Un Nome che Significa Vergogna

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Lo Scorno, Rosso di Montalcino, 
San Filippo.

Perché chiamare un vino "Lo Scorno"? Non è una domanda retorica, è tecnica. Questo blog spesso filosofeggia ma alla fine riconduce sempre a questioni tecniche. Ed ecco, quindi, che tecnicamente questo nome non è una buona idea. Il perché è abbastanza evidente, ma analizziamolo con l'aiuto di chi si occupa della lingua italiana a livello formale. Poi faremo anche valutazioni filosofico-ludiche. Dunque, di primo acchito, ricerca che può fare chiunque rapidamente, il dizionario on-line di Google alla voce "scorno" dice: "Sostantivo maschile - Cocente umiliazione della propria vanità e presunzione in conseguenza di uno smacco. Origine der. di scornare". Vediamo il parere tecnico di Treccani: "Scòrno s. m. (der. di scornare). Senso di umiliazione e di vergogna, spesso accompagnato da beffa o dal ridicolo, provocato dal fatto di non essere riusciti in un intento, o dall’essere stati facilmente superati o sconfitti da altri: subire uno s.; con suo grave s. ha perso la causa che mi aveva intentato; è stato un grosso s. per lui vedersi anteposto il suo odiato avversario; "Addorno d’intagli sì, che non pur Policleto, ma la natura lì avrebbe scorno." (Dante); "Mai non potrebbe il pianto adeguarsi al tuo danno ed allo scorno." (Leopardi)." E per quanto riguarda il dialetto napoletano? L'accezione partenopea "metterse scuorno" a volte coniugata all’imperativo "miéttete scuorno!" sarebbe come dire "vergognarsi". Non parliamo inoltre del possibile accostamento con le corna. A questo punto è facile concludere dicendo che nessun tipo di storytelling o di toponomastica o di storia (cog)nomeica famigliare può giustificare, eventualmente, l'adozione di un nome come questo. Tecnicamente e filosoficamente parlando.

Patronimie e Cultura Greca in Sicilia

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Patrono, Nero d'Avola, Feudo Ramaddini.

Narriamo qui di un vino, un Nero d'Avola della Sicilia sud-orientale, e del suo cambiamento di "casacca". Il nome è rimasto il medesimo, "Patrono", probabilmente a sancire quella sacralità che pervade la cultura siciliana a partire dalle chiassose feste patronali e/o di Santi variegati e Madonne ammantate. Il packaging è cambiato: prima raffigurava effettivamente un santo, un prelato, un patrono, appunto. Ora, al suo posto c'è un faccione che potrebbe essere un Bacco o come si presume dal nome di linea di questo vino, Omero, un eroe greco. Lo stile anche è cambiato: da una format grafico abbastanza classico, con la concessione, discutibile, del nome scritto in verticale e spezzettato, si è passati a stili decisamente rastremati e in questo senso "moderni". Il carattere di scrittura del nome è molto particolare (stiamo parlando della nuova etichetta, quella raffigurata qui alla base), così come la stilizzazione della faccia al centro, caratterizzata da un curioso ciuffo rosso. L'etichetta è diventata ovale e anche il logo aziendale ha usufruito di un sensibile restyling. In generale il miglioramento è visibile, almeno per quanto riguarda la pulizia grafica e l'impaginazione. La nuova etichetta, in buona sostanza, si potrebbe definire come un mix riuscito tra antico e moderno, un passo verso una comunicazione da nuovo millennio, ma con un piede nella storia e nella cultura dei luoghi di produzione, al centro di quel Mediterraneo che ancora oggi fa da culla per l'umanità intera.
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Dialogo Immaginario tra Designer e Azienda

Poggio dell'Otto, Brunello di Montalcino, 
8 Vini.

