Santo il Signore Dio dell'Universo (e del Vino)

packaging grafica advertising marketing branding
Rosé Extra Brut, Santus Vignaioli in Franciacorta.

"L'essenziale è invisibile agli occhi..." scriveva Antoine de Saint Exupèry, e c'è davvero molto di essenziale in questa etichetta. Molto e nulla: una scritta, un fondo colorato, caratteri squadrati. Un nome: Santus. Nell'Italia cattolica che influenza e al tempo stesso attinge nelle tradizioni contadine, "Santus" riporta subito al "Sanctus" delle celebrazioni eucaristiche. "Preghiera di lode, con le parole dell'Inno dei Serafini udito nel tempio di Gerusalemme dal profeta Isaisa (6.3) nella visione inaugurale del suo ministero. La parte iniziale si trova anche nell'Apocalisse (4.8)" ci informa Wikipedia. E invece... invece in questo caso si tratta del cognome dei uno dei soci fondatori della cantina, Maria Luisa Santus che (insieme a Gianfranco Pagano, entrambi agronomi) dal 1995 si è dedicata alla produzione di Franciacorta Docg. Si tratta di un nome "forte", affermativo, liturgico, carismatico, giocato graficamente con semplicità ma anche statuarietà classica. Cioè con quella semplicità che "sa il fatto suo", che è così sicura di sé al punto di non avere bisogno di dimostrarlo. Serve affermarlo, quello sì. Tutta la linea dei vini spumantizzati (Metodo Classico) di Santus "Vignaioli in
etichette naming grafica marketing branding
Franciacorta" (questo il nome ufficiale del produttore) si chiamano Santus, con le necessarie specifiche Brut, Satén, Rosé. Ma una piccola critica la vogliamo fare? Soggettiva, certo. La modalità di scrittura del nome: spezzato. Cioè su due righe: SAN e poi TUS. Ma nella grafica "lapidaria" (in senso di sintesi) di questa etichetta può essere plausibile. La leggibilità innanzitutto, ma anche e soprattutto il concetto e la sua percezione, chiara e forte, sono molto spesso determinanti.

Nuove Teorie (messe in Pratica) del Marketing del Vino

packaging grafica branding marketing comunicazione
9.99, Ruchè di Castagnole Monferrato, 
Cantine Sant'Agata.

Davvero originale e interessante da analizzare questa etichetta. Il vino è un classico piemontese ma il design che troviamo sulla bottiglia sorprende per modernità e coraggio (ma non è detto che per questo sia encomiabile). Certo il packaging si fa notare, visto che in prima battuta salta all'occhio il nome del vino che di fatto è un numero: 9.99. Abbiamo subito pensato alla gradazione del vino, tanto di moda attualmente, cioè la limitazione "sotto i 10 gradi" per questioni di marketing e funzionalità (salute e controlli anti alcool). Molte altre aziende stanno puntando su vini a bassa gradazione e vogliono subito esplicitarlo in etichetta. Ma qui siamo di fronte a un'idea diversa: in questo caso il 9.99 è il prezzo! Dichiarato, diciamo pure che graficamente è "gridato", direttamente in etichetta. Infatti il produttore, nel proprio sito web dice: "Un nome che si propone come patto di trasparenza con i consumatori: introducendo per la prima volta ed in modo chiaro il prezzo finale di vendita nel marchio stesso..." (più che "nel marchio stesso" diremmo "in etichetta"). Tutto ciò può essere frainteso, come si diceva prima, con il grado alcolico, ma l'idea di mettere in evidenza il prezzo è interessante: un "sotto 10 Euro" che sa di promozione ma anche di garanzia qualità-prezzo, tutto sommato. Si sa che ci sono delle soglie di acquisto, diciamo delle soglie psicologiche di prezzo, per il consumatore, che sono più o meno a 5 Euro, poi a 8, quindi a 10 e così via. Posizionarsi "sotto 10" può essere significativo e dal punto di vista commerciale anche vantaggioso. L'etichetta in questione offre anche altri spunti: sopra ai numeri ci sono delle righe gialle che emulano forse il codice a barre e sotto al nome/numero sempre in grande evidenza, la dizione "100% ruché" a valorizzare un vitigno ancora oggi poco conosciuto fuori dei confini regionali di provenienza. All'apice il marchio aziendale: una semplice scritta in corsivo "Sant'Agata". Nel complesso, come si diceva all'inizio di questo post, si tratta di una etichetta che si fa notare subito. Va detto anche che il design non si distingue per eleganza ed equilibrio, ma è anche dichiaratamente aggressivo nelle sue finalità. Da notare anche la modernità della chiusura, sulla quale il produttore ci informa che la bottiglia è chiusa con "un innovativo tappo in vetro brevettato, che garantisce la perfetta conservazione delle caratteristiche del vino, si apre senza cavatappi e si richiude ermeticamente con un semplice gesto".

