Una Simpatica Borgogna che fa l’Occhiolino

Clin d’Oeil, Viognier e Gamay, Sextant (Julien Altaber).

Ebbene, grazie a questa etichetta abbiamo saputo come si dice “occhiolino” in francese. Infatti il nome di questo vino, “Clin d’Oeil” significa proprio questo. L’attenzione però non viene attirata tanto dal nome, quanto dall’illustrazione che domina il packaging di questo piccolo produttore francese, sito nella zona di Beaune, in Borgogna. L’azienda si chiama “Sextant” e infatti al centro dell’etichetta di questo Orange Wine si vede un marinaio intento ad utilizzare il sestante, strumento prevalentemente nautico che si usa per misurare l’altezza del sole, o di altri astri, sull’orizzonte ottico (quindi per orientarsi). Il fatto curioso è che il marinaio in questione è praticamente un naufrago, perché non si trova sulla propria nave, bensì seduto su una botte, tipo barrique, che galleggia in mezzo al mare. Probabilmente la nave che ha subìto naufragio trasportava vino. Il collegamento non potrebbe essere che questo, con il contenuto della bottiglia che l’etichetta comunica e rappresenta. La terra comunque non è lontana: si intravede in lontananza un paesello, che ricorda più l’Alsazia (dove non c’è il mare) che la Borgogna (ugualmente senza coste a tiro di schioppo). Si sa che in tempi passati gli inglesi trasportavano botti di vino da Bordeaux fino in Inghilterra, forse la scena riprodotta nel design di questa etichetta intende ricordare quel tipo di fiorenti commerci. L’illustrazione comunque è ben fatta, attira l’attenzione. E l’etichetta manifesta un proprio equilibrio grafico, piacevole e fruibile. Originale senza dubbio. Sarebbe bello conoscere cosa c’è dietro questo racconto visivo ma per ora nulla emerge dalla rete delle reti.

Racconti e Fantasia nella Timida Val d’Aosta

Pantagruel, Gewürztraminer,
Cantina di Cunéaz Nadir.

Questa piccola cantina dal nome curioso, Cunéaz Nadir, si trova a Gressan in Val d’Aosta ed è nata nel 2009. Produce una serie di vini da vitigni autoctoni come il Petit Rouge, il Vien de Nus, il Fumin e il Vuillermin, ma anche da vitigni internazionali come è il caso di questo Gewürztraminer che si chiama “Pantagruel”. L’elemento più importante dell’etichetta è proprio il nome del vino, visto che per il resto il design è davvero essenziale. Sono molti i vini che si ispirano al racconto che vede protagonisti Gargantua e Pantagruele (nome in italiano), scritto in Francia nel 1542 da Rebelais. In particolare, il Libro Primo dell’opera, viene così titolato in originale: “Gli orribili e spaventosi fatti e prodezze del molto rinomato Pantagruel re dei Dipsodi, figlio del gran gigante Gargantua”. Di fatto il romanzo di Rebelais è un inno al mangiar bene (e anche a mangiar tanto: le porzioni degli Chef televisivi di oggi farebbero ridere, o fors’anche piangere, il buon Pantagruele). In etichetta l’unica, altra, concessione alla fantasia (di cui Rebelais, l’autore del romanzo, era sicuramente molto dotato) riguarda una piccola figura al tratto, collocata sopra al nome, dove un pantagruelico omino tracanna vino da un grande bicchiere. La simpatia del personaggio Pantagruel fa da traino, certamente, ma l’estrema semplicità dell’etichetta non riesce a colpire e a comunicare in modo incisivo. 

Chanel N°5 in Versione Contadina

N°5, Malvasia Aromatica di Candia, Podere Cipolla.

