La Sintesi Asettica del Design Minimalista

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Vigne Alte, Trebbiano, Vinica.

Nella new-wave del design minimalista che sta invadendo la comunicazione aziendale di questi ultimi anni, si colloca l'etichetta, molto essenziale, che vediamo qui a sinistra. È il Trebbiano di un produttore molisano che coltiva anche ortaggi e verdure biologiche in una estensione di 220 ettari nella provincia di Campobasso. Tornando al vino e a questo packaging in modo particolare, possiamo notare la sintesi visiva dei vari elementi: due gruppi di montagne sullo sfondo (alcune vigne si trovano oltre i 600 metri di altitudine), rappresentate da tratti rastremati, poche linee in nero e giallo, con la presenza di un omino che osserva lontano, riparandosi gli occhi dal sole.
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Il nome del vino è chiaro, "Vigne Alte": fornisce una indicazione inequivocabile su quello che l'azienda vuole esprimere. Un primato qualitativo rappresentato anche dalla coltivazione della vite in altura. Anche il logo aziendale, in alto, insegue uno stile conciso e sintetico. Alcuni esili (forse troppo poco evidenti) segni grafici, rappresentano, crediamo, le trame dei terreni delle varie coltivazioni, viste dall'alto. Anche i caratteri di scrittura di questa etichetta sono "asciutti" e filanti. Confermando l'adozione di uno stile molto intimista, quasi segnaletico. Anche altri vini dell'azienda, ad esempio un Sauvignon e un Riesling, presentano il medesimo design, ma con qualche concessione in più all'emozione, quindi con chiome d'albero colorate, a forma di cuore (o almeno questo sembra). E sempre con la presenza "umana" di un omino solitario.

Sotto una (Erba)Luce Nascosta

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Lucino, Greco Novarese, Barbaglia.

Sono molti i nomi di vini, nell'Alto Piemonte, che alludono a luce, lucentezza, luminosità, etc., per affermare (quando c'è) un nesso con il vitigno Erbaluce. Questo perché al di fuori dai confini della DOCG di Caluso (e dintorni), tracciati dal relativo disciplinare, la legge proibisce addirittura di nominare l'Erbaluce in etichetta così come su qualsiasi altro supporto di comunicazione delle aziende che producono vini derivati da questo vitigno. Le aziende che non rientrano nel disciplinare ufficiale dell'Erbaluce di Caluso, sono costrette a chiamarlo impropriamente "Greco Novarese" o genericamente "Bianco Colline Novaresi". Diciamo anche inopportunamente perché "Erbaluce" è un bellissimo nome, inoltre le parole "greco" o "bianco" sminuiscono un vitigno che invece è tra gli autoctoni italici di maggior potenziale organolettico. È probabile che i produttori di Caluso siano così gelosi del proprio Erbaluce da proteggerlo in modo esagerato (sempre che siano loro a fare pressioni affinché la legge operi i suoi impedimenti, questo non lo sappiamo e non possiamo quindi affermarlo). Ma la logica dice che se l'Erbaluce "indefinito" non ha la DOCG e nemmeno può affiancare il nome "Caluso", già questo basta abbondantemente a distinguere le due zone e le distinte produzioni. Ma si sa che in Italia, soprattutto nel mondo del vino, invece di fare squadra, ci facciamo ancora la guerra da un campanile all'altro. Chissà quando finirà. Forse mai. Ma torniamo al "Lucino", nome di questo vino, prodotto dall'azienda Barbaglia (nota soprattutto per il Boca Doc, un Nebbiolo sorprendente) nei pressi del Lago Maggiore, sulle colline che conducono a sud verso Gattinara e a nord verso il Monte Rosa. Lucino è diminutivo simpatico, affettuoso, breve e foneticamente accattivante. La luce alla quale allude, dicono i viticoltori, è quella che attraversando gli acini di questo vitigno, a maturazione e al tramonto, assume un colore ambrato davvero magico, suadente, romantico. L'etichetta del "Lucino" presenta un design abbastanza classico, senza concessioni a spunti creativi, sia pure con equilibrio ed eleganza che lo sfondo nero e i particolari in oro sempre donano al packaging. In alto, il nome e lo stemma aziendale, alla base  un ghirigoro artistico che al suo interno accenna a tre piccoli cuori e conferma così l'indole romantica di questo vino che, a tavola, ha il potere di illuminare gli occhi dei commensali, oltre a titillare il palato.

