Un’Etichetta DecoRosa

Rosa, Nerello Mascalese e Nocera, Donnafugata.


E’ più forte Dolce & Gabbana (come marchio) o Donnafugata? E’ un bel match. E su questa etichetta vengono esposti entrambi, con il medesimo “peso” grafico. Alcune considerazioni: nel vino, finora, non sono stati tentati molti esperimenti come questo, nella realizzazione di versioni speciali, “sospinte” da testimonial molto noti. Possiamo parlare forse di comarketing? Certo che il marchio Dolce & Gabbana, essendo posizionato in alto, potrebbe avere la prevalenza (oltre al fatto che ha maggiore notorietà in generale, e su questo non ci piove). Il marchio fashion dà prestigio al marchio vinicolo o gli toglie visibilità e quindi attenzione? Il consumatore acquisterà la bottiglia perché viene, diciamo così, supportata dai due noti stilisti siciliani o perché lo produce Donnafugata? Sarebbe bello poter condurre una piccola ricerca in merito. Il nostro parere è che l’abbinamento in questione è rischioso. In termini di comunicazione. E l’etichetta? Il nome “Rosa” passa via quasi inosservato. E per quanto riguarda il design, più che decorativa potremmo definirla decorosa. Si fa notare, certo, ma forse ci si poteva aspettare di più da una simbiosi di grido come questa.

Eleganza Austera ma Vera

Lagrein “von Boden”, Pfannenstielhof.


Piccola cantina famigliare altoatesina che lavora bene con la comunicazione. Il sito web è semplice e ben organizzato così come appaiono semplici e immediate le etichette dei vini che sono il primo biglietto da visita di una azienda vitivinicola. Vediamo i dettagli del packaging, in questo caso del Lagrein. Non abbiamo un nome del vino chiaramente identificabile, se non quel “von Boden” alla base dell’etichetta che funziona più da specifica che da nome (infatti significa “dal piano”). Notiamo in prima battuta, in alto, il nome dell’azienda, in oro, spezzato in due: Pfannen stielhof. Spesso il problema di queste cantine altoatesine, di base in lingua tedesca, è la leggibilità al di fuori dei confini locali. Il “corpo” del design è formato da due zone di colore, azzurro e bianco. Una illustrazione fa da “spartiacque” definendo sia un profilo montano, sia le sinuosità dei pampini di vite. Un grappolo centrale sancisce l’importanza del frutto. Si tratta di un elaborato semplice ma piacevole. Gli elementi sono graficamente eleganti e di buon impatto. I caratteri di scrittura sono moderni e assolutamente ben leggibili. Da notare, sulla parte superiore del vetro della bottiglia, un decoro in rilievo che ripete il grappolo centrale su carta. Ben fatto.

Uccellacci, Uccellini: un Simpatico Nido Cromatico

En la parra, 
Bianco D.O. Valencia, 
Bodegas Nodus.

Avere un nido di uccelli in testa, nei modi di dire, può significare avere tanti pensieri così come avere dei capelli crespi particolarmente ribelli. Non sappiamo quale immagine concettuale abbia guidato la realizzazione di questa strana etichetta, ma possiamo dire che il risultato è impattante. Anche perché il “nido” in questione è un bouquet di fiori colorati e gli uccelli sono delicati colibrì. In sostanza lo stile compositivo tra fotografia e illustrazione risulta originale e attraente. L’espressione della donna, depositaria del “nido floreale”, è simpatica e lascia sospesa la percezione: ognuno immaginerà una storia diversa e nel frattempo osserverà e probabilmente acquisterà la bottiglia. Siamo in Spagna, zona di Valencia, si tratta di un vino bianco dove Chardonnay e Moscatel partecipano in parti quasi uguali. Il regime agronomico è biodinamico. Il nome del vino, “En la parrà”, significa “nella vigna”, alcuni lo traducono con “pergola”, potrebbe essere “sotto la pergola”. Sarà che gli uccelli sono golosi di uva matura e spesso rappresentano un rischio per i viticoltori, sarà che Hitchcock ha contribuito a far odiare i volatili con uno dei suoi famosi film, comunque a noi quell’allegro svolazzare a caccia di nettare non dispiace.

Terra e Luna in California

Lapis Luna, Pinot Noir.