Ci sono parole in grado, più di altre, di evocare immediatamente sapori, odori, sensazioni, ricordi. Una di queste è “Cipolla”, il nome di questo vino. “Cipolla N°5” per l’esattezza. Bizzarro quanto innegabile il possibile collegamento con il ben noto profumo Chanel N°5. Molto diversa la sensazione olfattiva che può richiamare nel nostro cervello. L’azienda è piccola, specializzata in Lambrusco: in questo caso lancia sul mercato un vino fermo, bianco, aromatico, ma pur sempre di territorio, laddove la Malvasia Aromatica di Candia è presente da sempre nelle colline di quella regione, l’Emilia. Il nome dell’azienda è Podere Cipolla, giusto per insistere. Ad evocare profumi suadenti è anche la velata figura femminile riportata sulla sinistra del packaging: nella diafana sagoma si nota solo un orecchino e il fatto che una mano stia indicando, quasi sorreggendo, il N°5, con l’obiettivo di sottolinearlo, di imporlo all’attenzione del pubblico. Per il resto l’etichetta è piuttosto spartana, con una disposizione centrata dei testi, amalgamati su toni chiari di sfondo. Certo che quella cipolla reiterata in etichetta risulta davvero invadente. Così come lo è in cucina, o ancora prima quando si decide di affettarla per farne uso. Si tratta solo di particolari? Non proprio. Il nome di un vino caratterizza il prodotto in modo profondo: quindi non è il caso di escludere approfondimenti, in qualsiasi direzione, prima di decidere di adottarlo.

Produttori di Vino, Quelli Giusti

Valpolicella Superiore, Brolo dei Giusti.

Cosa è giusto e cosa è sbagliato? Chi può giudicare? Certamente chi produce vino è nel giusto, perché esercita una professione e una produzione che rientra in quelle amenità che hanno reso grandi e felici i popoli della terra. Ma queste sono considerazioni pseudo-psicologiche che possiamo accantonare. Di certo c’è che questa azienda (e i vini che produce, per ora solo due) si chiama “Brolo dei Giusti”. Brolo e non Barolo come a prima vista potrebbe sembrare. Anche perché siamo in Valpantena, la parte più a Est del territorio della Valpolicella. Zona dedicata quindi prevalentemente a Ripasso e Amarone. Vediamo cosa racconta l’azienda nel proprio sito internet: “Il Brolo dei Giusti è un unico vigneto, racchiuso e prezioso, nel cuore della Valpantena... Brolo, nella tradizione contadina, è un campo coltivato protetto da siepi, alberi di ulivo e marogne, i tradizionali muretti a secco che da sempre, in Valpolicella, definiscono le proprietà terriere”. Ci siamo: il riferimento è a qualcosa di tangibile e di storico. Rimane ancora nell’ombra il perché quello dovrebbe essere un luogo frequentato “dai giusti”. Giusti come cognome? No. Giusti in senso di giustizia ed equità, virtù e passione? Forse. La prendiamo per buona. Il packaging è molto essenziale. Nome in grande, Nero, rosso e bianco, colori che staccano. Sotto al nome un anziano vignaiolo siede su un muretto rimirando il panorama. Sicuramente di forte impatto e dotato di una buona originalità. Servirebbe forse qualche particolare in più per completare lo storytelling. Anche a costo di inventarlo.

Rosso a Natale e Festa Tutto l’Anno

“Vespa” Edizione di Natale,
Barbera d’Asti, Cascina Castlèt.

Il “Buon Natale” della Cascina Castlèt viene annunciato con una allegra edizione speciale del Barbera d’Asti dell’azienda. Quattro bimbe su una vespa rossa ammiccano in abiti babbonatalizi. Nella versione abituale del vino, per tutto il resto dell’anno, la vespa è bianca e le bimbe sono senza il cappello. Bellissima la descrizione dell’etichetta che si trova nel sito internet dell’azienda, tutta da leggere, tutta da sognare: “Fiocchi e sguardi. Sorrisi timidi e gambe magre di chi deve ancora crescere, ma ha già l’agilità delle gazzelle contadine. Quattro giovani vite a cavalcioni di una Vespa. E’ la giostra dei grandi, colma, immobile, per un’istantanea nel cortile di casa, in un giorno di festa. Un attimo dopo le bambine torneranno ai giochi. Si rincorreranno nei prati attente a non sporcare il vestito buono. I filari saranno le quinte del teatro di una vita che si sta appena assaggiando. Sono fatta di Barbera d’Asti, traggo forza dal passato con quattro volti che guardano il futuro divenuto presente. Ecco il vigore che c’è in me. Quattro vite colte insieme in un attimo, intrecciate per sempre. Sono semplice e calorosa, quotidiana e giusta, potevo avere icone diverse: colline, botti, grappoli. Era più facile. Così divento promessa e speranza. Mi faccio notare e racconto un piccolo sogno italiano divenuto realtà”. Si tratta quindi di una etichetta che è già speciale nella sua versione “normale”, e che prende ancora più abbrivio comunicativo nell’edizione speciale di Natale. Le etichette realizzate per eventi particolari come le feste di fine anno, rappresentano un costo supplementare per le aziende, ma possono dare quel qualcosa in più che può far bene anche alle vendite, oltre che all’immagine.

