Fantasia e Semplicità per Etichette "Ideali"

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Casa e Chiesa, Merlot, Tenuta Lenzini.

packaging illustrazione grafica comunicazioneQuesta azienda che ha sede sulle colline lucchesi ha generato un approccio semplice ma attenzionale per le proprie etichette. Un tratto concettuale gentile e artistico crea immagini, sulla bottiglia e nella mente di chi le osserva, oniriche e rilassanti. Colori tenui, temi bucolici. Per quanto riguarda i nomi dei vini abbiamo notato questo "Casa e Chiesa" che ripropone un modo di dire noto nelle italiche regioni: essere "tutta casa e chiesa", di solito riferito a una donna, significa manifestare una purezza d'animo e di comportamento apprezzabili, quanto meno dai benpensanti. Retaggi del passato se vogliamo, riferiti a un modus vivendi che relega la vita personale all'ambiente di casa e, quando fuori da essa, a quello della chiesa. In questo caso la casa e la chiesa sono presenti sul luogo, sono rappresentazione di circostanze non solo comportamentali ma anche topografiche. "Casa e Chiesa" comunque lo si "legga" è un nome che attira l'attenzione, genera discussione, aiuta la fruizione (del vino), della chiacchiera e della beva. Belle le illustrazioni che raccontano scene campestri quasi sempre con un lui e una lei, in questo caso fuggente (non va in chiesa, forse torna a casa). Proponiamo anche, qui a destra, l'etichetta di "la Sirah", ugualmente curiosa e piacevole.

La Collina del Galletto, Detto in Dialetto

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Mungalat, Langhe Nebbiolo, 
Tenuta Ca' du Russ.

Il nome di questo vino è, come spesso accade in Piemonte, il risultato di una commistione tra dialetto e toponomastica locale. Sull'onda della (giusta) celebrazione della tradizione, la collina di "Mongalletto", a Castellinaldo d'Alba, dove le vigne di questo Nebbiolo crescono floride, viene trasformata nel gergale (e di derivazione molto fonetica) "Mungalat". Bene, ma non troppo. Bene perché il nome è abbastanza breve, foneticamente in crescendo e non difficile da leggere, ma in fin dei conti il dialetto ha sempre una portata limitata, regionale, se non spiegato a sufficienza. Cosa ha di bello questa etichetta? Il galletto stilizzato ispirato dalle classiche banderuole segnavento che si vedono sui camini. Per il resto i colori sono discutibili (arancione su bianco), così come la "non scelta" sul nome aziendale che barcolla da "Marchisio" (il cognome della famiglia proprietaria in grande evidenza ma in verticale e con difficile leggibilità) e Tenuta Ca' du Russ (in basso in piccolo), nome anch'esso dialettale, della sede, della residenza. Bello in generale il concept dell'azienda, che lavora in regime biodinamico, esposto in modo molto accorato nei testi del sito web. Insomma, i contenuti ci sono: probabilmente si potrebbe migliorare la comunicazione.

Incredibile ma Italiano (Molto Vicino alla Svizzera)

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Incrediboll, Metodo Classico 
(Riesling Italico e Renan0), La Costa.

C'è chi fa un uso inusitato (inutile e inconcepibile) della lingua inglese per nominare vini italiani e chi l'inglese lo "prende per i fondelli". È quest'ultimo il caso dell'azienda "La Costa" che ha sede in provincia di Lecco e che ha prodotto una bollicina Metodo Classico chiamandola "Incrediboll". Il gioco di parole è chiaro a tutti al primo impatto anche se, in modo discutibile, la parola composta trova una difficile lettura della sua seconda parte a causa di una labile scelta cromatica: il giallo "canarino" con il quale è scritto "boll". Etichetta molto semplice, con pochi elementi dove vediamo un viso stilizzato, probabilmente quello di "Giancarlino", colui che piantò le vigne in loco nel 1960, come recita il sito aziendale che aggiunge: "Questo vino ha dell’incredibile: 1.320 bolle da 2.000 ceppi di Riesling." Crediamo che il numero 1.320 sia riferito al numero di bottiglie. In etichetta abbiamo anche, oltre al nome e al viso menzionato prima, un grappolo stilizzato sulla destra e il nome dell'azienda. Dal sito del produttore apprendiamo anche il curioso nome della proprietà che ha dato origine all'azienda: Cascina Scarpata. In effetti anche la posizione dei vigneti, a nord di Milano, a quota 45o metri s.l.m. e in zona notoriamente piuttosto piovosa, ha dell'incredibile.