Etichette Monferrine Paradisiache

packaging grafica concept comunicazione
Paradiso, Syrah (Monferrato Rosso Doc), 
packaging branding marketing comunicazioneTenuta Tenaglia.

Che questo vino abbia intezione di "portare in paradiso" non ci sono dubbi. Ci sono anche un paio di ali d'angelo in evidenza sull'etichetta. Si spera solo che ciò avvenga in modo virtuale, diciamo così, onirico. Ma veniamo ai fatti, cioè a ciò che si vede, a ciò che un "normale" avventore potrebbe percepire. Etichetta nera, particolari in oro e bianco. Siamo o no nei codici-colore da pompe funebri di un tempo? Ma anche oggi che si sono modernizzate, nelle funerarie bardature, il nero e l'oro sono sempre in agguato. A parte questo, il nome "Paradiso", in Italia almeno, più che una condizione estatica potrebbe evocare uno stato post-vitam che allude a una delle note tre dimensioni dantesche: fortunamente si tratta di quella più confortevole. Il "tocco fatale", comunque, a nostro modesto avviso, sono le ali d'angelo. Scattano ricordi di catechismo, e anche del celebre, bellissimo film "Il Cielo Sopra Berlino" di Wenders, e ancora di opere celestiali del medioevo. Magari non farà a tutti questo effetto, gli amanti del "noir" inteso come thriller potrebbero avere qualche brivido di emozione. A noi sono venuti, i brividi, in senso negativo. A questo punto è molto meglio un infuocato Inferno valtellinese che un Paradiso del Monferrato, così prospettato.

Bottiglie Intriganti ma Anche No

packaging grafica branding conceptLintrigo, Chardonnay e Pinot Nero, Ariola.

wine grafica etichette brand marketingD'accordo, è una "Party Edition" ma questo rosé, che a ragion veduta (si parla della confezione) potrebbe sembrare uno shampoo o un profumo, o uno smalto per unghie, ha deciso di manifestarsi in modo davvero estroverso, attraverso una insolita bottiglia "total pink". C'è del buono però. Ad esempio il nome. Furbo, certo, nel senso che togliendo l'apostrofo da "l'Intrigo", si è resa la parola registrabile sia dal punto di vista dell'ufficio brevetti, sia dal punto di vista mentale, cioè della percezione comunicativa. Un intrigo che diventa appunto "Lintrigo", guadagna originalità pur mantenendo il suo significato morbosamente festaiolo. E poi l'illustrazione di quella L grande, iniziale del nome, delicatamente al tratto, con una rappresentazione del mondo vegetale che riporta alla coltivazione della vite e alla natura (riproposta anche, ci sembra, sul cartiglio del collo della bottiglia). Elegante l'impaginazione e la scelta dei "pesi" dei vari elementi proposti in etichetta. Elementi non eccessivi, proporzionati, senza eccessi. L'unico dubbio, tornando all'inizio di questo post, è per il look "superpink" della confezione: una caduta di stile che vorrebbe forse sostenere il contrario. Ma molto probabilmente il target di riferimento ne risulterà gratificato. A lato a destra, in alto, la versione Prêt-à-porter della bottiglietta "da single", non meno stilish della classica da 0,750.

