Isole Ventose e Piccoli Produttori Giocosi

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Nantropò, Ansonica Passito, Fontuccia.

Sull'origine di questo nome non ci sono dubbi: si tratta di una accezione dialettale toscana che chi è italiano può facilmente intercettare: "ancora un po'", proprio quello che si dice quanto si assaggia qualcosa di buono e se ne desidera ancora. Il concetto, per un passito soprattutto, è perfetto: poco ma buono. Un bicchierino tira l'altro, si potrebbe aggiungere. La produzione è davvero piccola come l'azienda che se ne prende carico. Siamo sull'Isola del Giglio, piccoli appezzamenti assolati e battuti dal vento. Una fornitura che probabilmente si esaurisce entro i confini regionali e quindi non ha ambizioni di export, dove il nome dialettale andrebbe spiegato bene. Risulta comunque musicale e simpatico: la fonetica di "Nantropò" è giocosa, la pronunciabilità invece è difficoltosa a causa della prima parte "nantro", difficile anche per un italiano. Guadagna di nuovo favore sul terreno della memorbilità grazie, appunto, alla sua simpatia. Bello (e si conferma giocoso) il carattere di scrittura del nome, caldi i toni dell'etichetta che presenta una raffigurazione stilizzata, probabilmente delle vigne a mare o forse la prora di una barchetta. Il vitigno, abbastanza raro, conferma e consiglia una fruizione parsimoniosa del nettare in questione: "Nantropò", ma senza esagerare!

Fragole, Sambuco, Gelso, Pere, Banane, Viole e... forse Uva!

Merlot, Cabernet, Refosco e altri vini, Visintini.

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L'azienda Visintini di Corno di Rosazzo (Udine) ha creato un'ampia gamma di vini dedicando alle loro etichette dei disegni di frutti, piante, fiori. Un classico degli erbari illustrati di un tempo. Belle esecuzioni che richiamano fortemente alla memoria la varietà ivi mostrata. Questo è solo il primo dei problemi, a nostro modesto avviso, quello che una pera in etichetta o un limone o una banana in possa influenzare mentalmente la percezione del gusto di quel vino, anche se la sua funzione sarebbe proprio quella di richiamare l'aroma di quel vegetale (poi sul fatto che in un vino si possa ritrovare veramente un aroma di banana o di peperone verde o di vattelapesca potrebbe essere materia da lunghe serate). Il fatto è (l'altra questione) che etichette di questo genere richiamano anche altri mondi, altri consumi, altri prodotti come le grappe aromatizzate, i genepì, gli infusi a base di erbe, le marmellate, le conserve, i distillati, etc. etc. Insomma potrebbero rivelarsi poco adatte a vestire un vino che pur sempre di uva e solo di quella è fatto. Prenderà "sentori" di rosa, forse, di pompelmo e di chissà quale altro strano frutto tropicale (che alle nostre latitudini non si vede nemmeno dipinti) a detta di qualche sommelier dal piglio narrativo, ma dentro ci sono acini d'uva (cliccare sulle immagini per ingrandirle).
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L'Accorata Sensualità di una Cartotecnica Originale

concept grafica comunicazioneSensuale, Moscato Basilicata Igp, Vigneti del Vulture 
(Farnese Vini).

marketing immagine comunicazioneLa particolarità di questa etichetta? Che è "bucherellata". Una lavorazione cartotecnica che certamente può incuriosire. Oltre al fatto che protagonista del packaging design è un grande cuore. E cosa dire del nome? "Sensuale". Una chiara dichiarazione di intenti comunicativi, per puntare tutto sulla relazione di coppia, dove il vino in questione, un moscato, gioca le sue carte con l'aromaticità, la soavità, la musicalità delle sue sfumature organolettiche. Concettualmente, nome e design, vanno a braccetto grazie a quel "vedo e non vedo" generato dal bianco cuore traforato che lascia intravvedere il colore del vino. Quasi a simulare, solo per fare un esempio, una biancheria di pizzo dalla trama sibillina e poco coprente. Ma a parte tutto, si tratta di un'etichetta sicuramente originale, destinata a suscitare attenzione e probabilmente anche nuove vendite, in una logica da cupido per chi vuole conquistare l'anima gemella e da innamorati per chi l'ha già trovata. Restano da decidere gli altri particolari da mettere in tavola, ma insomma con un vino "Sensuale" si è già a buon punto per la serata.

