Z come Zen come Zizanie come Zenitude

Zizanie, Clairette, Mas Zenitude.

Continuando con l’analisi del simbolo “Z” nella comunicazione del vino (e non solo, visti i recenti accadimenti mediatici e geostrategici) scopriamo un prodotto e un produttore dove la presenza di questa lettera è addirittura maniacale. Ma anche funzionale ad una comunicazione memorabile, sia detto. Si tratta di un produttore biodinamico francese che inizia le propria avventura vinologica nel 2005: Erik Gabrielson produce vini in Linguadoca con una modalità estremamente naturale, in vigna e in particolare in cantina con fermentazioni spontanee da lieviti indigeni. Il risultato, tra la sua gamma, è questo “Zizanie”, un vino che si potrebbe definire “estremo”. Il nome infatti richiama quella che in Italia chiamiamo zizzania. E il famoso detto che attiene al “seminare zizzania”, cioè il cercare di creare astio e contrasto tra persone. Tradotto dal francese, discordia. La zizzania si sa, è un’erba infestante narrata nei Vangeli, dal greco “zizànion”, sarebbe botanicamente il loglio, un simil-frumento dal quale non si possono ottenere farine alimentari, quindi inutile, anzi dannoso per le coltivazioni “buone”. Tornando alla parte superiore di questa etichetta vediamo che il logo del produttore (Mas Zenitude) è una “Z” che simula la sagoma di una persona inginocchiata in un posizione di preghiera (il tutto pervaso dai tipici riferimenti delle culture orientali). La “zenitudine” possiamo trasporla in una specie di “attitudine zen”, necessaria per condurre saggiamente l’esistenza e anche un’azienda.

La “Z” di Zorro e Altre Dicerie

Z, Vermentino e Malvasia, Quartomoro.

La potenza dei simboli è iconografica e a volte iconoclasta. I loghi, i marchi, numeri o parole, lettere o grafìe sono in grado di comunicare e infine di incidere un ricordo nella mente. Un esempio lo possiamo trovare in questo periodo storico nel “problema” generato dall’ultima lettera dell’alfabeto, la “Z”. Laddove l’esercito russo, forse inconsapevolmente, ne ha fatto un simbolo di parte. Molte aziende che utilizzavano questa lettera nei loro loghi hanno deciso di modificarlo, altre lo hanno lasciato intatto. E’ accaduto anche a questa etichetta di un vino che viene dalla Sardegna, un “frizzante sui lieviti” di quelli col tappo a corona. L’azienda, anche per altri prodotti, ha puntato sulle lettere. Probabilmente qui la “Z” sta per “frizzante”, in gamma c’è anche un vino che si chiama “Q” ma in questo caso il richiamo è al nome aziendale “Quartomoro” che si ispira alla bandiera autonomista sarda. Un vezzo aggiuntivo: il nome/marchio del produttore viene scritto in etichetta capovolto, così come altre parole che si trovano nel sito internet aziendale. Di certo questa modalità incuriosisce, ma altrettanto certamente rende difficoltosa la percezione. Ringraziamo Sara Missaglia per la segnalaZione!

Dove Passano le Formiche

Maestà della Formica, Riesling.

Si tratta di uno dei nomi più strani finora incontrati in questa sequenza di post dedicati ai nomi di vini, di aziende vinicole e al packaging-design delle bottiglie. In questo caso stiamo parlando del nome/marchio aziendale che dà anche definizione a uno di più significativi vini del produttore. Un riesling coraggiosamente prodotto in Garfagnana, sulle Alpi Apuane. Tre amici, con varie esperienze enologiche ma anche agronomiche (nei frutti rossi, ad esempio) decidono di piantare da zero una vigna di Riesling in una zona, in Toscana, dove quel vitigno mai era arrivato se non episodicamente. Ma torniamo al nome in questione: si tratta del passo che fa accedere alla Versilia, scendendo verso il mare. La “Maestà”, in particolare, è una minuta costruzione in pietra che rivela immagini votivo/religiose. Ci troviamo a oltre mille metri nel comune di Careggine “tra rocce e nuvole” come recita il claim aziendale. A meno di 20 km in linea retta dal mare, su costoni marmorei dove la vigna trova mineralità e verticalità, non solo per l’altezza. In etichetta una ripresa fotografica di un particolare delle iscrizioni votive della già citata cappella votiva in spirito pagano. Il grigio della pietra non risulta molto attenzionale, ma nel complesso il nome e l’etichetta si fanno guardare, se non altro per l’originalità della proposta. Grazie a Sara Missaglia per aver “scovato” questa chicca enologica in tutti i sensi.

Cose da Pazzi in Bottiglie Simpatiche

Ossigeno, Falanghina
e Coda di Pecora, Robb de Matt.