Contrasti Semantici e Vitivinicoli

Sole di Notte, Offida Pecorino, 
Tenuta Ca' Pia.

Il sole di notte si vede solo a Capo Nord, dicono, dove per altro non cresce la vite nemmeno di giorno. Oppure più gradevolmente lo si può ritrovare in un grappolo di uva matura del centro Italia. Nella bella Offida, ad esempio, nella parte più a sud delle Marche, in provincia di Ascoli Piceno. Un sole che per questioni tecniche, pratiche, qualitative, storico-culturali, si "prende" di notte. Prima del sorgere del vero e proprio astro infuocato. Infatti, di questo vino, con un nome semplice ma evocativo, "Sole di Notte", il produttore racconta: "Vitigno antico, autoctono. Terra assolata, uve selezionate, raccolte prima del giorno e vinificate in purezza". La vendemmia avviene quindi "prima del giorno", cioè prima del sorgere di quel sole che tanto ha dato alla vigna, all'uva, al succo, al vino. Quasi una raccolta furtiva, per non farsi scoprire, ma di fatto funzionale al processo di lavorazione. Ed ecco quindi, a nostra interpretazione, il fattore "notte" del nome in questione. Il Sole di Notte è un contrasto "vivente". Una curiosità che trova però riscontro in una pratica di vinificazione vera e propria. Un nome ancorato ai fatti, alla terra, al lavoro, al prodotto stesso. Non fine a se stesso. Se vogliamo possiamo offrire anche questa ulteriore interpretazione: un sole da godere di sera, al tramonto, quando l'astro va a riposare. Un calore da ritrovare insieme agli amici, dentro a un calice rilucente.

Le Storie che "Fuggono" Rimangono in Mente

design grafica branding comunicazioneBrigante in Fuga, Pinot Nero, Cascina Baricchi.

etichette grafica comunicazione storytellingNon conosciamo la storia (ciò che ha originato il nome) di questa etichetta ma per ora è bello così (naturalmente ci riserviamo di chiedere una spiegazione all'azienda): è bello perché si riesce a comprendere meglio la pontenzialità di un nome e di una etichetta di questo genere. Dire che incuriosice è dir poco. La mente "aggancia" quella che di fatto è una provocazione, quella del "Brigante in Fuga", e inizia a immaginare una storia, più storie, dal finale inaspettato e avventuroso, tenebroso, affascinante, come sono le vicende di briganti gentiluomini delle campagne italiane dei primi del novecento. Questo "Brigante in Fuga" è colui che ognuno di noi vorrebbe accogliere in casa, una sera, a cena, attorno al fuoco, per sentire i suoi racconti e per vederlo sparire nottetempo verso chissà quale altro luogo. Così come accoglieremmo volentieri questo Pinot Nero (Langhe Doc Rosso, ufficialmente), che ci racconterebbe la sua storia, scomparendo sotto i nostri occhi dopo qualche felice "transito" nei calici dei convitati. Non contenti di aver creato un mito in divenire, con il nome, molto evocativo, "Brigante in Fuga", i creatori di questa etichetta collocano il fuggitivo su un "terreno" grafico, in bianco e nero, che evoca una trama di impronte digitali e al tempo stesso quella di campi arati, coltivati, vitati, in un univoco strato emozionale che trasporta la mente e la fa volare altrove. Questa non è un'etichetta, è un film!