L'Anisoformismo della Gallina

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Eteronimo, Vino Bianco, 
Cascina San Michele (Marco Minnucci).

Ecco una interessante etichetta che offre spunti sia dal punto di vista semantico (e quanti!), sia da quello iconografico. Non è scevra da piccoli errori di impostazione, ma nel complesso offre una panoramica davvero particolare. Innanzitutto vediamo una gallina in arte moderna, contemporanea la chiamano. Una gallina ovaiola di quelle che si vedono razzolare nelle aie, realizzata al tratto con un reticolo di texture accennate a mano: quadrati, cerchi, scarabocchi, tracciati, linee, punti... la testa della gallina viene "sporcata" con dei getti di colore (in questo caso giallo, negli altri due vini dell'azienda, due versioni di Barbera d'Asti, con il verde a il fucsia). I caratteri di scrittura sono esili, forse poco leggibili, ma la "presenza artistica" della gallina compensa eventuali cali di attenzione da parte dei potenziali acquirenti che si affacciano agli scaffali. Ma veniamo al nome, molto particolare: "Eteronimo". Sembra facile, perché si potrebbe pensare al contrario di "omonimo". In realtà le cose non sono così semplici. Innanzitutto viene il sospetto che il riferimento cercato dal produttore sia nel campo della disciplinarità, infatti Treccani dice: "eteronimìa s. f. (dal gr. ἑτερωνυμία "diversità di denominazione"). In grammatica, la denominazione, mediante nomi etimologicamente diversi, di coppie naturali di oggetti o esseri animati di genere grammaticale diverso (it. fratello - sorella, lat. sus - scrofa) oppure di numero nominale diverso (io - noi). In linguistica, sinonimo di anisomorfismo". Ma si dice anche che: "...negli studi sulla traduzione, l’eteronimia è una particolare relazione di sinonimia tra sistemi linguistici diversi; in altri termini, essa corrisponde alla sinonimia nella relazione infralinguistica; per esempio, il francese arbre è considerato eteronimo dell’italiano albero". Inoltre: "Negli studi di semiologia della letteratura, l’eteronimia è il rapporto tra nomi diversi di una stessa persona (l’autore di un’opera); in questo senso, l’eteronimo va distinto dal nome fittizio assunto da qualcuno (che più propriamente dovrebbe chiamarsi pseudonimo), di cui la letteratura, le arti e lo spettacolo offrono numerosissimi esempi". In pratica un bel guazzabuglio linguistico, un enigma colto... difficile da cogliere. Nel senso che va spiegato affinché possa essere memorizzato. Resta la stranezza, che genera curiosità. E questo comunque fa sempre bene alla comunicazione.

F Come Fontorfio.

branding marketing grafica comunicazioneSalomè, Montepulciano d'Abruzzo, Fontorfio.

concept branding marketing comunicazioneIniziamo dal nome dell'azienda anche perché non si può "evitare": una grande F campeggia ovunque, nel sito del produttore come su tutte le etichette della gamma proposta al pubblico. F come "Fontorfio". Certo questo nome suona davvero male, foneticamente, costringendo chi lo pronuncia a delle buffe contorsioni di labbro e lingua. L'analisi si sposta sulla grafica, perché è questo che si fa notare maggiormente: una grande F, come già detto, su sfondi monocromatici che cambiano tono ma rimangono con la medesima impaginazione. La F diventa simbolo, mezzo di comunicazione, fonte di ricordo, presenza (anche un po' ingombrante) quasi fisica. Una iniziale eletta a protagonista di tutta la comunicazione dell'azienda. Di positivo c'è che ogni vino, in aggiunta alla grafica che abbiamo descritto, ha un nome proprio, per cui: Salomè per il Montepulciano, poi abbiamo Cossineo (Pecorino e Passerina), Gaio Mario (rosé da Montepulciano), Castello di Marte (Montepulciano), Ortensia (spumante rosé da Montepulciano e Sangiovese), Cuprense22 (spumante da Passerine, Montepulciano e Pecorino. Per concludere, l'uso di lettere grandi può essere risolutivo e anche di un certo effetto ma non concede molto alle emozioni, cioè non va a costruire basi solide di comunicazione, rimanendo nel "campo" di una memoria visiva che aiuta più il lato commerciale piuttosto che quello emozionale.

Le Deviazioni Musicali della Vita e della Vite

concept marketing comunicazione brandingCadenza d'Inganno, Malvasia Istriana, 
Castello di Rubbia.

