Aleggia un Polipo, Violeggia un Sentimento

Capsula Viola, Chardonnay,
Santa Cristina.

Si tratta di una grande cantina con sede a Cortona, in Umbria. Marchio molto conosciuto nell’ambito del vino di ampia gamma e produzione. Ci ha colpito il design (più che altro il disegno, vediamo poi) dello Chardonnay che si chiama “Capsula Viola”. Il nome risale agli anni ‘80 del secolo scorso ed è stato mantenuto fino ad oggi. Logicamente il colore dell’etichetta è caratterizzante: ai tempi della nascita di questo progetto sicuramente non erano presenti sul mercato altri vini con una livrea viola e ancora oggi è difficile trovarli. Certo il colore non è di quelli facili. Il viola a volte è legato a leggende scaramantiche. E di fatto è un colore che attiene di più alla cosmetica (per il packaging), valga per tutti qualche esempio di prodotti alla lavanda. Certo rimane la peculiarità distintiva. Notare che nella formulazione del nome la seconda parte, “Viola”, ha dimensioni più grandi, viene quindi rimarcato. Quello che ci ha colpiti è stato anche quel polipo (sempre viola, ci mancherebbe) che fa da cappello all’elaborato. Insomma, il polipo “tiene insieme” con i propri tentacoli l’impaginazione dell’etichetta. Si impone quasi minaccioso. Poco importa (forse lui ancora non lo sa) che si tratta evidentemente di un consiglio di abbinamento (pesce in generale) e che dopo aver mostrato tanta tracotanza, finirà in padella. Ringraziamo Sara Missaglia, giornalista del mondo del vino, per l’arguta segnalazione!

Etichette Letteralmente Impattanti

Faire Avec, Alicante e Clairette, Les Maoù.

Piccola realtà vitivinicola francese, con base nella Valle del Rodano, dove la coppia Aurélie e Vincent Garreta opera in regime biologico da diversi anni partendo da 3 ettari e mezzo fino ai 10 di oggi. Grazie ad una delle sempre interessanti segnalazioni di Sara Missaglia siamo stati colpiti dallo stile delle etichette di questo produttore, davvero particolare (una per tutte, quella del “Faire Avec”). Il sito web (attualmente) non esiste per cui trovare spiegazioni, soprattutto per i nomi dei vini, risulta difficile. Si intuisce che sono tutti dei giochi di parole. Accomunati da uno stile grafico impattante. I toni sono tutti sul rosso, bianco e nero. Elementi geometrici e tipografici netti, di grandi dimensioni, a loro modo dissacranti rispetto a un prodotto figlio di una agricoltura che attribuisce fortemente il primato del vino buono al rispetto della natura. Una dicotomia cercata e condotta fino in fondo con l’obiettivo che tutto sommato hanno tutti: quello di farsi notare, sullo scaffale d’impatto, a tavola con gli amici, magari per commentare e farne parlare. Lo stile è piuttosto grezzo, sfrontato, diretto, tagliente. Il risultato è la fruizione di una serie di etichette che caratterizzano molto la comunicazione e quindi la percezione finale. Non possiamo dire che ci piacciono, possiamo concludere dicendo che probabilmente “funzionano”.

Pesci e Rose nel Collio Goriziano

Malvasia, Casa delle Rose.

Un vitigno abbastanza difficile da trovare, la Malvasia Istriana, se non nelle terre all’estremo Est d’Italia, come in questo caso nel Collio Goriziano. Il viticoltore Lucio Bernot, titolare dell’azienda (dal 2006 anche agrituristica) Casa delle Rose propone questa bottiglia con una veste particolare, che si fa notare. Si tratta di un banco di pesci illustrati in modo fumettoso. Si nota subito che alcuni di essi, quelli completamente colorati di giallo, vanno controcorrente. Ed è proprio questo uno dei significati che questo packaging vuole esprimere. Infatti ecco cosa troviamo scritto nel sito web dell’azienda: “L'etichetta con i pesci, o meglio "pesciolin", è tratta da un'opera d'arte del fratello maggiore (del titolare) e rappresenta l'andare contro corrente. Simboleggia anche la fede, la purezza, la Vergine e il cristianesimo. Nei 5 elementi rientra l'elemento dell'Acqua”. Non è tutto chiaro ma possiamo raccogliere qualche sensazione che si è voluta comunicare. Andare contro corrente, la purezza, l’elemento acqua. L’abbinamento consigliato riguarda naturalmente piatti di pesce. L’Adriatico è vicino con le sue brezze salmastre che “risuonano” nelle caratteristiche di questo vino bianco fresco sia pure molto “energico”. Il nome del vino è “Malvasia”, certo non spicca in fantasia, ma può bastare. In sostanza, l’etichetta è simpatica, giocosa, spiritosa. Insomma, da portare in tavola con curiosa ironia.