Abbiamo provato, per gioco, a immaginare il dialogo tra il designer che ha progettato questa etichetta e il titolare dell'azienda. O comunque tra due "addetti ai lavori", responsabili della creazione di questo packaging. "Dunque, come si chiama l'azienda?" - "8 Vini" - "Perché produce o commercializza 8 vini?" - "No, molti di più" - "Ok, non importa, passiamo oltre" - "Direi che comunque l'8 è una questione importante" - "Ok, allora lo mettiamo in etichetta" - "Certo" - "Partiamo dal nome del vino... e se fosse Poggio dell'Otto?" - "Sì, perfetto, il poggio, cioè la collina dove viene coltivato il Brunello di 8 Vini, mi sembra coerente" - "Bene" - "E per la grafica?" - "Ma, direi fondo nero, per il Brunello si usa, è in trend" - "Perfetto" - "E al centro metterei un bell'8, scritto in numero!" - "Uno solo? Mettiamone 8!" - "Otto 8?" - "Sì, come il nome dell'azienda!" - "Great!" - "Come li mettiamo, tutti in fila?" - "Mmmh... mettiamoli a raggera, come un ventaglio" - "Può essere. E il colore?" - "Idea! Li facciamo di tutti i colori dell'arcobaleno!" - "Bello, sta bene, sembra un fiore... attira l'attenzione". Ed ecco qui fatta l'etichetta. Non ci permettiamo di esprimere un giudizio che sarebbe troppo personale. Lo farà il mercato. Il mercato ha sempre ragione.

Design Enigmatico di Luna e di Luni

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Caligrè, Grenache, Terre della Luna.

marketing branding grafica labelsAbbiamo provato a rifletterci, guardando e riguardando l'etichetta in questione ma non siamo riusciti a risolvere l'enigma. Il packaging dei vini di questo piccolo produttore dei Colli di Luni (Ortonovo) non si riesce a tradurre in qualcosa di significativo. Praticamente: in alto c'è il logo aziendale che probabilmente fa riferimento alla luna, al suo sorgere, al suo essere. Sotto a quella specie di emisfero che sembra la testa di un gatto (o di un Ufo) ci sono altri segni, lettere, tratti, tagli, a simboleggiare chissà cosa. Complice anche il fatto che non si trovano foto di grandi dimensioni e di buona risoluzione, in rete, il mistero è ancora irrisolto (grazie a "La Venere di Bacco" per la foto dell'etichetta gialla). Anche i nomi non scherzano, almeno i due che citiamo qui: Caligré, non ancora decrittato (probabilmente "gre" da Grenache e forse "cali" da calice), e Scì, evidentemente riferito al vitigno che è Shiraz in purezza. Gli altri nomi della squadra sono: Plinio il Giovane, Lun'Antica e Vignali di Luna, già meglio. Pur volendo soprassedere al possibile significato della grafica l'effetto è straniante e in generale il format dell'etichetta risulta piuttosto approssimativo, anche a causa del font (tipo di carattere) adottato per le scritte. 

I Potere (e il Podere) dei Fiori

Flower Power, Rosato da Sangiovese, 
Podere 414.

Etichetta davvero particolare per questo Sangiovese rosato che viene dalla Maremma. Come potremmo definirlo? Giovane? Moderno? Allegorico? Artistico? Certo rompe certi codici di comunicazione del vino, proponendo un design molto colorato e uno stile quasi "carnevalesco". Qualche problema di leggibilità per le lettere iniziali colorate, comprese quelle del nome, dove si nota anche una "o" realizzata con un fiore. Il naming ha una spiegazione, nel sito del produttore, eccola: "Il nome "Flower Power" è mutuato da una espressione del poeta Allen Ginsberg che coniò questo termine nel 1965 in riferimento alla "controcultura hippy" degli anni sessanta e settanta. Le caratteristiche di questo vino sono quindi la semplicità e la vivacità e la natura." Una citazione storica, socio-culturale, di un certo spessore, nonostante la giocosità dell'etichetta. Da sottolineare che nel packaging più che il nome del vino si nota subito il nome dell'azienda: Podere 414, particolare anch'esso e con le sue ragioni e descrizioni: "414 è il numero attribuito al podere dall'Ente di "riforma fondiaria" negli anni 60 durante il frazionamento del latifondo e la redistribuzione dei terreni da esso derivanti a famiglie "assegnatarie". Tutto circostanziato, quindi. Da parte di chi ha ideato marchio ed etichetta. In definitiva forse si tratta di una soluzione fin troppo ludica ma anche in questo caso, a sua parziale discolpa, citiamo le parole della proprietà: "Podere 414 “Flower Power” trova il suo habitat naturale come “vino da piscina” o in accompagnamento di una grigliata fra amici, rappresenta una possibile alternativa ad altre bevande per qualsiasi occasione quotidiana o semplicemente informale."

