Giovani Baroliste Crescono
Una Coppia di Coltivatori di Cedri (e di Vigne)
Die Zederbauer, Grüner Veltliner,
Le immagini stilizzate di queste etichette sono davvero molto belle. Tracciano i confini di quel territorio creativo dove il regno del disegno diventa universo artistico. Ed è questa la loro forza propositiva. Unitamente ad una sensazione di gioia e dinamicità che queste illustrazioni sanno trasmettere subito, in prima battuta. Si tratta della stilizzazione di un uomo e una donna, riuscite particolarmente bene per sintesi grafica e cromatica. Il fautore di queste etichette è un produttore austriaco, che opera nella zona a nord-ovest di Vienna, dove le colline possono godere della vista del bel Danubio blu. Il vitigno in questione conferma: si tratta di un autoctono coltivato in modo quasi esclusivo in Austria (e in piccola parte in Alto Adige), il Grüner Veltliner. E veniamo al nome del vino che è anche il nome della “weingut”, come si dice “azienda vinicola” in lingua tedesca (11 ettari di vigneto, in regime biologico, che appartengono alla medesima famiglia dal 1854, oggi gestiti dai discendenti Franz e Barbara): scopriamo che “die Zederbauer” significa “il coltivatore di cedri” (e di conseguenza “Zederbauerin”, la coltivatrice o la moglie di tale coltivatore). Il produttore ci tiene a precisare che poste le due bottiglie una di fianco all’altra, le due figure si tengono la mano. Con un tocco di romanticismo che serve nella vita come nel marketing. Prosit!
Un Don Giovanni che Sollecita i Sensi
Un Livello Molto Alto… a Tutti i Livelli
Il Respiro del Mare che fa Bene al Vino
Campo al Mare, Blend di Bordolesi,
Di vini (o aziende vinicole) che hanno nel loro nome la parola “campo” ce ne sono a decine. Si differenziano nella “definizione” di quel campo. E’ il caso di questo Bolgheri Rosso che si definisce in etichetta “Campo al Mare”, evidentemente per una vicinanza delle vigne alla Costa Toscana. Si tratta di una linea di vini della storica Famiglia Folonari. Nota soprattutto per la propria intraprendenza in terra di Toscana, nel secolo scorso, con i noti fiaschi impagliati; oggi con una serie di proposte che spaziano dal Nord al Sud Italia per un impero enologico di vaste dimensioni. Interessante sapere che il capostipite di questa famiglia era in origine stanziato in Valtellina. Ha poi spostato l’azienda in Val Camonica e quindi a Brescia. Partendo quindi dal Nord Italia per la conquista commerciale di molte altre regioni. Tra tutti i “campi” esistenti nei nomi dei vini, questo Campo al Mare è interessante per la dicotomia che reca con sé: un campo affacciato sul mare, a ridosso delle spiagge, è motivo di curiosità e di attenzione. Certo, un campo in aperta campagna è più “normale”. Si tratta quindi di una etichetta molto semplice, con un nome in alto e sostanzialmente molta pulizia grafica. Interessante il logo, rotondo, sotto al nome, con una bella sintesi visiva tra mare, sole e cipressi, dai contorni dorati. Alla base dell’etichetta il logo della Casa Madre, due “F” contrapposte, a rappresentare in questo specifico caso, Ambrogio e Giovanni Folonari.
Massaretta, Barsaglina o Sangiovese: con il Cybo Giusto
Anche i Migliori Cru Hanno Bisogno di Marketing
Tre Tarocchi Attorno a un Pozzo (Pieno di Vino)
Il Basilisco Abita in Basilicata (quello dei Re)
Etichetta di Spessore per un Vino a Basso Costo
Cuor di Pietra, Negroamaro Riserva,
A volte anche i vini a basso costo possono vantare etichette preziose (che costano di più della media in termini di produzione). E’ il caso di questo Negroamaro Riserva venduto dalla catena Lidl a un costo che si aggira sui 4 Euro a bottiglia. Non siamo qui per parlare del vino che in ogni caso alcune recensioni in rete reputano di buona qualità. Parliamo del packaging. Nome del vino: “Cuor di Pietra”. Non esattamente una accezione positiva visto che nel gergo popolare avere il cuore di pietra significa essere duri di carattere e insensibili. Ma in questo caso crediamo si faccia riferimento alla composizione del terreno dove maturano le uve atte a produrre questo nettare salentino (Puglia). La carta è preziosa, goffrata, con un decoro in rilievo. Vengono utilizzati anche particolari in oro. La fustella (forma dell’etichetta incollata sulla bottiglia) è di quelle sinuose, cioè non lineari (quindi costa di più). In alto, sul collarino, vediamo una forma a cuore che riporta il tema decorativo di tutto il packaging, con la scritta “Italia” e l’annata di riferimento. Una chiave antica che sta per infilarsi in una serratura aggiunge mistero e preziosità. Anche la scelta dei caratteri di scrittura è felice: classici, ordinati, leggibili, valorizzanti. Nel complesso si tratta di una bella etichetta che induce all’acquisto. Cioè una di quelle che sta bene al centro della tavola. Marketing e comunicazione: anche questo serve per vendere il vino (e qualunque altro prodotto).