Un Bacio che Lascia il Tempo che Trova

Bacio di Venere, Blend di Rossi, Az. Agr. Nenci.

Vediamo subito che la bottiglia di questo vino, blend di Cabernet Franc, Merlot e Syrah, ha un formato inusuale. È più corta, più tozza, con le “spalle larghe”. Poco maneggevole ma  di taglio elegante. Passiamo all’etichetta: spicca il rosso della traccia di un bacio sulla sinistra. Bacio che si conferma anche nel nome del vino: “Bacio di Venere”. Il tutto sembrerebbe piuttosto stereotipato. Venere, la bellezza, il bacio come elemento di trasgressione. In alto il nome del produttore. Design a tutto bianco, con pochi elementi di spicco, e questo va bene. Il packaging si fa notare. Ma vediamo cosa dice l’articolato commento a questa etichetta da parte del produttore, nel proprio sito internet. Innanzitutto il claim: “Non solo un vino, uno stile di vita!”. E poi la dedica: “Bacio nasce da una semplice idea, restituire ai nostri sostenitori tutto l’affetto che ci hanno dato nel corso degli anni! Utilizzando una metafora, nel corso degli anni ci siamo sentiti come una bottiglia di vino che veniva riempita. Una volta piena avrebbe straripato! Quindi abbiamo pensato a come ricambiare questo affetto e abbiamo trovato un modo dedicando un vino a voi!”. E infine qualche esempio di “utilizzo” del bacio: “ Bacio può essere intimo, come due amanti che si scoprono e si amano. Bacio può essere familiare, come parenti che si accettano e si perdonano. Bacio può essere amichevole, come amici che si comprendono e si apprezzano. Bacio può essere consolatorio, come un bacio su una ferita”. Nazional popolare ma probabilmente efficace per quel target che ama l’immediatezza di codici attenzionali spartani.

La Trama Artistica della Semplicità

Nai e Señora, Albariño, Terra de Asorei.

Le etichette sognanti fanno sognare. Sembra una ovvietà ma non lo è affatto. Anche perché di etichette “sognanti”, in giro, ce ne sono poche. Ma vediamo cosa si sono inventati i produttori di questo vino, un albariño della regione galiziana della Spagna. Il packaging è dominato da una grande figura femminile, una sagoma, che evidenza la trama di un lungo vestito. Le decorazioni della veste riguardano la vite: pampini, tralci, foglie, frutti. Vicino alla coda formata dai capelli della donna si vede volare una farfalla, sempre in forma di sagoma. Semplice e artistico. Dal gusto delicato ma ben delineato. Una grafica fondata sul nero e sul bianco, con note di colore che spiccano. Una illustrazione moderna ma che evidenzia tratti classici. In alto a destra troviamo la parte letterale, descrittiva. Dove si legge anche il nome del vino: “Nai e  Señora. Apprendiamo dal sito dell’azienda che: “Nai e Señora (Galician for “Mother and Lady”) is our tribute to the powerful, independent women of the 21st century. “Nai e Señora”, Mother and Lady, is the expression poets in the early 20th century used to honour women—who worked hard to safeguard their families’ independence and Galician society—and their motherland: Galicia”. C’è dietro una storia, un concetto, un’emozione. Valorizzati da una trama attenzionale proposta con tatto ed estro artistico. Il gioco è fatto.

Un’Etichetta Legnosa e Ondivaga

Lignum Vitis, Frappato e Shiraz, Enoitalia.

