Altro che Tik Tok, il Divo è il Cosmico Tikka

Tikka The Cosmic Cat, Syrah e Grenache, Jauma.

Questa piccola e recente azienda australiana coltiva in prevalenza ciliegie. 1200 alberi per 14 varietà diverse. La modalità di vendita è “pick your own”: quando è stagione gli acquirenti si recano nel campo, raccolgono la quantità di ciliegie che desiderano, quindi pesate e vendute. Ma naturalmente c’è anche vino. Perché nella tenuta sono state piantate vigne, principalmente di Syrah e Grenache, il tutto rigorosamente secondo norme biologiche e senza il contributo della chimica. La piccola azienda, intrapresa da James Erskine, un ex sommelier che si è messo a fare il winemaker, vanta anche un altro primato, oltre a quello delle ciliegie più buone della McLaren Valley: il primato della follia creativa. Ne sono testimonianza evidente il nome e l’etichetta di questo vino. Anche se sul fronte del packaging non c’è scritto, scopriamo che il vino si chiama “Tikka, the cosmic cat”. Sarebbe a dire, Tikka, il gatto cosmico. Dove Tikka è proprio il gatto della famiglia, insomma colui che è il vero padrone della cantina. Nell’etichetta eccolo apparire con una modalità grafica multicolor, assoluto protagonista, certamente cosmico, iconografico, fantasmagorico. Oltre al muso del gatto, nel design vediamo, sempre in modalità molto colorata, il nome dell’azienda “Jauma”, che risulta come pura invenzione da neologismo. Il gatto come soggetto non è una rarità, ma lo sono in modo assoluto, il nome del vino e il trattamento grafico, cioè l’illustrazione in figura. Giù il cappello! P.S.: non è dato a sapere se il gatto è maschio o femmina, ma di questi tempi va benissimo così.

Il Vino è Rosso e il Pesce Anche

L’Imprevisto, Chianti, Niccolò Lari.

Le etichette di questo giovane produttore toscano sono molto essenziali. Di tutte quelle in gamma abbiamo voluto mostrare questa, perché a suo modo è la più sorprendente. Si tratta di un Chianti (Sangiovese): il nome del vino è “L’Imprevisto”. In etichetta si vede un pesce rosso che ha scelto la libertà saltando fuori dalla propria “casa”, una boccia di vetro piena d’acqua (ma potrebbe essere anche la parte superiore di un calice di quelli panciuti). Oltre a questi elementi vi è unicamente il nome e cognome del titolare, alla base del packaging. Curioso il fatto che la parola “Chianti” sia scritta sull’acqua: fa un certo effetto. Ma a parte questa sfasatura, il design risulta senza dubbio attenzionale. Il pesce rosso (qui di tonalità arancione) si staglia, grazie al colore, sul resto dell’etichetta (fondo bianco) e la “mossa” stessa del pesce, il salto, il gesto sovversivo, il tentativo di fuga, o chissà, il tentato suicidio, incuriosisce. Forse è il destino del pesce a destare interesse: si salverà? Si starà tuffando in un tino di vino, stanco di “bere” acqua? Perché lo ha fatto? E così via, a fantasia. E’ come in quei film dove il finale viene lasciando in sospeso (e quindi a disposizione dello spettatore), come in Thelma e Louise. Certamente siamo di fronte a un’etichetta  davvero particolare, trattandosi di un Chianti. A volte serve coraggio, questo pesce rosso e il vignaiolo titolare dell’azienda sembrano esserne provvisti a dovere.

Bolle, Bolli e Bollini.

Liboll, Spumante, San Marzano Vini.

Il nome (nel nostro caso di una cantina) San Marzano, nell’immaginario e nel conosciuto collettivo viene ricondotto, solitamente, ai noti pomodori di forma allungata con i quali si preparano le conserve. L’origine è dovuta al paese di San Marzano sul Sarno, in provincia di Salerno, in Campania. Per quanto riguarda invece le Cantine San Marzano, sempre dal nome del paese dove si trova la sede, San Marzano di San Giuseppe (si chiama proprio così, a volte due Santi è meglio di uno), siamo in provincia di Taranto, in Puglia. Il packaging che prendiamo in esame riguarda un vino Spumante Extra Dry, metodo Martinotti, ottenuto da uve bianche locali. Il vino si chiama “Liboll”. Le ipotesi sono diverse: un richiamo alle “bolle”, sicuramente, forse in forma dialettale pugliese, forse alludendo all’inglese dalla pronuncia di “label”. Il nome comunque risulta breve, abbastanza memorabile, curioso, originale. Anche la cartotecnica dell’etichetta può vantare qualche originalità: nella forma soprattutto, che propone un grande “bollo” (giusto per giocare con le parole) al centro e un “bollino” piccolo, sottostante, dove viene raffigurato il marchio aziendale. Nota di vezzo stilistico: il nome del vino è leggermente disassato a destra, cioè non centrato nel cerchio. Il colore azzurro domina sul collo della bottiglia. Per il resto il design denota ordine, sobrietà, eleganza.