Uno Sciaccarellu Corso, Molto Contento
Bollicine Venete Crittografate
Vino Francese… Made in Italy!
Petillant Naturel, Sauvignon e Semillon, Albert de Conti.
Questa è la storia di una famiglia italiana che è andata a produrre vino in Francia. Meriterebbero un medaglia. Ci accontentiamo di riassumere la loro avventura, approfittandone per mostrare uno dei loro prodotti: un rifermentato a base di Sauvignon, con una originale etichetta. Ma partiamo dalle radici italiche: nel 1925 Vincenzo e Clorinda de Conti arrivano in Francia con i loro 5 figli (poi ne faranno altri 7, autoctoni, per un totale di 12!). Si installano a Ribagnac, vicino a Bordeaux, per lavorare la terra. Nel 1963, due dei figli, Albert e Primo, iniziano a piantare vigne. Oggi i nipoti di Albert, Guillaume e Paul, hanno preso in mano l’azienda, ampliandola fino a 30 ettari in regime biodinamico, sotto l’appellativo “Bergerac”. Torniamo alla bottiglia di questo “frizzantino”: l’illustrazione a tutto campo colpisce subito per lo stile e gli “spari” di rosso che caratterizzano l’abbigliamento di una simpatica caricatura femminile. Assomiglia un po’ a Betty Boop, un personaggio a fumetti nato nel 1932 a NY, nel Bronx, e che ebbe grande successo in tutto il mondo. A volte si incontrano etichette (come questa) che apparentemente nulla hanno a che vedere con il vino, inteso come prodotto della tradizione. Ma quando ci sono simpatia e fantasia ci può stare tutto. A la santé!
Etichetta Fotografica, Biologica, Pragmatica.
Dòs de Nòa, Sauvignon, Cantina di Riva.
Siamo di fronte a una etichetta ben realizzata, piacevole, ordinata, con alcune caratteristiche che possono essere evidenziate. Innanzitutto vediamo che al posto di una illustrazione (presente nell’80% delle etichette per bottiglie di vino) c’è una vera e propria fotografia che in questo caso raffigura il dosso di Nòa, un colle posto a 350mt s.l.m. dal quale si può godere di uno splendido panorama sul Lago di Garda. La sede dell’azienda, infatti, si trova a Riva del Garda, in provincia di Trento. Il vino, un Sauvignon Blanc in purezza e biologico, si chiama “Dòs de Nòa”, espresso nel dialetto di quella zona. La carta dell’etichetta è piacevolmente “goffrata”, cioè leggermente in rilievo, ruvida al tatto. Due cornici dorate incasellano l’immagine generando uno stacco cromatico apprezzabile con il bianco e nero della fotografia. Il resto della grafica conformata a questo packaging-design risulta ben ordinato e con una scelta di caratteri di scrittura eleganti e funzionali (la leggibilità, sempre). Nel complesso possiamo dire che l’etichetta è ben riuscita e raggiunge l’obiettivo di comunicare sensazioni di affidabilità, storia, tradizione, sia pure in un contesto moderno e senza fronzoli. Piuttosto enigmatico, invece, il logo aziendale.
Le Quotazioni della Neve sono Molto Alte
La Riserva di Nevecrino, Spumante, Chemin.
