L’Uva Acerba non va Bene. E Neppure l’Arte.

Aurora, Nebbiolo e Barbera, 
Az. Agr. Fenocchio Renato.

Le etichette che riportano disegni infantili sono un fenomeno conosciuto. Capita abbastanza spesso di trovare, in uno scaffale di vendita o tra la gamma dei vini di un produttore, packaging che sono chiaramente attribuibili ai figli del produttore stesso. La “mano” artistica di solito tradisce età dai 3 ai 7 anni, cioè quel periodo dove l’estro artistico dei pargoli è ancora in fase di sviluppo, diciamo così. Alcuni disegni sono al limite del comprensibile. Altri, come l’esempio che qui riportiamo, un Langhe Rosso di Renato Fenocchio, sono più gradevoli, meglio compiuti. In questo caso abbiamo anche un bel nome, evocativo, “Aurora”, che probabilmente si riferisce a qualcuno della famiglia, oltre al magico momentum dell’alba. Perché i disegni di bambini non sono adatti a vestire una bottiglia di vino? Perché tutto sommato si tratta di una “comunicazione” famigliare, affettiva, che rientra e rimane nell’ambito della cerchia parentale. Dall’esterno si potrebbe percepire quella tenerezza che ai piccoli è dovuta e risulta sempre spontanea, ma ai fini della memorabilità del prodotto e della sua immagine nulla si costruisce. In questo caso, l’etichetta è piacevole, vediamo dei tulipani, così sembra, uno a forma di cuore. I colori sono brillanti, ripetiamo, il nome è bello ed evocativo, ma rimaniamo pur sempre nell’ambito di un’arte comunicativa acerba ed esacerbante.

Etichetta di Valore per una Croatina Biologica

Briccaia, Croatina, la Costaiola.

Ecco un esempio di packaging virtuoso. Per varie ragioni che andremo a scoprire. Innanzitutto l’azienda, che si chiama “la Costaiola” (anticamente Costa d’Altare) e si trova in un luogo storico dell’Oltrepò Pavese, Montebello della Battaglia (il 20 maggio 1859 a Montebello fu combattuta una celebre battaglia, preludio dell’unificazione d’Italia: la cavalleria sardo-piemontese e la fanteria francese costrinsero le forze austriache a ritirarsi oltre il Po). L’azienda può vantare molte vendemmie, essendo nata nel 1938 ad opera di Luigi Carbone, bisnonno degli attuali proprietari. Tra l’altro Montebello della Battaglia si trova al 45° parallelo, una linea geografica che stabilisce l’eguale distanza tra Polo Nord ed Equatore, latitudine ideale per coltivare la vite: mai troppo freddo, mai troppo caldo. Ma veniamo all’etichetta di questa Croatina in purezza. Si tratta di un vino da coltivazione biologica, il colore verde utilizzato nel design, sia pure scuro, elegante, lo fa presagire. Ma soprattutto lo conferma la dicitura “vino biologico” proprio sotto il nome del vino. “Briccaia” è un nome in un certo senso figlio della moda, di quel Sassicaia che ha fatto scuola in tutti i sensi. Possiamo immaginare che Briccaia possa derivare da bricco, dall’arabo “ibriq” cioè vaso di rame usato per servire il caffè (non c’entrerebbe col vino), ma anche da “bricca” o “briccola”, dirupo, luogo scosceso e selvaggio. Nome comunque originale, breve, coinvolgente. Alla base, sotto al nome del produttore, “la Costaiola”, troviamo la specifica “viticultori dal 1938” un giusto vanto da sottolineare. La cartotecnica dell’etichetta si fa notare per un bollo rotondo, che si stacca dalla parte rettangolare, dove con inchiostri dorati e in rilievo viene riprodotta una decorazione artistica valorizzante. Nel complesso si tratta di un packaging-design di spessore, sia pure per una bottiglia messa in commercio in zona mass-market.

Un Ventaglio di Vini per Anime Coraggiose

Maninalto, Nero d’Avola e Frappato, Joanna Dubrawska.