Deviazioni Culturali e Tentazioni Commerciali


packaging comunicazione marketing gdo
Kuddia del Gallo, Zibibbo e Viogner, Abraxas.

grafica etichette branding gdo horecaStrane etichette girano per gli scaffali italiani. Non si comprende in questo caso se si tratta di una versione vecchia (qui a sinistra) o più facilmente, come accade spesso, di una versione del medesimo vino per la Gdo (mentre l'Horeca "si merita" un'etichetta migliore e distintiva, sotto, sdraiata). In questo caso viene "mascherato" anche il nome del produttore, che nella versione per la Gdo (i supermercati, insomma) appare come una sigla "ABX" quasi l'azienda si vergognasse di essere in Gdo e quindi non lo volesse esplicitare fino in fondo. Il nome del vino, "Kuddia del Gallo", rimane, per fortuna, a contrassegnare la bottiglia (Kuddia è "collina" a Pantelleria). A parte la stranezza del nome aziendale "sintetizzato", che diventa una specie di acronimo, l'etichetta per la Gdo è davvero discutibile per quanto riguarda il design: una foto dei vigneti (sia pure panoramica), con una illustrazione dell'isola, sottostante. Cornici gialle e nome svolazzante e scentrato su azzurro cielo. La nuova versione (o forse, più che nuova, quella per il canale Ristoranti) è decisamente più pregevole, equilibrata, elegante. Meccanismi della comunicazione e soprattutto del commercio, che a volte uccide l'emozione del vino e dei suoi retroterra culturali e tradizionali.
naming grafica labels comunicazione

Terrecotte (dal Sole) e Terracotta (per il Vino)

packaging labels grafica branding comunicazioneCapasonato, Primitivo, Vini Pichierri (Vinicola Savese).

Il nome di questo vino del sud Italia deriva chiaramente e direttamente da un uso della tradizione: contenitori in terracotta chiamati localmente "Capasoni". Siamo in Puglia, ed esattamente (onore ai campanilismi della penisola!) nel Salento, ed esattissimamente nel "territorio di Sava", dice orgogliosamente il produttore. Dove prima di chiamarsi "Primitivo di Manduria" questo vitigno era collegato geograficamente alla cittadina di Sava. Curiosa la modalità di definizione dei propri vini, da parte di questa azienda, che colloca il "Capasonato" qui raffigurato, nella gamma "C.A.L.T." un acronimo che viene spiegato così: "...sta ad evidenziare i materiali all’interno dei quali il prezioso Primitivo è stato “elevato” e/o “affinato”, assieme ovviamente al vetro che conserva per ultimo vini preziosi ed emozionanti". Quindi la C di Cemento, la A di Acciaio, la L di Legno e infine la T di Terracotta (riferita al vino in esame): "dalla Terra alla Terra un passaggio poetico ma concreto del Primitivo che, una volta nato e cresciuto, trasforma i suoi frutti in vino per poi ritornare nuovamente ad essere avvolto e coccolato dalla terra, questa volta “cotta”, attraverso la sosta per un periodo più o meno lungo dentro i tipici “Capasoni”, delle particolari giare una volta molto diffuse tra i contadini di questa parte di Puglia". Il Capasonato quindi, arricchito da una chiusura in ceralacca, porta nel proprio nome l'usanza della terracotta, certamente il più antico materiale di conservazione/affinamento del vino. Il nome in sé non è granché, ma la storia che lo "origina" in parte lo sdogana semanticamente e lo rende comunque interessante.

Cherubini e Storie Spumeggianti

packaging grafica immagine comunicazione branding
Riserva Coppo, Spumante Classico, Cantine Coppo.

