Fiori Francesi in Vitigno Teutonico

Le Fleur, Riesling Renano, Isimbarda.

Non si tratta del solito Riesling Italico molto diffuso in Oltrepò Paveve, bensì del più nobile Riesling Renano, coltivato da Isimbarda, produttore di Santa Giulietta. La vigna speciale che genera questo vino si merita di essere nominata in etichetta: Vigna Martina. Si trova ad una altitudine di 400 mt. s.l.m. e gode di una particolare esposizione. Il vino ha un nome francese (anche se il produttore è italiano e il vitigno tedesco) cioè “le Fleur”. La grafica in etichetta conferma: una cornice di fiori circonda il tassello che, al centro, nomina vigna e vino, come detto sopra. L’azienda, nel proprio sito internet ci dice che: “L’Azienda Vitivinicola Isimbarda, deve il suo nome all’antica famiglia dei Marchesi Isimbardi: patrizi lombardi divenuti feudatari del “tenimento” di Santa Giuletta alla fine del secolo XVII. Soprattutto don Luigi Isimbardi, che nell’Ottocento amava la cascina Isimbarda quanto il suo maestoso palazzo di Milano, fu un ottimo viticoltore e precursore di moderne tecniche di produzione”. Chissà, forse i Marchesi amavano la Francia o semplicemente ne subivano il fascino indiscreto. Il packaging nel suo complesso appare piuttosto arcaico, classico, tradizionalista, sia pure con questa iniezione di colori e fantasia dovuta al fondo cielo e ai fiori occhieggianti dai lati della cartotecnica. Originale? Certamente. Innovativa? La prossima volta.

A Difesa delle Api, Contro l’Idiozia Generale

Let it Bee, Verdejo, Citizen Wine.

I nobili intenti che si nascondono dietro a questa etichetta vanno annoverati tra i casi di marketing moderno, dove un argomento caro ai consumatori viene “speso” concettualmente per veicolare un prodotto. Ed ecco un vino spagnolo, vitigno Verdejo, dichiaratamente organico, che si fregia di un bel packaging (originale e portatore di un argomento interessante). Come vuole comunicare il nome del vino in questione, con un gioco di parole, “Let it Bee”, si inneggia alla preziosità delle api, per la biodiversità e per la difesa degli ambienti naturali. Citizen Wine è una organizzazione commerciale con una propria filosofia di sviluppo del business, che viene in questo modo sintetizzata, nel sito internet dedicato (con un logo con l’acronimo I.M.A.D.): “Sometimes, in this crazy world an Idiot Makes A Decision. At times like this we need Good Citizens to remind us that Individuals Make A Difference. That is why we have developed this fantastic range of wines in support of important causes close to our hearts. From Ocean Clean-up to Bee Conservation and Rewilding, these are wines that appeal to the Good Citizen in all of us. Now you can enjoy a delicious glass of wine and give a drop back to society in the process. It’s time our Industry Made A Difference so follow the Good Citizen’s adventures as we explore the planet for new, exciting wines and fight a little evil along the way”. Nobili intenti? Visioni commerciali? Non ci esprimiamo. L’etichetta in questione, comunque, è bella.

Il Carattere della Montagna (Dove Volano le Aquile)

Caratteri Rosé. Pinot Nero (e Traminer), Castelsimoni.

Nei pressi dell’Aquila, in località Cese di Preturo, questa piccola cantina produce, tra altri vini di tipo internazionale, un rosato a base Pinot Nero. Non è una formulazione facile da trovare in centro Italia, soprattutto considerato che questo vino fruisce anche di un piccolo tocco di Traminer Aromatico. Particolare anche la sua etichetta: in alto leggiamo quello che viene diffuso dall’azienda come una sorta di slogan, “vini di montagna”. Abituati in questo senso a pensare a vini del nord (Alpi), facendo mente locale, realizziamo che anche qui, sotto al Gran Sasso d’Italia, le montagne sono di un certo livello. Il nome dell’azienda è “Castelsimoni”, probabilmente un rimando topografico; al centro vediamo l’inequivocabile mappa altimetrica del Gran Sasso (che sale fino a 2912 metri s.l.m.). Le vigne invece, sono dichiaratamente poste a 800 metri di altitudine, meglio precisare, sicché l’etichetta potrebbe indurre qualche errore di valutazione. Il vino rientra nel disciplinare come “Rosato Terre dell’Aquila”, come giustamente indicato alla base del packaging. Il nome del vino è alquanto strano: “Caratteri Rosé”, cercando, crediamo, di comunicare la peculiarità dei vitigni che lo compongono o le caratteristiche del territorio, decisamente montano, con tutte le implicazioni che ciò comporta. Etichetta spartana, molto descrittiva, poco emozionale, abbastanza originale, del resto.