Di non facile interpretazione questo nome, sia pure formato da parole di senso compiuto. Forse chi ha studiato o ha dimestichezza con la musica, le note, gli spartiti, potrebbe riconoscere un indizio. Per tutti gli altri valga la poetica, appassionata, spiegazione della produttrice Nataša Černic attraverso le sue parole scritte nel sito aziendale: "...mai nessun vino mi aveva regalato simili emozioni. Ricordo quella domenica, in cui a mezzogiorno suonarono le campane e noi interrompemmo il raffreddamento, lasciando il vino al suo destino, qualunque esso fosse. La fermentazione durò per mesi, sembrava non dover finire mai, l’aria era satura di aromi strani ma positivi, non si percepiva acidità volatile, questo mi spingeva ad andare oltre. Nel frattempo si svolse anche la fermentazione malolattica, era la Natura, e io non volevo interferire. Quando la fermentazione si arrestò, il residuo zuccherino era troppo basso per un passito. Il vino venne alla luce, e in qualche modo era mio, e dovevo dargli un nome: "Cadenza d'Inganno" era il mio pensiero, immediato, non poteva essere nessun altro, un nome che si collegava alla musica. Una sequenza di accordi che deviano la fine di una frase, musicale, facendola continuare verso... qualcosa, un non voler ancora finire, perché troppo bello, quasi perpetuo. Mi sono detta: “Non può essere così! È sbagliato!” Ma subito dopo: “Perché no?”. Succede nella musica, nel vino, e nella vita. Scoprire questo vino, accettare le sue deviazioni, mi sollevarono a un palmo dall’infinito". Potremmo concludere qui dopo queste parole davvero emozionanti, ma per dovere di definizione riportiamo anche la spiegazione dell'Enciclopedia Treccani riguardo la "Cadenza d'Inganno": "In musica: a. Formula melodico-armonica d’interpunzione (per es., le c. sospese, o d’inganno, che deviano lo svolgersi del discorso musicale in toni diversi dal previsto) e di conclusione (per es., le c. autentiche e le plagali, che risolvono il discorso musicale nel tono atteso). b. Passaggio virtuosistico (composto dall’autore o dall’esecutore e spesso improvvisato) che in alcune forme di carattere concertante (arie di bravura, concerti per soli e orchestra, ecc.) viene eseguito dal solista, specialmente verso la conclusione del pezzo". Per quanto riguarda la grafica in etichetta non viene concesso molto alla fantasia se non il nome del vino scritto su una rappresentazione di un foglio musicale. Attorno ad esso vediamo un design pulito, forse fin troppo semplice, con le menzioni di legge e il nome dell'azienda. Ma la storia delle cadenze basta a riempire di sensazioni e ricordi i potenziali acquirente e i clienti acquisiti.

Il Vino Motorino

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VRH, Chardonnay e Sauvignon, 
La Castellada.

packaging branding comunicazione vinoCosa può spingere un produttore (italiano) di vino a scegliere un nome come "VRH" che starebbe bene, forse, a uno scooter, a un trattamento antiparassitario, a un cacciavite, a un software per macchine che stampano circuiti elettronici, o cose così. Eppure è accaduto. Ecco qui. VRH, vino bianco Riserva Collio Doc. Oltre alla "teoria" la pratica: l'etichetta, invece di rendere meno evidente, il nome, la sigla, il trittico di lettere in questione, lo sbatte in faccia all'ignaro cliente a caratteri letteralmente cubitali. È per certi versi inspiegabile. Se non andando a rovistare nella toponomastica della zona (nella versione in lingua slovena) e scoprire che questa "parola" significa "cresta, crinale". Ma le perplessità rimangono. In Italia il 97% delle persone non potrebbe comprenderlo, all'estero ancora meno. Un omaggio alla generosa terra di confine tra Italia e Slovenia non giustifica l'adozione di un nome praticamente inservibile. Inoltre non si può non notare il fatto che le tre lettere in questione sono anche difficilmente intelleggibili a causa del carattere di scrittura adottato, di tipo non certo lineare. Insomma, una specie di autogol dal punto di vista della comunicazione. Alla base dell'etichetta troviamo il nome dell'azienda insieme ad altre tre lettere: "CRU", che in questo caso, logicamente, richiamano l'eccellenza dei vigneti come vengono definiti in Francia (ma qui siamo a Oslavia, in Friuli, in Italia, fino a prova contraria). 