La Grecia e il Grechetto di Omero

Nessuno, Grechetto e Malvasia, Azienda Agraria Moretti Omero.

Davvero particolare questa etichetta di un piccolo nonché ormai noto produttore umbro. Sul fronte vediamo una pecora. Ma non si tratta del vitigno Pecorino, per il quale spesso vengono scomodati i lanuti quadrupedi. Quindi il nesso va cercato altrove. Ed esattamente in Grecia. Infatti il vino si chiama “Nessuno” (il nome appare solo sul retro-etichetta, cliccando sull’immagine si ottiene un ingrandimento) e richiama il noto mitologico racconto che ha per protagonista Polifemo. Fatto sta che nel retro-etichetta e nella scheda del vino che troviamo nel sito internet del produttore si legge: “Dedicato a uno dei primi poemi in cui compare il vino: Ulisse inebria il Ciclope e poi scappa nascosto sotto una pecora. Omero è il nome del poeta ma anche quello del vignaiolo”. Ed ecco che il fantasioso Omero Moretti, patron della cantina, si diletta in uno storytelling da Lateral Thinking che sicuramente attira l’attenzione. Le stranezze non finiscono qua. La pecora in primo piano ha una strisciata di colore giallo sul muso. E l’immagine viene trattata come se fosse una cartolina, visto che in alto a destra si accenna a un annullo da francobollo con il nome del produttore. Forse troppe cose insieme: di certo la creatività non manca, anche se andrebbe veicolata in modo più organizzato.

La Biodiversità Gioiosa e Unicista

Col Tamarìe, Bianco Frizzante.

L’etichetta attira l’attenzione, questo sì. Merito dei colori e dello stile dell’illustrazione, certo, ma anche per qualcosa di concettuale che si percepisce osservando bene il label-design. In cima a una collina, sulla sommità di un paesaggio tipico delle colline trevigiane (siamo a San Lorenzo di Vittorio Veneto) c’è un omino, seduto, in relax, che osserva il cielo, rapito dalla bellezza della natura e probabilmente anche dagli effluvii del vino. Insomma, se la gode. Il vino è un rifermentato, prodotto con una varietà di vitigni locali: Glera, Boschera, Perera, Bianchetta, Grapariol, Verdiso, Marzemina Bianca. Già questo potrebbe bastare in quanto a originalità. Ma come scritto prima, il packaging si distingue. E aggiunge valore al concetto di biodiversità, di produzione biologica e “di Omeopatia Unicista e di altre tecniche bioenergetiche” come la geomanzia, afferma il produttore. Molto verde, molta voglia di naturalità espressa con... naturalezza. Che il cliente creda o meno alla viticoltura “amica della natura”, l’etichetta aggiunge genuinità con un delicato tocco artistico. Per la cronaca il naming “Col Tamarìe” fa riferimento a una definizione topografica locale.

Frizzantino Ventoso e Goloso

Colle Ventoso, Spergola, Cantina Arceto.

Grazie alla mirabile opera enoculturale della Compagnia della Spergola, possiamo riscoprire l’esistenza di un vitigno quasi sconosciuto che alligna sui colli di Reggio Emilia. Si tratta appunto della Spergola di Scandiano, a lungo confusa con il Sauvignon Blanc ma di genere indipendente. D’accordo, il vino in questione, qui rappresentato, è un “frizzantino”. Ma ci sta. A volte, in estate. A noi qui interessa far notare l’etichetta, sicuramente di livello. Sia concettuale che artistico. Partiamo da quello che si legge: Cantina Arceto (il produttore, che fa parte del gruppo Emilia Wine), Colle Ventoso (il nome del vino), Colli di Scandiano e Canossa (la denominazione di origine) e infine Spergola (il vitigno). Colle Ventoso è un bel nome, molto semplice, diretto, lineare, dice quello che deve dire in modo chiaro e comprensibile. Certo non è un folgorante esempio di creatività, ma pone al centro una questione che è molto importante per l’uva: l’areazione continua dei vigneti che assicura la salubrità del frutto. Certamente si tratta anche di una importante caratteristica geo-meteorologica, che infatti viene confermata dal visual: il volo di una colomba variopinta. O forse altra specie di volatile, qui illustrato in modo molto fantasioso con uno stile che ricorda le opere in dècoupage del grande Emanuele Luzzati (celebre il video in animazione della Gazza Ladra, su musica di Rossini). Insomma si tratta di un packaging che espone un nome semplice ma di contraltare mostra un design molto originale, in grado di attirare attenzione e quindi di generare memorabilità. 

