni vinicole germaniche come la Mosella e germanofone come l'Alsazia, dove si esprime al meglio. E poi ci sono dei piemontesi illuminati e sperimentatori che decidono di violare le regole scritte e non scritte della tradizione per provare a coltivare vitigni "fuorizona", oltre ai vitigni classici regionali. Facile fare un buon Dolcetto o un Barbera in Piemonte. Più difficile riuscire bene con un Riesling di provenienza tedesca. È il caso dell'azienda vinicola di Anna Maria Abbona che ha deciso di coltivare Riesling in provincia di Cuneo (attenzione: il Riesling Italico, coltivato soprattutto nell'Oltrepò Pavese è tutta un'altra storia). E arrivando al punto che ci interessa in modo particolare, il nome del vino, come chiamare un prodotto che "origina" in un altro paese mantenendo una identità locale? Usando il dialetto. Ed ecco "L'Alman", l'Alemanno, cioè il Tedesco in dialetto piemontese. Come dire "lo straniero", in sostanza.  Straniero sì ma abilmente addomesticato affinché possa dare il meglio di sé anche, diciamo così, giocando fuori casa. È vero anche che in Piemonte si sono visti in passato e oggi sempre nuovi esempi di adozione vincente di questo vitigno. La terra evidentemente si presta e il clima non nuoce troppo (il Riesling Renano sopporta, quasi ama, le escursioni termiche verso il basso). "L'Alman", come nome, suona bene, è rotondo, amabile, affettuoso. Attutisce la spigolosità tedesca con un po' di giovialità italiana. Che a tavola fa sempre bene.
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Per quanto riguarda il design dell'etichetta siamo di fronte a un buon compromesso tra stile antico e moderno: l'impaginazione e i temi grafici rientrano nei canoni della comunicazione visiva, senza concedere spunti di estro creativo ma bilanciando bene elementi classici come lo stemma di famiglia con texture da arte contemporanea. Forse c'è un uso eccessivo di oro a voler dare una preziosità aggiuntiva a valori qualitativi che trovano già ampia conferma nella genuinità delle origini e delle lavorazioni.

Vini "Meravigliosi", Grondanti di Storia Antica

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Stupor Mundi, Aglianico del Vulture, Carbone Vini.

Sontuoso e allegorico al tempo stesso questo nome che pesca a piene mani nella storia del mediterraneo. "Stupor Mundi" (meraviglia del mondo), dice Wikipedia, "...è una locuzione in lingua latina derivante dal lessico militare romano. Nell'Antica Roma l'espressione 'Stupor Mundi' era associata a grandi eventi militari o campagne belliche, come appellativo che consacrava le doti di un generale, che si rendeva protagonista di campagne di successo oltre i confini dell'Impero Romano". In particolare sembra che il condottiero "Stupor Mundi" per eccellenza sia riconducibile alla figura di Federico II di Svevia, Imperatore Romano e titolare di una serie infinita di epiteti gloriosi e guerreschi. Il produttore, Carboni Vini, con sede in Basilicata nella provincia di Potenza, dedica questo Cru di Aglianico al nobile condottiero (che di cognome faceva Hohestaufen ma era nato a Jesi nelle Marche e discendeva per parte di madre dalla dinastia normanna degli Altavilla, regnanti di Sicilia). L'etichetta, originale la forma a tutto tondo, riporta nel proprio centro la raffigurazione di un sigillo imperiale in cera che recita: "Fridericus dei Grati a Imperator Romanorum semper Augustus". La scelta di nobilitare un vino antico come l'Aglianico con frammenti si storia e di cultura di circa 1000 anni colloca il prodotto in un determinato ambito percettivo che certamente ne accresce l'indole qualitativa. Operazione, tra l'altro, concettualmente coerente e quindi (con)vincente.

Nomi Pantagruelici "Impiantati" in Australia

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Suckfizzle, Sauvignon Blanc e Semillon, Stella Bella Wines.

Grazie ad una delle sempre particolari segnalazioni di Claudia Parisi, dobbiamo constatare che anche all'estero qualcuno si diverte con il naming del vino. Divertimento con un'origine storico-culturale, che non fa mai male. Certo questo "Suckfizzle" potrebbe far pensare a molte cose, dato che "succhiare" (suck) è verbo caleidoscopico nella verbalità gergale. Ci viene subito in aiuto il produttore che giustamente certifica l'origine della scelta creativa con queste parole: "The name, Suckfizzle, is drawn from the book ‘Gargantua and Pantagruel’ by François Rabelais (1494 to 1553), which featured the character The Great Lord Suckfizzle. Rabelais was a French monk and practicing doctor who wrote quite prolifically. Rabelais’ tales, whilst earthy and a touch coarse, were in truth a parody of medieval literature and learning, noted for their sheer mastery of language...". Insomma una delle traduzioni possibili per "Suckfizzle" è "succhiafiaschi" che per il nome di un vino davvero non è male come autoironia. Il riferimento al mitico racconto di Rabelais, inoltre, è un omaggio senza mezzi termini a una determinata visione della vita, dove l'enogastronomia godereccia gioca un ruolo da protagonista.
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Questa etichetta ha anche un'altra caratteristica peculiare per cui farsi notare: l'immagine frontale che raffigura un tenero piedino (di un putto rinascimentale?) nell'atto di operare la pigiatura dell'uva. Tenero e anch'esso ironico, suadente, delicato, evocativo, originale e quindi carismatico "nel particolare". Per concludere, anche se in generale il design dell'etichetta non eccelle (impaginazione fin troppo canonica), nei particolari questi produttori australiani (che evidentemente qualche legame con l'Italia ce l'hanno, visto che si chiamano "Stella Bella" e che hanno in gamma anche una serie di vini denominata "Serie Luminosa") hanno saputo dare, con ironia ma anche spessore culturale, interessanti spunti creativi. P.S.: dobbiamo notare anche un altro nome buffo nella serie di vini di questa azienda: "Skuttlebutt". Difficile da tradurre ma potrebbe essere "chiappebasse"!