Attizzamenti Spumeggianti tra Allure e Allusioni

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M'attizz, Trebbiano-Malvasia-Moscato, 
Vigne Sannite.

Il blogger Alessandro Marra di Stralci di Vite (bello il cappello: "tralci e stralci, viti e vite, storie di uomini e tradizioni, identità forti, passioni dietro un'etichetta") ci segnala questa straordinaria etichetta (e gentilmente ci fornisce anche la foto) che non riusciamo ad ignorare, sia pure nella sua estrema semplicità (in questo caso una semplicità semplicistica, come dire, molto popolare, nell'accezione comunque positiva del termine). Il vino, un "frizzantino" quindi categorizzabile come "di facile consumo", si chiama "M'attizz". Dialetto, è chiaro, per dire "mi attizza" (il produttore è del Sanni0: Benevento). Potrebbe trattarsi di un "attizzamento" emozionale di qualsiasi tipo, oppure il riferimento ad un focolare domestico, se non fosse che la "i" di questo naming è formata da una silhouette di donna (sarebbe "sagoma" ma in francese ha più charme) elegantemente vestita (gonna corta, gambe luuunghe), "incastonata" in un flûte (parola che significa "flauto", ovvero calice per vini spumanti). Sullo sfondo bollicine vaganti ad alludere ad un certo mondo spumeggiante di party, di festa, di champagne (con la "C" minuscola, quindi qui intesto nel suo significato originale, quello di "campagna"). Da notare anche che la "M" del nome "M'attizz" è rossa (il rosso attizza), mentre le altre lettere sono verdi (il verde è speranza). Per il resto il design dell'etichetta è lineare, pulito, gestito con gli equilibri giusti. Non è infine da escludersi che un nome del genere possa generare vendite e consenso, logicamente muovendosi commercialmente presso un target adeguato.

Amarone o "Amaione"? Dipende dalla Regione

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Amaione (e Aione), Sangiovese, Podere Casina.

Plagio o buona fede? I confini del naming sono a volte labili e contaminanti. Certo che se un vino si chiama "Amaione" viene subito da pensare all'Amarone. Si tratta di una produzione speciale (solo 300 bottiglie) del 2006 (l'annata di cui noi abbiamo trovato traccia) e si riferisce effettivamente a una specie di "copiatura", anche produttiva, dell'Amarone, in quanto questo vino è stato prodotto utilizzando uve Sangiovese 100%, da vendemmia tardiva, lasciate appassire 6 mesi in fruttaio, per ottenere un nettare molto concentrato, da 16%. Non sappiamo se il produttore ha dato seguito ad altre produzioni (annate) con questo nome. Nel sito dell'azienda attualmente si trova un vino con un nome simile, Aione, prodotto sempre con vitigno Sangiovese, ma in modo più normale, da vino rosso classico. Non c'è più traccia dell'Amaione, forse a fronte di qualche procedimento legale da parte del Consorzio dell'Amarone o di qualche produttore di quel vino, certamente più noto e quindi più imitabile piuttosto che viceversa. L'idea di utilizzare il procedimento dell'Amarone (che comunque si avvale di tre o più vitigni mescolati insieme) non è malvagia, ma la protezione del suo nome è chiaramente un diritto ormai acquisito e da difendere, all'estero come in Italia.
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Il "Cuoro" della Comunicazione (del Vino)

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I Heart (+ vitigno), Zinfadel Rosé, I Heart Wines.