Povera la Volpe e Grechetto il Vino

Strozzavolpe, Grechetto Umbria Igt, Bigi.

Il nome di questo vino è certamente particolare. Si fa notare. Incuriosisce. Perché la volpe viene strozzata? A quale episodio può fare riferimento? Può suscitare apprensione l'ipotesi che la volpe venga traumatizzata? La favola più nota relativa a una volpe (in ambiente vitivinicolo) è quella della "Volpe e l'Uva", dove però il furbo animaletto non viene minacciato da alcuno se non dal proprio ego. Ma la storia che viene raccontata dal produttore di questo vino è diversa. E anche non molto chiara, vagamente accennata. Vediamo cosa si legge nella scheda relativa a questo vino, un Grechetto, nel sito web aziendale: "Questo vino, fine, delicatamente fruttato, fresco e beverino, viene prodotto in purezza dall’omonimo vitigno, chiamato nella cultura popolare dell’Italia Centrale anche Strozzavolpe. Il nome Strozzavolpe evoca l’immagine di una natura fiera che, con l’ingegno, l’uomo riesce a domare. Ricorda, infatti, una favola secondo cui una volpe assai arguta riusciva a scampare alle doppiette dei cacciatori grazie alla propria abilità nel dissimularsi, salvo finire nelle mani di un principe che le tese un agguato notturno in cui rimase strangolata". La storia non è allegra: la volpe sfugge ai cacciatori ma un principe (evidentemente di quelli "cattivi") le tende un agguato e la fa fuori. Qualcosa non funziona, considerato anche che nel design in etichetta la volpe viene enfatizzata, diciamo anche celebrata, con una bella sintesi visiva dal tratto elegante. L'etichetta in generale è ben studiata e ben riuscita. Di fatto l'azienda, Bigi, ha immesso sul mercato, negli anni, delle etichette molto gradevoli dal punto di vista di un marketing moderno che promuove packaging di alto livello. In questo caso lo storytelling scricchiola. A tutto discapito della povera volpe e di chi l'ha in simpatia.

Enologia Veneto-Trentina in Forma di Champagne

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Equipe5, Metodo Classico, Cantina di Soave.

Strano nome e strano vino per la zona di provenienza, cioè quel Veneto dove trionfa il Prosecco e in particolar modo in questo caso dove la Garganega (Soave) la fa da padrona. Infatti questo vino, bollicine Metodo Classico (da 36 mesi), nasce a base Chardonnay (80%) e Pinot Nero (20%). Chiarito il vino passiamo al nome e al packaging: nome francese, stile francese. Insomma, siamo italiani, ma l'allusione ai maestri francesi delle bollicine (Champagne) non manca mai. In questo caso però questo nome ha un fondamento che possiamo definire storico. Come dichiara il produttore si tratta di un "marchio storico di grande valore nato nel lontano 1964 grazie a cinque enologi trentini che decisero di unire la propria passione e le proprie competenze in ambito spumantistico per realizzare questo spumante metodo classico millesimato tra i più celebri e prestigiosi del panorama nazionale, presente nelle enoteche ai ristoranti più rinomati". Di fatto questo spumante, oggi non è così noto, anche se la sua qualità meriterebbe di più. Il design? Molto classico, dallo stemma in alto allo sfondo, dai caratteri di scrittura ai colori (inchiostri) utilizzati. Sta bene sulla tavola delle feste. Forse si meriterebbe un restyling, diciamo un restauro sia pure di tipo "conservativo". 

Design Sfacciato o Marketing Sfaccettato?