Diciamo subito che questo nome è bello, originale, coinvolgente: “Maninalto”. La storia però va spiegata. Si tratta di fatto di un nome di linea, cioè un nome per una gamma di vini. Anzi, per la precisione si tratta del nome di un progetto già molto ampio (in termini geografici, come numero di bottiglie, invece, molto piccolo). Ebbene, Joanna Dubrawska, già  facente parte del team del noto produttore COS, siciliano, dopo aver appreso il “mestiere” ha deciso di intraprendere una carriera da “solista”. E ha dato vita al Natural Wine Project, un’idea innovativa che prevede di vendemmiare ogni anno in un luogo diverso, con vigne diverse e uve sempre diverse. Il comune denominatore è la naturalità, agronomica e produttiva. Insomma se le vigne prese in considerazione le vanno a genio, Joanna le affitta per un anno e ci fa un vino. Il primo, del quale vedete l’etichetta, è stato prodotto nel 2015 in Sicilia (una prova, mai messo in vendita), il 2016 è saltato per valutazioni qualitative negative, il 2017 sempre in Sicilia a produrre un vero Cerasuolo di Vittoria Docg (prima annata in vendita), nel 2018 la scelta è andata su un Mauzac Rosé (Francia), nel 2019 è stato prodotto un bianco a base di un vitigno della Savoia che si chiama Jacauère e nel 2020 è toccato alla Loira con un vino 100% Grolleau. Chiaro che sono tutti esperimenti da 800/1000 bottiglie al massimo ma l’originalità della formula e della sua presentazione, a partire dal’etichetta, fanno pensare e ben sperare un una continuazione del progetto con sempre nuove sorprese.

Quanto sono Fichi i Trulli?

Ficheto, Blend di Bianchi, 
Masseria Borgo dei Trulli.

Il fico è buono, insomma è fico, si sa. Lo sa molto bene anche l’intraprendente fondatore di Eataly, Oscar Farinetti, che a Bologna ha aperto un grande outlet del gusto chiamandolo F.I.C.O. (che sta per Fabbrica Italiana COntadina). Il “Ficheto” invece, nome di questo vino, in alcuni dizionari non viene contemplato. Ma noi sappiamo, o meglio immaginiamo, che possa fare riferimento a quella porzione di podere destinato ad accogliere delle piante di fico. In effetti il nome corretto di una piantagione di fichi sarebbe “ficaia” (pseudodialettale toscano). Mentre volendo cercare etimo e origini si arriva al latino ficaria, ovvero ficheto, ma anche ficetum e fichereto. Volendo citare la nobile Accademia della Crusca: “Nei freddi luoghi non si possono allevar ficheti”. E infatti questo vino che inneggia al dolce frutto di fine agosto, viene prodotto in Puglia, una delle regioni più calde d’Italia, con uve di Fiano, Malvasia e Sauvignon, nei pressi di Sava in provincia di Taranto. L’azienda che produce questo vino bianco è circondata dalle tipiche costruzioni coniche bianche, i trulli, che caratterizzano il paesaggio di quelle zone. Per quanto riguarda la grafica dell’etichetta e i suoi elementi costitutivi vediamo che il nome viene confermato da una texture di frutti e foglie di fico e si caratterizza per essere composta da quattro strisce di carta separate, a comporre l’insieme, gradevolmente verde e oro.

Il Miglior Amico del Vignaiolo è la Lucertola

Cuvée 1487, Blend di Rossi, Zantho.

