Vini “Terribili” con le Idee Chiare

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Niño Terrible, Malbec, Mister L Wines.

Misterioso il produttore, coinvolgente la comunicazione. Si tratta di un piccolo produttore che per ora propone solo due vini, il ”Niño Terrible“ che qui riportiamo e un altro Malbec chiamato “Pasion Arte”. A partire dal logo aziendale si riconosce subito l’intenzione di sorprendere: a parte il “Mister L” da film poliziesco, l’immagine mostra due profili mascherati, con una originale grafica. Ma veniamo alla bottiglia di Malbec dalla divertente etichetta che vediamo qui a sinistra: il vino nasce da vigne della zona di Vista Flores (Tenuyàn, Argentina) poste a ben 1100 metri di altitudine. Il packaging onora un bambino terribile, uno scugnizzo diremmo qui da noi, che secondo le descrizioni del produttore dovrebbe rappresentare il ricordo d’infanzia di uno dei soci. Da sempre bambino irriverente, allergico alle regole, che oggi, adulto, produce vino in modo anarchico e “come vuole lui”. Il concetto, tutto sommato, non è così originale. Sorprende invece la modalità con la quale è stato rappresentato, con elementi ricercati e di sicura presa attenzionale.
Il disegno di un ragazzino molto “dinamico” è incastonato nel nome del vino, scritto con caratteri in rilievo e in oro con un notevole effetto valorizzante. Abbiamo quindi allo stesso tempo elementi di ribellione, di anticonformismo e sensazioni legate alla preziosità e alla accuratezza. 
A lato, sulla sinistra, una scritta: “Peleando por causas nobles desde que tengo uso de razòn. El vino de un luchador al que llamavan terrible” (riscontriamo uno strano errore in mezzo a tanta accuratezza: manca il punto finale, nella frase, dopo “terrible”). La traduzione sarebbe: “Lottando per cause nobili da quando ho l’uso della ragione. Il vino di un combattente che chiamavano terribile”. La grafica nel suo insieme è pulita,  essenziale ma anche coraggiosa, certamente realizzata da professionisti del settore. Un valido esempio di una piccola realtà che crede molto nella comunicazione e investe risorse per sfruttarla nel migliore dei modi.


L’Ingegnere delle Acque, Padre del Vino

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Teodoro, Montepulciano d’Abruzzo, Tenute Muròla.

Questa cantina con sede in provincia di Macerata, che nel tempo è passata dalla coltivazione del grano a quella dell’uva, ha deciso di omaggiare gli antenati con le etichette della propria gamma di vini. Una in particolare ci ha colpito per via di quella insolita formula geometrica che appare in evidenza nel packaging-design, accompagnata da una didascalia subito alla sua destra. Lo scritto però non si spinge fino al punto di spiegare la serie di triangoli distinti da lettere sistemate sui vertici (chiediamo aiuto ai matematici). Si tratta di un Montepulciano d’Abruzzo che si chiama “Teodoro”. Riportiamo quindi il rational che si trova nel funzionale sito internet aziendale: “L’antenato Teodoro Bonati, illuminista del Diciottesimo Secolo e “ingegnero”, si è distinto nella ricerca delle leggi che regolano le dinamiche della natura e in modo particolare in quella del moto delle acque. Il grande carattere del vino che gli abbiamo dedicato vuole avvicinarsi alla statura dello scienziato”. La storia dell’ingegnere che si è dedicato ai flussi acquiferi che oggi viene chiamato a rappresentare un vino è quanto meno curiosa. L’etichetta risulta piuttosto arcaica: quella formula ottocentesca, oltre al carattere di scrittura, in oro, che nella parte superiore dell’etichetta riproduce la firma dell’illustre avo, conferisce toni più che classici, storici.  Al vino non fa mai male apparire come il risultato di un percorso intergenerazionale, purché, come in questo caso, vi siano ragioni circostanziate nell’ambito di una comunicazione coordinata. 

Vino Rosso, Gatta ci Cova

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Gattabuia, Cabernet e Merlot, Tenuta Moraia (Piccini).