4 Skins, Vitigni Rossi della Nuova Scozia, Jost Vineyards

branding naming illustrazione conceot comunicazioneEcco un classico esempio di idea provocatoria che ha l'obiettivo di generare scalpore. Pur essendo fondata su elementi effettivi e comunque riscontrabili. La questione è chiara: il nome di questo vino che viene dalla Nuova Scozia (Canada) è un gioco di parole volutamente allusivo e sfacciato, come ammette lo stesso produttore nelle note che vedremo più avanti. Si chiama "4 skins" che ufficialmente significa "4 bucce" (di acino) e che ufficiosamente ricorda, come pronuncia, "foreskin", che sarebbe "prepuzio" in inglese. L'illustrazione in etichetta certo non fuga l'equivoco, anzi, in certa misura lo alimenta. Del resto il fondo scuro e i colori brillanti attirano l'occhio e il design del packaging non è nemmeno male. Questa etichetta ha attirato strali e risa, favori e critiche in egual misura: insomma, alla fine se n'è parlato molto (soprattutto in nord-america e in generale nei paesi anglofoni, logicamente). Ma vediamo cosa scrive l'azienda nel proprio sito internet: "4 Skins is more than just a cheeky name. Our award-winning wine is made with four of Nova Scotia’s choicest grape varieties, Castel, Marechal Foch, Leon Millot, and Lucie Kuhlmann. Grown in our unique terroir which is created by the slope of the land, the warm waters of the Northumberland Strait (the warmest waters north of the Carolinas) and the lack of fog, the grapes are carefully selected and then fermented in their skins...". Ci sono quindi delle ragioni tecniche e produttive specifiche per alludere ai 4 tipi di bucce (di macerazioni) che compongono questo vino. Tutto il resto è un'opinione.

La Fantastica Avventura del Brunello Azzurro

Brunello di Montalcino, Podere Sante Marie (Marino Colleoni).
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Un brunello vestito d'azzurro? Eccolo qua. Come un cavaliere d'altri tempi. A discredito di ogni luogo comune che vorrebbe l'adozione di toni caldi, soprattutto per vini rossi tradizionali e d'annata, questa bottiglia indossa una livrea celestina. Si dice anche che, sempre in teoria, secondo alcuni, l'azzurro non sia un colore propriamente "alimentare". Non adatto, cioè non in grado di veicolare adeguatamente qualcosa di gastronomico, ancorché enogastronomico. Questo perché psicologicamente questo colore conduce la percezione cerebrale verso altri pianeti dell'immaginazione.
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E poi è doveroso considerare anche il cromatismo che si viene a creare, una volta aperta la bottiglia e versato il vino nel bicchiere: due colori in evidente contrasto. Ma anche che i migliori matrimoni sono quelli che mettono insieme caratteri molto diversi, o no? A parte l'aspetto legato al colore, per completare l'analisi dobbiamo dire che si verifica qui una dicotomia tra il nome del Podere (Sante Marie, nome storico, toponomastico, di una zona rurale di Montalcino) e il cognome del produttore, Colleoni (poco visibile, invero). Nel senso che sulla bottiglia figura quest'ultimo, mentre nel sito internet e su altri supporti viene utilizzato Podere Sante Marie. Non c'è univocità di marchio. A onor del merito completa l'etichetta una bella stilizzazione di un leone, sullo sfondo e in evidenza in oro. Il lato positivo? Tra tutti i brunelli marroni, neri, bordò e variamente ambrati (si parla sempre di etichette) questo, a scaffale, si fa notare di sicuro.

Fatiche d'Altri Tempi in un Nome Francese

Quaràs, Chardonnay, Corvée.

Originale la scelta di questo nome (Corvèe, il marchio aziendale) che originalissimo, in termini assoluti, non è, essendo parola nota presa dal vocabolario francese ma utilizzata in tutto il mondo. Vediamo innanzitutto cosa spiega il produttore nel proprio sito web: "Corvée è un termine francese utilizzato nelle società feudali per indicare un tipo di prestazione di lavoro del vassallo o schiavo al proprio signore tramite giornate di lavoro gratuito solitamente destinate alla coltivazione delle terre padronali. Gli oltre 400 km di terrazze di muri a secco di porfido realizzate nei secoli dai vassalli della Valle di Cembra hanno consentito di salvare un patrimonio singolare che conduce dai 250 metri di Mosana fino ai 1000 metri circa di Faver. All’interno di queste splendide logge si trovano anche i 14 ettari delle vigne dei soci che hanno dato vita a Corvée, un progetto di sostenibilità in una doc, quella del Trentino, con potenzialità ancora inespresse". Originale anche l'etichetta, aggiungiamo noi. Bella la grafica, minimalista ma di buona focalizzazione ottica. I sassi dei muretti a secco sopra descritti, raffigurati nella parte bassa, chiudono il cerchio semantico del packaging. P.S.: Quaràs (nome del vino) è il capitano francese che guidò le truppe napoleoniche durante l’assalto al castello di Segonzano nel novembre 1796.

