La Forza è Amica del Vino

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Philomene e Philumena, Aglianico e Montepulciano, 60Passi e Vallorani.


Due cantine, sia pure di regioni diverse, decidono di attribuire ai loro vini (anch'essi molto diversi tra loro, un Aglianico e un Montepulciano) nomi molto simili (un paio di vocali, la differenza). Entrambi originano dal significato, tratto dalla lingua greca antica, di "Amico" e "Forza". Da Wikipedia: "Si tratta di un composto dei termini greci φιλος (philos, "amico") e μενος (menos, "forza"), e significa quindi "amica della forza"; tale nome era portato da un'antica santa e martire". Bellissimo il significato per una persona che si chiama Filomena (decisamente meno diffuso il maschile Filomeno). Bello anche per un vino che notoriamente, in un certo senso, è "amico della forza". Nel caso del vino "Philumena" con la "u" e la "a", abbiamo anche una dedica specifica da parte del produttore (Vigneti Vallorani, marchigiano) che nel proprio sito web riferisce: "Il nome, di origine greca, che sta a significare “amico della forza”, è una dedica a Fazzini Filomena, fondatrice con il marito Livio Vallorani, della nostra azienda nel 1963". Il nostro commento si chiude con le solite valutazioni negative per il fatto di avere vini di produttori diversi, quindi, in generale, potenzialmente concorrenti, con un nome molto simile. Inoltre con un breve giudizio per la grafica delle due etichette qui esposte: la prima, quella del produttore 60Passi (pugliese), abbastanza equilibrata, pulita, "di design", forse un po' troppo "patinata" in senso di "inflazionata" secondo traluni tratti, ma in generale gradevole e bella anche la forma della bottiglia. Più anonima e con minore forza comunicativa, di impatto, di originalità, l'etichetta dei vini dei Vigneti Vallorani, sia pure con il contributo artistico di Guido Ballatori che interpreta una foglia di vite sullo sfondo dei tre vini aziendali "di punta".
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Vino che "Piove" dall'Alto

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Feudi del Duca, Montepulciano d'Abruzzo.

Prendiamo come esempio questo vino che in etichetta si fregia di una nobiltà sinceramente ingombrante. Già, perché di nomi altisonanti come questo ce ne sono in giro tanti sulle bottiglie italiane. Duchi e granducati, scudi e scudieri, feudi, tenimenti, principesse e madrigali. Insomma una profusione di accezioni che sembrano far cadere dall'alto (da una Italia ancora latifondista?) il piacere del vino. E a quale prezzo? Certo, perché spesso il nome altisonante è accompagnato da un costo "alticontante". Come se il vino fosse più buono se è la casata nobile di turno a propinarlo al volgo papillante. In certi casi ci sta. Il riferimento a secolari origini, alla tradizione di famiglie che da sempre si sono "occupate" di vino e dintorni. Ma in molte altre situazione questo uso di terminologie regali può risultare zuccheroso, a tratti antipatico. Siamo anche convinti che spesso non sapendo che pesci pigliare (cioè non sapendo che nome attribuire a un vino) i produttori si buttano "sul classico", sia con le etichette bravamente incorniciate con merletti e castelli (non in questo caso, in cui la grafica è gradevole e "modernista"), sia con nomi che inneggiano a possedimenti principeschi. Il vino evolve, dicono, in bottiglia. Molti luoghi comuni no. E il sapore concettuale di stantìo è proprio lì, dietro l'angolo.

Omaggio alla Tradizione e alla Cultura Contadina

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Zabaldà, Barbera d'Alba, La Biòca.

Potrebbe sembrare uno di quei nomi di vini siciliani dove regnano molte affilate "z" come in "Zibibbo" o "Zagare", ma il vino in questione è del Nord Italia, piemontese per l'esattezza. A questo proposito, l'azienda La Biòca da noi interpellata, risponde cortesemente raccontando l'aneddoto che ha portato alla nascita di questo nome. Il nome"Zabaldà" i realtà deriva da un cognome: quello di un contadino locale. A proposito di questo il produttore racconta che "nel 2012 La Biòca ha acquistato un bel pezzo di vigna a Monforte d'Alba da un certo signore che si chiama Zabaldano di cognome. In piemontese è senza la "o" finale e si pronuncia con una "n" nasale quasi impercettibile quindi più o meno come il nome del nostro vino". Origine del nome di sicura matrice contadina quindi, ma c'è dell'altro, riferito alla illustrazione in etichetta: "il ritratto sull'etichetta non è il Signor Zabaldano, ma gli somiglia molto. Abbiamo voluto fargli un omaggio per il buon lavoro di mantenimento della vigna che lui ha fatto durante tutti questi anni e per ringraziarlo per l'ottima qualità dell'uva che la vigna ci dà, permettendoci così di produrre questa splendida Barbera". Un omaggio quindi a tradizione e "sapienza" contadine dei luoghi di origine del vino stesso. Un bel racconto che necessita di essere comunicato per poter essere compreso, ma in grado di connotare il prodotto e l'azienda in un ambito di genuinità e di rispetto per la saggezza popolare.