Il nome di questo vino è una parola in ampio disuso ma che si porta dietro diverse sfumature semantiche. Vediamo cosa dice Treccani: “Fra le diverse denominazioni alle quali è possibile fare ricorso per indicare il luogo in cui vengono rinchiuse le persone private della libertà personale, quelle più connotate, quanto a registro d’uso, sono le meno frequentemente passibili di usi estensivi: carcere, di uso comune, gabbio, gergale, galera, di uso comune, gattabuia, di registro scherzoso, guardina, familiare, prigione, di uso comune, reclusorio, non comune. Incerta è la trafila etimologica di gattabuia. Due, in particolare, sono le congetture più frequentemente proposte: la prima ipotizza un’alterazione del sostantivo gattaiola (“apertura fatta nella parte inferiore di un uscio perché vi possa passare un gatto”) incrociato con l’aggettivo buia; la seconda, invece, prospetta un rifacimento del latino parlato catugiam, derivato a sua volta dal greco katogeia “sotterranei”, da connettersi, probabilmente, anche con una serie di forme dialettali e gergali dello stesso significato (catoia, catuia, catorbia)”. Ma veniamo al design complessivo di questa etichetta. Molto scura, non tradisce l’accenno all’oscurità da parte del nome del vino. Risulta quindi piuttosto lugubre. Al centro vediamo un gatto nero (che non porta buono, nella tradizione popolare) rinchiuso in una gabbia dorata. Sensazioni disagevoli. Mistero e circospezione. Magia nera? Forse per “gattabuia” i creatori di questa etichetta intendevano proporre una versione romanzesca di una cantina (il Conte di Montecristo potrebbe dirci qualcosa al riguardo)?

Cavalli Sparsi sul Trasimeno

Ciliegiò, Ciliegiolo, 
Conestabile della Staffa.

La semplicità regna sovrana in questa etichetta (viste anche le cronistorie araldiche della famiglia). Assistiamo a un design “elementare” per un vino che nasce da un vitigno “contadino” e mai veramente nobilitato. Ha però i suoi pregi questa etichetta spartana: un disegno molto abbozzato presenta con straordinario dinamismo le forme di un cavallo. Ebbene l’equino richiama subito una moltitudine di sensazioni: eleganza pittorica, battaglie storiche, ippodromi d’antan, allevamenti lipizziani, condottieri coraggiosi, cavallerie rusticane, epicità mai dome, racconti guasconi, caroselli d’armi, purezza e bellezza della natura. E si potrebbe continuare con molte altre infusioni d’immagini. Fondo granata, scritte bianche. Il nome del vino scritto in corsivo, anch’esso come se fosse abbozzato. Sembra che questo nome sia proprio quello di un cavallo della scuderia presente in azienda, “Ciliegiò”. Semplice derivazione dal nome del vitigno Ciliegiolo che, come si diceva, è un vitigno minore, ma in grado di regalare piacevoli sensazioni soprattutto in purezza. Questo packaging genera anche un paio di perplessità: la scritta “Vino Rosso di Natura” che suggerisce due possibili interpretazioni e la presenza di due nomi, Ciliegiò e Case Sparse. A questo punto prendiamo questo secondo nome come se fosse un nome di linea. Ma l’equino equivoco andrebbe chiarito. 

Simboli Stilizzati nelle Campagne Piemontesi

Terra, Dolcetto in Rosato, Cantina Clavesana.

La “linea Terra” di Cantina Clavesana è caratterizzata da etichette semplici e lineari dove vengono mostrati alcuni oggetti di uso vitivinicolo. Ma partiamo proprio dal marchio (alla base dell’etichetta): una semplice scritta “terra”, sottolineata da un tratto marrone che riproduce proprio una striscia di terra. Semplice e diretto. Contadino e genuino. Per la parte restante dell’etichetta che abbiamo preso ad esempio, vediamo, in campo bianco, sostanzialmente solo un altro elemento di spicco (oltre al nome della Doc), cioè uno stivale di quelli che si usano in cantina, o in vigna quando è piovuto molto, che in questo caso specifico è rosa. Sorprende vedere uno stivale rosa, anche perché, tranne per quelli fashion firmati dal mitico Elio Fiorucci, solitamente questo tipo di calzatura è nera o verde scuro. Spesso basta quindi un elemento, sia pure dotato di originalità, per attirare l’attenzione e generare qualcosa di particolare. Tutte le altre etichette della linea Terra sono caratterizzate da un elemento unico che fa da protagonista del design: abbiamo ad esempio un tino, una cesoia, una botticella, un cavatappi, un trattore, una damigiana, un imbuto, un torchio, un trattore, etc., alcuni meglio riusciti altri meno, ma in sostanza il concetto creativo viene portato avanti con convinzione e ottima realizzazione.

Case Sparse tra Perda e Cuba

Casesparse, Cannonau e Monica, Azienda Agricola Pusole.