La Sagra dei Nomi Strani

Zingamaro, Greco Nero, La Pizzuta del Principe.

E’ un vero e proprio giacimento di nomi, la gamma di questa azienda calabrese, di  Strongoli (Crotone), che produce vini in gran parte con vitigni autoctoni. Iniziamo proprio con una carrellata di nomi dei vitigni: Pecorello, Magliocco, Greco Nero, Greco Bianco, Gaglioppo. Davvero poco frequenti anche per gli intenditori. Passiamo ai nomi dei vini: qui a sinistra viene raffigurato lo Zingamaro, ma nell’assortimento dell’azienda troviamo anche Scavello (Cabernet Sauvignon), Jacca Ventu (Gaglioppo), Santa Focà (Greco Bianco), Molarella (Pecorello), Calastrazza (Magliocco in rosato), davvero particolari. Mettendo a fuoco il vino che abbiamo deciso di raffigurare, lo “Zingamaro”, diciamo che il nome, pur sembrando un’invenzione, un neologismo, risulta essere topografico, cioè il nome del vigneto/zona di coltivazione. In lettura la comprensione va subito alle due parole delle quali sembra essere composto: zingaro e amaro. Due accezioni particolari, che connotano sensibilmente e portano quindi a percezioni ben marcate, creando forse qualche equivoco. Per quanto riguarda il design dell’etichetta notiamo un certo rigore grafico, una modalità classica con elementi ordinati, incorniciati, regolari. Infine non possiamo evitare di far notare il nome del produttore: La Pizzuta del Principe. Dove inevitabilmente la percezione si sposta sull’italica parola “pizza” o “pizzata” o “pizzutella”.


Etichette “Follette” che Portano Allegria

Biancopiglio, Rossobrillo e Neromagno, Emilio Sciacca.

Non ci sono dubbi, i nomi di questi tre vini siciliani sono originali e accattivanti. Forse non immediatamente memorabili, ma certamente fuori dal comune e già solo per questo, degni di nota. Ed ecco “Biancopiglio”, un Etna Bianco Doc composto da Carricante, Catarratto, Grecanico Dorato e Coda di Volpe, poi “Rossobrillo”, un Etna Rosso Doc composto da Nerello Mascalese in prevalenza e da Nerello Cappuccio, quindi “Neromagno” (idem). Come scrive il produttore, Emilio Sciacca, nel proprio sito internet: “...i vini prendono il nome dai nostri gnomi, gli spiriti benevoli protettori delle nostre vigne. Essi si vestono con abiti colorati, sono burloni e se indossano un cappello diventano invisibili. Sono proprio loro che nel 2018 ci hanno “aiutato” nella nostra prima vendemmia”. Su ognuna di queste etichette viene infatti raffigurato un allegro personaggio al cospetto di tralci di vite, il tutto davvero ben disegnato, con uno stile a fumetti che conquista e genera buonumore. Da notare anche il logo dell’azienda, nella parte superiore dell’etichetta, con il nome del titolare e una riuscita iconografia che rappresenta l’Etna, dalle viscere alle sue manifestazioni magmatiche. E infine la scritta “Wine Human Nature Etna” sul collo delle bottiglie a sancire una produzione bio e un’attenzione al territorio e alla tipicità. Insomma ci sono delle idee e vengono ben comunicate.

Vino Buono in Etichetta Sbagliata

Per Sba Glio, Barbera d’Alba, Saracco.