I francesi hanno "scoperto" le bollicine (sembra non esserci dubbio, anche se qualcuno in Italia reclama anche questo primato) e i piemontesi le hanno portate al di qua della alpi. Con buona pace della Franciacorta, è Canelli, importante centro vinicolo della provincia di Asti, che può vantare la "spumatizzazione storica" del vino, in Italia. Tra l'altro il 22 giugno 2014, Canelli e l'Asti Spumante sono stati proclamati Patrimonio Mondiale dell'Umanità. Tra i "player" di antica memoria e ancora attuali dello spumante "alla francese", hanno voce in capitolo le Cantine Coppo, con un percorso generazionale e aziendale da Case History. Quello che ha attirato la nostra attenzione è in questo caso la dinamica creativa del logo che ancora oggi distingue le etichette Coppo: un cherubino che, con fare ardimentoso e giocoso, tenta di "frenare" l'onda spumeggiante che fuoriesce da una bottiglia.
scultura arte cherubino bollicine
Cantine Coppo, nel sito web scrive: "Alla ricerca di un simbolo che potesse rappresentare la sua visione produttiva, Piero Coppo, grande appassionato di arte, commissionò negli anni ’20 la realizzazione di una scultura lignea ad un artista bergamasco di nome Giacomo Manzoni che realizzò un putto colto nel tentativo di trattenere l’effervescenza sprigionata da una bottiglia di spumante. Un amorino, un fanciullo alato e nudo, munito di faretra e freccia che nell’iconografia artistico-mitologica simboleggia l’amore e la passione. Ai suoi piedi è inciso il motto della famiglia: 'Robur et Salus', forza e salute." Oggi il logo che appare all'apice delle etichette dei vini Coppo è una riproduzione di quell'opera artistica. Siamo qui di fronte a etichette molto classiche, senza guizzi artistici particolari, come design (i nomi di alcuni vini Coppo, invece, sono interessanti dal punto di vista creativo, come "l'Avvocata", "Camp' du Rouss", "Pomorosso", "Costebianche", che analizzeremo in seguito). L'iconografia dell'angioletto che cerca di trattenere il tappo dello spumante è quindi la bella idea che distingue le etichette Coppo, da sottolineare e da apprezzare per la sua originalità. Certamente fuori dagli schemi rispetto a soluzioni più scontate come stemmi o cartigli con iniziali o ghirigori storici senza concetto che spesso campeggiano sulle italiche etichette. Bello anche il motto "Robur et Salus", che porta con sé, allo stesso tempo, sintesi semantica e buoni auspici.

In Buone Idee, Veritas

etichette labels grafica immagine comunicazioneRosso Veronese (Merlot), Sansonina.

Non siamo qui ad incensare la nota casa vinicola (non ne ha certo bisogno) che ha generato l'idea della "Sansonina" bensì l'idea stessa che merita di essere commentata. A partire dalla semantica del nome, perché come spesso abbiamo affermato in questo dispensario digitale, molto (se non tutto) nasce in primis dal nome e dal concetto che reca. "Sansonina" quindi. Un nome che parte "diminutivo" ma poi guadagna senso e forza traendoli dalla sua storia concettuale. Scrive la titolare dell'azienda nel sito web: "Sansone, il Giudice chiamato da Dio per sconfiggere i nemici di Israele, un uomo dotato di una forza impressionate: un eroe maschio e virile, che aveva nei lunghi capelli, un attributo prettamente femminile, il segreto della sua forza. Da Sansone viene la Sansonina, il nome con cui è conosciuta la grande cascina settecentesca a poca distanza da Peschiera. Un nome che deriva dal soprannome dell’antica proprietaria, così chiamata per il suo carattere energico e deciso". Siamo quindi di fronte ad un'azienda pensata e guidata da una donna che traspone la mitologica "forza" di Sansone, rendendola "femminile" e attribuendo un senso a tutto questo. Un mix di narrazione vera e locale (il nome della cascina) e di mitologia "lontana" dove il vino è ovunque molto presente e quindi circostanziato. Ma il concetto a "tutto cerchio" del progetto non si ferma qui e a proposito di elementi circolari ecco come nasce la forma della bottiglia, originale e "nativa", e il suo perché, spiegato dal designer che l'ha ideata: "Il packaging doveva assolvere ad aspetti di funzionalità precisi ed essere al tempo stesso distintivo. Si è pensato di sviluppare una forma con proporzioni simili alle piccole botti (carati) per stabilire una continuità ideale fra le due fasi di affinamento. È provato, infatti, che il vino conservato in un contenitore con forma vicina o tendente al volume sferico, evolve in modo migliore e si caratterizza per una maggiore longevità." La quadratura del cerchio o, se vogliamo, della botte.
grafica etichette packaging vino
E infine due parole sul logo aziendale, quella "S" che molto richiama la chioma di Sansone e la sua forza irradiante: concettualmente coerente con il resto del "racconto" e dotata di un design dinamico, piacevole, moderno, intrigante (come si dice adesso con orrido inglesismo: "ingaggiante"). Le etichette sono minimali: valorizzano il nome (come non essere d'accordo?) con un "leggero" riferimento grafico (in apice) alla cascina dove ha sede l'azienda. Attraverso una bella idea come quella che ha generato questo progetto aziendale ciò che si afferma è la "veritas", cioè la spontanea accettazione delle positive percezioni che la comunicazione trasmette a potenziali clienti ed estimatori. E poi naturalmente, anzi primaditutto, c'è il "prodotto", il vino. Per la cronaca abbiamo assaggiato il Merlot e l'abbiamo trovato davvero eccellente.