Bestiario Parlante per Vini d'Abruzzo

LaPirale, Moscato Terre di Chieti, Lunaria.
naming comunicazione marketingAbbiamo già parlato delle etichette di questo produttore, ora in parte rinnovate. Certo non manca lo spirito creativo, a partire dai cromatismi di fondo, unitamente ai soggetti ritratti, ai nomi dei vini e alle "massime" riportate per ogni tipo di vino. Vediamone alcune, a partire da quella del Moscato qui in alto: "Sorprendi, provoca, ama". Mentre quella del Montepulciano d'Abruzzo (con il toro qui sotto) è: "La mia furia è autentica forza". Sorprendono e si fanno leggere. Sono elementi di originalità, quindi, inseriti in una grafica anch'essa alternativa rispetto ai canoni classici. Tra i nomi degli altri vini di questa azienda della provincia di Chieti troviamo: Charisma con una Lince (Trebbiano d'Abruzzo) "Seguimi, ti guiderò nel buio", Ramoro con un Pavone (Pinot Grigio) "Mi pavoneggio elegantemente in ruota di piacere",  Ruminat  con un Cervo (Primitivo) "La mia anima ha danzato ritmi antichi".  Belle anche le illustrazioni, con uno stile personale, e la scelta dei caratteri si scrittura, forse un po' troppo metropolitani, ma insoliti e quindi attenzionali.
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Carisma d'Artista per Ornellaia d'Annata

mktg comunicazione illustrazione arteIl Carisma (2015), Ornellaia.

È questa l'etichetta artistica dedicata all'annata 2015 del rosso Supertuscan di Ornellaia, nota tenuta vinicola di Marchesi de' Frescobaldi che si trova sulle colline di Bolgheri. Il packaging in questione fa parte di un ampio progetto chiamato "Vendemmia d'Artista" che nasce alcuni anni orsono per sottolineare l'unicità di ogni vendemmia. Infatti, ad ogni edizione un artista contemporaneo di fama internazionale crea per Ornellaia una serie di opere in esclusiva, sulla base di un concetto ogni volta diverso. Per l'uscita 2015 di questo prestigioso vino è stato scelto e proposto all'artista il nome/concetto "Il Carisma". I disegni creati dal sudafricano William Kentridge si ispirano agli strumenti di lavoro della vendemmia, che risultano qui umanizzati. Secondo l'artista, infatti "La produzione vinicola ha trasformato gli uomini in macchine e le macchine in lavoratori". Una curiosità: i disegni sono stati realizzati sulle pagine di vecchi libri-cassa trovati nei mercatini e nei negozi di antiquariato. Un particolare che fornisce un valore anche concettuale agli elaborati che poi sono diventati vere e proprie etichette stampate.
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Non è certo nuova l'idea di abbinare arte e vino con operazioni che un tempo si potevano definire mercenarie e che invece oggi, questa in particolare, prendono strade dedicate alla beneficenza culturale (i fondi raccolti con l'asta di queste bottiglie così particolari vengono devoluti al Victoria & Albert Museum di Londra). Con operazioni come questa si impreziosisce il vino, l'azienda fa parlare di sé, l'artista anche, la cultura in generale se ne avvale. Il risultato, se gestito con un'ottica comunque di comunicazione e di design come in questo caso, è destinato ad essere efficace sotto tutti gli aspetti. Il vino, come sempre, si versa, si condivide e sostanzialmente si beve.

Un Rosato Molto Femminile

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Inebriante, Sangiovese Rosato, Inserrata.

Le etichette di questo produttore toscano che opera in totale regime biologico e che si chiama "Inserrata" (dalla zona boschiva dove si trova l'azienda, La Serra, a San Miniato, in provincia di Pisa) sono tre, tutte uguali, caratterizzate cioè della medesima illustrazione, un viso di donna. Hanno logicamente nomi diversi: "Inebriante" per il rosato da Sangiovese, "Intrigo" per lo Chardonnay e "Insieme" per il Merlot. Tra questi tre abbiamo scelto il rosato da Sangiovese perché la bottiglia risulta originale anche per forma e composizione cromatica, molto femminile nella sua complessiva formulazione. Complice anche la capsula rosa.
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L'etichetta colpisce perché praticamente viene occupata a tutto spazio da un viso lentigginoso, di ottima resa artistica, anche grazie a macchie di colore che in particolare mettono in evidenza occhi e bocca della figura ritratta. L'illustrazione, che sembrerebbe acquarellata, è opera dell'artista Alexandra Coe e rappresenta certo un'eccezione nel mondo del packaging del vino: si tratta di un vero e proprio "quadro su bottiglia", dove il lato artistico, creativo, manuale, prevale su quello tecnico e grafico di impaginazione. Arte e vino ancora una volta compiono percorsi comunicativi andando a braccetto, con ottimi risultati. Inebrianti come il vino, probabilmente.