Un Vino Secco che Celebra il Dolce Far Niente

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Far Niente, Chardonnay, Far Niente Winery.

Se questa etichetta potesse "cantare" (ci arriveremo presto, con le tecnologie al galoppo di questi tempi) allora ci potrebbe allietare con una canzone poco conosciuta, ma davvero amabile, di Chico Buarque: "Far Niente", Bon Tempo, in brasiliano. Ed ecco il testo della canzone: "Aria di festa intorno a me, aria di gioia intorno a me, che voglia di far niente, ogni domenica è così e la domenica si sa vuol dire non far niente. Sei giorni sei di lavoro, ehi ci do dentro lo giuro, perché mi devo sposare, ma finalmente è finita, io preferisco la vita che questo giorno mi dà. Sbadigliando mi alzo mi vesto, non devo non devo far presto, mi metto il vestito più bello che ho, soddisfatto del mondo cammino felice di averti vicino vestita come una regina per me. Pomeriggio di calcio, che bella partita, scommetto che oggi facciamo tre gol e sta sera potremo ballare, ballare cantare sperare, sperare che non venga più lunedì. Lascio in un angolo l'uomo preoccupato confuso avvilito malato che dorme in me e col vestito nuovo, con un viso nuovo, mi presento a te...". Fantastica. Una vera filosofia di vita da rileggere con regolarità. A proposito: ecco qui il link per ascoltare il brano originale. Tornando al naming di questo vino vediamo come la vede il produttore che ha deciso, a dire il vero inizialmente come nome aziendale, di adottarlo (dal sito internet): "...the original name, Far Niente, from an Italian phrase that romantically translated means “without a care,” was found carved in stone on the front of the building where it remains to this day. We felt an obligation to preserve the name with the hope that we could recapture a bygone era when life was indeed without a care". Non siamo sicuri che la traduzione sia proprio quella indicata ("care" in inglese sarebbe "preoccupazioni") ma insomma il caso è interessante. Anche perché siamo di fronte ad una iscrizione in italiano in terra americana, che ha originato tutto questo. Per il resto il design dell'etichetta è molto classico, diciamo anche arcaico, ricorda certe etichette dello Chablis francese. Il nome però riscatta ampiamente il tutto con un messaggio che concettualmente è legato al bere, quindi al godere, il buon vino in santa pace (esteriore e interiore).

Vallate che Vogliono Uscire dall'Anonimato

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Lievàntu, Colline di Levanto Bianco, 
Vallata di Levanto.

Questa piccola cooperativa di agricoltori incastrata in un angolo di Liguria ha rinnovato etichette e logo con uno stile decisamente "da grandi". Non siamo di fronte al migliore design del mondo ma il salto di qualità, considerate le peculiarità e i numeri commerciali limitati, è considerevole. Ad una rapida occhiata generale spicca la scelta concettuale di valorizzare il territorio tracciando in etichetta la linea della costa ligure dove crescono le uve di Vermentino, Albarola, Bosco e di altre uve autoctone che costituiscono l'origine dei vini di questa cantina. Un'etichetta cromaticamente semplice ma di buon impatto, con la connotazione "topografica" descritta sopra: una sagomatura frastagliata che parla chiaramente di territorio. Tutto qui. A volte le idee che danno vita a un packaging sono semplici, purché abbiano senso: in questo senso, "tutto qui". Per confermare lo stile territoriale intrapreso, nel sito del produttore vediamo molte foto di persone che lavorano in vigna che trasmettono la semplicità e la genuinità del luogo e delle lavorazioni. Anche il logo è stato ammodernato ottenendo un incrocio tra la "V" di Vallata e la "L" di Levanto. Non felicissimo il risultato visivo (sembra un po' la "W" di Volkswagen) ma insomma la buona volontà c'è.
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Etichette Pericolose con un Taglio Particolare

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Machete, Petite Sirah-Syrah-Grenache, 
Orin Swift.