Etimo, Passione e Buona Comunicazione

grafica immagine comunicazione etimoC'Rasa, Vino di Visciole, Bruscia.

In primo luogo l'azienda e quindi i suoi titolari meritano un plauso per la "gestione" dei nomi dei vini in gamma: per tutti, nel sito web, c'è una, sia pur breve, spiegazione su origine e "storia". Ben fatto e raro in Italia. I nomi, qui ne analizziamo uno, sono comunque originali, alcuni meglio riusciti, altri meno, ma tutti rivelano l'intenzione di proporre qualcosa di particolare, memorabile, legato a territorio e tradizioni. Ogni nome un "racconto", come dovrebbe sempre accadere. Vediamo quindi il nome "C'Rasa", utilizzato per un vino di visciole, tradizione locale. Il produttore ci racconta (nel testo del sito internet) che "Cerasa è una piccola frazione di San Costanzo (sede dell'azienda, vicino a Fano nelle Marche, provincia di Urbino-Pesaro) e "c'rasa" in dialetto significa ciliegia". Inoltre: "Il Duca Federico da Montefeltro nel XV secolo, 'non beveva vino che di cerase', e da questa antica tradizione nasce una bevanda a base di vino e visciole. Forse pochi sanno che il ciliegio deriva da due specie: il dolce (Prunus avium), e l’acido (Prunus cerasus); da quest’ultima specie deriva l’amarena, la marasca e il visciolo. Il ciliegio visciolo e diffuso nel territorio del Montefeltro e, dalla sua storia contadina, produce, assieme al vino rosso, una bevanda di grande intensità e piacevolezza che viene detta Vino di Visciole". Nella sua semplicità il nome "C'Rasa" rivela già qualcosa di interessante (l'aspetto toponomastico e dialettale insieme), inoltre la storia del Duca di Montefeltro fornisce "gusto storico" alla narrazione con aggiunta di nozioni scientifiche per i clienti-degustatori più curiosi. Ottimo lavoro e ottima anche l'etichetta: impattante, graficamente compatta ed equilibrata, tranne forse il nome, leggermente preponderante. In questa azienda c'è passione, e non solo nel produrre materialmente il vino.

Un Frizzo, un Guizzo... un Ghiribizzo!

grafica branding immagine comunicazioneGhiribizzo, Moscato, Cascina Boschetti Gomba.

Colpisce il nome di questo moscato (vino dolce, dalle bollicine leggiadre, a bassa gradazione) soprattutto per la sua fonetica chiaramente dominata dalla coppia di "zeta" nel finale. Chiaro che il riferimento è "bizzoso", proprio come il saltellante (grazie alla frizzantezza) aroma di questa punta di diamante della produzione piemontese: il moscato a fine pasto è una tradizione tra Torino e Asti. Anche se, a questo proposito, il produttore nella scheda del vino in questione, nel proprio sito web, dice: "I nostri nonni mangiavano l'uva moscato con pane strofinato con l'aglio. Perché quindi limitarci a dire che questo è un vino per dolci?". Tornando al nome qui in analisi possiamo aggiungere che è lungo ma non "stanca": il guizzo fonetico finale è agevolato, incoraggiato, sospinto dalla prima parte del nome "Ghiri...", da pronunciarsi quasi in sordina, per dare poi sfogo, proprio come lo stappo di uno spumante, al "...bizzo" finale e puerilmente liberatorio. Ghiribizzo, dice Treccani, è (pensate un po', forse dal tedesco antico "krebiz", gambero) "Idea bizzarra e improvvisa, capriccio, fantasticheria...". A nostro parere significa festa, allegria, gioia, con l'aggiunta di un pizzico di pazzia, dove le "zeta" continuano a farla da padrone di casa, fino a quando, dal bicchiere alla bocca, diventano bollicine solleticanti, ma anche piacere "morbido", e soprattutto nettare divino.