Lignum Vitis viene definito dal suo produttore come un “concept wine” che celebra la scienza, l’arte e l’artigianato italiani. Si tratta (testuale dal sito dell’azienda) del “primo vino con un’etichetta interamente in legno”. Inoltre è ispirato dalla scoperta delle onde gravitazionali teorizzate da Einstein. Ora, giusto per tentare di chiarire, secondo Wikipedia “le onde gravitazionali si propagano nella struttura geometrica dello spazio modificando la distanza spaziotemporale di due punti vicini, facendola oscillare attorno a valori di riferimento. Inoltre, l'equazione delle onde è tensoriale (10 componenti), poiché deve tener conto di tutte le possibili dipendenze della distanza dalle coordinate”. Cosa possa c’entrare questo con una etichetta in legno non siamo riusciti a capirlo. Se non che l’etichetta stessa è tracciata con delle onde che si alternano a spazi vuoti. Da notare che in basso a destra si vede un bollino rotondo dove c’è scritto “onde gravitazionali”. Forse c’entrano coi vitigni? Frappato e Shiraz? Naturalmente stiamo scherzando, o meglio, stiamo tentando di interpretare le intenzioni creative e comunicative di questo packaging. Del resto l’etichetta attira l’attenzione. Per la sua conformazione, per il materiale, e anche per il nome del vino, latineggiante ma con un senso. Peccato che i vari elementi che compongono il design sembrano non stare insieme agevolmente. Ma questa è una riflessione che supera la barriera del commercio e quindi forse inutile al mero business.

Danza, Colore, Passione e un Buon Nome

Puragioia, Nero di Troia, Antica Enotria.

Si sa che la gioia è virulenta. Anche più di un Covid di quelli cattivi. Il vino stesso è “materiale” contagioso, soprattutto in convivialità. Il nome che il produttore ha destinato a questo rosso è “Puragioia”, suona bene, dice molto. Formulato così, con le due parole unite, diventa neologismo, mantenendo il suo significato portante. Il nome è accompagnato da una immagine, moderna, come un dipinto di arte contemporanea, che evidenzia una sagoma di corpo femminile in una postura da danza e comunque nell’atto di manifestare felicità, liberazione, profusione, fors’anche emancipazione. Cosa dice di questo prodotto, da vitigno Nero di Troia (altrimenti detto Uva di Troia), l’azienda titolare? “Puragioia. Il nuovo vino biologico di Antica Enotria è un inno alla vita. Il 2019 è un anno importante per la nostra azienda, 12 mesi segnati da un evento che ci ha visti tutti coinvolti: la nascita di un nuovo vino, una nostra nuova versione di Nero di Troia. Questa nuova bottiglia ha per noi un nome particolare ed è dedicata ad una persona molto speciale, Valentina. Compagna nella vita e nel lavoro, ci ha insegnato a guardare la vita con entusiasmo, a vivere con gioia, sempre. Puragioia Nero di Troia IGT Puglia nasce da questa riflessione: vuole essere un vino che trasmette gioia a chi lo beve, che ha l’ambizione di far star bene”. L’ambizione di “far stare bene” è davvero una bella promessa. Che va oltre il contenuto alcolico inebriante, notoriamente elevato per i vini rossi pugliesi ed entra un una dimensione anche salutare, di vino biologico, naturale, genuino, non artefatto. L’etichetta è semplice, pochi elementi ben distribuiti, e trasmette serenità, affidabilità, passione, spontaneità. Il colore magenta dominante (quel rosso-fucsia che caratterizza l’illustrazione nel packaging) contribuisce a dare una sferzata di attenzione e di stimolo ottico-psicologico. Fare design per il vino non è una attività da prendere alla leggera.

Sulla Ruota di Nizza è Uscito il Sette

7, Nizza Docg (Barbera), Sette.