Arte Extrema Ratio

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Verdiso, Colli Trevigiani Igt, Zanotto.

Il vino che questa etichetta rappresenta viene ottenuto da un vitigno autoctono abbastanza raro: il Verdiso. Ma questo non giustifica l'utilizzo di tratti insoliti nel packaging design. Insolita (e artistica) è infatti la raffigurazione di un nudo di donna, di colore azzurro, con una traccia grafica volutamente approssimata e dall'effetto finale inquietante. In piccolo si fa riferimento ad una "Zanotto Art Collection". Come in molti altri casi si tratta di "etichette d'artista" che si esprimono con diversi soggetti (questo vino infatti ha altre due etichette "sorelle", una con un volto di un ragazzo e l'altra con un viso di donna). Quella che stiamo analizzando, qui riportata in alto a sinistra, è particolarmente aggressiva nello stile proposto. Poco adatta a un vino, si potrebbe dire, anche nel caso si volesse adottare una trama concettuale trasgressiva. Si salva l'impaginazione, ordinata, dai caratteri di scrittura moderni e fruibili. Incisiva e opportuna la spiegazione del vitigno nel testo. Si registra per altro l'assenza di un nome vero e proprio. Forse a voler valorizzare in nome e quindi l'originalità del vitigno in questione.

La Magia del Magenta e dell'Unità d'Italia

packaging branding comunicazione Magenta, Soave Doc, Noûs Cooperativa Vino Nuovo.

naming branding comunicazioneCi sono due nomi interessanti da "esplorare" in questa etichetta: il nome aziendale "Noûs" e il nome del vino "Magenta". Partiamo dal primo che oltre ad esporre l'evidente significato di “noi” in francese (sembra sia stato adottato in quanto la cooperativa ha diversi soci in Valle d’Aosta, regione bilinguista, trascurando in questo modo i numerosi soci siciliani, aggiungiamo noi); "Noûs" è una parola che proviene dal greco e significa anche "intelligenza divina che governa il mondo". Il concetto di intelligenza divina collima in un certo senso con il mood filosofico della cantina in esame che come viene affermato nel sito "nasce con lo scopo di valorizzare i vigneti gestiti con tecniche naturali all'avanguardia che si ispirano alla fisica quantistica". Passando al nome del vino, "Magenta", uno dei colori primari per la stampa, Wikipedia dice che "Il colorante magenta fu messo a punto nel 1859 da Francois-Emmanuel Verguin ossidando l'anilina grezza con cloruro stannico. Il nome venne dedicato alla battaglia di Magenta, sfruttando il nome della città che all'epoca era diventata famosa per le vicende legate alla seconda guerra d'indipendenza". Sulla città di Magenta, a parte il fatto, molto importante, che da lì, dopo la famosa battaglia, iniziò la costruzione dell'unità d'Italia, Wikipedia aggiunge: "Il toponimo Magenta è attestato fin dal XIII secolo nella forma Mazenta. Il Salvini lo associò a Maggenga in riferimento alla produzione di fieno. L'Olivieri la mise invece in relazione al toscano Magento (nei dintorni di Montemurlo), da un nome di persona Maggente o Magentus (latino Magius), oppure al piemontese mazènt, da masentè, "fare il massaio di casa", derivato dal latino mānsum, "dimora" o anche "luogo di sosta" prima di attraversare il confine naturale del Ticino". Tutto questo per testimoniare anche quanto è complesso l'etimo, cioè l'origine di certi nomi. Di fatto possiamo constatare che l'etichetta di questo Soave Doc, è effettivamente di color magenta, con temi grafici molto ottici, di buona fattura, attenzionalità e originalità, anche se non spicca per creatività.

Scarabocchi Informali all'Opera

Opera Prima, Barbaresco, Roagna.