Fiori, Frutti, Radici (Greche)

packaging grafica etichetteClematis, Montepulciano d'Abruzzo Passito, Zaccagnini.

Sono infinite le serie di nomi di vini che richiamano il greco o il latino. Alcuni di questi nomi vengono attribuiti semplicemente perché danno un senso di cultura alla... viticultura. Di fatto le origini di moltissimi vitigni sono attribuibili alla Magna Grecia e alla grande attività di diffusione svolta dagli Antichi Romani. Ben vengano quindi i riferimenti "colti" tratti da latino e greco. Sia pure concettualmente "centrati", se possibile. In questo caso il passito di Montepulciano d'Abruzzo ad opera del produttore Zaccagnini prende nome da una specie vegetale "è un genere di piante della famiglia delle Ranuncolaceae, dall’aspetto cespuglioso e dalle copiose inflorescenze" recita a nostra erudizione il sito di Wikipedia. Approfondendo troviamo quindi il nesso: "Il nome di questo genere (Clematis) deriva dalla radice greca klema (“viticcio” o anche “pianta volubile” o anche "legno flessibile")". Ed ecco che scopriamo che "klema" è "viticcio", cioè pianta assimilabile alla vite. Di fatto il genere di piante Clematis è rampicante come la Vitis Rupestris e come ancora oggi la Vitis Vinifera se non fosse sottoposta a potature controllate. Riferimenti particolari ad aromi e profumi non ce ne sono, giacché Wikipedia ci informa che i fiori di Clematis "emettono un debole profumo lievemente mielato" e inoltre che "questi fiori non producono nettare". Per il resto degli aspetti comunicativi dell'etichetta possiamo notare la raffigurazione del fiore in questione nella parte alta e una fastidiosa (per la leggibilità) duplicazione, in sottofondo, del nome, al centro dell'etichetta. Il nero appesantisce il tutto.

Alle Radici del Packaging

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Raìces 1945, Carmenere, Bodega Raìces de Almahue.

Bello il concetto di "radici" per il mondo del vino. Sembra alquanto scontato, ma se vogliamo è un grande classico che colpisce sempre nel segno. Radici sono le origini, radici sono il mezzo naturale con il quale la vite "preleva" dalla terra principi attivi e sapori da donare agli acini e poi al vino attraverso la fermentazione e per mano dell'uomo. Radici, di questo vigneto che dà origine al Carmenere "Raìces 1945", vino cileno, vecchie di 70 anni. Dicono che oltre i 40 anni la vite "decresce". Ma in realtà, come una persona anziana, perde in smalto giovanile ma guadagna in quel sapore della vita che dà spessore all'esistenza. In pratica le viti di 70 anni perdono produttività ma aumentano la concentrazione.
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Un bel nome quindi, questo richiamo diretto, in lingua spagnola in questo caso, alle Radici di una vite del 1945. Molto bella anche l'etichetta che a fronte di una storicità (e quindi la tentazione di "buttarla sul classico") propone invece una visione moderna, rappresentando le radici in stile Pollock, con inserti metallizzanti, grazie anche ad un trattamento cartografico e di stampa di moderna concezione. Radici che dalla terra si innalzano come fuoco d'artificio e raggiungono l'immaginario prima ancora delle papille gustative.


Linguistica e Gusto non Vanno Sempre a Braccetto

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Maciete Fumé, Sauvignon, Gini.

etichette grafica storytelling marketingDavvero un nome strano per questo vino di una premiata e storica casa vinicola del veronese. Si tratta di un insospettabile Sauvignon (a giudicare dal nome) se non per quell'accenno di francesismo a cui allude la seconda parte del nome: "Fumé". Partiamo dall'inizio per poi arrivare anche alla grafica in etichetta. "Maciete", dice il produttore nel sito web aziendale, "come piccola macchia (nel dialetto veronese) intesa come piccolo appezzamento di terreno. Fumé come sinonimo di Sauvignon. Una produzione limitata per veri intenditori... singolari sensazioni minerali vanno a incorniciare un quadro aromatico delicato e suadente." Ora, a chi veronese non è "Maciete" ricorda per assonanza una mannaia utilizzata nella foresta equatoriale (nel migliore dei casi). E "Fumé" forse, almeno per alcuni, è proprio il contrario di "un quadro aromatico delicato e suadente", oltre che a riportare concettualmente al salmone o in alternativa a qualche noto vino d'oltralpe (Pouilly Fumé ad esempio). Insomma una serie di "circostanze" fonetiche e semantiche che non contribuiscono a chiarire il quadro della situazione. In ultima analisi diamo un'occhiata veloce all'etichetta della quale rimane in mente pressoché nulla, tanto è eterea e poco incisiva da punto di vista del design.