Il nome di questa azienda che ha sede in Campania, a Foglianise, è in dialetto milanese: “Robb de Matt” che sarebbe “cose da pazzi”. In effetti è solo la prima delle sorprese che abbiamo piacevolmente scoperto al riguardo. Un’altra notazione curiosa è il nome di uno dei due vitigni che compongono questo orange-wine: Coda di Pecora. Abbiamo in molti già sentito e conosciuto il vitigno Coda di Volpe, ma della pecora non ci era ancora giunta notizia. Si tratta di un autoctono molto raro, riscoperto nel recente 2005, sembra proveniente in antica origine dalla Magna Grecia. L’etichetta di questo vino, sul fronte, è molto semplice: fondo nero, una scritta in bianco (il nome del vino): “Ossigeno”, e una frase in piccolo più in basso. Un nome così è da ritenersi coraggioso per un vino, laddove l’ossigeno è uno dei nemici più temibili per la qualità del prodotto stesso. La frase in piccolo (cliccare sulla foto per ingrandire) recita: “Vinificato per estirpare una tristezza apparentemente incurabile”. Sul retro, o meglio, nella parte destra dell’etichetta che gira intorno alla bottiglia continuano le sorprese: vediamo in alto il logo e nome (già citato all’inizio) dell’azienda, tre allegre facce ebbre e molto colorate e un’altra frase, “niente più che uva”, una bella promessa. Quindi le varie diciture di legge a seguire. Si tratta evidentemente di un rifermentato, tappato con il “tollino”, atto a scorrere nei gargarozzi in grande abbondanza. E sicuramente la simpatia è uno dei suoi punti di forza. Grazie a Sara Missaglia per la ricerca e la segnalazione!

Troppi Pensieri o Mille Idee?

100 Pensieri, Cococciola, Tenuta Ferrante.

Il nome di questo vino prodotto nei pressi di Pescara, nell’entroterra abruzzese, porta a qualche riflessione. “100 Pensieri” infatti fa pensare. Quando ci sono tanti pensieri in testa in generale si tende ad attribuire a questa circostanza una valenza negativa. Avere tanti pensieri significa essere chiamati a risolvere tante questioni. La locuzione più comune è quella che riporta ad “avere mille pensieri in testa”. Qui sono solo 100, tutto sommato meglio così. Certamente possiamo trovare anche una valenza positiva (che viene dopo quella negativa, comunque, come percezione immediata), cioè avere tante idee in testa, tanti progetti, tante cose da fare in senso dinamico e attuativo. Il vino in questione è prodotto con il vitigno locale Cococciola al 100%, ma non crediamo possa essere questo il numero di riferimento per il nome. Insomma “100 Pensieri”, soprattutto portato in tavola, luogo dove la convivialità i pensieri dovrebbe toglierli o al minimo rinviarli, non ha una risoluzione tranquillizzante. Per quanto riguarda il design dell’etichetta possiamo dire che è ben impaginata, con elementi ben armonizzati: il cielo azzurro sopra a una traccia di creste montagnose in alto, il nome ben collocato al centro, le altre scritte di legge ordinate a seguire, il logo aziendale, rotondo, a firmare l’etichetta. Logo costituito da una “T” e una “F”, iniziali di Tenuta Ferrante. 

Un Soave da Sogno

Il Selese, Garganega, I Stefanini.

Ne abbiamo viste di etichette strane, ma questa le batte tutte. Si tratta della nuova versione del packaging del vino 100% Garganega dell’azienda veneta “I Stefanini”. La zona è quella di Soave così come la Docg e Doc dei vini ivi prodotti. Ma veniamo all’etichetta, vera protagonista di questa trattazione. Una illustrazione (in parte fotografica) ci mostra una classica (e storica) macchina impastatrice, tipicamente italiana (della marca più famosa che era ed è ancora “Imperia”), dove un piccolo uomo (o meglio: un uomo in piccolo), azionando l’apposita manovella, fa uscire uno strato di pasta a forma di bottiglia. Potrebbe essere la trasposizione di un sogno o un quadro di Salvador Dalí (che di fatto convertiva in opere pittoriche i suoi strampalati sogni). Sul macchinario a rulli contrapposti invece della nota marca si legge il nome dell’azienda vinicola in questione (che per la cronaca prende il proprio nome da un avo, che si chiamava Stefano, di piccola statura, giacché di conseguenza la famiglia è sempre stata chiamata “i stefanini”). Il nome del vino è “il Selese” dal nome della piana dove si trovano i vigneti. Gli attuali titolari, Francesco e Giuseppe Tessari possono contare su 20 ettari di suolo vulcanico a Monteforte d’Alpone e senza dubbio anche su una fervida fantasia! (P.S.: che sia un consiglio d’uso? Primi piatti di pasta fresca all’uovo!)