La cantina, piccola, recente, valdostana, si distingue per una produzione unicamente di bollicine. E anche, diciamo noi, per un marketing alla ricerca di idee originali. Ma partiamo dal nome del vino, “La Riserva (in etichetta scritto senza spazio) di Nevecrino”. Si tratta delle punta di diamante della produzione, realizzato in sole 700 bottiglie, 72 mesi sui lieviti, come derivazione del figlio minore “Nevecrino” (30 mesi sui lieviti). I vitigni impiegati sono l’autoctono Prié Blanc e l’intenazionale Chardonnay. Qual è la particolarità di questi vini, e di pari passo delle scelte di comunicazione e marketing? Le bottiglie affinano non in una cantina normale bensì nei Barmet, grotte naturali con pareti di roccia, riempite di neve. Infatti nell’etichetta, sotto al nome del vino troviamo la frase: “Le bollicine affinate in una grotta innevata”, in italiano e in inglese (snowy cave). Le soluzioni grafiche del packaging sono di ottima fattura e forniscono pregio alla bottiglia: il fondo è completamente dorato, sopra al nome troviamo tre picchi montagnosi stilizzati e innevati. L’effetto del bianco (connotazione topografica da alta montagna) sul fondo oro è originale ed elegante. Certo, il marketing (come tutto il resto del processo produttivo) ha un costo (per il marketing si tratta di un costo aggiuntivo), per cui questa bottiglia non la troverete a prezzi popolari. E “Nevecrino”? E’ il cavallo appartenuto per lungo tempo a Re Théoden di Rohan (Terra di Mezzo, Tolkien). Destriero nobile, dal manto bianco, presumibilmente appartenente alla razza dei Mearas.
Il Bacco-Pascià di un Italiano in Oregon
Solimano, Nebbiolo e Pinot Nero,
A dispetto del cognome italico, questa azienda ha sede e produzione in Oregon, negli Stati Uniti che si affacciano sul Pacifico. Le origini però sono quelle. Tutto ciò si evince facilmente dai nomi dei vini della gamma di questo produttore. Ne citiamo solo alcuni: Eridano (Cabernet), Giuseppe (Pinot Noir), Valentino (Primitivo), Achille (Barbera), Angiola (Pinot Grigio), Emma (Sangiovese) e altri, tra i quali il “Solimano” che mostriamo qui a sinistra. Franco Marchesi, l’attuale proprietario è originario di Borgosesia, nell’Alto Piemonte. Si è stabilito negli Usa all’età di 22 anni con il pallino di coltivare uve tipicamente italiane (oltre a quelle internazionali necessarie a completare l’offerta qualitativa e commerciale). Ma veniamo al nome di questo vino, Solimano, detto il Magnifico, che fu Sultano dell’Imperto Ottomano dal 1520 in poi. Un sultano turco, in pratica. Certo, in medio oriente si coltivava la vite così come in Enotria, ma le imprese del pascià in questione poco c’entrano con la figura illustrata in etichetta, dove, almeno in apparenza, un Bacco felice ci mostra un grappolo d’uva. Insomma un mix di storia, cultura, popoli e paesi, che alla fine veste questa bottiglia di vino in modo abbastanza arcaico, con stilemi che rincorrono percezioni stereotipate, comunque in grado di attirare paciosi consensi.
Tre Passi tra i Filari delle Colline Monferrine
Tre Passi Avanti, Dolcetto, Cascina Gentile.
Questa cantina che ha sede e vigne al confine tra Piemonte e Liguria (non lontano da Gavi, per intenderci) viene oggi condotta dal nipote del fondatore: Daniele Oddone (in etichetta, in basso lo troviamo con la modalità “cognome e nome” secondo una logica antica, oggi ampiamente superata). Si tratta di un Dolcetto, molto in auge da quelle parti. Il vino si chiama “Tre passi avanti” nome/frase subito seguita dalla precisazione “uno indietro per umiltà”. Scopriamo che nell’insieme si tratta del testo di una canzone del gruppo fiorentino Bandabardò (che dà anche il nome all’album uscito nel 2004). Per completezza delle infomazioni semantiche, il nome di questa band è dichiaratamente un omaggio a Brigitte Bardot. Sulla parte sinistra dell’etichetta si intravvede una trama, un disegno, che rappresenta il filari sulle colline, ma come si può immaginare il protagonista resta il nome, posto esattamente al centro del packaging, in bianco su fondo nero, quindi molto visibile. Sulla destra un tratto rosso a tutta altezza divide la parte allegorica dell’etichetta da quella informativa e legale. In basso, in corsivo, il nome dell’azienda: Cascina Gentile. Si tratta quindi di un’etichetta che possiamo definire creativa, quasi emozionale, sicuramente in grado di incuriosire, con un nome del vino molto originale. Emerge anche un certa semplicità esecutiva che viaggia di pari passo con la genuinità degli intenti e della comunicazione.