Il Canto Allegro delle Anime Semplici

Cinciallegra, 
Garganega e Trebbiano di Soave, 
il Roccolo di Monticelli.

Trovare un significato a questo nome è facile: la “Cinciallegra” è un passeriforme appartenente alla famiglia dei Paridi (questo dice Linneo già nel 1758). Simpatico volatile canterino dai colori sgargianti, aggiungiamo noi pur non essendo ornitologi. Nome accattivante quindi, onomatopeico, gorgheggiante. Ma la bellezza di questa etichetta non inizia e di certo non finisce qui. Si tratta di una bellezza che trae origine dalla semplicità, come spesso accade nel design. L’etichetta è formata da tre elementi: il nome dell’azienda, una illustrazione al centro e il nome del vino in basso. Un po’ troppo lungo il nome aziendale, “il Roccolo di Monticelli” ma in questa forma descrittiva è chiamato a definire bene le origini e il luogo di produzione, elementi che vengono confermati dall’illustrazione: un roccolo (costruzione isolata di solito utilizzata per la caccia, in questo caso si verifica un cortocircuito mentale con la citazione del passero allegro in questione) attorniato da cipressi, su una collina scoscesa. Il disegno è molto semplice, monocromatico, presentando il panorama in modo stilizzato. L’andamento è sinuoso, quasi un’onda collinare che arrotonda la percezione delle cose e quindi gli animi. I vino è un “orange” frizzante di quelli beverini e di gran moda in questi anni. La gestione famigliare, la coltivazione biologica, l’attenzione e la sensibilità elevate. Gusto e passione non sempre vanno a braccetto, in questo caso li abbiamo trovati perfettamente accoppiati. Grazie a Sara Missaglia per la preziosa segnalazione!

I Frati di Solito non Sono Magri

Cà del Magro, Custoza Superiore, Monte del Frà.

Questa azienda veneta sceglie la semplicità in etichetta mettendola in contrasto con la complessità del vino. Questo Custoza infatti (qui in versione Superiore) è composto da 4 vitigni: Garganega, Trebbiano Toscano, Cortese e Incrocio Manzoni. Si parla di mineralità donata alle viti da un terreno di ghiaia e sassi, esposto a sud-est su una collina particolarmente vocata. Il resto lo fa la fermentazione “sur lies” per una longevità insolita per un vino così. Ma torniamo all’etichetta dove il Monte è “del Frà” mentre la Cà è “del Magro”. Accenti che denotano una aderenza al territorio e alle “nominazioni” antiche sia pure in un ambito di denominazioni moderne. I due nomi, il primo quello dell’azienda, il secondo, giustamente di dimensioni più grandi, quello del vino, messi così risultano ridondanti, si ostacolano a vicenda nel processo di memorizzazione laddove simile è la formula semantica. Due “à” accentate, due “M” capolettera (Monte e Magro) con in mezzo un identico “del”. Queste osservazioni che potrebbero sembrare sofismi appartengono in realtà alle tecniche di naming che andrebbero applicate. L’etichetta è ben riuscita, intendiamoci. Lineare con qualche inserto in oro che male non fa. Il nome del vino in particolare incuriosisce, nel tentativo di capire chi fosse quel personaggio magro al quale si fa riferimento (sicuramente non si tratta di un frate). P.S: i “frà” sono quelli dell’Ordine di Santa Maria della Scala, di Verona.

Un “Classico” in Stile Moderno

Kami, Greco di Tufo Spumante, CaLaFè.

Il titolare dell’azienda, Benito Petrillo, ha dedicato nome e marchio alle sue tre nipoti, Camilla, Laura e Federica. Nasce così “CaLaFè”. Non contento ha dedicato lo spumante Metodo Classico in modo particolare a Camilla, chiamandolo “Kami”. Questo spumante non è particolare solo per il nome, il vitigno infatti è insolito per le bollicine. Siamo a Sud (Avellino) in una zona dove il Greco di Tufo, di solito in versione “ferma”, contende la fama del Fiano, tra i bianchi storici della zona. Ma passi pure la sperimentazione quando il risultato centra obiettivi qualitativi di un cert0 livello. Vediamo l’etichetta: molto formale, elegante ma con una buona dose di modernità. Unica illustrazione una volpe (o forse un cane) che addenta un grappolo d’uva. Il resto ci arriva sotto forma di un fondo nero, con caratteri di scrittura cubitali come dimensioni e graziati come stile. In alto viene indicato il “Metodo Classico”, in basso “Brut Nature”. A lato troviamo il logo aziendale. Prevale la semplicità dell’impaginazione con una interessante originalità degli elementi. Il nome del vino viene caratterizzato molto dalla “K” iniziale, una sofisticazione esterofila o, se vogliamo, colta, considerando la lettera come una testimonianza del greco antico (in alcune sue accezioni). Nel complesso l’etichetta emerge dal mucchio e si fa notare. 