Sarà anche avvenuta per sbaglio la decisione di produrre 3000 bottiglie inaspettate di Barbera, ma a noi sembra che lo sbaglio sia continuato anche nella realizzazione dell’etichetta. Nel mondo enologico la sequela dei vini “sbagliati” è lunga: molti nomi, etichette, storie, accennano a errori o disattenzioni che hanno portato alla nascita di vini più o meno improbabili. Alcuni errori sono stati provvidenziali, come quello che ha portato a produrre l’Amarone, sfuggito di mano a qualche cantiniere distratto. In questo caso sembra ci sia stata una decisione improvvisata, un esperimento, un tentativo, quello di vinificare grappoli di Barbera che non rientravano nel piano vendemmiale. E’ nato così questo “Per Sbaglio” che in etichetta viene indicato in tre parti: “Per Sba Glio”, una “raffinatezza” grafica che, tra le altre cose, non riusciamo proprio a comprendere. Affermare così, in prima battuta, proprio nel nome del vino, che il prodotto, il vino contenuto in quella bottiglia è nato in via incidentale non è propriamente valoriale. Non porta alcun tipo di pregio, anzi, va nella direzione opposta. Per il resto, cosa dire di questa etichetta? Che non dice molto di più. Fondo bianco, la tipologia del vino alla base e letteralmente in un angolino in basso a destra il nome del produttore. Che tra l’altro è di ottima fama, non uno sconosciuto. Certo, come già detto all’inizio si tratta di una partita ristretta di bottiglie che ogni anno si limita a 3000 pezzi, frutto di poco più di un ettaro di vigna. Ma perché non dotare questo vino di una dignitosa etichetta? Perché condannare queste bottiglie all’oblìo di un packaging insussistente? 

Il Vino è “Manifesto”.

Hobo, Magliocco, l’Acino.

L’etichetta di questo vino è una specie di manifesto politico-filosofico che col vino c’entra poco. Possiamo definirla come una piccola “affissione” pubblicitaria, in questo caso di tenore storico-culturale. Ma vediamo subito il nome del vino, strano ma efficace: breve, originale, memorabile. “Hobo”. Quasi come homo ma con la “b”. Da cosa nasce? Negli anni bui della Grande Depressione, soprattutto in California (come conseguenza della grande crisi americana del 1929), gli Stati Uniti vennero letteralmente attraversati dagli “hobo”, giovani vagabondi venuti da molte parti dell’America e del mondo, disposti a qualsiasi lavoro per vivere. Le vicende di questi nomadi “dei tempi moderni” sono state narrate dallo scrittore John Steinbeck, premio Nobel per la Letteratura nel 1962, in un paio di racconti, in special modo in “Furore” e “Uomini e Topi” (titolo originale di quest’ultimo: “Of mice and men”, pubblicato nel 1937 e in parte autobiografico). Tornando all’etichetta di questo vino, ecco come viene definita dal produttore nel proprio sito internet: “semplicemente un inno alla libertà”. Questo il rational al quale ognuno può attribuire il valore che ritiene giusto. L’illustrazione in bianco e nero mostra uno di questi “hobo”, a piedi, viandante, con le sue poche e povere cose al seguito. Avendo sede nella provincia di Cosenza, forse si tratta di un riferimento al problema del riconoscimento, professionale ed economico, dei lavoratori stagionali, che ancora oggi affligge alcune campagne. Del resto il packaging è impattante e originale. Il concetto di base deve essere cercato e argomentato ma l’attenzione al prodotto viene certamente generata.

La Z di Zorro, Rivisitata

Alfieribianco,
Malvasia e Inzolia,
Zagarella.

Sono diversi e curiosi gli aspetti di questa etichetta calabrese. Partiamo dal nome del vino, “Alfieribianco”, dal nome della contrada Alfieri, nella zona di Arghillà, Reggio Calabria, dove ha sede l’azienda dei Fratelli Zagarella. Il nome potrebbe generare confusione con la Doc Terre Alfieri, piemontese, diventata recentemente Docg e quindi molto in vista. Come secondo elemento di analisi notiamo la strana forma della cartotecnica: un ovale interrotto da due semicerchi a destra e a sinistra. Il bianco dell’etichetta sul fondo scuro del vetro della bottiglia evidenzia questa forma inusuale. La firma del produttore che diventa logo, in basso, evidenzia la Z iniziale, in concorrenza con quella, un tempo nota, di Zorro. Ma la notazione più strana riguarda il tratto al centro dell’etichetta: dopo un breve ragionamento si evince che si tratta della medesima Z del cognome della proprietà, “girata” in orizzontale e ribaltata specularmente. Questo tratto risulta così essere, forse, il picco di una montagna, o ancora, visto che ci troviamo in vista dello Stretto di Messina, un’onda di un mare in burrasca. Certo che l’interpretazione di questo packaging richiede un minimo di ragionamento. A livello estetico si fa notare per l’originalità, della forma dell’etichetta, come già detto e dei tratti grafici. Tecnicamente è curioso e doveroso far notare che l’azienda in questione utilizza un sistema di vinificazione particolare che si chiama Ganimede. L’azienda produttrice (del sistema) lo definisce il “fermentatore innovativo”. Chi vuole approfondire il suo funzionamento può trovare il tutto su ganimede.com.