Sognante, romanzesca ma anche, a suo modo, trasgressiva questa etichetta. E quindi interessante. Si tratta della bottiglia di un Pinot Noir californiano che attira l’attenzione quasi più per il retro-etichetta che per il fronte. Ma andiamo con ordine: davanti vediamo un angioletto in adorazione della luna. Lo stile dell’illustrazione è molto particolare. Antico nei tratti, moderno nella proposta di colori intensi. Il nome del vino e del produttore stesso è “Lapis Luna”, così spiegato nelle pagine web: “Lapis Luna translates to “stone” and “moon.” Our labels bring to life 400 year old copperplate engravings to depict the relationship between the earth (stone), the moon (luna), and the affect she has on us.
On our label, the heroes are depicted striving to connect with the moon and looking to it for inspiration, just as we do when creating our wines. Lapis Luna is the effect of the moon on our California grapes”. Detto questo, diamo un’occhiata al retro dove troviamo un’altra illustrazione “forte” con una iscrizione, un motto, una citazione che invita al progredire. Il tutto all’interno di un progetto organico ed organizzato. Teste pensanti in California. Complimenti.

Il Rosa e il Grigio in un Bianco

Griso Venèxian, Pinot Grigio, JakoWine.


Il simbolo di questa azienda veneta è un esotico fenicottero. Il volatile non è certo originario delle colline veronesi ma, nel tempo e nel mondo, si è guadagnato simpatia e attenzioni. Sarà per il colore rosa del suo piumaggio, più o meno acceso secondo latitudini e alimentazione (del volatile stesso). Ed è proprio il rosa della sua livrea che sollecita il nostro commento a questa etichetta dove il fenicottero risulta senza dubbio protagonista. Il vino in questione si chiama “Griso Venèxian”, accezione dialettale facilmente comprensibile, almeno in Italia. Si tratta quindi di Pinot Grigio delle Venezie, vino catalogabile come bianco, che nella migliore delle ipotesi alla vista potrebbe risultare ramato, in conseguenza di una eventuale macerazione leggermente più lunga delle uve. Dove sta il problema? Nel fatto che tutto quel rosa in etichetta potrebbe far pensare a un vino rosato. Deludendo magari le aspettative del consumatore una volta versato. Insomma, il fenicottero è molto bello ma probabilmente fuorviante. Ignota l’origine del nome aziendale “Jako ”, per altro nota marca di abbigliamento sportivo.

A Piedi Nudi dall’Austria

Sauvignon Blanc, 
Weingut Rebenhof, 
Hartmut Aubell.

A volte gli austriaci sono simpatici. O forse sono simpatici i viticoltori. Di tutto il mondo. Fatto sta che questa semplice etichetta di un Sauvignon Blanc d’oltralpe (dall’altra parte, verso est) attira l’attenzione. Si vedono solo dei piedi, o meglio, le orme di una camminata a piedi scalzi, su fondo marrone (terra). In alto il nome del vitigno, in basso una frase: “Dedicato ai miei vigneti”.  Due cose emergono da questa breve ma non semplice analisi: i piedi come segno di “genuinità”, il passo lieve e naturale del vignaiolo, e una dedica davvero bella: un vino viene dedicato ai vigneti, proprio come se fossero dei figli. E probabilmente per Hartmut Aubell, il titolare dell’azienda, lo sono per davvero. Semplicità e simpatia, quindi. Con un pensiero sincero. Con una dedica. Pochi elementi ma ben pensati e proposti in modo diretto, serio e al tempo stesso giocoso. Essere seri giocando, o meglio, giocare ma mantenere una certa serietà, non è da tutti.

Vitigni Recuperati che Meriterebbero una Veste Nuova

Naigartèn, Gradizzolo.


Di bello questa etichetta ha lo stimolo a scoprire il racconto del vitigno che si manifesta attraverso uno strano nome, “Naigartèn”. Altro non è che il dialettale (emiliano) di Negrettino, antica uva locale, per molto tempo abbandonata e “rinverdita” da questa piccola azienda che si trova a Monteveglio, sulle colline bolognesi. Ma torniamo all’infelice etichetta. Il packaging è davvero ridotto ai minimi termini: due fasce laterali bianche riportano, a destra, il nome del produttore Gradizzolo, e a sinistra quello del vino (ripetendo, diciamo inutilmente, “Naigarten” visto che si legge già nella parte centrale). Al centro un fondo bordeaux chiaro con un fiore stilizzato in alto (logo aziendale) e un quadrato dove viene riportato, spezzettato, il nome del vino. Stop. Dire essenziale è un complimento. Diciamo che la nota cromatica tendente al rosso potrebbe attirare l’attenzione. Subito dopo la sensazione è quella di trovarsi di fronte a un’etichetta che non trasmette un minimo di emozione. Non rimane che libare ai lieti calici!

Etichette da Collezione per Asini Acculturati

Diffidente, Vermentino di Sardegna, Tenuta Asinara.