Due Simpatiche Canaglie (in Francese ma Piemontesi)
Banksy (o Chi per Esso) Dedicato a un Vispo Sangiovese
Il Vispo, Sangiovese, Fattoria La Magia.
Per vestire questo Sangiovese prodotto in zona Montalcino, il produttore ha “scomodato” l’artista di strada Banksy. Nel senso che la curiosa illustrazione che si presenta sul packaging è ispirata alle opere estemporanee degl’ignoto writer (di fatto Banksy è molto noto ma nessuno sa chi egli sia). Il vino, che viene arrubricato sotto la denominazione “Toscana Igt”, si chiama “il Vispo”. Nome che come si può dedurre si riferisce sia alle caratteristiche del vino stesso, sia all’intraprendenza del ragazzino raffigurato in etichetta. A conferma di ciò riportiamo qui il commento del produttore che si trova sulla scheda tecnica del prodotto: “Un vino di grande freschezza, prodotto con sole uve Sangiovese, caratterizzato da un frutto vivace e una piacevolezza e gradevolezza che lo rendono adatto per ogni occasione. E... se dentro la bottiglia trova posto un vino giovane ma dal carattere deciso, all'esterno c'è un'etichetta fuori dal comune che si ispira all'artista e writer Banksy, uno dei maggiori esponenti della street art”. Un’altra particolarità di questa bottiglia è che il nome del vino viene scritto con due colori diversi: “Il” in rosso, “Vispo” in azzurro (ma col puntino rosso). Probabilmente si tratta di un vezzo grafico senza particolare significato. Nel complesso l’etichetta ispira simpatia e attenzione. E la bottiglia si stacca così dallo stereotipo in uso, ancora frequentemente, nella zona del Brunello di Montalcino.
Una Provocazione che… Provoca Azione.
Eleganza Formale ma non Formidabile
L’Occhio di Dio, o Forse della Ferragni
Sonnweiler, Chardonnay.
Il vino si chiama come la cantina, o viceversa. Personalmente abbiamo tradotto (un po’ poeticamente) Sonnweiler con “spicchio di sole”. Siamo in Italia, anche se i soci di questa cantina si ostinano a chiamare quella zona “south tyrol” (il sito internet è in inglese, forse per par condicio). Le etichette dei vini in gamma, come si può vedere nell’esempio che riportiamo qui a sinistra, sono molto vistose. E no, non si tratta del celebre occhio di Chiara Ferragni, diventato suo marchio e simbolo, ma è abbastanza simile, e sicuramente molto attenzionale. Un occhio così lo vedi a molti metri di distanza: marketing primario dello scaffale. I titolari dell’azienda si professano anche amanti del design, oltre che del buon vino biologico. Infatti questa coloratissima illustrazione sembra uscita dai manuali di grafica degli anni ‘70, ‘80, ‘90? Insomma è una di quelle soluzioni grafiche senza tempo. Non contenti della centralità dell’occhio, anche il nome Sonnweiler ha il suo centro di attenzione con una specie di mirino dentro alla lettera “o” (che riprende la pupilla dell’occhio magico). Il mantra aziendale recita: “for sunny, happy people” puntando sui giovani, a quanto pare (anche se si può essere soleggiati e felici anche da vecchi). Cosa aggiungere? Che sicuramente si tratta di un packaging ad alto coefficiente di originalità. Trasgressivo e irriverente nel mondo del vino. Ma qualcuno deve pur avere il coraggio di farlo.
Un Passito Cosmico con un Occhio Critico
Dare Rilievo al Verdicchio (dei Colli di Jesi)
Doroverde, Verdicchio, Tombolini.