Divi del Focolare a Prepotto

Spolert, Linea Millennial.


Spolert Winery è una cantina friulana che nasce dopo la ristrutturazione e il recupero di un’antica azienda di Prepotto già produttrice di vini. Il nome, “Spolert”, identifica in dialetto quella che in tempi più moderni venne chiamata “cucina economica”, una specie di focolare più semplice e pratico da utilizzare per riscaldare e cucinare. Ma veniamo alle particolari etichette di questa gamma di vini come vengono descritte dal produttore stesso: “La linea di packaging è stata pensata per raccontare, per ogni etichetta, il vino che rappresenta: Woody Allen perché la ribolla rappresenta un vino sagace e fragrante, Einstein per il friulano perché è un vitigno versatile, Brigitte Bardot perché il nostro rosato è femminile ma con grande personalità, e Marylin perché lo Schioppettino, come la diva, è il simbolico”. I quattro personaggi citati sono raffigurati in una modalità fumettosa e tutti nell’atto di specchiarsi in stile “specchio delle mie brame” e con un calice in mano (a dire il vero il calice viene sorretto in un modo che un sommelier di certo non approverebbe). Si tratta di un design molto semplice, colorato, irridente, quasi fanciullesco se non fosse che i personaggi illustrati sono miti per adulti. Le etichette attirano l’attenzione, sono insolite e di sicuro non si prendono sul serio.

Il Taglio Questa Volta è Artistico

The Winemaker’s Cut, Sauvignon.

Michal Mosny e sua moglie, titolari dell’azienda, sono originari della Slovacchia. Dopo molti anni di lavoro alle dipendenze di altre vitivinicole decidono di aprire la loro cantina (in Canada, nel British Columbia) e di chiamarla “Winemaker’s Cut”. La produzione è caratterizzata da quello che potremmo definire come un vezzo, al quale loro credono molto: musica classica diffusa ovunque, in vigna e in cantina (non c’è da stupirsi: la fisica quantistica sta conquistando campo). Ecco cosa raccontano in proposito, nel loro sito web: “Like in a movie, music plays an integral role at Winemaker’s CUT. Classical music is played throughout the vineyard and cellar. And it’s not just because of our deep love of the arts. The soothing power of music extends to plants, and helps to establish balanced, healthy vines. We noticed the difference right away. The vines closest to the speakers were growing faster. In the cellar, the fermentations were smoother and more predictable. We now have 13 speakers throughout Deadman Lake Vineyard, each positioned to ensure all of the vines benefit. A number of studies have found similar results: playing classical music for a few hours per day increases plant growth. It also benefits the vineyard workers, too. So, don’t be surprised to hear Mozart or Bach when you visit our tasting room”. Le etichette sono molto gradevoli e distintive. Hanno tutte il medesimo schema grafico, variando i colori. Abbiamo preso come esempio quella del Sauvignon: in alto a sinistra vediamo una artistica rappresentazione di tralci grappolosi, in basso a destra il nome della linea di vini con in evidenza la parola “CUT” con un cromatismo che riprende, di sfondo, l’illustrazione sopraddetta. Semplice negli elementi, giustamente preziosa negli inchiostri e nel design. Il nome ci piace: “Winemaker’s Cut” ricorda il modo di dire “Director’s Cut” che nell’arte cinematografica rimanda a una edizione speciale di un film, con un montaggio diverso rispetto all’originale proposto al pubblico, spesso con un finale alternativo, particolarmente caro al regista. Un lateral thinking che afferma con orgoglio l’unicità delle proprie scelte, in questo caso di stampo vinicolo.

L’Etichetta è Sempre un Palcoscenico

M.Etain, Cabernet, Scarecrow.