Regine Gioiose in Terre Marchigiane

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Pecorino (Offida),
Azienda Vitivinicola Mencerù.

Abbiamo fatto molta fatica a reperire immagini di bottiglie di questa azienda marchigiana. Ma anche solo l'etichetta di questo Pecorino valeva lo sforzo. Ci scusiamo perché le immagini trovate non sono comunque molto definite. Diciamo che l'azienda difetta nella comunicazione, ma non manca di simpatia e creatività (non si trova nemmeno un sito, allo stato attuale: solo una pagina su FB, aggiornata di rado). L'etichetta del Pecorino (vitigno tipico di Offida) è davvero gigionesca: una regina, con una botticella sotto braccio, sta cavalcando in modo ardimentoso un pecorone.
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Un braccio proteso verso l'alto, con un calice in mano, brinda con impeto mentre un grido d'assalto gioioso esce dalla sua bocca. Mette di buonumore a prima vista. Il tratto è quasi fumettistico, semplice ma con una propria personalità. Non si reperiscono notizie sull'autore della illustrazione in esame, così come nulla si sa del nome aziendale, "Mencerù", insolito e probabilmente di estrazione dialettale. Bello il marchio, inteso come stemma che contraddistingue il logo aziendale. Antico e tradizionale, in contrasto con l'immagine gioconda e dinamica dell'etichetta. In ogni caso il packaging è attenzionale, equilibrato, insomma ben riuscito.

Forte e Chiaro, Come il Grido del Vulcano

Magma, Nerello Mascalese, Frank Cornelissen.

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I vini di questo produttore che ha base sulle pendici dell'Etna, sono davvero particolari, così come originale, assolutamente naturale, è l'approccio filosofico prima ancora che fisico, di questo belga, impiantatosi in Sicilia. Il nome e cognome del produttore infatti tradiscono subito radici estere. Ma sono le radici delle sue vigne che dettano legge, da qualche anno, tra gli appassionati di "vini veri". Valga come sintesi della sua filosofia produttiva una frase che campeggia su un muro nella cantina di Frank: "Prima di essere buono, un vino deve esser vero". Verità o amalgama filosofica, qui siamo di fronte certamente a una visione particolare del lavoro dell'uomo a contatto con la natura. Ma torniamo alle etichette, nel nostro caso a quella di un Nerello Mascalese che dichiara a tutta lunghezza (verticale) e con il fragore del colore rosso il nome "Magma", la materia geologica che contraddistingue il terreni attorno all'Etna. Si tratta di un nome forte abbinato a un design aggressivo. Due elementi che esprimono bene il concetto del prodotto. Le altre etichette di questo produttore non spiccano per creatività, ma questa si fa notare. Facile, direte voi, con dimensioni grandi e colori forti. Ma insomma, meglio così che in modo anonimo. Almeno l'attenzione viene attirata. E "Magma" risulta comunque un nome evocativo e centrato.

Sfere Rosse su Destriero Storico

Purple Rose, Rosato (Sangiovese e Merlot), Castello di Ama.

Certo che per uno dei "Re del Classico" come Castello di Ama, non deve essere stata una decisione facile adottare questa etichetta davvero particolare e fuori dagli schemi tipici della regione e profondamente divergente dalla storia del produttore stesso. Quasi shockante nei colori e nella proposta di design, anacronistica e inusuale. Al punto che il classico cavaliere compunto delle etichette tradizionali diventa uno schizzo, un tratto, un accenno a matita, attorniato da una nevicata di pois rossi su fondo rosa. Tra il contemporaneo e la provocazione artistica fine a se stessa. La parte sottostante dell'etichetta mantiene una dignità e un ordine costituito, ma il cromatismo superiore sconvolge (in compenso coinvolge). Azzardo? Vento nuovo? Esperimento? Il produttore dice che vista la nuova modalità di produzione del vino (negli ultimi anni è stata adottato un tipo di fermentazione sperimentale in barrique) "affinché l’effetto fosse percepito dal mercato abbiamo deciso di cambiare la nostra storica etichetta e di dare al vino un nome: ecco come nasce Purple Rose". A questo punto ci arrendiamo e contiamo sulla consueta grande qualità di questo noto produttore toscano. Guardando pur sempre con simpatia alle innovazioni anche per quanto riguarda le etichette.