Si tratta di una piccola realtà nel cuore della Sardegna, nell’Ogliastra, provincia di Nuoro, ed esattamente in località “Perda e Cuba” (a volte i nomi dei luoghi si rivelano universali) comune di Baunei. Solo 11 ettari con annesso allevamento di maiali allo stato brado (che forniscono il concime per le vigne). Le etichette di questa azienda famigliare che opera da 4 generazioni sono tutt’altro che stantìe o tradizionali che dir si voglia. Si presentano con un design fresco, attuale, allegro, disinibito. Abbiamo preso come esempio il vino che si chiama “Casesparse”. Il nome tradisce una chiara descrizione topografica di una zona che immaginiamo molto ampia e costituita da poche case in vaste aperture. Nome semplice, “genuino”, ma con una propria forza semantica, se non fonetica. L’immagine, una bella illustrazione che confina con velleità artistiche, va di pari passo con il nome del vino, confermandolo attraverso una comunicazione sinergica che arriva al cervello con coerenza ed efficacia. Si vedono infatti alcune casette colorate, su appezzamenti di terreno. Un Mondrian di campagna, dove i cromatismi prendono il sopravvento sia pure con stile e discrezione. Certo l’etichetta colpisce, e questo è molto positivo, anche per i caratteri di scrittura che sono stati scelti per il nome del vino e e il nome dell’azienda. Quest’ultimo, Azienda Agricola Pusole, si presenta con le vocali riempite, con un effetto originale che non pregiudica troppo la leggibilità. Nel complesso la bottiglia ha personalità e riesce a incidere nella memoria (N.d.R.: ci scusiamo per l’immagine della bottiglia, certamente non qualitativa; la migliore reperibile attualmente in rete).

Vini e Idee Made in Italy

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Maree d’ione, Fiano, 
Orion Wines.

Avete mai visto un “wine-in-a-tube”? L’idea è di un italiano, come riferisce il sito packaginginsight, da dove proviene anche la foto dei due “modelli” che qua a sinistra vi mostriamo. Ma leggiamo la notizia direttamente nella versione in inglese: “High-end UK grocer Waitrose has unveiled an eco-friendly tube packaging for wine. The launch comes in collaboration with Italian Orion Wines and features a bag of wine within a tube. The novel packaging format is 100 percent recyclable and contains the equivalent of three glass bottles of wine. Once opened the wine stays fresh for roughly ten days longer than it would with traditional 75 cl bottles. The Waitrose launch is the latest in packaging innovation in the wine space which has been accelerating recently.
Examples include Amcor’s bespoke, recyclable closures and Winerytale’s augmented reality (AR) app, which offers personalized smartphone-scannable labels. Waitrose also notes that alternative wine formats are becoming increasingly popular with shoppers. The tubed wines are made by Alessandro Michelon, Head Winemaker at Orion Wines and are both organic and vegan. Already popular with Waitrose shoppers in its bottled format, the Maree d’Ione Fiano from Puglia has aromas of green apple, pear and almond and is touted as delicious served with grilled sardines and roasted vegetable dishes. The Terre di Faiano Rosso, Puglia, a blend of Negroamaro, Primitivo and Cabernet Sauvignon, is a new addition to the range, from the same winemakers as the top-selling Waitrose red, Terre di Faiano Primitivo, the retailer notes”. La gamma dei vini proposti da questa azienda, con sede a Lavis, nota area vinicola trentina molto “produttiva”, ha una impostazione decisamente commerciale con proposte che spaziano dalla Toscana, alla Sicilia, dalla Lombardia alla Puglia. Molta importanza viene data al packaging: le etichette sono ben realizzate e dotate di originalità. Certo, alcune degenerano in un discutibile gusto nord-americano, ma come dicono da quelle parti, business is business.

La Vergine del Calice

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Marsala Vergine, Vino Lauria.