L’azienda, che produce da generazioni il Verdicchio dei Castelli di Jesi, ha sede a Staffolo e in questa bottiglia ha deciso di rimarcarlo in modo originale. Nella parte centrale dell’etichetta, infatti, vediamo, in rilievo, la mappa vista dell’alto del paese stesso, con una iscrizione che riporta a una fortificazione che circonda il nucleo centrale di case: “Torrione Albornoz Staffolo”. La carta scelta per questo packaging è di pregio, e anche le parti non in rilievo regalano alla vista una texture valorizzante. Bella l’impaginazione che richiama uno stile antico ma attualizzato. Elegante la scelta del verde per alcune diciture nella parte bassa. Prezioso il carattere di scrittura del nome del vino, che per la cronaca è “Doroverde”. Un nome che allude alla vegetazione delle meravigliose colline marchigiane, impreziosito da una “doratura” che dona preziosità e sensazioni di eleganza. Con un certo orgoglio, giustamente, sopra al nome dell’azienda, oggi portata avanti dai figli di Fulvia Tombolini, leggiamo “Casa fondata nel 1921”. Non si tratta di una data sorprendente, nel mondo del vino, in Italia, ci sono aziende molto più antiche, ma tanto basta a sottolineare che c’è una bella storia di famiglia che si è tramandata da nonno a nipoti e così via.
La Storia e la Cultura si Fanno anche in Vigna
Falanghina, Guido Marsella.
Stiamo parlando di un piccolo produttore di Summonte in provincia di Avellino, specializzato in Fiano ma che produce anche una Falanghina, qui raffigurata. Il vino non ha nome: campeggia in alto e con importanza dimensionale, il nome del produttore. Guido Marsella, con la sottostante specifica “viticoltore”. L’etichetta in questione presenta in modo evidente le sue particolarità: in alto una sagoma imita la geologia montuosa dell’Irpinia. Il cognome del produttore si avvale di un carattere e di una modalità grafica da major di Hollywood, bello. Al centro verso il basso una illustrazione da stampa antica attira l’attenzione per le nudità dei due protagonisti, un uomo e una donna, che reggono dei grappoli d’uva. L’effetto generale non è solo attenzionale, le figure trasmettono anche qualcosa di storico, di tradizionale, oltre che campestre e agricolo. Quella infatti è una zona dove secoli, forse millenni, di viticoltura hanno forgiato quelle che ancora oggi sono le pratiche che consentono di produrre vino di ottima qualità. La buona tavola tipica della Campania, e la convivialità di quelle genti, insieme la vino, completano un panorama che tutto il mondo ci invidia.
Sangiovese Vitigno di Montagna?
Antigone, un Nome che è una Tragedia
Un Verdicchio da Gustare con i Polpastrelli
Caecus, Verdicchio di Matelica, I tre monti.
A prima vista, volendo gradire un gioco di parole, questa etichetta appare subito molto particolare: i noti caratteri puntinati dell’alfabeto Braille attirano l’attenzione. Ed è proprio tutto improntato gli occhi e al vedere, il packaging di questo Verdicchio di Matelica. Il nome innanzitutto, “Caecus”, che in latino significa cieco (ma anche oscuro, tenebroso, pieno di incognite). Ebbene, il tutto risulta essere un omaggio dell’azienda agricola “I tre monti” ad un avo dell’attuale proprietario, Lorenzo Montesi. Uno zio di quest’ultimo, infatti, Monsignor Luigi Pettinelli, missionario in terre lontane, in tarda età tornò alle origini ritirandosi presso il suo casale e i suoi terreni, costretto a leggere e scrivere in Braille a causa di una incombente cecità. Si tratta di un elaborato molto particolare, una “sottolineatura” al problema di chi non può vedere forme e colori di una etichetta, ma solo tastarne la consistenza e il rilievo. Al tempo stesso una immagine di questo tipo incuriosisce per la sua originalità anche chi la può vedere normalmente. Per quanto riguarda la grafica, risulta molto elegante, i caratteri di scrittura normali e puntinati si stagliano su un fondo nero austero ma stiloso. In fin dei conti si tratta di un pretesto, ma che ha un fondamento nella storia di famiglia.
La Lippa e la Barbera, Ovvero un Gioco da Ragazzi
Un Medico Bresciano Sfida l’Abate dello Champagne
Un Tranquillo Pomeriggio Bulleggiato
Rosé pour buller, Gamay, Domaine des Canailles.