Certo si fa notare questa etichetta, se non altro per la diversa indole rispetto a quanto si può vedere, di solito, nelle Langhe. Ma anche per i suoi cromatismi acrobatici. Per non parlare dell'elaborato grafico. Ma prima di esprimere un parere compiuto, per cercare eventuali "ganci concettuali", vediamo cosa dice il produttore su questo vino: "Opera Prima è nato alla fine degli anni settanta da Alfredo Roagna, con l’idea di assemblare ottime e diverse annate di Nebbiolo da Barbaresco, in modo da ottenere un vino che si possa fregiare delle eccellenze ottenute dai diversi millesimi". Un assemblaggio, dunque. Un miscuglio, una trama, un incrocio di uve (del medesimo vitigno, il Nebbiolo, e della medesima zonazione, Barbaresco). Desta curiosità, inoltre, anche il numero romano che si posiziona sopra al nome, in questo caso XVIII. Su questo particolare, il produttore, in modo non completamente esplicativo, si esprime così: "Nel corso degli anni gli assemblaggi variano da un minimo di due ad un massimo di quattro diverse vendemmie di viti vecchie di Nebbiolo dei diversi vigneti. Opera Prima porta un numero romano di riconoscimento a partire dalla Opera Prima III". L'idea di prodotto è ottima e originale: i migliori millesimi di Barbaresco, affratellati in un unico vino. E, come detto all'inizio, anche l'etichetta colpisce per un certo eclettismo. Ma qualcosa non convince. Saranno quegli scarabocchi di colori diversi, probabilmente a rappresentare la commistione dei vini, sarà l'estrema essenzialità, chiamiamola pure semplicità irrisolta, dell'impaginazione. Fin troppa informalità. Se questa è stata l'intenzione iniziale.

Una Nobiltà di (Discutibili) Intenti

packaging branding comunicazioneN - Pinot Grigio - Nobiltron

Non ne siamo sicuri ma sembra che questo vino si appelli semplicemente "N". Almeno questo lascia intuire l'etichetta dove una grande lettera, divisa in quattro settori, domina la scena. Sulla grafica torniamo più avanti perché c'è il nome aziendale da analizzare: "Nobiltron". A primo suono sembra uno di quei personaggi di qualche impero spaziale stile Guerre Stellari. Pensandoci bene probabilmente le intenzioni del produttore sono state quelle di esprimere (o almeno di tentare di farlo) il concetto di "nobile" e di "trono". Uniti insieme in un discutibilissimo "Nobiltron". Da notare anche che nel sito, sotto al nome aziendale Nobiltron Vini c'è anche un'altra dicitura: VIP, Vinery Italian Perlage. Definizione che, per altre ragioni, lascia ugualmente perplessi. In pratica, il tentativo di dare un guizzo di modernità anglofona, forse per puntare ai mercati esteri, risulta come minimo problematico. La fonetica, in questo caso, è il problema maggiore: come detto prima "Nobiltron" riporta a mondi diametralmente opposti rispetto alla tradizione vinicola italiana. Infine, per quanto riguarda il design, la cromia, l'impaginazione dell'etichetta, dobbiamo dire che il lay-out è interessante (originale la suddivisione in quattro rettangoli) ma l'elaborato finale risulta inutilmente sfarzoso, ai limiti del kitsch.

Nomi Duri e Spergiuri

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Ricatto, Chianti Classico, Maretti 
(Fourth Wave Wine).

Questa azienda australiana (distributore) che ha "in carta" anche un marchio che si chiama "La Vendetta", ha pensato di denominare "Ricatto" il proprio Chianti Classico (a marchio Marotti). Si tratta di un vino, sia pure ufficializzato con la fascetta Docg, destinato in prevalenza al mercato estero. Ma anche se fosse unicamente venduto in Australia, non ci vuole molto oggi con gli strumenti digitali a cercare la traduzione di "Ricatto" da parte di un curioso estimatore. Per scoprire così che la definizione non è propriamente onorevole. Un ricatto infatti, è un evento molto negativo e chiunque lo promuova o lo subisca non offre certo una buona immagine. Forse l'intento dell'azienda è stato quello di cercare assonanze italiche che possano ricordare Enotria e la Toscana (il nome della regione vinicola del centro Italia è infatti posto in grande evidenza alla base dell'etichetta). "Ricatto" è un nome che risulta anche molto "duro" nella costruzione fonetica, a causa della "r" iniziale, della "c" e delle due "t" nella sillaba finale. Un duro ricatto, insomma. Sperando che non rappresenti il prezzo del vino in modalità "prendere o lasciare". Il giudizio finale al consumatore, certo. Ma la base di partenza non ci pare condivisibile.