Innanzitutto parliamo di quella lucertola, forse imparentata con un geco, che appare dorata, in grande evidenza, sull’etichetta: si tratta della Zoodoca Vivipara Pannonica che vive nell’ambiente naturale dove l’azienda coltiva le proprie vigne (nel Burgerland, in Austria, vicino al confine ungherese). Il piccolo anfibio ama i terreni caldi e sassosi, e difende i grappoli e il vegetativo dagli insetti molesti (in quanto se li mangia). Passiamo quindi al nome del vino, “Cuvée 1487”, un nome descrittivo, ci dice che il prodotto è costituito da uve diverse (Cabernet, Zweigelt, Merlot) e che il 1487 è una data importante (si tratta dell’anno in cui per la prima volta il nome del paese sede dell’azienda, Andau, viene menzionato anche come “Zantho”). E qui passiamo direttamente al nome del produttore che in lingua magiara significa “terreno agricolo”. E il cerchio si chiude su una storia molto antica fatta anche di nomi topografici oltre a vitigni autoctoni e metodi di lavorazione. Le etichette di questo produttore austriaco sono tutte caratterizzate da questa grande lucertola, con colori di fondo diversi, sfumature che variano secondo le tipologia dei vini in gamma. In generale è stato trovato un simbolo, molto efficace nel rappresentare l’azienda, con un significato che pervade anche le questioni agronomiche (la coltivazione è biologica). Simbologia, memorabilità, originalità, all’interno di un disegno globale che racconta qualcosa di coerente con i vini prodotti e proposti al pubblico. 

Missiano e i suoi Cento Nomi Storici

Missianer, Schiava (Vernatsch), St. Pauls.

Questo vino viene prodotto con un vitigno storicamente molto popolare in Alto Adige, la Schiava. Localmente chiamato Vernatsch (che nulla ha in comune con l’italica Vernaccia). Il suo nome, che su questa bottiglia campeggia ben visibile in rosso su fondo bianco, ci riconduce a una località che si trova nei pressi della sede della “kellerei”. Cioè vicino a St.Pauls, su un costone che si affaccia direttamente su Bolzano. Ci viene in aiuto Wikipedia che recita: “L'insediamento di Messan viene citato per la prima volta in una documentazione del 1186, poi nel 1210 come Missan e Mixan, nel 1272 come Misan e nel 1379 come Myssan; solo dal 1450 è attestata per la prima volta la forma odierna di Missian. Si tratta di una zona colonizzata soprattutto dai Conti d’Appiano nel XII e XIII secolo, che erano proprietari dei masi e della giurisdizione, prima che questa passasse ai Conti del Tirolo. Nel 1490 sono i signori di Niedertor, di Bolzano a elencare ricchi possedimenti dislocati a Missian e al suo sottoborgo Unterrain”. Insomma per gli altoatesini le località sono particolarmente valorizzanti, vedasi lo speculare esempio del celebre vino Terlaner che prende il nome dalla nota località Terlano (Terlan). L’etichetta di questo vino è ben realizzata. il nome in alto, verso il basso una serie di profili di montagne realizzati in parte con la cartotecnica e in parte con una grafica che si avvale di inchiostri speciali, anche in leggero rilievo. Ne risulta una certa eleganza che colloca giustamente il prodotto in un ambito di montagna e automaticamente di genuinità.

La Regolatezza in Etichetta, l’Eleganza nel Vino

Sylvaner, Kuen Hof.

Cosa si può dire del carattere degli altoatesini? Essenziali, rigorosi, geometrici. E delle loro etichette? Si direbbero le medesime cose. Prendiamo come esempio virtuoso (nel senso che è in grado di confermare le nostre elucubrazioni) l’etichetta di questo Sylvaner della piccola ma prestigiosa cantina Kuen Hof: nulla viene lasciato al disordine creativo. Su un tassello grigio, in verticale, leggiamo il nome dell’azienda. Disassato sulla destra. In alto a sinistra alberga un rombo dorato in prossimità dell’annata di vendemmia. Alla base le scritte di legge con la Doc (in tedesco) e le altre consuete diciture. Tutto molto lineare, inquadrato, graficamente pulito. E l’eleganza? Probabilmente risiede tutta nel vino, e questo va molto bene per il concetto di qualità che da quelle parti è molto elevato. Si tratta quindi di un packaging che appaga le aspettative di chiarezza e serietà, ma che sullo scaffale stenta a farsi notare. I colori tenui non colpiscono, se non le parti in oro. La composizione e disposizione delle forme non colpisce, anzi disturba un po’ quella voglia di non centrare gli elementi per vezzo realizzativo ma senza un vero strappo creativo. Arte moderna? Possibile. Visioni futuribili? Probabile. Ma è come se si percepisse la mancanza di qualcosa. Un elemento non certo riempitivo, laddove la semplicità paga sempre. Bensì la mancanza di un’idea, di un sostegno comunicativo, di un fulmine a ciel sereno. Ah, già, siamo in quella parte d’Italia che non fa troppo parte dello stivale, inteso come fucina di genio e sregolatezza.