Questo vino, figlio della recente denominazione Nizza Docg (insomma, una Barbera), si chiama Sette. Nei siti di e-commerce che lo veicolano verso gli assetati è scritto proprio così, in lettere. Mentre sull’etichetta, prestando attenzione si vede alla base il numero 7, “stampigliato” in modo irregolare. Si narra, nei racconti (lo storytelling) in rete che la decisione di chiamarlo così scaturisce dal fatto che la G, che accomuna i tre soci della cantina, Gianluca, Gregorio e Gino, è la settima lettera dell’alfabeto. Di lettere sparse ce ne sono altre, nell’etichetta. Oltre alla dicitura Nizza Docg e all’annata, vediamo in alto V.V. (poste in verticale) e in basso sempre a sinistra G.G., sigle alle quali per ora non abbiamo trovato collocazione concettuale. Occupiamoci adesso della parte centrale del packaging: una serie di ovali rossi, forse dei sassi nell’immaginazione di chi ha creato questa etichetta (Amebe? Ovuli?). La visione d’insieme di certo non è poetica. Ma nemmeno significativa, a parte la stranezza del “7/G”. Risulta un’etichetta piuttosto magra di emozioni, molto lineare ma non in senso creativo, bensì sotto l’aspetto puramente realizzativo. Attira l’attenzione? Forse, per la sua stranezza, ma tutto sommato l’attenzione dura poco. P.S.: si chiama Sette anche la società agricola titolare dell’attività.

Alla Corte di Scandiano Piace il Lambrusco

Orlando Innamorato, 
Lambrusco Grasparossa, 
Le Fattorie di Matilde.

L'Orlando Innamorato è un poema in strofe scritto nel 1476 da Matteo Boiardo Conte di Scandiano, piccolo Feudo nei pressi di Reggio Emilia. Racconta una serie di avventure per lo più fantastiche, tra amorazzi, duelli e magie varie. Nel poema viene utilizzato un linguaggio tratto dal “volgare padano” (a quel tempo non era ancora stata ufficializzata una letteratura basata sulla parlata toscana). Naturalmente il protagonista di tutte le storie è Orlando, un cavaliere un po’ sfasato e perennemente innamorato. Lo vediamo in questa etichetta ben rappresentato, sia pure in tono fumettistico. Goffo, su un enorme cavallo, ha infilzato un cuore con la sua lancia (quello della agognata Angelica). Siamo di fronte sicuramente a un’etichetta molto particolare. Che si prende poco sul serio. Così come particolare, nel panorama vinicolo italiano, è  la dicitura Spumante Rosso, definizione che troviamo alla base del packaging. Non può che essere un Lambrusco, viste le origini del racconto e dell’Orlando. E non può che essere un vino allegro e spensierato, così come la sua etichetta vuole essere ed esprimere.

Wine-Art per Rompere gli Schemi

Codino, Chianti Classico, Tenuta Monaciano.

Il Chianti è di quelli classici. La Docg conferma. Ma non è certo classica l’etichetta. In un mondo, soprattutto quello toscano, dove regnano ancora bottiglie dall’aspetto nobiliare e pacato con etichette minuziose e aggraziate, spiccano quei produttori che “si danno alla macchia” in senso ampio, filosofico e se vogliamo anche artistico. Etichette che a loro modo risultano sovversive, ma pur sempre dotate di gusto: all’esterno con le forme e il design, dentro alla bottiglia con il buon Sangiovese delle terre vocate. Iniziamo dal nome del vino, come è giusto: “Codino”. Ed è già simpatia. Forse questo nome viene risolto con un eccesso di tenero romanticismo, ma può funzionare. Si tratta di una parola in uso diffuso ma che risulta a suo modo originale. Il codino è chiaramente riferito all’illustrazione che vediamo al centro del packaging: dopo una lieve esitazione, scorgiamo due occhi e ci accorgiamo che si tratta di un gatto (forse sono due, uno dei quali di spalle). Un disegno realizzato con uno stile pittorico, particolare, inconsueto per una bottiglia di vino. L’azienda conferma nel proprio sito internet, testuale: si tratta di “...un gatto splendidamente illustrato da Hitnes, street artist romano”. Potremmo definirla wine-art, laddove il vino viene accompagnato da sensazioni visive, ma anche tattili e in generale evocative. Questa etichetta è tutta lì, in quella illustrazione e nel nome del vino. E per questa volta può bastare.