Giocare le Carte Giuste per Distinguersi dalla Concorrenza

branding packaging marketing comunicazioneCasanova di Nittardi, Chianti Classico, Nittardi.

Per la precisione si tratta di un vino prodotto grazie alle uve coltivate nella "Vigna Doghessa", accezione della quale non abbiamo traccia storica ma che allude chiaramente a una Gran Dama del tempo passato, di lignaggio e voluttà importanti. Il nome del vino è propriamente "Casanova di Nittardi" ove Nittardi è la denominazione dell'azienda vitivinicola in questione. Interessante la sua storia, descritta nel sito della proprietà: "La Tenuta di Nittardi, era in origine una torretta di difesa nota sin dal XVI secolo con il nome di “Nectar Dei”. Nel XVI secolo fu proprietà del celebre artista rinascimentale Michelangelo Buonarroti che nel 1549, mentre si trovava a Roma per dipingere la Cappella Sistina, pregò suo nipote Lionardo di inviare a Roma delle bottiglie di vino di Nittardi da offrire a Papa Giulio II come “dono genuino”, sostenendo egli stesso di preferire “due botti di vino, piuttosto che otto camicie". Passando all'odierno, il vino qui preso in esame si distingue certamente per la sua livrea, diversa ogni anno, con una particolarità in più rispetto alla norma: "Per rendere omaggio a Michelangelo ogni anno un artista realizza due opere, una per l’etichetta ed una per la carta seta con cui viene avvolta la bottiglia stessa. Dal 1981 si sono succeduti nomi illustri del panorama d’arte internazionale tra cui spiccano Hundertwasser, Horst Janssen, Giuliano Ghelli Yoko Ono, Mimmo Paladino, Günther Grass, Dario Fo, Karl Otto Götz e Alain Clément". A parte le opere, arte contemporanea, che possono piacere o non piacere, la particolarità è quella di creare anche una carta speciale dove vengono avvolte le bottiglie. Aspetto elegante (e protettivo) che sempre più raramente viene adottato dalle aziende vinicole, sia pure di fronte a un costo aggiuntivo irrisorio (la produzione delle carte).

Un Dolce Richiamo Stellato

branding concept marketing comunicazioneCiel d'Oro, Malvasia (aromatica) di Candia, Castello di Luzzano.

marketing branding grafica comunicazione winelabelsL'azienda vitivinicola (e non solo) guidata da Giovannella Fugazza si distingue da sempre per una scelta di nomi, dedicati alla propria gamma di vini, davvero originali e soprattutto dotati di quella scintilla in più che attiene all'intelligenza emotiva. Si tratta proprio di scintille nel cielo, in questo caso, per il passito a base Malvasia di Candia (splendido vitigno, adatto proprio alla produzione di nettari da fine pasto o "da meditazione"): "Ciel d'Oro" il suo nome, a sancire, con il riferimento all'oro, la preziosità e anche la cromaticità del prodotto. Ma non solo. Nel sito aziendale scopriamo l'origine culturale, artistica, storica di questo nome e qui riportiamo le parole del produttore: "Le emozioni di raffinata eleganza bizantina, che si provano nell’ammirare il “cielo in oro” che orna il Monastero di San Pietro in Ciel d’Oro di Pavia, antico proprietario delle terre di Luzzano, si ripetono perfettamente nelle mille sfaccettature che offre la degustazione di questo vino". Scintille di luce, visive, che si trasformano in lapilli di gusto, sulle papille. L'arte diventa vino, come da millenni a questa parte.