Ci sono bottiglie che “annunciano” la loro eccezionalità fin dal primo sguardo. A questo funzione assolve naturalmente l’etichetta. Questo packaging nasce a Ternand, all’estremo sud della zona del Beaujolais, a una trentina di km da Lione. Così come il vino, logico, frutto di un Gamay vinificato in rosa. Vino biodinamico, frizzante naturale. Un prodotto particolare, senza dubbio, che meritava un’etichetta originale, come questa che vediamo qui riportata. Il nome del vino è “Rosé pour buller”, gioco di parole laddove “bulle” in francese sono le bollicine. Cosa vediamo? Due persone, si presume una donna e un uomo, stazionano sulle loro sdraio, con un calice di rosé in mano. Dai calici si sprigionano una serie di acini/bolle di color giallo, arancio e violaceo, che potrebbero rappresentare una “nuvola” di bollicine ma anche un grappolo d’uva. Lo stile dell’illustrazione è davvero originale: con pochi tratti, tutto sommato solo accennati, viene descritta e comunicata un’atmosfera di languida serenità da pomeriggio estivo. Il colore fa il suo gioco per attirare l’attenzione, ma il nome e la “scenografia” fanno da intrigante parte integrante.
La Semplicità di Romolo e Remo
Luperco, Montepulciano d’Abruzzo, Casale Certosa.
L’incipit di questa azienda laziale di Santa Palomba (che si può leggere nella home-page del sito internet) è molto interessante: “Noi siamo semplici agricoltori prestati al mondo del vino e pensiamo che l’agricoltura serva per essere usata senza troppi aggettivi nella sua semplicità e nelle sue imperfezioni”. A parte qualche piccola imperfezione nella frase, il concetto è pregnante. Il vino non è perfetto. E infatti quello buono non è (non dovrebbe mai essere) uguale a se stesso, di vendemmia in vendemmia. Stiamo parlando, in particolare di un Montepulciano in purezza che si chiama Luperco, nome che porta sulle proprie spalle, storia, miti e tradizioni. Diciamo subito che per gli Antichi Romani “Lupercus” (derivato da lupus, lupo) è un’antica divinità rurale invocata a protezione della fertilità. In onore di Luperco gli era stata dedicata una grotta, ai piedi del Palatino, dove si narra che vennero ritrovati Romolo e Remo, come si sa, allattati da una lupa. L’etichetta graficamente è molto spartana, lineare, minimalista. Fondo antracite (molto scuro, quasi nero), in alto (per fortuna, almeno quello, “scavato” in bianco) il nome del vino, al centro in basso, quasi invisibile, perché in inchiostro nero lucido, la figura primordiale di un omuncolo. Nome dell’azienda alla base. Possiamo definire questo packaging sicuramente elegante, molto formale, quasi sacrale. Ha un proprio stile, questo sì.
La Danza delle 4 Scimmie (per Procura)
La Danza del Viento, Garnacha, Bodegas 4 Monos Viticultores.
Questa particolare etichetta è stata creata da 4 amici madrileni (Javier Garcia, Laura Robles, David Moreno e David Velasco) che da non molto tempo hanno fondato una azienda vitivinicola. Sapete come si fanno chiamare? Le 4 scimmie viticultrici. Infatti il nome aziendale “4 Monos Viticultores” significa proprio questo, in spagnolo. Sull’etichetta di questo Grenache in purezza però, non ci sono 4 scimmie, bensì 4 ancelle, poco coperte se non fosse per qualche fiore in testa, che danzano riti dionisiaci. Il nome del vino in maggiore evidenza non è “La Danza del Viento” (almeno secondo le dimensioni ottiche che si vedono nel packaging), ma “La Isilla”, nome della parcella, solo 1 ettaro (solo 1000 bottiglie ogni anno) con viti di oltre 90 anni a 860mt s.l.m, dove viene coltivata l’uva che poi darà vita a questo vino. Visto che quella che viene rappresentata in etichetta è indubbiamente una danza, crediamo che il nome ufficiale del vino possa essere proprio quello inneggiante al minuetto in abiti adamitici che, con ironia tutta iberica, si è deciso di raffigurare. E come si dice da quelle parti: salud! (se invece un commensale starnutisce non si dice “salud!” ma “jesus!”, bizzarrie dei popoli).