Il Rosso che è Veramente di Natale

Rosso di Natale, Blend di Rossi, Cascina Baricchi.

Potrebbe sembrare una trovata di marketing da mettere a scaffale ogni anno a dicembre… e invece. C’è molto di più dietro al nome di questo vino. Innanzitutto c’è una piccola azienda delle Langhe, che ha deciso di trattare le uve di Nebbiolo come se fossero atte a produrre Amarone. Le uve infatti vengono raccolte in vendemmia tardiva, lasciate a macerare 15 giorni e soprattutto il vino ottenuto deve affinare in botti di legno per 10 anni. Nasce un prodotto unico e particolare, che potrebbe attirare l’attenzione di chi prepara il pranzo di Natale, ma che in effetti può essere servito tutto l’anno. Dove sta il trucco? Nel fatto che il titolare dell’azienda si chiama Natale Simonetta, figlio di Giovanni, il fondatore. Natale infatti ci mette la firma autografa: la trovate nella parte sinistra dell’etichetta. 15% di festoso e corposo vino rosso che, grazie a un nome (e alla più nota festività del cristianesimo) potrebbe donare (attenzione, il costo non è dei più economici) attimi alterati di pura consapevolezza. Il packaging non è di quelli studiati da designer di grido, ma grazie al nome del vino e agli altri elementi “genuini” che lo compongono, è in grado di attirare attenzione e gratificazione. E qualcuno potrà gridare “Buono! Natale!”. Salute.

La ‘Principessa’ Giuseppina Contesa dalle Contrade

Josèphine rouge, Pignatello, Marco de Bartoli.

Questo “vino liquoroso” è il “fuori gamma” del celebre produttore De Bartoli, con sede in Contrada Fornara Samperi, in quella Marsala, cittadina siciliana, che ha dato il nome ad una intera tipologia di vini. Anche questo “Josèphine Rouge” fa parte di quella categoria, essendo in sostanza un vino “marsalato”. Qualcosa di insolitò però, c’è. Questo vino, il suo nome lo rivela, è dedicato a Josèphine Despagne della quale Marco De Bartoli (ora scomparso, l’azienda è nelle mani dei figli) sarebbe un pronipote. Per completezza di informazione la storia più nel dettaglio la racconto un’altra nota azienda siciliana: “Josephine era una francese trapiantata in Sicilia… nata il 18 maggio 1871 in un villaggio vicino a Bordeaux, era figlia del noto liquorista francese Oscar Despagne, trasferitosi a Marsala con tutta la famiglia nel 1895 per fare consulenza alle cantine dell’isola. Qui Josephine, all’epoca ventiquattrenne, conobbe ben presto Carlo, figlio del fondatore delle Cantine Pellegrino. I due si innamorarono e dal loro matrimonio nacquero quattro figli”. In pratica Josèphine, diventata Giuseppina, viene storicamente contesa anche a livello di immagine, visto che una fotografia dell’epoca della giovane bordolese caratterizza l’etichetta di questo prezioso nettare dell’azienda De Bartoli. Insolita anche l’etichetta ovale che di solito poco si adatta alla rotondità di una bottiglia. Ma in questo caso (salvo eventuali problemi di incollaggio) contribuisce a confermare un’atmosfera di fine secolo (scorso) e a dare “allure” al prodotto.

Un Vino Rosso del Sud, Senza Pentimenti

Mea Culpa, Primitivo, Sirah e Merlot, Cantine Minini.

Davvero un nome particolare per questo vino che si professa un mix di vitigni pugliesi e siciliani, per specifica intenzione del suo produttore. A tal proposito vediamo alcuni spunti che spiegano le intenzioni dell’azienda: “Nel mondo del vino si parla di passione spesso in maniera superficiale e senza l'investimento emotivo che un vino di eccellenza merita. Mi piace definire, invece, Mea Culpa un vino coinvolgente, originale e perché no, eretico”. Il nome deriva dalla nota frase escclesiastica che viene recitata durante la messa in latino: “mea culpa, mea maxima culpa. Ideo precor beatam Mariam semper Virginem, beatum Michaelem Archangelum, beatum Ioannem Baptistam, sanctos Apostolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres (et te, pater), orare pro me ad Dominum Deum nostrum. Amen”. In pratica una dichiarazione di colpevolezza per aver commesso qualche peccato. E cos’è il vino se non un peccato di gola e di spirito? Aggiunge il produttore del vino: “L'originalità e la sua eresia derivano dalla mia aspirazione di combinare le eccellenze di due regioni italiane, Puglia e Sicilia, in modo da ottenere un intrigante equilibrio di potenza ed eleganza frutto dei vitigni dedicati a questo progetto”, L’etichetta è molto spartana. Fondo scuro di colore uniforme, Nome a lettere grandi. Annata scritta con numeri romani, e poi “vino rosso Italia”. Nient’altro. Concettualmente forte, graficamente poco incisivo.