Il caso rappresentato ed evidenziato da queste etichette di vino è soprattutto un caso di marketing. Oltre che di immagine vera e propria. Una operazione imprenditoriale ben studiata così come è stato ben studiato il packaging. Dietro all'idea di proporre una selezione dei più noti vitigni internazionali (senza realmente produrli, ma prendendoli già fatti), come dichiarato dall'azienda in questione, c'è un intento di semplicità. Una proposta chiara e comprensibile a tutti, nella sua dinamica commerciale e, prima ancora, nella comunicazione. Il cuore come elemento chiave del visual, questo si evince subito ad una prima osservazione. Un cuore, al centro, la cui forma viene forgiata dal testo esplicativo della proposta al cliente, la parola cuore ripetuta (heart), un cuoricino alla base dell'etichetta e uno anche sul collarino della bottiglia. Il nome del vino? "I Heart Chardonnay" piuttosto che "I Heart Prosecco" e così via. Dove il noto "I Love" viene sostituito con una parola più tecnica, più dura nella fonetica, ma che fa diretto riferimento la cuore come forma, senza perdere il significato di "amore". Si potrebbe comunque tradurre in "io amo" o nell'orribile ma diffuso modo di dire, sviluppatosi nei social, "io cuoro". Nome sinergico, quindi, con tutto il "sistema di comunicazione" che è stato creato attorno al progetto. E design dell'etichetta ben studiato, nei minimi particolari, sia pure lasciando letteramente spazio alla pulizia grafica, al bianco, ad una modernità che non ripudia certo le emozioni basilari dei luoghi comuni. Ma con intelligenza.
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Un Vino Nuovo con un Volto Vecchio

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Volto Nuovo, Rosato, Azienda Agricola Ghiga.
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In prima battuta non riusciamo a capire cosa ci sia di nuovo nel volto (l'etichetta) di questo vino. Eppure il suo nome è "Volto Nuovo". Ma proviamo ad analizzare più in dettaglio gli elementi costituenti del design. Si notano subito delle rose, stile illustrativo classico, da erbario. L'esecuzione comunque non sembra delle migliori. Manca profondità. Forse è voluto. Il nome del vino e il nome aziendale sono scritti con il medesimo carattere (font di scrittura) nella tipologia "molto graziato". Leggibilità non scorrevolissima, soprattutto per il nome in verticale. Oltre a questo ci sono solo due definizioni "tecniche": Vino Rosato e Azienda Agricola. Una cornice dagli angoli arrotondati racchiude gli elementi che si stagliano su fondo bianco carta. No, decisamente il volto di questa etichetta non è nuovo. Anzi, risulta piuttosto datato. Dove "datato" non è un complimento. Il concetto di volto nuovo sarà probabilmente riferito al vino. E infatti nel sito del produttore troviamo, tra le altre, queste considerazioni: "Vino rosato di moderata gradazione alcolica e buona struttura in bocca, dotato di un ottimo colore rosa intenso. Questo vino deriva da un uvaggio composto da uve Barbera (circa il 70 %) e Freisa (circa il 30 %), vinificato in rosato. La Barbera conferisce un ottimo colore, una buona struttura ed acidità, mentre la Freisa dona un profumo fruttato molto piacevole ed una morbidezza allettante. Il nome “Volto Nuovo” vuole significare l’intenzione di dare una nuova identità al Barbera, del quale abbiamo l’ immagine di un vino rosso mediamente strutturato o di medio invecchiamento. Il rosato di Barbera è infatti un prodotto “innovativo” e molto interessante, assolutamente da provare". 

Etichette Evolute in Terre Sperdute

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grafica marketing comunicazioneNoelia Bebelia, Albarino, 
(Simon & Noelia).

Sono tre gli aspetti interessanti reperibili in questa bottiglia, tra il fronte e il retro etichetta. In primo luogo l'estrema pulizia del "messaggio principale", cioè in questo caso il nome dell'azienda che diventa anche nome del vino (Noelia è il nome della produttrice e vignaiola e Bebelia in vezzeggiativo da Beber, bere in spagnolo). Nome del vino e nome del vitigno (Albarino), ed è tutto. Su sfondo bianco avorio. Certo il carattere di scrittura fa molto: non è il massimo della leggibiltà ma guadagna in eleganza con i suoi tratti smussati e suadenti. A simulare una scrittura a mano, tra l'adolescenziale e il vanitoso, certo molto femminile. Inchiosto a rilievo, che è sempre un bel vedere (e sentire, al tatto). Secondo aspetto interessante: la storia aziendale scritta in sintesi, ma per intero, nel retro etichetta (non un vero e proprio retro etichetta, in quanto in questo caso fa
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quasi il giro completo della bottiglia). Una bella storia appassionata, di attenzione e dedizione. Terzo aspetto, tecnico ma importante, che in buona parte manca ancora in Italia: l'ologramma di garanzia (in basso a destra) ad opera del Consorzio Galiziano "Rias Baixas", che prova l'effettiva originalità del prodotto. Siamo qui di fronte a un piccolo produttore (il loro vino è una vera chicca qualitativa) di una piccola e semi sconosciuta zona vitivinicola in un angolo (atlantico) della Spagna, ma con soluzioni tecnico-burocratiche molto evolute. Da prendere esempio. 