Ti Porto in Valle Isarco

Pipa XVII, Lagrein (liquoroso), Glögglhof.

I titolari di questa piccola realtà vinicola bolzanina sono Franz Gojer e la sua famiglia. L’azienda non ha un nome facile (soprattutto per chi non è altoatesino): Glögglhof. Si trova all’inizio della Valle Isarco e produce vini del territorio (St. Magdalener, Lagrein, Kerner, Vernatsch…). Tra questi troviamo un particolarissimo “vino liquoroso” a base Lagrein che ha un nome e un trattamento che possono incuriosire. Il vino si chiama “Pipa XVII” dove la numerazione dell’Antica Roma cambia secondo la botte di provenienza. Infatti ecco la spiegazione del produttore: “Il Pipa ha portato una nota stravagante nel nostro assortimento. Il nome ‘Pipa’ indica un vino liquoroso che si ispira al Porto. In Alto Adige è il primo vino che viene prodotto secondo il sistema del vino Porto con la differenza però che il Pipa nasce da uve Lagrein. È un vino da dessert, complesso e longevo, ottenuto seguendo il modello del Vintage-Ruby. Il nome ‘Pipa’ viene dalle tipiche botti in rovere in cui in Portogallo viene conservato il Porto”. Franz inoltre aggiunge: “Ho deciso di lanciarmi nella produzione di un vino Porto dopo aver intrapreso un viaggio nella regione del Douro, in Portogallo. La mia intenzione era quella di catturare, durante la fermentazione, quell’aroma di ciliegia tipico del Lagrein e conservarlo. Dopo varie sperimentazioni sono riuscito ad affinare il processo fino a raggiungere la perfezione”. Altra curiosità: l’immagine che costituisce buona parte dell’etichetta raffigura una serie di bellimbusti baffuti, tutti col proprio calice di rosso in mano. Una storia davvero particolare questa, che collega Porto con Bolzano lungo una via concettuale che ha un elemento in comune: la passione per la trasformazione dell’uva in vino, in ogni sua modalità (nonché la voglia di sperimentare e di andare oltre i luoghi comuni). Grazie a Sara Missaglia per la liquorosa segnalazione e per l’instancabile lavoro di ricerca.


Il Sottile Frusciare delle Bollicine

Xiu Xiu, Xarel-lo, Enlaire Vins.

Il nome di questo vino che in prima battuta potrebbe sembrare in lingua cinese, in realtà è “onomatopeico”. Vuole infatti rappresentare il rumore delle bollicine, cioè della frizzantezza di questo rifermentato. Certo fa impressione e incuriosisce un nome così. Desterebbe stupore qualsiasi regione del mondo, forse anche in Cina. Per la cronaca qui siamo in Catalogna, dove una giovane famiglia di viticoltori produce vini “ancestrali”. Interessante l’etichetta, oltre al nome. Al centro infatti vediamo una originale illustrazione dove una figura umana porta all’orecchio un calice di vino per ascoltare il crepitare delle bolle. Sovviene un sorriso, non solo sul viso del bevitore (o bevitrice) illustrato, ma anche in noi che osserviamo la scenetta. L’illustrazione è come un conglomerato di macchie e anche questo si fa notare come stranezza. Si tratta quindi di una etichetta davvero particolare, nello stile, nel concetto, nella proposta cromatica. Un packaging che mette allegria così come l’intento di questo vino spumeggiante, non impegnativo, da allegra brigata.

Cielo Sereno Sopra Lucca

Sereno, Sangiovese e Ciliegiolo, Villa Santo Stefano.

Il nome di questo vino trasmette voglia di pace interiore e di tranquillità, “Sereno” infatti si usa sia per definire una situazione emotiva sia una condizione meteorologica. In più, si nota subito nell’etichetta un paio d’ali d’angelo, unico croma distinto di tutto il packaging. Ed ecco la spiegazione che il produttore fornisce ai lettori del proprio sito internet: “Avrete notato che sull’etichetta di due dei nostri vini, il rosso “Sereno” e il bianco “Gioia”, compaiono le ali di un angelo. Questo perché quando il “Loto” cominciò ad avere successo sul mercato (il vino top di gamma dell’azienda n.d.r.) si decise di allargare la varietà, acquistando nuovi terreni e producendo anche un bianco ed un secondo vino rosso. Che volto dare, dunque, ai due nuovi vini? Le idee arrivano sempre quando è il momento giusto. E così, durante una passeggiata nel giardino di Villa Santo Stefano, un amico osservò: “Avete mai notato quante ali sono presenti nel vostro giardino?” Wolfgang Reitzle e Nina Ruge (i titolari, n.d.r.) si fermarono un attimo. Eppure era evidente che non ci avevano mai fatto caso. Quasi tutte le sculture del parco, in bronzo o in pietra che siano, sono alate! Così venne l’idea di raffigurare le ali sulle etichette. Possano queste ali proteggere noi, il vino e la regione”. Aleggia quindi un pensiero quasi religioso, sicuramente catartico, laddove la natura viene vista e rispettata come un imponderabile e assoluto “domino”. L’impaginazione è classica, i caratteri scelti con cura, gli inchiostri speciali dosati e non sprecati. Il risultato è molto semplice in sé, ma anche capace di attirare l’attenzione e di garantire una buona memorabilità. Un ringraziamento speciale a Sara Missaglia per la serenissima segnalazione!