Un Vulcano di Sensualità

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Saxi, Lessini Durello Spumante, Cantina di Soave.


naming packaging design vinoSarebbe troppo facile ironizzare dicendo che il Durello è Sexy. In questo caso è... Saxi. Anche perché localmente il vitigno in questione viene chiamato Durella, al femminile. Certo le bollicine sono pervase da sempre da quell'aura di ammiccamento, sensualità, incontro, passione, emozione e quant'altro. Ma qui siamo di fronte, per quanto riguarda il nome del vino, a qualcosa di "vulcanico". Diciamo subito che il vitigno non è tra i più conosciuti. Aggiungiamo che nella zona dei Monti Lessini, nel veronese, la "memoria" geologica è lavica. In particolare, la Cantina di Soave, ci fa cortesemente sapere che "I vini Saxi (in gamma ci sono un "frizzante" e uno "spumante") nascono da un antico vitigno autoctono della Lessinia: la Durella, chiamata così probabilmente per la sua buccia spessa. Il nome Saxi deriva da "sassi" e si riferisce alle rocce vulcaniche ruvide e porose in cui affonda le radici questo vitigno. Infatti, anche se i vulcani della zona del Soave e dei Monti Lessini sono estinti ormai da milioni di anni, una serie di antiche eruzioni sottomarine ha ricoperto di basalti e tufi la superficie di questo territorio." Quindi Saxi sta per "sassi" in forma pseudo-dialettale. Che diventa un buon nome, breve, memorabile, e come detto all'inizio, vagamente riferibile ad un "mood" sensuale da serata amorosa. Insomma, i sassi non sono sexy ma sono Saxi.

Como, Provincia di Alba.

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Madonna di Como, Dolcetto d'Alba, Boroli Vini.

Cosa c'entra Como con il territorio albese? Ce lo spiega Boroli Vini nel sito aziendale: "Cascina Bompè (dove nasce questo vino) è situata sulla sommità della collina denominata “Madonna di Como”, a 5 chilometri dal centro di Alba, ad un’altezza di 422 metri s.l.m. Questa collina, secondo la tradizione, suffragata da elementi storici e archeologici, è stata coltivata fin dal IV secolo a.C. dai Celti, con una particolare vocazione alla vite. I terreni sono esposti a est, sud e sud-ovest e hanno natura argilloso-calcarea di medio impasto. Di particolare interesse per l’azienda è il cru “Madonna di Como”, un importante e storico Dolcetto d’Alba." Questa la spiegazione, il rational, della scelta "nomeica" destinata a questo vino. Certo che può risultare fuorviante per un consumatore non avvezzo alle questioni di langa leggere "Como" sull'etichetta di un vino Piemontese. Ragioni storico-culturali, certamente territoriali, ma che possono in parte pregiudicare la comprensione, quindi l'acquisizione, prima che pratica, filosofica e intima, psicologica, del vino in questione. Per quanto riguarda l'etichetta dove questo nome è destinato a comunicare il proprio "segno", non possiamo tralasciare un commento negativo: non tanto per una scelta da "arte moderna" nell'illustrazione, quanto per l'assoluta mancanza di amalgama tra gli elementi grafici. Tra il logo aziendale in alto, il disegno al centro, le definizioni in basso. Sembrano pezzi staccati di progetti diversi.

Bella Storia in Infausta Etichetta?

etichette grafica branding comunicazione Brigasco, Rosso del Veronese, Damoli Vini.

Per parola del produttore sul proprio blog/sito aziendale, il nome del "Brigasco" è dedicato "alla Terra Brigasca, il cui simbolo è stato ritrovato murato sulla parete interna della nostra Corte dei Merli. Scolpito nel tufo, la nostra pietra locale, è stato sicuramente realizzato dai nostri avi che più di cinque secoli fa arrivarono da quella terra." Bella storia, in senso compiuto e come affermazione gergale. Ma vediamo di analizzare. Wikipedia dice: "La cosiddetta Terra brigasca o Paese brigasco (Tera brigašca in dialetto brigasco Pays brigasque in francese viene da alcuni identificata come un'area etno-linguistica situata sulle Alpi marittime al confine tra Francia e Italia e suddivisa tra le province di Cuneo e Imperia, ed il dipartimento delle Alpi Marittime." Ma cosa c'entra la Liguria con il Veneto? Gli avi degli attuali produttori provenivano da quelle terre, ma la Corvina, il Corvinone, la Rondinella e il Merlot (vitigni che compongono il vino "Brigasco" di Damoli, qui raffigurato) a quanto pare no. E allora perché affiancare un "codice storico" di terre lontane a vini autoctoni veneti? Si celebrano gli antenati ma si crea un probabile effetto-confusione nella percezione del prodotto. Dopo aver elogiato e criticato al tempo stesso il nome del vino, passiamo all'etichetta. Dal punto di vista grafico e di design è tutta da vedere. Crediamo che non ci siano parole adeguate. Basta la vista e il giudizio di ognuno sarà perfetto.