Vini Variopinti in Memoria d'Artista

grafica branding concept marketing comuniazioneCinabro, Bordò (Grenache), Le Caniette.

marketing comunicazione brandingL'originalità delle etichette dei vini di punta dell'azienda Le Caniette non sta tanto nel design, che sia pure si presenta pulito e attraente, bensì nei nomi che sono stati attribuiti ai vini. Si tratta in pratica dei nomi dei colori che un tempo Michelangelo utilizzava per le sue opere (dipinti, affreschi) secondo quanto riferito dal biografo del grande artista, tale Ascanio Condivi, originario proprio di Ripatransone (Marche), sede della vitivinicola in oggetto. Le etichette si presentano quindi con il nome in grande su fondo monocromatico scuro. L'effetto ottico è molto evidente. La scelta del carattere votata all'eleganza grafica. I nomi, quindi, Cinabro, Nero di Vite e RossoBello, sono quelli che attorno al 1500 si utilizzavano per indicare le tinte dei pittori, spesso ottenute con intrugli di elementi naturali come foglie, radici, cortecce, rocce, terre, minerali. In particolare "Cinabro" si riferisce ad un colore che in parole attualizzate potremmo definire "vermiglio", in pratica un arancione molto vivace. Il vino in questione è un vino rosso, molto scuro, per cui non c'è collegamento diretto tra nome/colore e vino, bensì la volontà di caratterizzare i vari vini dell'azienda con dizioni distinte e iconografiche, nonché di notevole riferimento culturale e storico. Un altro vino con un nome/colore originale è il "Nero di Vite", questa volta attinente quanto meno alla pianta, vitis vinifera, che nutre i grappoli di Montepulciano e Sangiovese che finiranno in bottiglia. Si otteneva infatti carbonizzando i tralci di vite. 

Tracce Arabescanti in Sicilia, Anche nel Linguaggio

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Zabù, Nero d'Avola Terre Siciliane, Farnese Vini.

naming grafica concept etichette vinoHa davvero un nome curioso questo vino. Possiamo anche parlare di una gamma di vini con questo nome perché in effetti si tratta di un marchio. La "casa madre" è Farnese Vini e la marca sottostante è "Vigneti Zabù". Siamo in Sicilia ma nonostante la vicinanza con l'Africa questo nome non si riferisce al bovino che si chiama zebù, imparentato con bue, bisonte e bufalo. Apprendiamo dal sito aziendale, che esso riporta piuttosto all'arabo: "Adagiato su una collina, Sambuca di Sicilia si trova nella Valle del Belice dove una meravigliosa vegetazione circonda il paese, ricco di miti e di leggende locali. Le origini del nome (Zabù) provengono dal suo millenario fondatore, l’emiro arabo Al Zabuth "lo Splendido" che, proprio a Sambuca, aveva dato un grande impulso al rilancio dell’agricoltura". Insospettabile se non raccontato. Altra particolarità più tecnica di questa etichetta è quel filamento dorato che sale dalla lettera "b" (o scende, dipende da dove parte l'osservazione) rendendosi indipendente dal resto dell'etichetta, in pratica "uscendo" da essa. Il trucco si può comprendere vedendo la foto qui a destra: il filamento dorato è costituito da una patella trasparente più larga che facilita la sua applicazione sul vetro della bottiglia. Da notare anche l'elegante arabesco in rilievo meglio visibile nell'immagine qui a sinistra. Nel complesso... nessuna complessità: certo quel paio di soluzioni tecnologiche (il filamento, e l'arabesco) danno "spessore" qualitativo e comunicativo al packaging. La qualità del vino, logicamente, farà il resto.

Vola l'Ape Ecologica e Diventa Simbolo

Pinot Noir Letzenberg, Vincent Fleith.

Questo produttore alsaziano ha puntato tutto sull'ape. Ne ha fatto un simbolo, molto presente innanzitutto nel logo aziendale e quindi in ogni singola etichetta. Un'ape ronzante che si posa su diversi fiori per le diverse tipologie di vino. Si tratta di un produttore biodinamico, si intuisce, laddove l'ape sta diventando sintomo e non solo simbolo di ecosistema e di ambiente incontaminato. I ricercatori infatti dicono che dove ci sono le api non ci sono "veleni". E viceversa, naturalmente. Quindi la presenza di api nei vigneti è cosa buona e giusta. Per quanto riguarda la grafica delle etichette di Vincent Fleith, ultimo di una infinita generazione di viticoltori, a partire addirittura dal 1600, possiamo notare uno stile quasi infantile, illustrazioni da libri delle favole, ma senza esagerare. Diciamo una versione adulta di un disegno giocoso. Anche i colori meritano qualche considerazione: sono insoliti per una bottiglia di vino, soprattutto per questo Pinot Noir che abbiamo portato ad esempio e scelto tra le altre etichette della casa vinicola di Ingersheim. Il verde e il giallo, pastellosi, si fanno notare subito. Infine anche la scelta del carattere di scrittura è particolare: sottile, non perfettamente leggibile ma con una propria originalità e personalità. L'ape, come già detto all'inizio di questo post, è "regina", nel senso che il suo simpatico protagonismo non si può non notare.