Questa cantina siciliana, di Alcamo, in provincia di Trapani, sfoggia etichette molto fantasiose per tutta la propria gamma di vini. Abbiamo preso ad esempio quella del Marsala, che presenta una bella illustrazione in stile Futurista, o se vogliamo, anni ‘30 rivisitata. È una questione di colori, che nel packaging-design, naturalmente, sono molto importanti. In primo luogo vogliamo omaggiare il colore del vino, davvero affascinante, in questo caso. Un ambrato profondo ma di grande dignità e di sicuro effetto. I colori dell’illustrazione al centro dell’etichetta, a partire dal cerchio sullo sfondo, sembrano sposarsi, cromaticamente, in modo perfetto con quello del vino. Ed è già armonia. Una sintonia che si percepisce prima agli occhi che al palato. Cosa vediamo? Una donna molto elegante, in una postura flemmatica, che regge delicatamente un calice nell’atto di sorseggiare il nettare ivi contenuto. Si tratta di una immagine che nel breve spazio di un rettangolo di pochi centimetri è in grado di trasmettere un treno di sensazioni positive che vanno dalla sontuosa bellezza, alla calma meditativa, dalla nobiltà d’animo alla magnificenza del buon vivere. Il resto dell’etichetta ci comunica il nome del produttore, in alto (strano a dirsi è proprio “vino” al singolare “Lauria”, cognome, dove di solito si usa “vini” al plurale, ma la prendiamo come una nota di originalità), quindi la categoria del vino “Marsala Vergine”, in basso, insieme ad altre informazioni di legge. Un bell’esempio di semplicità “di spessore”.

La Dolcezza Austera della Syrah (o del Syrah?)

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Candito, Syrah, Trevisan.

Il nome dell’azienda, cioè il cognome del titolare, tradisce le origini venete della famiglia. Qui siamo invece in Toscana, a Cortona, sulle rive del Lago Trasimeno, piccola patria del Syrah di italica vinificazione. La produzione è famigliare: poche bottiglie che nascono dalla coltivazione di 2 ettari e mezzo di vigne. Oltre alla dicotomia tra il cognome Trevisan e la Toscana (nel logo queste due “informazioni” vengono fornite insieme, sotto a una coccinella stilizzata), quello che ha attirato la nostra attenzione è il nome del vino, “Candito”, e la sua formulazione cromatica. Candito infatti riporta ai piccoli pezzi di frutta che si trovano nel panettone e nella colomba, e in molti altri dolci. Oppure a pezzi interi, secondo tradizioni soprattutto del sud Italia. Ed è proprio questa, in un certo senso l’origine del nome. Vediamo cosa dice in proposito il titolare dell’azienda nel sito internet dedicato: “Candito è il soprannome dato a mio padre da bambino perché goloso della frutta candita e da noi utilizzato per sottolineare le note dolci caratteristiche della Syrah”. Strano, particolare, curioso. Potrebbe essere fuorviante, perché la mente va subito a qualcosa di molto dolce, rischiando addirittura di influenzare le percezioni gusto-olfattive. Ma a parte l’omaggio dovuto al padre fondatore, si tratta di un buon esercizio di fantasia, considerata anche la modalità con la quale si è deciso di rappresentare il nome in etichetta. Vediamo infatti un carnevale di colori, applicati a lettere discontinue per disposizione e dimensioni. Facile l’assonanza con “bandito” (altro possibile problema, soprattutto se il nome viene riferito a voce), ma in generale l’etichetta si distingue bene, si fa notare, esce dal cerchio delle solite grafiche. Non comprendiamo fino in fondo questo esperimento “carioca” ma ne sosteniamo l’innovatività e il coraggio.

Schiena Beata, Ira Folle, Innato Talento?

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Schiena Dritta (Non Teme Confronto), Vermentino, 
Domina Wine.

I nomi che letteralmente “dominano” queste particolari etichette (l’azienda si chiama Domina Wine e la gamma proposta conta 6 vini) sono questi: Schiena Dritta, Beata Ambizione, Ira Funesta, Folle Passione, Innato Talento ed Emozionante. Ma come si può vedere nell’esempio qui raffigurato, c’è di più. Ogni nome è solo l’inizio di una frase. Per cui abbiamo “Schiena Dritta - Non Teme Confronto” per il Vermentino, “Beata Ambizione - Puntare in Alto non è Superbia” (Viognier e altri vitigni bianchi), “Ira Funesta - Cantami o Diva del Pelide Achille” (Sangiovese, Cabernet e Syrah), “Folle Passione - l’Ardore non si Controlla” (Cabernet, Merlot, Syrah), “Innato Talento - che il Tempo può Solo Maturare” (Sangiovese e Syrah) ed Emozionante (che è l’unico nome che si risolve con una parola sola). Si tratta evidentemente di una impresa di stampo commerciale, ma è comunque interessante analizzare le scelte che sono state fatte per quanto riguarda il design. Etichette di impatto, certamente, che puntano a sorprendere. Non ci sono legami concettuali specifici, né col territorio (siamo in Toscana a Suvereto, per quanto riguarda la sede aziendale), né con i vitigni o i blend che compongono l’offerta. C’è una modalità: imperativa, finto-avanguardista, cheguevaresca, e si potrebbe dire tanto di più e anche niente. La domanda giusta, in questi casi è: portereste a casa di amici delle bottiglie così? A prescindere dal contenuto che può essere anche eccellente... forse dipende dagli amici. ll target è segmentato, direbbe il marketing, la vita è bella perché varia, aggiungiamo noi.
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Il Gigante Buono (e Santo)

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Gigante, Pinot Grigio, Adriano Gigante.