Nominazione di Origine Pronunciata

Reilla, Montepulciano d'Abruzzo, Anfra.


Questa volta lasciamo fare il nostro lavoro direttamente al produttore di questo vino e quindi "titolare" del suo nome, che al riguardo, tra le belle  ed esaustive descrizioni degli altri prodotti aziendali, nel sito web, dice: "Un guerriero longobardo, fedele al re Cuniperto, recandosi dalle terre d’Abruzzo presso il monastero di San Vincenzo dall’Abate Epifanio, cadde da cavallo in una vallata dell’ager-Adrianus. Ferito, rimase per alcuni giorni nascosto in un anfratto, curandosi con le acque e i fanghi di un rigagnolo proveniente dalle sorgenti dei calanchi di Atri. Guarito, ritenne quelle acque taumaturgiche e chiamò il rigagnolo “Res Illa” in latino, “quella cosa” che lo aveva curato. La leggenda è giunta a noi tramandata nei secoli e il rigagnolo ancora oggi porta il nome Reilla. Qui i nostri filari, di alba in alba, ascoltano l’armonioso scorrere delle acque e maturano il Montepulciano di Reilla." Un bel racconto, una storia romanzata, un nome breve e funzionale, una originale elaborazione del design in etichetta, con evidenza alla "macchia di colore" chiamata a distinguere e caratterizzare. Non c'è altro da aggiungere quando si assiste ad un ottimo lavoro di comunicazione in etichetta.

Come si Dice "Patina" in Patois?

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Broblan, Cornalin, 
Maison Anselmet.

Il nome di questo particolarissimo vino della Valle d'Aosta è "Broblan". Sembra un gioco di parole, foneticamente "gioca" con le lettere "b" e la morbidezza di "l" e "n", quasi onomatopeico, se il suo significato fosse riconducibile a delle bollicine, ad esempio. Ma di fatto il significato è molto concreto, attinente alle caratteristiche del luogo e delle uve che servono per produrre questo vino. Il produttore, Maison Anselmet, si premura molto gentilmente di farci sapere che "le uve del vitigno Cornalin durante la notte si ricoprono di una patina bianca che in Patois (diletto locale) viene chiamata Broblan". Non siamo esperti di enologia e viticoltura, ma potrebbe esserci un collegamento con quella patina che in altre zone viticole chiamano pruina e che, ad esempio, ricopre il Nebbiolo. L'Italia dei mille dialetti e delle infinte inflessioni dialettali rispecchia quella degli infiniti vitigni e vini, per cui ben vengano le pruine, le patine, i lieviti e quant'altro di naturale e caratteristico possa distinguere le produzioni autoctone. Analizzando più tecnicamente il nome in questione possiamo confermare che è di ottima sonorità, breve, sincopato, certo non di facile "adozione" mnemonica se non raccontato e dettagliato. Il solito limite delle accezioni dialettali. Pregi e difetti di una localizzazione molto "centrata". Sacro e profano di chi il vino lo intende schietto, sincero e tradizionalista. E l'etichetta di questo vino è graficamente molto tradizionalista!

Vini Alto-Atesini nell'Alto-Piemonte

MötZiflon, Nebbiolo Colline Novaresi, 
Francesco Brigatti.

A giudicare dal nome e all'istante, questo vino potrebbe essere originario del Sud Tirolo. Infatti la conformazione semantica sa tanto di tedesco o di quei dialetti ricavati da asburgici lemmi. La "umlaut" sopra la "o" non lascia dubbi. E anche quella "z" affilata che conduce la seconda parte di questo nome composito. E invece... stiamo parlando di un Nebbiolo, uno di quelli "minori" ma non per questo meno buoni, dell'Alto Piemonte (dell'altro Piemonte, si potrebbe dire). Il produttore, Francesco Brigatti, è di Suno, provincia di Novara. MötZiflon, come ci riferisce il sito web, "è il vino più rappresentativo dell'azienda" e proseguendo nella sua razionalizzazione apprendiamo che "nel dialetto del comune di Suno "Möt" significa collina e "Ziflon", zufolo, il canto degli uccelli". Già questo è un bel racconto, poesia che trasforma la musicalità della campagna, le voci della natura, in gusto da assaporare, in vino da gustare. Ma passiamo alle note dolenti. Si tratta di un nome praticamente impronunciabile, certo molto originale, tanto che la sua storia, debitamente raccontata, può incidere nella memoria, ma a costo, appunto, di una precisa definizione. I nomi dialettali (questo è davvero astruso) sono molto caratterizzanti e trasferiscono storie e tradizioni della cultura "locale", ma quando presentano limiti di comprensione e struttura fonetica, possono avere effetti non sempre positivi sulla comunicazione e la notorietà di marca.