Colpi di Sole con la Testa sulla Luna

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Cuvée Spaciale, Fleurie (Gamay), Domaine du Château de Grand Pré.

wine winedesign winelabels marketing comunicazioneDavvero un'etichetta speciale quella di questo Fleurie (Cru della zona del Beaujolais: nulla a che fare con il noto "vino novello"). Sovviene subito il gioco di parole tra "spaziale" e "speciale". Anche se in francese è facilmente intuibile. Sorprende il visual dell'etichetta, decisamente fumettoso, ironico, dissacrante nei confronti di un prodotto "serio" come risulta essere il vino di questa stimata azienda francese. Ma ci piace. Un astronauta, probabilmente sulla luna, che fugge con una mezza barrique sottobraccio. O forse se l'è portata dalla terra per evitare di dover rinunciare al nettare degli Dèi. In più, diciamo "non contento", l'astronauta sembra avere sulle spalle non le consuete bombole di ossigeno, bensì dei bottiglioni di vino. Insomma si tratta di un astronauta gourmet, come minimo, e davvero simpatico. Il tratto è "fresco", come si diceva prima, fumettoso, scherzoso, e la situazione, logicamente, fa il paio con il nome del vino, che richiama ad una spazialità speciale, o se vogliamo ad una specialità spaziale. Nota a latere: tutte le altre etichette della gamma di questo produttore sono serie, normali, usuali. Si tratta quindi in questo caso di un colpo di sole... o più probabilmente di avere un po' la testa sulla luna. Il ché non guasta, in certi casi.

Farsi Notare Tutto Sommato in Modo "Naturale"

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Grololo, Grolleau (o Groslot), Domaine Pithon-Paillé.

branding design mktg comunicazionenaming packaging grafica etichette vinoDi questa etichetta circolano in rete (e immaginiamo anche negli esercizi commerciali) ben tre versioni diverse. Dalla meno casta alla più pudica. A intuito può essere che la versione più osé sia stata destinata al mercato interno francese (dove il topless anche nelle spiagge è ormai accettato) mentre quelle censurate siano per il mercato americano e in generale per quello anglosassone. Il produttore ha base nella Valle della Loira e produce diversi vini. Questo rosso, dall'etichetta prosperosa, prende il nome dal raro vitigno "Grolleau", che pronunciato in francese diventa una specie di scioglilingua che fa: "Grololo". L'azienda è a regime di agricoltura biologica: forse è questo "fattore" che li ha indotti ad esprimersi in etichetta raffigurando due giovani fanciulle "come mamma le ha fatte". Tutte cose naturali. Il caso curioso riguarda le versioni diverse di etichetta alle quali probabilmente il produttore ha dovuto ricorrere per commercializzare il vino in paesi diversi, dovendo sottostare a conseguanti leggi e regolamenti diversi. 

L'Essenziale Visibile Agli Occhi

winedesign grafica marketing comunicazioneCopper Moon, Rosé, Andrew Peller Limited.

marketing branding communicationLa linea di vini contraddistinta da questo stile "asciutto e moderno" appartiene a una grande azienda canadese che produce e commercializza molti marchi. Si intuisce, anche vedendo il packaging delle altre linee di produzione, che il lavoro di ricerca attorno a questo tema è stato condotto con attenzione e professionalità. In particolare, questa etichetta, che rientra nella linea "Copper Moon", ci ha colpito per una semplicità che si potrebbe definire "sintesi emotiva". Molto lineare, spaziosa, monocromatica, dove anche i particolari delegati al "simbolo" vengono risolti con "rapidità di esecuzione". Valga l'esempio della luna (di rame), che viene tracciata semplicemente con qualche cerchio, con uno scarabocchio come quelli che fanno i bambini piccoli, ai primi approcci con le matite. Viene aggiunta solo una piccola stella raggiante in basso a destra a rappresentare l'infinità del cielo. La scritta "moonlight harvest" rafforza il concept e il rational riguardo alla chiamata in causa della luna. E' un tema frequente questo della vendemmia notturna "sotto la luna" e i suoi buoni influssi e auspìci. In questo caso viene trattato con una leggerezza che non è superficialità bensì enfasi ed eleganza grafica.