Molto interessante la trama comunicativa di Tenuta Asinara: tutto è basato su un protagonista “storico” e diciamo pure culturale della Sardegna: il “ciuchino”. Ma non si tratta del solito asino: l’azienda infatti ha anche un allevamento di asinelli bianchi, tipici dell’Isola Asinara (proprio di fronte alla sede aziendale), che si dice siano arrivati, un tempo, da un vascello proveniente dall’Africa, ivi naufragato sugli scogli. Ma torniamo ai giorni nostri: il riottoso quadrupede viene ritratto già nella homepage del sito aziendale, e poi viene reiterato nelle etichette. Partiamo dai nomi dei vini, che in piena sinergia con tutto il resto, descrivono alcune caratteristiche dell’animale eletto a simbolo dell’azienda: Diffidente, Birbante, Indolente. Nell’etichetta mostrata qui a sinistra abbiamo il Vermentino, bottiglia che ha anche un’altra interessante caratteristica: viene prodotta con 6 etichette diverse, “da collezione” dice il produttore nel sito web, che in sostanza propongono l’asinello (disegnato a cartoon) in 6 pose diverse. Scelta che incrementa la simpatia verso la mascotte e naturalmente ben predispone verso i prodotti dell’azienda e nei confronti del brand.

La Purificazione delle Etichette

Kàtharsis, Piceno Superiore, 
Az. Agr. San Filippo.

Dopo aver inanellato una serie di etichette “normali”, in alcuni casi anche abbastanza anonime, questa piccola azienda del Piceno sorprende tutti con una nuova serie di packaging dall’aspetto molto interessante, oltre che coraggioso. Il territorio è quello di Offida, terra di Pecorino (il vino) e di altre uve autoctone di pregio. Il vino di cui presentiamo l’etichetta (ci scusiamo per la scarsa qualità dell’immagine ma per ora è l’unica disponibile in rete) è un blend di Montepulciano (d’Abruzzo) e Sangiovese, e si distingue, oltre che per il design, anche per il nome: “Kàtharsis”. L’origine greca di questo nome è nota: deriva da kathairo, cioè “purifico”. Per farla breve, secondo Aristotele la catarsi è la purificazione dalle passioni. Non approfondiamo, il vino può certamente considerarsi una passione, dalla quale di solito non ci si vuole liberare. Sta di fatto che il nome è evocativo, misterioso, colto, magnetico. Così come l’etichetta con quella macchia di territorio ben rappresentata, in pratica, con un buco nella carta dell’etichetta. Nient’altro salvo le coordinate geografiche dell’esatto punto dove sono collocate le vigne. Possiamo parlare quindi di modernità cartotecnica in cultura ellenica. E di una certa purezza del design.

Grilli Viniferi in Terra Romagnola

Rapatà, Cabernet Sauvignon e Merlot.

Il nome dell’azienda è particolare: Rapatà. Ne ignoriamo l’origine. Il claim è: “Vini di pianura”, non molto valorizzante, ma tant’è, contenti loro. Le etichette non sono male, si fanno notare con toni cromatici forti e non comuni. Quella che riportiamo qui a sinistra è quella del Cabernet (con Merlot). Gli altri vini in gamma hanno la livrea blu cobalto (blend di Merlot e Cabernet che si chiama “i Grilli”) e giallo terra di Siena (blend di Trebbiano e Pinot Bianco che si chiama “Le Lucciole”). La nostra attenzione è stata attirata da quello strano grillo che è stato posizionato al centro dell’etichetta (e che funge anche da logo aziendale): sulle sue antenne si stagliano grappoli d’uva dorati. Il disegno è particolare: ci si potrebbe intravvedere anche un cavatappi, con un po’ di fantasia. Fatto sta che l’etichetta attira l’attenzione. Certo, non a tutti piacerà vedere un insetto sulla propria tavola, ma di certo non manca originalità. Un altro claim, ripetuto nel sito web è: “Poche bottiglie ma buone”. Infatti la produzione di questo vino si limita a 200 bottiglie da 0,75 e 50 magnum. Prosit!

Il Sogno in una Bottiglia

Bayamore, Blend di Rossi, Firriato.


Ha un nome particolare, compòsito, questo blend di Firriato, nota azienda siciliana. Un nome che comprende un inizio in inglese “bay” e un seguito in italiano “amore”, sia pure con una parola conosciuta ormai in tutto il mondo. Potremmo tradurre con “la baia dell’amore” e il romanticismo ci sta tutto, considerata anche la sagoma di una sirena che si scorge alla base dell’etichetta, proprio sopra al marchio. L’esperimento è ben riuscito: il nome è originale, curioso, con stereotipi “reinterpretati” quindi ravvivati nel loro incedere comunicativo. Originale anche la dicitura “Rosso di Rossi” per dire che il vino si compone di tre vitigni, Merlot, Sirah e Frappato (esiste anche un Bayamore bianco con la dicitura “Bianco di Bianchi” prodotto con Grillo, Inzolia e Viognier). Il design è equilibrato e ben studiato: in alto il volo di due gabbiani, in basso gli scogli che fanno da “base” per il nome aziendale. Si tratta sia pure di vini di fascia bassa, ma il sogno c’è.