Tra le modalità per esprimere il concetto (e l'informazione tecnica) di "taglio" per un vino, si direbbe che questa è tra le più creative e amabilmente sconsiderate. Il teorici dell'estro creativo lo definirebbero "lateral thinking". Ebbene, si tratta di una edizione limitata di 12 etichette diverse, ad esprimere il medesimo vino e concetto produttivo. Al centro della questione c'è un taglio di vitigni e di annate, avvenuto inizialmente in modo casuale e poi adottato dal produttore come nota caratteriale del vino. Certo di carattere questa etichetta ne ha da vendere, sarà per la grande "personalità" della ragazza che, armata di "Machete" (il nome del vino), esibisce la sua imbarazzante bellezza in varie pose, tutte, diciamo così, piuttosto aggressive. Ma anche dotate di una "soavità" che va ricercata forse nelle sue sfrontate espressioni facciali. Scalpore? Semplice, o meglio semplicistico "rumore" comunicativo? Sono etichette che fanno parlare, oltre ad esprimere (ed imprimere) comunque in modo efficace il messaggio. Che effetto farebbe una etichetta simile in Italia? Qui siamo in California, patria di molti "movimenti" culturali piuttosto beceri e di scarno spessore. Ma dove il business viene tenuto in grande considerazione. Come dire? Attenzione porta considerazione. Notorietà porta vendite. Supponendo anche che lo shooting di questa serie di immagini molto probabilmente è stato pericoloso ma divertente.
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Il Vermentino Mannaro che Abbaia alla Luna

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Loup Garou, Vermentino, Stefano Legnani.

L'arte della musica ha forti legami con l'arte del vino. Forse ancora poco sfruttati, dai produttori, per le etichette e la comunicazione in generale. Esempi se ne trovano, certo. Raramente con il livello di approfondimento e di cultura musicale di questo Vermentino, segnalato dalla brillante sommelier Monica Bianciardi, che nelle proprie analisi non si limita al contenuto del vino ma considera tutti gli aspetti, compreso quello evocativo che parla dell'anima del vino, alle anime dei bevitori. Ed ecco quindi che una azienda sul confine tra Liguria e Toscana decide di rendere omaggio a un eclettico artista americano (di origini basche e irlandesi) da veri intenditori: Willy De Ville (a volte scritto Willy DeVille a volte con l'appellativo Mink DeVille). Per interderci: è l'autore del brano "Demasiado Corazòn", scelta e nota per essere la sigla della trasmissione televisiva Zelig. Nel caso dell'etichetta in questione l'omaggio è per il brano, meno conosciuto, "Loup Garou", cioè Lupo Mannaro in francese (Willy DeVille ha vissuto e performato a New Orleans, enclave musicale e culturale con riflessi semantici e romantici francesi).
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Nel design in etichetta, che si fa notare per una iconografia schietta, un calice di vino stilizzato "accoglie" dentro di sé una luna piena che sta tramontando (o forse sorgendo) sull'orizzonte del mare. Un'atmofera magica e misteriosa che distingueva anche le canzoni e le esibizioni del cantante qui celebrato. Certo non si tratta di una classica operazione di marketing, ma l'originalità qui è fine a se stessa, in senso positivo. Siamo di fronte a un vino raro (solo 4000 bottiglie) e a una passione fuori dagli schemi commerciali del vino di massa.

Vini Tombali (ma Spumeggianti)

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Kripta, Cava, Agusti Torello.

Andiamo subito al punto: "Kripta" significa sostanzialmente Tomba. Ovvero luogo di sepoltura che di solito contiene più di una bara, spesso due o quattro. Originariamente le cripte venivano costruite sotto alle chiese per contenere le spoglie dei santi o di qualche eminente ecclesiastico. Oggi si possono trovare cripte di famiglia nei cimiteri di tutto il mondo. Parola di origine greca: cryptè significa "luogo copertto, nascosto". È anche vero che per gli antichi romani la cripta era una sorta di corridoio, galleria et simili, dove la gente si radunava a socializzare in caso di intemperie. Si chiamavano "cripte" anche dei loggiati nelle ville romane dove si riponevano gli alimenti al fresco, e quindi anche nel significato di "cella", cantina. Ma tornando al primo impatto che sovviene leggendo questo nome, esso è indiscutibilmente, anche per i romani, riconducibile a "catacomba". Il vino che porta questo nome è un Cava, come gli spagnoli chiamano i loro spumanti, di una certa ricercatezza e pregio. La forma della bottiglia, che vuole riprodurre le antiche anfore romane, è certamente valorizzante e originale (se riuscite a farla stare in piedi quando la portate in tavola). I vitigni impiegati nella produzione di questo vino sono Macabeo, Xarello e Parellada. L'illustrazione in etichetta è dell'artista Rafael Bartolozzi: bella nel tratto, certamente inquietante proprio come il nome, che per alcuni, soprattutto in Italia dove la scaramanzia è ancora in auge, potrebbe addirittura risultare funereo. Insomma, uno spumante che la festa potrebbe anche rovinarla. Altro che "fare il botto".
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