Questa insolita etichetta può raccontare molte altre storie, oltre a quella che vuole e deve trasmettere a proposito del suo produttore e del vino che rappresenta. Adriano Gigante (bellissimo cognome da giocarsi in comunicazione: imponente, memorabile, paterno) lavora le proprie vigne in Friuli a Corno di Rosazzo, sulle colline di Rocca Bernarda (nome topografico riportato anche in etichetta). Una storia di famiglia che inizia con il nonno dell’attuale titolare nel 1957 e che ha sempre avuto un pavone come logo aziendale, animale da cortile amato e rispettato (sul fronte etichetta il pavone non c’é ma nel sito aziendale si fa vedere, bene stilizzato). Ma torniamo alle etichette e al loro racconto complementare. Sono tondeggianti: ultimamente se ne trovano poche di questa forma. Sono “raggianti”: hanno un profilo seghettato, come un sole. All’interno altri raggi dorati. Sembrano una di quelle immaginette di santi o beati che si trovano nelle chiese. Al centro dell’immagine ovale non una santa bensì una “Gea”, sembrerebbe, Dea del globo terracqueo. Le sensazioni sono quindi molteplici: religiosità, spiritualità, tradizione, classicità. La donna al centro, può in effetti essere santa, dea, madonna e signora. Tutte le etichette in gamma sono della medesima forma, variando le colorazioni. Alcune azzardate come quella color pistacchio della Malvasia. In ogni caso il design spicca il volo, si fa notare, esce dagli schemi, sia pure con uno stile arcaico.
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Un Rèfolo Creativo sul Lago Trasimeno

Che Syrah sarà, Syrah, Madrevite.

Si scrive Sirah, Syrah, oppure Shiraz con un alone semantico arabeggiante? Contorta e irrisolta questione che qualcuno, come Madrevite, accoglie in modo giocoso. Perché ci vuole coraggio a chiamare un vino “Syrah quel che sarà”. Un tipo di coraggio di quelli coraggiosi, condito con voglia di sorprendere e di non prendersi troppo sul serio. Apprezzabile davvero. Vediamo in dettaglio questa bottiglia. Nasce sul lago Trasimeno a circa 300 metri s.l.m. e si presenta con un’etichetta “fresca”, giovane, spigliata, nonostante si tratti di un vino rosso di un certo spessore. Alla base del design una fascia azzurra. Il lago, dove una barchetta dalle vele rosse si dilegua nel rèfolo pomeridiano. Poi: molto bianco, dove campeggia con indiscutibile presenza scenica il nome del vino. Ma la vera scoperta filosofico-creativa risiede nelle piccole illustrazioni a lato, incolonnate in verticale nella parte sinistra dell’etichetta. Perfettamente in linea con il significato del nome del vino, vediamo raffigurati gli imponderabili elementi della meteorologia sovrastati da un radice di vite. Simbologie, quasi geroglifiche, che richiamano all’importanza della natura e sostanzialmente alla sottomissione dell’uomo ad essa. Bravi: creativi con un pensiero profondo in più. Simpatico anche il cognome del titolare dell’azienda: Chiucchiurlotto (Nicola). Cosa desiderare di più?

Mitologia Greca, tra Sicilia e Campania.

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Persefone, Falanghina, Maria Furgiero.