Storia e Tradizione dell'Italia Rurale

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Trentangeli, Castel del Monte, Tormaresca.

E' certamente in grado di farsi ricordare il nome del vino di Tormaresca che oggi proponiamo in "assaggio". Il nostro è un assaggio semantico naturalmente, che in questo caso "pesca" nelle tradizioni rurali dei luoghi di origine. Il produttore precisa che questo nome "si ispira ad una leggenda secondo cui il cammino dei pastori durante i viaggi della transumanza era protetto da 30 angeli". Le leggende si sa, spesso "prendono atto" della realtà raccontata (altro che "augmented reality"!) dai protagonisti della vita agreste dei tanti luoghi della bellezza italica. Tornando al nome, possiamo dire che pur essendo lungo e composito, riesce a trasferire curiosità (suscitare interesse) e magia. Certo lo stacco concettuale con l'illustrazione in etichetta è sorprendente: si nota un passaggio a livello sia pure in un paesaggio campestre. Ebbene, a proposito di questo, riferisce il produttore che "c'è una stazione vicino le vigne di aglianico, costruita dov'era una vecchia fermata della transumanza". Insomma la leggenda si completa, non con una inossidabile continuità concettuale, pur tuttavia con aspetti poetici che fanno bene alla notorietà e alla percezione del prodotto. Quel segno rosso (la Croce di Sant'Andrea che segnala il passaggio dei treni) sullo sfondo vitato è attenzionale: a suo modo "allarmante", nel senso che attira i sensi e incide la memoria. Nel complesso l'etichetta presenta un buon design, senza fronzoli, semplice ed evocativo con una impaginazione ordinata e "pulita".

Gli Incantesimi di Storia e Design

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C'Incanta, Trebbiano d'Abruzzo, 
Cantina Tollo.

Il produttore, della provincia di Chieti, comunica che questo vino è stato "creato per celebrare il cinquantesimo anniversario della fondazione della Cantina" e in particolare che "questo Trebbiano è il risultato di una sperimentazione: reintrodurre la fermentazione spontanea alla maniera degli anni '60".
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L'illustrazione in etichetta è al tempo stesso tradizionale e gigionesca, figlia di un folkore e di una gioia di vivere tutta italiana. Una bella immagine, coraggiosa se vogliamo, che celebra con ironia il "mito" del buon vino. Ma veniamo al nome del vino: C'Incanta. Subito una difficoltà di lettura e di fonetica, dovute all'apostrofo. Ma questo piccolo "neo" viene superato e "recuperato" dalla bellezza della parola "incanto", dal suo magico significato. In effetti il vino (e i suoi effetti socializzanti, come ben comunica l'illustrazione qui evidenziata) è un incanto, di fermenti e d'intenti. "C'Incanta" quindi è un nome originale, che colpisce, che rimane, che alla fine incanta. Coerente con la volontà di trasmettere la preziosità di questo vino, per la sua lavorazione, per la ricerca di una qualità finale che possa ottenere grande considerazione da parte degli avventori. Meno coerente con il concetto di eccellenza è l'immagine della "gozzoviglia" dionisiaca dei festanti contadini, ma questo, come abbiamo detto, fa parte di un rischio calcolato che ha elementi compensatori nel percepito finale, nella festosità "tipica". Una critica finale va al logo aziendale "Cantina Tollo", dal design filante ma poco emozionale.

Un Arneis che fa Venire la Scimmia

grafica naming branding comunicazioneLanghe Doc Arneis, Cascina Albano.