Tralci di Storia Vinicola Moderna

comunicazione storytelling branding
Sessanta, Cabernet Franc, Ferlat Vini.  

Questa azienda di Cormons, Friuli, presenta il proprio vino di maggior pregio con una insolita etichetta e con un nome numerico (meno insolito). L'illustrazione raffigurata sulla bottiglia è interpretabile: un cuore, un grappolo, un groviglio di pampini, le ali di un angelo, un disegno fumettoso che richiama l'arte moderna "di strada". Certo una scelta coraggiosa e "alternativa" per un vino della tradizione friulana (anche se vitigno di origine francese) che attinge con le sue radici filosofiche e anche fisiche in un terreno, in una vigna, che data 1960. Ed è questo il secondo arcano, meno enigmatico, riferito al nome "Sessanta". Dal sito del produttore riportiamo: "Uve Cabernet Franc 100%, da vigneto vecchio, anno d’impianto 1960 da cui il nome del vino". Il rosso del cuore/grappolo in illustrazione, viene richiamato da una chiusura "a lacca" (o finta lacca), del medesimo intenso colore, che impreziosisce la bottiglia riportando quella classicità che il design dell'etichetta in parte tradisce. Anche il logo in alto, semplicemente il nome del produttore, è di matrice classica, mentre il carattere di scrittura del nome "Sessanta" in basso, si sposa con le velleità contemporanee dell'illustrazione. Nel complesso risulta una immagine intrigante, memorabile, valorizzante, invitante. Un'opera di transizione tra antico e moderno non sempre facile da realizzare.

Bricchi, Colline, Sommità e Umorismo

Colmo dei Colmi, Vitigni Rossi Internazionali, 
Borgo La Gallinaccia.

Il produttore franciacortino preso in esame è dedito più che altro alla spumantizzazione. Ma come molti di quella zona produce anche vini rossi da vitigni "internazionali". Questo "Sebino Rosso Igt" è composto in gran parte da Merlot e poi dai due Cabernet francesi, Sauvignon e Franc. Il nome del vino ha attirato la nostra attenzione: "Colmo dei Colmi". La prima impressione è stata quella di accogliere semanticamente il significato di "colmo" nel senso di apice di collina, sommità soleggiata, luogo vocato, localizzazioni dove di solito sono posizionati i "cru", i vigneti meglio esposti. Infatti Treccani, della parola "colmo", dice: s.m. (latino cŭlmen "cima, sommità"). - 1. il punto più alto d'una prominenza: il colmo di un monte. Cima, cocuzzolo, culmine, sommità, sommo, vertice, vetta. 2. il punto più alto, il grado massimo di qualcosa: arrivare al colmo della felicità. Apice, culmine, sommo, massimo. Ma subito dopo, nella lettura del nome in questione, sovviene il significato "gergale", oggi non più utilizzato con frequenza, che prelude al racconto di una barzelletta, di una freddura: "Sai qual è il colmo dei colmi?" e a seguire la battuta. Chi non l'ha sentito pronunciare da qualche amico? Il Colmo dei Colmi quindi è sia "la sommità delle sommità", insomma "il cru dei cru" e al tempo stesso allude con ironia a se stesso e si prende un po' in giro. Una bella giravolta che genera attenzione e memorabilità.