La storia di Persefone è piuttosto lunga e intricata. Si tratta di quel dedalo di personaggi e avventure che riconduce alla mitologia greca e che in questo caso vogliamo risparmiarvi. Cerchiamo quindi di riassumere in breve, visto che il finale c’entra qualcosa con la viticoltura: Persefone (che gli Antichi Romani chiamavano Proserpina) era una giovane e ubbidiente fanciulla figlia di Zeus e Demetra. Un giorno, correndo nei boschi con alcune amiche, si smarrì nei pressi di Enna (Sicilia). Sbucò Hades dal sottosuolo e se la portò negli ìnferi. Seguono spasmodiche ricerche e implorazioni varie da parte della madre Demetra, un lungo viaggiare e infine una ripicca: rendere la terra infruttuosa. Zeus fu allora costretto a intercedere presso Hades affinché la giovinetta fosse liberata. A quel punto Demetra ricoprì di nuovo la terra di fiori e di frutti. Si tratta di una simbologia che richiama il seme, prima sotto terra poi, a primavera, uscito dalla terra, esponendosi al sole, genera fiori e frutti. O se vogliamo, della vite, che dorme silente in inverno per poi tornare ad essere produttiva. Nell’etichetta in questione, la Falanghina di una giovane produttrice campana, una Persefone partenopea, che fuoriesce da un vulcano,  distribuisce fiori e frutti all’umanità. Tra il folkloristico e il naïf.

La Dura Vita delle Viti Autoctone

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Mattìo, Granatza, Francesco Cadinu.

Tra le stranezza di questo vino annoveriamo subito il nome del vitigno di cui si compone. Tutto sommato si tratta di nomi e per quanto riguarda quelli dei vitigni c’è sempre da stupirsi sull’infinita varietà di sinonimie e varianti locali o dialettiche. Stiamo parlando di un vino bianco prodotto con il 100% di “Granatza”, vitigno autoctono storico presente da secoli in Sardegna. Il corto circuito mentale si genera quando si apprende che il Cannonau (vitigno a bacca rossa, che primeggia sull’isola) in realtà è fratello quasi gemello della Grenache e della Garnacha rispettivamente francese e spagnola. Ma questa “Granatza” nulla ha da spartire con le varie Grenacce o Granacce che allignano in giro per il mondo. Fatta questa precisazione passiamo alle stranezze della bottiglia iniziando dal nome del vino, “Mattìo”: non è dato a sapere se siamo di fronte a un nome proprio (Matteo), a un aggettivo (matto) o a un momento della giornata (mattino). Dalla sua parte ha che si tratta di un nome breve e tutto sommato memorabile. Sotto al nome del vino si vede la sagoma del profilo di un uomo.
Nient’altro se non il logo del viticoltore, nella parte alta dell’etichetta, vagamente inquietante: una facciona mostruosa (un mamuthones sardo), simile a un teschio. Nel logo la firma del produttore: Francesco Cadinu. Nel complesso l’etichetta ha tentato di proporre temi grafici insoliti e moderni, ma gli elementi rimangono molto slegati e non privi di varie perplessità per quanto riguarda l’efficacia della comunicazione.

Volo Planato sui Colli di Luni

Vermentino, Il Torchio.

Questa piccola azienda agricola di Castelnuovo Magra, in quello scampolo di Liguria che è molto Toscana, è nota, oltre che per la qualità dei propri vini, per la vivacità delle etichette. Molto colore, molta allegoria. Una gioia di comunicare che riflette il carattere delle produzioni e, crediamo, delle anime che le animano. Innanzitutto parliamo del nome dell’azienda, “Il Torchio”: deriva dal fatto che anticamente quella che adesso è una cantina, era un frantoio per le olive. Al fondatore, scomparso pochi anni fa, sono subentrati due giovani nipoti che ora portano avanti l’attività con rinnovata energia. Torniamo alle etichette, in particolare a quella del Vermentino, il vino di punta della zona (Colli di Luni) e dell’azienda: un’immagine circense, sognante, svolazzante di un “Uomo Cannone” con una tuba infinita, colpisce subito per i colori e lo stile dell’illustrazione. L’uomo vola e regge con una mano un grappolo di uva bianca. Nonostante le forme non esili è leggiadro nel suo volo. Sotto e attorno a lui, lune e castelli. Una fiaba immaginata, un racconto visivo che emoziona all’impronta e fa sognare mentre si degusta il vino. Proprio quello che ci vuole. L’azienda si diverte nel cambiare spesso le proprie etichette, proponendo diverse versioni cromatiche dell’uomo volante, piuttosto che altre situazioni sempre molto “favolose”. Le illustrazioni sono di Francesco Musante, artista serigrafo che recentemente ha brillantemente (in tutti i sensi visto l’intenso impiego di colori vivaci) disegnato e creato scene e costumi della Bohème allestita al Carlo Felice di Genova nel dicembre 2019. Con questo stile le etichette risultano davvero festose, soprattutto per rallegrare la (buona) tavola. A livello di branding non apportano credibilità “tecnica” bensì guadagnano terreno nella simpatia e memorabilità. Il calice, ne siamo certi, farà il resto rendendo complici vista e gusto.