grafica comunicazione arneis etichetteNon si può non notare subito, su questa etichetta, una simpatica scimmia intenta a compiere evoluzioni acrobatiche. E' l'assoluta protagonista della scena. Ha un'espressione molto sorpresa e a dire il vero siamo sorpresi anche noi alla sua vista su una bottiglia di vino piemontese quale è l'Arneis. Andiamo con ordine: il produttore nel sito web aziendale spiega alcune cose. Prima di tutto l'origine del nome del vitigno Arneis: la prima citazione storica risale al 1877, quando il Conte di Rovasenda lo descrisse come vino autoctono della provincia di Cuneo. Dice ancora il sito del produttore: "l'origine del nome Arneis pare da attribuirsi all'idea di accomunare il carattere di questo vitigno al termine dialettale usato per descrivere una persona 'birichina' e scapestrata". Birichina come una scimmia, a questo si vuole arrivare. Giacché nella descrizione dell'etichetta il produttore aggiunge: "il verde scuro racconta la freschezza dell'Arneis... la palma esprime spensieratezza, relax ed esoticità, caratteristiche intrinseche di questo vino. La scimmia ricorda le origini del nome Arneis ed il ritorno ai vini autoctoni storici della nostra terra (!?)". E più oltre: "Il nostro Langhe Arneis attraverso la poesia (le scimmie hanno una vena poetica, si sa) e l'ambientazione tropicale trasmette allegria e voglia di avventura." Che dire se non rimanere basiti, storditi, ammaliati e quasi ipnotizzati da questa etichetta scimmiesca? Sarà che nei detti popolari (e forse tropicali) quando qualcuno ha bevuto un po' troppo si dice che "ha preso la scimmia"!

Il Dialetto Imperfetto

branding marketing comunicazione grafica etichetteTut a Man, Passito di Nebbiolo, Aurelio Settimo.

etichette brand storytellingL'uso delle forme dialettali per i nomi dei vini porta tradizione e "localizzazione" ma impedisce comprensione e memorizzazione. Soprattutto per quei vini che si rivolgono a clientela estera. Certo può scattare un certa simpatia per il folklorismo italico. Ma immaginiamo come potrebbe leggere questo nome, "Tut a Man", un inglese: "tat e men"? Intendendo tra l'altro che "man" possa alludere a "uomo". Bello comunque, se si presenta l'occasione, raccontare cosa c'è dietro a questo nome: di fatto si tratta di elementi valorizzanti. Il produttore spiega nel proprio sito web: "in dialetto piemontese, Tut a Man significa "tutto a mano", perché infatti tutte le operazioni sono state effettuate manualmente (dalla raccolta, alla spremitura, all'imbottigliamento, all'etichettatura)". E questo non è poco. Anzi è un valore assoluto nel panorama enologico italiano e in generale lo sarebbe in ogni parte del mondo. Per quanto riguarda la grafica di questa etichetta "profondo nero", definibile anche come "lapidaria", salviamo la bella illustrazione che raffigura scene di vendemmia e poco altro. Design e impaginazione classicissimi, very "piemonte-style", ma forse questo piace e ancora vende. Il logo con la A e la S "incastrate" tra loro è la ciliegina sulla torta, in qualsiasi modo la si voglia considerare. Vino da meditazione. Etichetta da ri-meditare.

Nero e Amaro, ma non il Vitigno

Fontamara e Quercianera, Pinot Grigio e Trebbiano d'Abruzzo, Fontamara.

packaging grafica branding storytellingdesign grafica etichetteD'accordo, non si tratta di vitigni eletti, cioè in grado di produrre vini eccelsi, certo che il nome, come diciamo spesso, "vale un Perù". Cioè è in grado di "sollevare" le sorti di un prodotto. Queste etichette (soprattutto la prima) ci vengono incontro con presagi non propriamente gioiosi: la Fonte è Amara e in aggiunta la Quercia è Nera. Si tratta di due marchi della medesima cantina, che in questo caso danno nome ai vini della gamma, risultando in etichetta in grande evidenza.Nulla contro le fonti (ma è pur sempre acqua fresca che con il vino non c'entra) e contro le querce, ma sono i fattori semantici appartenenti all'amaro e al nero che rovinano la percezione. L'azienda ne colleziona due di questi fattori "negativi" (il terzo marchio aziendale è "Mezzadro", insomma non una festa di nome nemmeno lui) e li pone in bella evidenza in etichetta. Operazione discutibile all'origine (la creazione dei nomi/marchio) e anche graficamente nella loro "applicazione". Sia pure dal punto di vista mnemonico questi nomi rischiano grosso: anche se vagamente originali (soprattutto Quercianera) vengono rimossi dalla mente dei consumatori in quanto portatori di sensazioni non positive. Questo è per lo meno il meccanismo psicologio. Sulle questioni commerciali non mettiamo parola, magari l'azienda è riuscita a "compensare" con incoraggianti offerte di marketing e quindi a guadagnare comunque quote di mercato.

Bellezza Greca, Vitigni "Internazionali"

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Antinoo, Viognier - Chardonnay, Casale del Giglio.