L’Edizione Limitata Aggiunge Pepe all’Estate

Pfefferer Sun, Blend di bianchi, Colterenzio.

Questa nota cantina altoatesina ha lanciato nel 1979 il primo “Pfefferer”, quello con l’etichetta verde. Un vino da uve Moscato Giallo perfetto per gli aperitivi. Sulla medesima lunghezza d’onda dopo qualche anno è arrivato il “Pfefferer Pink”, etichetta rosa, vitigni vari, estivo e disimpegnato. Da pochi mesi ecco il lancio del terzo vino che compone questa gamma, il “Pfefferer Sun” composto da uve Chardonnay, Pinot Bianco e Sauvignon. Consiglio d’uso sempre molto “leggero” ma questa volta sfizioso (il vino è moderatamente aromatico) come antipasti speziati e pesce. Il nome del vino (e della linea, a questo punto) significa “pepato” in tedesco (da pfeffer, pepe). L’etichetta, piacevole, scorrevole, moderna, si arricchisce, in basso a destra, di un bollino che sottolinea la “limited edition”, artificio commerciale che ormai sempre più spesso le aziende vinicole adottano per generare maggiore interesse (e probabilmente per avere la scusa per aumentare un po’ il prezzo). Il riferimento all’edizione limitata “sporca” la linearità dell’etichetta ma aggiunge una sorta di glamour consumistico. In generale si tratta di una famiglia di etichette ben riuscita, che riesce a distinguersi molto bene a scaffale. Con personalità ed eleganza.

Prominente e Provocatoria. In una Parola: Prosperosa

Prosperosa, Nebbiolo Rosato, 
Azienda Agricola dei Cavallini.

Una piccola azienda vinicola dell’Alto Piemonte con vigne attorno a Fara Novarese produce vini autoctoni tipici della zona. Con questo rosato esce un po’ dal seminato proponendo un vino fresco, ottenuto tramite salasso da uve di Nebbiolo. Anche l’etichetta è ardita e insolita: il nome del vino è “Prosperosa” e l’immagine ci mostra una figura di donna, con una chioma floreale e un generoso… davanzale. Il nome infatti non lascia dubbi: secondo Treccani “donna prosperosa” è sinonimo di “donnone, giunone, matrona”. La donna rappresentata in etichetta in realtà ha una silhouette gentile e affinata, sul petto, come un vestito, vediamo un cuore rosa. Certo il fatto che nel nome la seconda parte sia “rosa” si lega alla tipologia di vino. Ma di certo c’è l’intenzione di mettere in atto un provocazione per generare curiosità e interesse. Forse non potrebbe piacere a chi manifesta la parità di genere anche nella comunicazione commerciale, ma di fatto l’etichetta di questa bottiglia risulta originale e memorabile con un guizzo di simpatia. A chi non piace rimane certo la scelta di non acquistarla, ma siamo sicuri che portata in tavola procurerà empatia e convivialità.

Grappoli d’Oro per un Matrimonio in Rosso

S’Affidu, Cannonau e Merlot, 
Cantina Sorres.