In Rete si Trovano anche Bufale "Vere"

Elea, Paestum Bianco Igt (Greco), San Salvatore 1988.

grafica marketing immagine brandingNon tanto il nome di questo vino ha attirato la nostra attenzione (ne parliamo comunque più avanti), piuttosto una frase alla base dell'etichetta: "Ho visto un bufalo tra le vigne ed ho bevuto vino. Ho visto un bufalo tra le vigne e lui ha visto me." Il protagonista è certamente l'animale tipico del Cilento, che in forma sintetica si staglia nella parte sinistra dell'etichetta, in modo visibile anche da lontano. Bella stilizzazione, tra l'altro. Ben eseguita. Tra l'artistico e l'iconografico moderno. Bufalo, sia ben inteso, non bufala, come si evince chiaramente dal perimetro del tratto disegnato. Anche se una delle bandiere concettuali dell'azienda è la presenza di una nutrita mandria di bufale (femmine) che producono latte per gli umani e sterco per le vigne, mettendo in atto un circolo virtuoso che fa bene all'ambiente e all'economia aziendale. Tempo fa l'azienda lanciò un concorso per dare un nome al bufalo e dopo una attenta selezione venne deciso di chiamarlo Lucky.
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Ed ecco spiegata anche la speciale versione di etichetta che riportiamo qui a lato (purtroppo non si legge benissimo, ma l'abbiamo interpretata noi ingrandendola) dove la frase alla base riporta: "Touch Lucky, the lucky bull and be lucky." (per il vino Vetere, rosato da Aglianico). Storia complessa per un'etichetta semplice, graficamente concisa e piacevole, che a quanto pare, sommando tutto, punta a valorizzare le risorse e le tipicità della zona in cui opera l'azienda. Tornando al nome del vino (quello in alto), citiamo Treccani: "Elèa, antica città dellaMagna Grecia. Il riferimento va anche a Parmènide di Elea, pensatore greco (sec. 6º-5º a. C.), massimo rappresentante della scuola eleatica, legato alla teoria dell'essere unico, immobile e indivisibile, quale venne più tardi accreditata dalla speculazione platonica e dalla critica aristotelica. Insomma, ellenismi a parte (storia e cultura fanno sempre bene all'immagine del vino), ci troviamo di fronte anche a una ludicità scaramantica che non può che suscitare simpatia (e comunque se vi capita, toccatelo il bufalo, che non si sa mai).

Alla Fonte del Vino

marketing immagine comunicazioneAcqua della Serpa, Bianco Umbria Igt, Annesanti.

Vino davvero particolare questo, prodotto da Francesco Annesanti, nella provincia di Terni. A partire dal nome: "Acqua della Serpa". Insomma, per un vino, richiamarsi all'acqua è quanto meno originale. Si sa infatti che l'Acqua della Serpa è una fonte surgiva nei pressi di Monterivoso, dove è stata allestita un'area pic-nic molto nota in quella zona. Certo che al pic-nic ci dovrebbe essere anche del vino, oltre alla buona acqua di quelle colline. Sulla bottiglia del vino in questione (ottenuto da diversi vitigni come Grechetto, Trebbiano, Malvasia, Pecorino, Martone e altri) campeggia in grande evidenza un'anfora azzurra. Del medesimo colore, insolito per un vino, è la capsula di chiusura della bottiglia. Alla base dell'etichetta vediamo il cognome del produttore (posto su due righe) con la dicitura "Viticoltore in Valnerina". Ed ecco fatto il logo aziendale. L'anfora azzurra, complice il nome riferito ad una fonte di acqua, potrebbe sembrare anch'essa inerente ad un contenuto di H2O, e invece attesta il metodo di lavorazione del vino: una prolungata permanenza sulle bucce dentro a delle anfore in terracotta da quattrocento litri. Che dire? Che il nome non ci sembra molto adatto, e il cromatismo azzurro-cielo nemmeno, ma anche che l'etichetta si presenta in modo molto attenzionale, con forme semplici e dirette. A suo modo originale. Come, a quanto sembra, originale è il vignaiolo, al quale concediamo le attenuanti di una estrosa licenza poetica. P.S.: "serpa" sarebbe come dire biscia, serpente.