La Doppia “G” di Ruggeri (e quella Singolare di “Ruge”)

RU-ZERO, Prosecco, Az. Agr. Ruge.

Questa etichetta fa parte di quella tipologia che possiamo definire “interpretabili”. Nel senso che non viene compresa chiaramente alla prima occhiata. Necessita di una analisi degli elementi. Ed è quello che proveremo a fare. L’azienda, con sede e vigneti dalle parti di Valdobbiadene, si deve ricondurre ai fratelli Ruggeri. Il cognome Ruggeri è abbastanza diffuso in quella zona, altri produttori si chiamano così, al punto che questa famiglia ha pensato di chiamare l’azienda “Ruge” per distinguersi un po’. Ruge, però rischia di essere letto come “Rughe”, oppure di non portare direttamente al cognome in questione, mancando la doppia “g”. A proposito di questo cognome i titolari scrivono: “A Valdobbiadene, il cognome Ruggeri è legato a doppio filo con la storia del Prosecco. Da Agostino Ruggeri, il capostipite, proseguendo una breve linea genealogica si giunge a Vittore e ai suoi due figli, Ruggero e Andrea, gli attuali vignaioli dell’azienda Ruge. La nostra azienda agricola si trova sul Col Funer, a Santo Stefano, una nelle zone più vocate, soleggiate e suggestive dell’intero territorio del Valdobbiadene Docg”. Il nome “Ruge” in etichetta è scritto con la “G” rovesciata, un vezzo grafico che spesso si trova nei packaging del vino. In più, il logo di questo produttore sembra proporre al pubblico ben due “G” rovesciate (specularmente), con al centro un calice stilizzato. Forse le due “G” servono a ricordare “Ruggeri”? Forse perché i fratelli Ruggeri che gestiscono l’azienda sono in due? Non lo sappiamo. Fatto sta che il tutto si rivela piuttosto enigmatico, poco chiaro, poco diretto. Il nome stesso del vino, “Ru-Zero”, non si sa se vale per il dosaggio o perché “Ruggero” in dialetto si pronuncia “Ruzero” (ipotesi strampalata, ma a questo punto vale tutto).

Un’Etichetta che ha i Numeri

13, Pinot Bianco, Brigl.

Questa, a quanto pare, antichissima cantina si trova nell’Alto Adige dei buoni vini (soprattutto bianchi) e in particolare sull’altopiano del Lago di Caldaro, ad Appiano, sopra Bolzano. Il simbolo e il vanto del produttore è una data: 1309, che viene enfatizzata in etichetta con un grande “13”, in oro e in rilievo (ciò avviene per tutte le etichette della gamma, qui rappresentiamo quella del Pinot Bianco). A dire il vero, ponendo attenzione, si può notare che il numero 1 è specularmente rovesciato, si tratta di un vezzo grafico difficile da notare: se si fosse deciso di “ribaltare” il numero 3, ad esempio, si poteva notare di più (ma il numero 3 come vedremo, ha un’altra funzione). Perché enfatizzare il numero 13, quasi fosse il vero nome del vino? Forse perchè porta fortuna? In ogni caso questo numero va a comporre, come detto sopra, la fatidica data (della fondazione): 1309. La parte mancante, lo 09, lo troviamo in piccolo, in alto, di fianco al numero 3. A parte tutte queste considerazioni numerologiche, si tratta di una bella etichetta. E’ stato creato un packaging attraente, attenzionale, elegante, colto. In alto un cappello dorato, sempre in rilievo, “incorona” il numero 13. Nella texture di fondo vediamo un delizioso cherubino che leggiadro si libra nell’aria. Alla base troviamo il nome della vigna dove alligna la vite delle uve di Pinot Bianco (Weissburgunder, in tedesco) che compongono al 100% questo vino. Semplice e misterioso al tempo stesso. Un buon auspicio per la buona tavola. P.S.: il numero 3 funge anche da lettera “B” per il cognome del produttore, lo si può notare sul collarino della bottiglia. 

Imperatori a Tavola, con le Langhe nel Cuore

Pertì, Langhe Rosso, Pertinace.