Si tratta di una cantina che ha sede in Sardegna, a Sennori, nel nord dell’isola. Oggi l’azienda è gestita da due sorelle, Laura e Delia Fiori (“Sorres” in dialetto sardo significa sorelle), nipoti del fondatore che nel 1943 inizia a produrre vino sfuso. La gamma è passata logicamente al vino in bottiglia e negli anni sta diventando sempre più qualificata. Ne è un valido esempio l’ultimo nato, prodotto solo in 400 bottiglie, un “felice matrimonio tra due vitigni coltivati sotto il sole della Romangia, davanti al Golfo dell’Asinara”. I due vitigni che partecipano a questo vino al 50% sono il Cannonau e il Merlot. Si tratta quindi di un matrimonio “misto”, tra un autoctono e un internazionale. Il nome del vino conferma la logica della felice unione perché si chiama “S’Affidu” che in dialetto sardo significa appunto matrimonio. L’etichetta è molto bella: in una modalità che ricorda i ricami tipici degli ornamenti sardi, vediamo un grappolo centrale che gronda una goccia di nettare, realizzato con uno stile prezioso e stampato con un inchiostro dorato. Ai lati, tra flutti marini e onde collinari, altri grappoli d’oro che attendono di esser colti, completano la parte illustrata del packaging. Il risultato, grazie anche al fondo nero, restituisce sensazioni di cura e preziosità, di passione e attenzione. Una trama moderna sia pure incastonata in una storia antica.

Mi più Mi uguale Allegria

Mimi, Rosato, Cossetti.

A Castelnuovo Belbo, in provincia di Asti, la famiglia Cossetti coltiva e vinifica dal 1891. Questa storica e quindi considerevole attività viene evidenziata non solo nello storytelling ma anche nel logo, nella parte alta dell’etichetta. Oggi è Clementina Cossetti, quarta generazione, a guidare un’azienda che può offrire un’ampia gamma di vini, dalla Barbera al Barolo, dal Moscato all’Arneis. Qui abbiamo deciso di mostrare un rosato prodotto con uve Barbera al 70% e Freisa al 30%. Quello che attira subito, oltre al suadente colore del vino (ma questo succede più o meno per tutti i rosati), è il colore dell’etichetta. O meglio degli elementi che la compongono, a partire dal nome del vino, Mimi, proprio al centro del packaging, realizzato con una puntinatura di colori molto vivaci. Il nome è proprio così, senza accento sulla seconda “i”, per cui non fa pensare ad un vezzeggiativo. Piuttosto a una composizione tra “mi” e “mi” o al plurale di “mimo” (danza senza espressione verbale, con soli gesti e mimica). Non abbiamo trovato un rational nel sito del produttore, ma il nome risulta comunque simpatico e la modalità con la quale viene scritto in etichetta è molto giocosa, allegorica, allegra, divertente. Il prodotto si rispecchia in essa: il vino rosato va vissuto come “arlecchino” dei vini, richiama l’estate, la danza, la festa e il buon vivere. Salute!

Una Bella Donna è Bella anche in Uruguay

Bella Donna, Tannat, Antigua Bodega Stagnari.

L’azienda vinicola in questione, con sede in Uruguay e già recensita in questo blog per una altro dei loro vini rossi, “il Nero”, tradisce origini italiche. La proprietaria si chiama Virginia Stagnari e con i figli Mariana e Carlo gestisce una bella realtà nei pressi di Santos Lugares. Veniamo all’etichetta di questo Tannat in purezza che si chiama “Bella Donna”. Il concetto di bella donna è molto ampio, o se vogliamo cinicamente soggettivo. Certo si tratta di un complimento che ad ogni latitudine fa piacere (e parlare). In questo caso il nome del vino è accompagnato da una illustrazione molto pittorica e molto da arte contemporanea che rappresenta un viso di donna. L’elaborato è molto particolare: manifesta un certo stile e un certo estro da parte dell’autore. Naso, bocca e occhi (a dire il vero uno solo) emergono con relativa semplicità da uno sfondo bianco. In alto, al posto della capigliatura, vediamo un cromatico groviglio di fiori che sicuramente incuriosisce attribuendo caratteristiche di memorabilità al packaging. E’ bella la donna in etichetta? Si potrebbe dire di sì. E’ strana ma affascinante, con un pizzico di mistero. Nel complesso si tratta di una bottiglia che attira l’attenzione con una originalità tutta sua (sia pure con un nome molto generico). Tutto sommato il giudizio è positivo.