Mani di Vellluto in Catalogna
Una Dama Rossa che fa Sognare
Macvin du Jura, vino liquoroso, Les Dolomies.
Il nome di questo vino che è anche il nome della categoria di prodotto (la qual cosa non va molto bene in comunicazione) ha una storia particolare, legata alla sua produzione. Si tratta infatti di un vino liquoroso costituito per 2/3 da mosto d’uva e per 1/3 da distillato (il Marc du Jura, corrispondente alla nostra grappa). Il nome, dicono ufficialmente le corporazioni del luogo, deriva dall’unione delle parole Marc e Vin (però i conti non tornano, manca una “r”, ma soprassediamo). Quello che ha attirato la nostra attenzione è la splendida illustrazione ad acquarello che troviamo sulla sinistra dell’etichetta: impossibile non notarla, grazie anche all’intensa colorazione. Raffigura una donna nell’atto di prendere oppure offrire o anche solo ammirare una bottiglia di vino che tiene nella sua mano sinistra. Il volto è completamente assente, ovvero non è per nulla particolareggiato, ma l’immagine fa sognare, fa “immaginare”. Il vestito è bellissimo, la donna è sicuramente bellissima, la scena e le circostanze sono sicuramente bellissime. Lo dice la nostra fantasia. Ed è la dimostrazione di quanta efficacia ci può essere in un idea (e in un bel tratto artistico). Un ultimo accenno all’azienda, biodinamica, nel cuore di quella regione vinicola ancora tutta da scoprire, lo Jura. Il produttore, una coppia di illuminati vignaioli, si chiama Les Dolomies, termine che in quella zona sta a indicare la tipologia di terreno, costituito in gran parte da calcare ricco di magnesio. Bravi.
La Foglia di Fico e Tante Altre Storie
Riserva del Fico, Barolo, E. Molino.
Avete 100 euro da spendere? Ecco un Barolo che potrebbe corrispondere al vostro budget. A parte il costo, si tratta di un Barolo che non vuole nascondersi dietro una foglia di fico (anzi, la utilizza in etichetta e nel nome). Il packaging ha uno stile che si fa notare. Davvero molto “vintage”, di quelli che sia pure in questa zona “arcaica” non ne fanno più. Attenzione però, in basso a destra sbuca un simbolo che è di per sé un segno di (coercitiva) modernità: il famigerato QR Code che ormai dilaga in ogni ordine di prodotto e di comunicazione. Siamo di fronte a un caso di antico-moderno? O ancora meglio di moderno-antico? Certo che quella foglia di fico in primo piano, per di più verde, non si direbbe adatta a una tipologia di vino come questo, ormai sdoganato come simbolo di virtuosa eleganza in tutto il mondo. A meno chè, teoria che va per la maggiore, l’etichetta risalga davvero a un secolo fa o forse più. Nel suo complesso siamo in quel sempre più ristretto campo degli inflessibili tradizionalisti. E perché cambiare uno status quo che funziona da decenni? La “Riserva del Fico” continua il suo ormai nobile percorso verso la glorificazione. E gli appassionati degustano e ringraziano (quasi tutti).
Un Barolo che si Inchina alle Erbe Officinali
Barolo Chinato, Ceretto.
Molto particolare questa etichetta di Ceretto, dedicata alla propria interpretazione del Barolo Chinato, un prodotto d’eccellenza, tipico delle Langhe. La preziosità delle soluzioni in bronzo/oro si sposa con la praticità delle descrizioni delle erbe, lungo tutto il perimetro dell’illustrazione. Ceretto non si accontenta di aggiungere la China al proprio Barolo: le erbe (di Langa, viene specificato da una dicitura a monte dell’illustrazione) sono almeno 13, tutte indicate, vicino alla relativa stilizzazione, col loro nome scientifico. Le scritte sono molto piccole, forse meritavano qualche decimo di millimetro in più. Tra queste riusciamo a scorgere, ad esempio, la Valeriana Officinalis, l’Iris Fiorentina, la Menta Piperita. Insomma un insieme di estratti benefici che uniti alla bontà del vino, rendono importante questo prodotto. L’etichetta risulta preziosa, fornisce sensazioni di artigianalià, suggerisce un uso centellinato del nobile intruglio e certamente il nome del produttore, molto stimato, funge da garanzia di qualità.