La nuova etichetta del rosso “da pasto” di Pertinace, colpisce anche da lontano, si tratta del faccione di un guerriero, forse un Re medievale, o di un antico eroe greco, in veste grafica attualizzata, almeno per quanto riguarda i colori. Il nome del vino nasce chiaramente dal nome del produttore, “Pertì”, da Pertinace. Ma contiene anche una invocazione: per te. Una specie di dedica che dalla storia (eventuale) del produttore passa alle vicende sociali e socializzanti del consumatore. Il risultato, nel packaging, si manifesta con toni scuri, pochi e ben distinti elementi, ottima memorabilità. Si tratta di un’etichetta teatrale, scenografica. Il vino si compone di Nebbiolo, Barbera e Cabernet Sauvignon. Il nome dell’azienda invece, “Pertinace”, oltre a ricordare un Imperatore Romano, si attiene al significato di “colui che dà prova di ostinata costanza nel pensare o nell'agire”, modificato a volte in letteratura in “pervicace” col medesimo significato. Scrive a tal proposito l’azienda: “L’esistenza del toponimo Pertinace è millenaria. La cantina è in località Pertinace, a Treiso, in Piemonte, in uno dei quattro comuni delle Langhe famosi per la produzione del Barbaresco Docg; ma è anche il luogo noto per aver dato i natali a Publio Elvio Pertinace, condottiero di valore e imperatore romano che proprio qui vide la luce nel 126 dC”. Insomma, gli ingredienti per un buon successo di comunicazione ci sono. E il terroir anche.

Il Merlo Furtivo delle Dolomiti Bellunesi

La Siesa del Merlo, Pavana, Tenuta Crodarossa.

Davvero un vino particolare, che nasce vicino a Feltre, nel bellunese. Particolari anche il suo nome e l’etichetta, per questo abbiamo deciso di dedicargli qualche riga di commento. Partiamo dal produttore che si chiama “Tenuta Crodarossa” (Tenuta, però, viene scritto sotto, creando un bisticcio semantico in lettura), che ha sede a Borgo Valbelluna. Il logo, sembra essere una composizione rocciosa di profili montagnosi. Il nome del vino è “La Siesa del Merlo” e qui ci viene in aiuto l’azienda stessa che nel proprio sito internet scrive a tal proposito: “La ‘siesa’ in dialetto veneto rappresenta un cespuglio, abbastanza aggrovigliato, dove di solito si rifugiano i piccoli animali per sfuggire dai predatori o dall’occhio umano”. Il rifugio di un merlo, in questo caso, forse furtivo, dopo aver rubato qualche acino d’uva. E passiamo al vitigno, la Pavana. Scrive ancora il produttore: “La Pavana è un’uva cultivar indigena che oggi si ritrova solo nel Feltrino e in Valsugana. Un vino ribelle e che sa di montagna, cresciuto nelle zone storiche della viticoltura feltrina, le Rive di Mugnai e che si sposa perfettamente con i piatti della tradizione bellunese”. E infine vediamo l’etichetta nel suo complesso: segmentata in alto, a rappresentare le Dolomiti Bellunesi, un tralcio di vite pende dall’alto e il merlo, ivi appoggiato, in rosso. Il tutto su un fondale amaranto che sicuramente si fa notare. Anche il vetro è particolare: con la spalla alta molto larga, come si forgiavano le bottiglie nei primi secoli dell’avventura moderna del vino. Promossa a tutto campo: curiosità o originalità.

Un Celebre Veneziano alla Conquista della Toscana

Irripetibile, Blend di Rossi, Podere Casanova.

I toni di rosa di solito, in etichetta, vengono utilizzati per affinità, con i vini rosati. In questo caso siamo di fronte a un rosso, costituito da Sangiovese, Merlot, Petit Verdot e Cabernet. Siamo infatti indubbiamente in terra di rossi, a Montepulciano, dove Isidoro Rebatto e Susanna Ponzin, veneti, hanno acquisito una tenuta che, ironia della sorte, si chiama Podere Casanova, richiamando nomeicamente la storia e le imprese del celebre Giacomo Casanova, donnaiolo veneziano. Etichetta rosa, dicevano, molto particolare, si fa notare. Con un piglio artistico, pittorico, espone una testa femminile, forse alludendo alle scorribande del noto corteggiatore.  Si tratta di un viso molto aggraziato, proprio al centro dell’elaborato. In alto troviamo il logo aziendale, un gufo, ugualmente ben disegnato, con stile minuzioso. Il nome dell’azienda lo troviamo nella parte alta del packaging, in oro e in rilievo: si fa certamente notare. Sotto al nome dell’azienda troviamo il nome del vino, “Irripetibile”, ambizioso quanto basta, e con un buon coefficiente di curiosità indotta. L’etichetta risulta gradevole, intrigante. La sua macchia di colore insolita può aiutare a rendere visibile e desiderabile questa bottiglia di vino. Il resto lo dirà il calice e il gusto degli attenti avventori.