Sigle e Nomi in Singolar Tenzone

PR, Aglianico Rosato, Casula Vinaria.

Questa piccola azienda campana, con sede e attività a Campagna, un nome un destino, in provincia di Salerno, si è lanciata sul mercato con etichette di impatto, originali ma discutibili. La scelta grafica porta a evidenziare solo le prime due lettere del nome del vino. Così, in pratica, abbiamo PR per Primavera (Aglianico Rosato), BR per Brigante (Aglianico), CA per Candito (bianco dolce), CH per Chiena (Spumante Brut), CO per Coccinella e ME per Melodia (Fiano), FA per Falanga (Falanghina) e così via. Le lettere grandi sono tutte nero su bianco o viceversa (salvo un paio di casi particolari), con una modalità grafica, oltre che cromatica, di forte incisività. Quello che emerge è una sigla “effetto-targa”. Questo perché solo in un secondo momento l’occhio cerca altri riferimenti (oltre alla lettere grandi) e trova, in basso a sinistra, scritto molto in piccolo, il nome completo del vino. Sicuramente si tratta di una scelta “ottica”, attenzionale, che punta a farsi notare nello scaffale. La modalità però non è risolutiva, lascia qualche perplessità in chi la nota e non trova nemmeno giustificazione concettuale. Quello che possiamo dire è che i nomi dei vini sono interessanti, se e quando vengono colti nella loro integrità. Ad esempio: Brigante, Candito, Coccinella e Melodia sono nomi in grado di restare in mente e di comunicare qualcosa in più. Ma limitandosi alle  iniziali non trasmettono tutto il loro potenziale. Nota stilistica: ai lati destro e sinistro dell’etichetta, vediamo il logo aziendale (una foglia di vite e tre pallini, i tre soci) e un pallino più grande colorato che rappresenta la tipologia del vino: rosso, rosa, verde (per i bianchi). Stile minimalista, ma pur sempre con un’idea.


Un Cavalluccio Intelligente

Ippocampo, Verdicchio dei Colli di Jesi, Fattoria Lucesole.

Questa piccola azienda agricola marchigiana, che produce anche olio d’oliva e che si presenta al pubblico anche come agriturismo, per i propri vini ha messo in commercio una serie di etichette molto attenzionali, tutte in bianco e nero, dove la semplicità degli elementi prevale sulla complessità del racconto. Prendiamo come esempio l’etichetta del Verdicchio dei Colli di Jesi, vino di costa, nel senso che si abbina abitualmente a piatti di mare. Nel design in questione, a dimostrazione della vicinanza fisica e concettuale col Mare Adriatico, viene citato e mostrato un ippocampo: nome del vino e texture della grafica. L’ippocampo, detto anche cavalluccio marino, è un piccolo pesce (viene categorizzato così) dall’aspetto davvero curioso. Si chiama in questo modo per via della testa, somigliante a quella di un cavallo. Ippocampo, per dovere di cronaca semantica, è anche una parte del cervello umano situata nella zona mediana del lobo temporale. In questo caso la parte cerebrale ricorda, per la forma, un cavalluccio marino. Tutto torna. Noi invece torniamo volentieri all’etichetta: una schiera di cavallucci marini fa da sfondo, dove campeggia il nome del vino e le altre diciture commerciali e di legge. Nota curiosa, uno solo dei cavallucci marini è posizionato in orizzontale, tutti gli altri si trovano nella consueta posizione verticale. Da notare anche, alla base, il nome dell’azienda, Fattoria Lucesole (molto evocativo), scritto con un carattere fanciullesco e seguito da altre due parole: Quieto Vivere, quasi un mantra, di quelli che affermano subito un contesto positivo. Diciamo quindi che in poche mosse questa etichetta riesce a farsi notare e a fornire sensazioni legate alla naturalità e alla genuinità della proposta.