Il Concetto di Naturale, Ridondante

marketing branding grafica comunicazioneAgricolo, Primitivo, Cantine Paolo Leo.

È il marketing, dirà qualcuno. Che spinge in questa fase (poi le cose cambiano) a sottolineare gli aspetti bio, e naturali, e genuini, e biodinamici, e chi più ne ha più ne metta. Infatti in questa etichetta ne hanno messe molte di parole attinenti al concetto attualmente "di moda": bio e natural product (nel bollo in alto, poi "Agricolo" (il nome), vino biologico e come se non bastasse "da agricoltura biologia". Alcune di queste diciture sono necessarie, ed è anche vero che "repetita juvant", ma insomma, forse si poteva rastremare un po'. Da notare che, oltre all'Agricolo, nella gamma proposta dalle Cantine Paolo Leo, ci sono anche il "Rurale" (rosato da Negramaro), il "Terreno" (Negramaro) e "Ecosistema" (Chardonnay). Nomi che quanto meno non ridondano con i concetti precedentemente sottolieati, laddove "Agricolo", letteralmente lo fa. Il Bio per ora vende, viene apprezzato (da un certo gruppo di consumatori) anche a fronte di un costo maggiore. Vedremo quando durerà. Ma abbiamo il sospetto che il Bio sia come le marmitte catalitiche qualche anno fa: presentate come caro accessorio sono diventate la norma, integrate nella struttura e nel costo generale del prodotto.

Un Restyling in Rosa, Quasi Impercettibile

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Il Diamante di Silvia, Barbera frizzante, Podere Gaiaschi.

Andiamo con ordine. In primo luogo le etichette di vini che presentano una cromìa rosa sono davvero molto rare. Si trovano colori stani sulle bottiglie, come l'azzurro cielo, il verde, il giallo, diciamo "strani" in quanto poco adatti alla tipologia vino, ma a volte si trovano. Il rosa è un colore che davvero raramente viene adottato dai produttori di vino. È un colore, un "codice", femminile per eccellenza, forse in questo caso è stato scelto in onore di Silvia, alla quale è dedicato il barbera frizzante in questione. Si cita anche un diamante, che viene mostrato in illustrazione. Diciamo subito che l'etichetta è a dir poco "rivedibile", a livello grafico, di design. Per quanto riguarda il nome, troppo lungo e composto per essere un vero nome, potrebbe anche attirare l'attenzione, soprattutto delle donne, con quello che il diamante può evocare. Ma anche per quanto riguarda il naming non siamo di fronte a una scelta tecnicamente condivisibile. Perché abbiamo raffigurato due etichette? Perché una è del 2015 e una del 2016 (quella a destra). Se osserviamo bene vediamo che sono leggermente diverse. È stato operato un restyling, quasi impercettibile. Il nome "Il Diamante di Silvia" è stato portato al centro dell'etichetta, probabilmente peggiorando la situazione (leggibilità discutibile, anche con quell'ombra bianca di sfondo). Sotto alla scritta "Barbera Frizzante" c'è una parola in più rispetto a prima: "aggiunti" (senza solfiti aggiunti). Probabilmente una esigenza burocratica. Di fatto la leggibilità di questa frase è ancora problematica, come lo era prima. Infine, sotto al nome aziendale viene aggiunto "Azienda Agricola", anche in questo caso peggiorando le cose e creando confusione: il nome aziendale è "Podere Gaiaschi" oppure "Gaiaschi Azienda Agricola"? L'unico miglioramento è nell'industrial design della bottiglia, ora borgognotta invece che classica. Quindi ora più adatta a un barbera frizzante. Ma se un cambiamento generale andava fatto, si potevano giocare carte migliori.