La questione è complessa, ma l’etichetta è semplicemente bella. Il produttore di questo vino si chiama Scarecrow così come il loro vino di punta (spaventapasseri, dal “Mago di Oz”), l’azienda è condotta dal nipote di uno dei fondatori della MGM (nota casa cinematografica americana: la Metro Goldwyn Mayer, quella del leone che ruggisce minaccioso ad ogni inizio di film). Ma torniamo rapidamente alla nostra etichetta. Si tratta del “second wine” di questa azienda che si chiama “M.Ètain”. Dunque, in francese “metain” significa metallo mentre se prendiamo solo la parola “Ètain” siamo a “stagno” o “stagnola”. Il rational fornito del produttore nel proprio sito internet riguarda la pronuncia in inglese: Mr. Tin (o Monsieur Ètain in francese) e si riferisce all’omino, un burattino che a noi ricorda Pinocchio che si vede in alto, riprodotto con una vernice argentata in rilievo (tin man in inglese è “uomo di latta”). Al centro il nome del vino e in basso la data, il millesimo, che evidenzia le ultime due cifre per sancire l’importanza e la diversità di ogni annata, di ogni vendemmia. È tutto. Ma vogliamo dire che quel burattino di latta è fatto proprio bene, ha un suo stile, sembra davvero che stia danzando. E attira l’attenzione sia pure nel suo “piccolo”. Risulta subito protagonista e apporta distintività. A volte basta poco. Logicamente, trattandosi della famiglia che ha fondato e diretto la MGM il discorso dei personaggi, veri o inventati, dei film prodotti dalla medesima, aleggia nelle scelte di comunicazione dell’azienda. E questo porta notorietà e idee che sono, comunque sia, evidenziate con gusto e arguta sottigliezza.

Nome e Marchio Circostanziati (in Georgia)

Mtsvane, Brut Nature, Teleda-Orgo.


Finalmente un’azienda che in prima battuta (nella home del sito internet) spiega in sintesi ma dettagliatamente il proprio nome. Non è tanto la spiegazione in sé (altri lo fanno), bensì la scelta a monte (nella creazione del nome) di esprimere un significato… significativo. Molti nomi, spesso ne abbiamo la chiara percezione nell’immediato, sono lì per caso o per qualche oscura ragione. Marchi e prodotti vengono segnati così da un destino crudele, quello della noncuranza, o peggio, della dimenticanza. Tornando a questa azienda, georgiana, sicuramente per noi in Italia “Orgo” non è il massimo, forse ci ricorda “orco”. Ma la spiegazione che c’è dietro consente di recuperare terreno laddove approfondimenti sulla cultura e sulle tradizioni del luogo si manifestano come comunicazione integrata. Ed ecco la spiegazione di cui stiamo parlando: “Our Name. There is a very interesting definition and history behind that Georgian words “Teleda” and “Orgo”. Teleda is an ancient name of Telavi, the main city of Kakheti region. The first archaeological findings about Telavi date back to the Bronze Age. One of the earliest surviving accounts of Telavi is from the 2nd century AD, by Greek geographer Claudius Ptolemaeus, who mentions the name Teleda (a reference to Telavi). Orgo is the stone that was used as a closure of Qvevri in ancient times in Georgia. We still use that old tradition in our cellar for some Qvevris”. Aggiungiamo che “Mtsvane”, nome di questo spumante, è anche il nome del vitigno che lo compone. Anche il logo ci piace: si tratta della sintesi illustrata di una giara inquadrata dell’alto, cioè vedendo l’apertura dal vertice. Etichetta pulita, essenziale, bilanciata. 

Vacche Grasse a Mendoza (ma ne Manca Una)

Cuatro Vacas Gordas,
Malbec e Cabernet, Caligiore.

L’etichetta di questo vino argentino, che viene dalle floride valli di Mendoza, attira sicuramente l’attenzione per il suo stile insolito e giocoso. L’illustrazione è in stile fumetto e il colore giallo di fondo contribuisce ulteriormente a catturare gli occhi. Il nome della linea di vini (ci sono in gamma anche un bianco e un rosato) è “Cuatro Vacas Gorda”. Tradotto in alto, nell’etichetta, per chi non è pratico dello spagnolo, con “Four Fat Cows”. Ai meno distratti risulta evidente che nell’illustrazione manca una mucca, perché sono solo tre, attònite e pascolanti, sotto una nuvoletta. L’enigma viene chiarito nel sito del produttore, che si chiama Caligiore: la quarta vacca si trova nel retro etichetta. Il mistero viene alimentato dal fatto che il retro etichetta nel sito non si vede e non si trova nemmeno facendo ricerche in internet. Potrebbe essere un’idea di marketing: per vedere la quarta vacca è necessario comprare la bottiglia di vino. Almeno fino a quando qualcuno dell’ampio popolo di Vivino non decide di fotografarla. Ed è quello che stiamo aspettando anche noi. Comunque sia la rappresentazione è fantasiosa e simpatica. Il vino non lo sappiamo: troppo lontano.