L'antica "polemica" (antica quasi quanto l'Antica Grecia) sull'attribuire le proprie preferenze vinicole a vitigni autoctoni o alloctoni non cesserà mai. Vi sono buone ragioni in ognuna nelle due fazioni. Qui siamo di fronte, produttivamente, alla scelta di favore di una azienda del centro Italia (provincia di Latina) verso vitigni non di origine locale: Viognier e Chardonnay. L'attrito concettuale avviene quando ci accorgiamo che il nome del vino, quindi il suo "carattere" comunicativo, parla romanico, e andando a scavare nel concept, più esattamente si riferisce all'Antica Grecia. Apprendiamo così dal sito dell'azienda che a poca distanza dalla sede di produzione "in località Torre del Padiglione, fu rinvenuto nel 1907, il bassorilievo di Antinoo, giovane greco di straordinaria bellezza, favorito (leggasi giovane amante) dall'Imperatore Romano Adriano... intento a recidere un tralcio dal quale pendono due grappoli d'uva". Antinoo quindi diventa il simbolo della vendemmia e della tradizione vinicola greco-romana. I vitigni però sono francesi. Punto. Ognuno, anche i pontenziali clienti, troverà (o non troverà) coerenza in queste scelte, oppure sarà libero di pensare che non sia così importante per la notorietà del prodotto. L'etichetta è così classica che più classica non si può, ma tutto sommato anche la Grecia Antica è "classica". Unica concessione di design "fuori dalle righe", il gioco ottico che unisce le due "o" finali del nome "Antinoo" come due cerchi olimpici o come due vere unite in un "matrimonio grafico". O più semplicemente per rendere originale il logotipo e attirare l'attenzione. 

Ebbre Fate Siciliane

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La Fata Galanti, Nerello Cappuccio, Al-Cantara.

naming marketing comunicazione graficaL'insolita e "fintamente" infantile etichetta di questo vino siciliano trasporta la mente verso racconti ricchi di magia. Assolve cioè al suo compito di recare attenzione con uno stile informale, che potrebbe sembrare anche "poco serio". Si tratta di un genere, abbastanza utilizzato sulle etichette della Trinacria, che può piacere ai colti e forse meno ai molti. Così dicendo risolviamo subito la questione "grafica" concentrandoci sul nome del vino: "La Fata Galanti". Nome "sognante" anch'esso, in linea con l'illustrazione. Nome che probabilmente fa riferimento alla poetica narrazione omonima di Giovanni Meli. Trattazione in dialetto, tradotta da Giuseppe Gazzi. Ecco un interessante e coerente estratto di tale novella: "Nel palagio di corte affumicato giunge intento Plutone, e al suo cospetto vien dagli Dei d'abisso apparecchiato, tosto per far baldoria un gran banchetto. Maccheroni, e salsiccia evvi, e stufato, e braciole arrostite e vino eletto. Stansi ad occhi sbarrati i commensali, doppian gli evviva e vuotano i boccali." Al-Cantara, stimato produttore per la qualità dei vini proposti, ci ha abituati a etichette bizzarre, colorate, narranti. Un po' in stile Donnafugata ma con uno stile più ridanciano, scanzonato, sorprendente.

Diavolerie del Naming

packaging grafica comunicazione brandingArcidiavolo, Cabernet - Petit Verdot - Sangiovese - Alicante, Teruzzi&Puthod.

design branding storytellingNelle terre della Vernaccia (di San Gimignano) nasce questo vino rosso di grande personalità, punta di qualità dell'azienda, che denota il proprio "spirito" con un nome altisonante: "Arcidiavolo". Riferisce Treccani che l'arcidiavolo è "il capo dei diavoli, in contrapposizione all'arcangelo". Ma anche, meno esotericamente, "albero della famiglia delle ulmacee". Il produttore, nei testi di commento contenuti nel proprio sito web protende per la versione esoterica e dice che il vino Arcidiavolo: "deve il suo nome alla leggenda legata alle Torre del Diavolo" (una delle torri che caratterizza il borgo antico di San Gimignano, in Toscana). Il nome deriverebbe dalla prodigiosa sopraelevazione della torre, riscontrata dal suo proprietario e attribuibile "ad un artificio del Diavolo".Il nome caratterizza certamente il prodotto, connotandolo tra i vini possenti, autorevoli e anche un po' misteriosi. Un'aura di fascino arcano non fa mai male: i "poteri" del vino, dopo qualche bicchiere soprattutto, sono noti ai più e spesso vengono collegati al continuo avvicendarsi del bene e del male. Come dire, il sacro e il profano. Bene quindi la scelta del concept, non ugualmente bene le scelte grafiche operate in etichetta: il nome scritto in verticale non facilita il "compito" della comunicazione e il resto dell'impaginazione subisce i limiti di una semplificazione fin troppo austera.

Certe Volte si Gode solo a Metà

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Mezzopane, Merlot - Sangiovese - Cabernet - Petit Verdot, San Polo.