Ogni Riccio un Capriccio


CapRiccio, Rosato,
Le Pòggiola. 

Il packaging non è un gioco. Ma qualcuno, per fortuna, decide di non prendersi troppo sul serio. Nascono etichette e parole scherzose che riescono ad attirare l’attenzione con simpatia. E’ questo il caso di una piccola realtà biologica toscana, con agriturismo e altre attività, che per il proprio Sangiovese in versione rosato (con l’aggiunta di una piccola parte di Canaiolo) propone un nome “capriccioso”. Insomma un gioco di parole: “CapRiccio”, dove la seconda parte del nome viene confermata dall’immagine del simpatico animale appuntito. Nel sito del produttore, il vino stesso viene definito come un capriccio, un’idea fuori dagli schemi (in questo caso perché frutto di vigne molto giovani), un obiettivo da raggiungere per dare soddisfazione in parte all’ego, in parte alla voglia di sperimentare. Ma non è finita qui: l’azienda si chiama “Le Pòggiola”, proprio così. Sembra un errore e invece la stranezza viene così spiegata nel sito web: “Le Pòggiola è un plurale irregolare che deriva dall’insieme di 5 poderi che in Toscana vengono detti poggi”. I Toscani sono simpatici, si sa. E anche noti per produrre ottimo vino e per avere allegria “da vendere”.

Un Bouquet di Fiori Primaverili

Fiorile, Rosato da Sangiovese, Tìaso.


La primavera è una profusione di colori, soprattutto grazie ai fiori di campo, così semplici e così “esplosivi”. Come dei fuochi d’artificio. E dev’essere stata questa l’idea alla base di questa etichetta: far esplodere la voglia di freschezza, di allegria, di natura, di conviviale giovialità. Giove c’entra, eccome: questo rosato è prodotto con uve sangiovese coltivate a 300 mt. sul livello del mare, nei pressi di Scansano dai “bioviticoltori” (così si definiscono) dell’azienda Tìaso. I vini prodotti sono solo 4, per ora. E l’etichetta più bella a nostro parere è questa. Il vino si chiama “Fiorile” in perfetto connubio con l’illustrazione (acquerello) che si fa notare proprio “a tutto campo”, ad opera dell’artista salentino Egidio Marullo. Il logo dell’azienda è un po’ enigmatico ma si confonde, quasi non si vede, in mezzo a tutti quei fiori e colori. Non la mettiamo nella hit-parade delle etichette, ma un buon voto lo prende, se non altro perché anche l’occhio vuole la sua parte.

Cose Strane ma Belle in Gallura

Strano, Vermentino di Gallura, Azienda Agricola Strano.


Sarebbe troppo semplice citare una famosa battuta della cinematografia popolare italiana: “o fàmo strano” e chiuderla lì. Invece qui siamo di fronte a un po’ di sana creatività (in parte goliardica, che non stona). Innanzitutto il sito del produttore è molto semplice, ma anche chiaro e funzionale. Senza tanti fronzoli parla dell’unico vino per ora in produzione in azienda e dei suoi artèfici (madre, padre e figlio). Il nome del vino è il frutto di una facile ma anche simpatica intuizione: la famiglia si chiama Strano. Abbiamo Gianluca Strano (il figlio che ha preso le redini dell’impresa), papà Salvatore e mamma Elisa (che ha il proprio cognome ma logicamente è stata annoverata tra gli Strano). Oltre allo “Strano” nome dobbiamo tessere le lodi anche della elaborazione grafica che lo rappresenta: la “A” è rivoltata e insieme alla “N” si presenta con un colore diverso, in bronzo dorato. Design moderno, elegante, centrato. Sopra al nome un decoro tipicamente sardo, anzi, gallurese, vista la zona di elezione dove crescono le uve di questo Docg. Il logo aziendale e il relativo pay-off lo vediamo qui sotto: “diverso, unico è strano!”. Avremmo messo una maiuscola e una virgola in più ma si capisce lo stesso. La simpatia supera la grammatica e la batte di slancio. A questo proposito citiamo solo una frase di presentazione del produttore: “Dopo una notte di alcool senza donne, decide di investire nella sua vigna i soldi risparmiati dal barbiere” (con propria foto e testa pelata). Insomma, una bella scoperta in termini di comunicazione. E siamo sicuri che anche il vino gioca la sua parte.