Il Sangue di Giove Sgorga in Rosa

Sangioveto, Sangiovese Rosato, 
Castello di Monsanto.

Regna un po’ di confusione in questa etichetta figlia di quel “Regno del Sangiovese” che il Chianti da secoli si vanta di essere. Partiamo proprio dal nome “Sangioveto”, una arcaica denominazione che risale al 1590, quando nei primi documenti che parlano di questo vitigno si leggono anche altre varianti come “Sangiogheto” e “Sangioeto”. A tal proposito vi sono ancora oggi discussioni sul fatto che il vitigno toscano per eccellenza sia in realtà originario della confinante Romagna, prendendo il proprio nome dal Monte Giove, nei pressi di Sant’Arcangelo. Passando a una disamina specifica dell’etichetta, in ordine “di apparizione” dall’alto in basso (e quindi non in ordine “di grandezze” che vedremo poi) leggiamo Castello di Monsanto (marchio, anche se nella home del sito internet il “di” viene tolto), poi Fabrizio Bianchi (il fondatore e proprietario) quindi “dai vigneti di Monsanto” (ridondanza), poi l’annata, a seguire  Sangioveto (nome del vino), Rosato (definizione), Toscana Igt e, inserita in una foglia di vite in basso a sinistra, la dicitura “Enotria tellure allatum” (in un certo senso, “Enotria terra perfetta”). Troppi elementi, tutti verbali tra l’altro. L’attenzione, insomma l’occhio, cade sì sulla parola più grande, Sangioveto, poi si perde nelle altre definizioni cercando un riferimento sicuro per quanto riguarda il logo. Il pregio di questa etichetta? Forse la classicità. Messa in discussione dal prodotto stesso, un insolito rosato da Sangiovese. 

Volare Via (e Planare) con Leggerezza

Battichiè, Nero d’Avola, Tenute Navarra.

ll commento a una bellissima etichetta per inaugurare il mese di aprile. Una luce in fondo a troppi tunnel fatti di etichette anonime, noiose e quindi inutili. Si tratta del Nero d’Avola di Tenute Navarra. Vediamo innanzitutto il nome del vino (che non figura sul fronte dell’etichetta bensì nella scheda descrittiva all’interno del sito internet): “Battichiè”, “…una parola che annuncia la ninna nanna, la filastrocca, quella che Totò Navarra sentiva dalla mamma quand’era bambino e che l’avrebbe accompagnato per tutta la vita, il filo rosso di nostalgia che l’avrebbe spinto, nel 1985, a tornare dall’Inghilterra, contro tutto e tutti, mosso dal sogno di coltivare la terra, la sua Terra, per sempre legata alla dolce melodia di battichiè”. Questa la romantica spiegazione del produttore. Siamo a Butera, in provincia di Caltanissetta, all’interno della Sicilia. Solo tre ettari e mezzo per una storia vinicola molto recente che ha inizio nel 2019. Certo è che al suo esordio, Totò Navarra, il fondatore, fa subito centro con un’etichetta di spessore. L’illustrazione è di Riccardo Guasco che “…ha interpretato con lo sguardo acuto e profondo che lo ha reso famoso, l’intenso legame di Totò con la sua terra, inciso nella romantica idea di perfezione leggera e onirica, impastata di prepotente nostalgia, capace di rendere leggere e amorevoli le sue mani potenti, forgiate da anni di duro lavoro”. Il titolare infatti, nato nel 1951, corona il suo sogno di viticoltore dopo una vita vissuta intensamente, all’estero e poi di ritorno nella patria Sicilia. Ma torniamo all’etichetta: una figura umana (o umanoide) adagiata su un fianco, riposa, o medita. Un arbusto che sembra una fiamma si manifesta davanti a lei. Nello spazio bianco dell’impaginazione leggiamo: “Leggero, restò sospeso sulla sua idea di dolce perfezione.” Sembra poco ma c’è tutto. Come la poesia deve essere: in poche parole l’immensità. Una leggerezza, questa, di un’idea, di un vino, di un’immagine, della vita, che fa volare via col pensiero, con il corpo e lo spirito. Sovviene per parallelismi cosmici, una citazione del grande Italo Calvino: “Prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”.