L'etichetta di questo vino, definito "Supertuscan" dal suo produttore, non è di quelle che "spaccano" lo scaffale. Un colore di fondo "terra di Siena" (siamo a Montalcino), il quadrato come segno distintivo della grafica "percepibile", l'oro come valorizzatore, con al centro un logo abbastanza indecifrabile. Ma la nostra principale attenzione va, come quasi sempre accade in questo blog, al nome del vino che in questo caso si esprime con "Mezzopane". La prima sensazione è quella di "miseria", una miseria tipo quella attinente ai periodi delle nefaste guerre che hanno percorso l'Italia del secolo scorso, quando il pane spesso mancava o doveva essere suddiviso, più che condiviso. In nostro aiuto accorre il produttore di questo vino che nel proprio sito web fornisce, ed è purtroppo ancora caso raro per le aziende italiane, una spiegazione al nome in questione, testualmente: "Mezzopane, nome che deriva dall'epiteto dato da un contadino del luogo, al panorama mozzafiato che si gode dal Poggio in cui San Polo (l'azienda) è ubicato". Forse in quei luoghi, in senso dialettale, davanti a un panorama stupendo si usa affermare "mezzopane!", grande rispetto per le tradizioni locali se così dovesse essere, ma sinceramente non abbiamo capito. E il rischio è che non abbia capito anche il "consumatore potenziale medio" che vorrebbe e potrebbe interessarsi al prodotto e alla sua "vicenda particolare". La sensazione è che il messaggio non riesca ad arrivare o giunga a destinazione distorto.

L'Eleganza "Formale" del Nero

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Il Nero, Tattat, Antigua Bodega Stagnari.

packaging design grafica etichetteSi tratta di una edizione limitata (solo 3000 bottiglie) che vuole celebrare il fondatore di questa azienda, sita a Melilla in Uruguay. Sia pure per un numero così limitato di bottiglie il produttore di questo Tannat in purezza ha deciso di commissionare e realizzare un'etichetta di pregio, cioè pensata e creata con una evidente cura per i particolari e quindi con un design molto elegante e impattante. Nella scelta di utilizzare un nome in italiano si intuiscono le origini della famiglia Stagnari, e il loro cognome lo conferma. "Il Nero" quindi, parola italiana ma facilmente riconoscibile nel mercato di lingua ispanica sia pure nel mondo intero. Un nome breve, diretto, lineare, memorabile. L'unico problema è la registrazione presso gli uffici brevetti, forse il produttore in questione ha "bloccato" la denominazione solo per il sud-america, visto che di "neri" ce ne sono in giro altri, a partire dal "nostro" Nero (senza "il") dei Conti Zecca (negramaro e cabernet). A parte le questioni di brevetto, l'etichetta del Nero sudamericano è elegante, essenziale, austera ma carismatica, con un bel segno grafico al centro a simboleggiare una "N" e tre stelline d'oro a siglare le tre generazioni che si sono susseguite alla guida dell'azienda. Notabile in generale un bell'equilibrio degli elementi in etichetta e una buona selezione dei caratteri di scrittura. Il Nero, come insegna il Maestro Giorgio Armani, è il colore dell'eleganza, soprattutto quando il vestito è "tagliato bene".

Nomi Stentati

storytelling grafica semantica vino wine chiantiBello Stento, Chianti Classico, Triacca.

L'azienda è nota per "appartenere" storicamente al territorio valtellinese, quindi produttrice di vini austeri a base di Nebbiolo "di montagna" (Chiavennasca). Nel corso degli anni Triacca ha acquistato anche una tenuta in Toscana, dove nasce questo Chianti Classico dal nome quanto meno discutibile (nel vero senso della parola: se ne può discutere). "Stento", secondo Treccani, può essere: "pena, sofferenza, difficoltà del vivere", oppure "sofferenza in genere, anche per rabbia o gelosia" e anche "difficoltà nel fare qualcosa o nel raggiungere un esito". Sicuramente l'azienda non intendeva promulgare questi significati: l'etimo di questa parola dovrebbe essere ricercato ragionevolmente e "regionalmente" nel dialetto toscano, ove "stento" è piuttosto una "difficoltà" in senso di "salita", di "erta collinosa". Infatti il riferimento per "Bello Stento", il nome del vino in analisi, è quello di una zona determinata dove sono posizionate le vigne di Sangiovese, Merlot e Colorino che servono a produrre questo vino. Tutto questo non toglie che il significato che la maggior parte dei potenziali consumatori italiani potrebbe attribuire a "stento" non è positiva (per gli stranieri vale più la difficoltà a pronunciare le parole che l'analisi del loro significato intrinseco). Per tutto il resto (equilibri grafici e cromatici in etichetta) non c'è male: il design propone un tipico panorama del Chianti con scelte di impaginazione e di lettering, al tempo stesso classiche, eleganti e abbastanza originali. Insomma, rimandati a settembre! (per la prossima vendemmia, s'intente!)