Valtellina Antica e Moderna: Sure!

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Sciur, Nebbiolo Chiavennasca, Nino Negri.

Si tratta di un progetto ad ampio respiro. Che fa respirare aria nuova in Valtellina. E ce n'è bisogno. Un vino da vigneti storici (Fracia) che si prende l'impegno di salvaguardare ambiente, territorio, cultura, rispettando ad esempio, i famosi terrazzamenti con i muretti a secco, tipici della viticultura di montagna della Valtellina. Ma passiamo all'analisi del fattore packaging: il naming è particolare, "Sciùr" significa "Signor" in dialetto, ma si potrebbe anche leggere una intenzione di internazionalizzare il prodotto visto che "Sciùr" si pronuncia come "Sure" in inglese, che significa "Sicuro" o "Certo" o "Fidato" o "Positivo". Un'ottima forza semantica, breve, immediato, originale, regionale certo, ma anche con velleità esterofile per chi le vuole o le sa leggere. Il design è molto nero (forse un po' troppo), elegante, lineare... e nella linearità dei tratti proposti, risulta anche evidentemente "montagnino", mantenendo quindi, sia pure nella modernità, quel fattore territoriale che mai bisognerebbe perdere nel comunicare il vino. 

Tutto è Possibile

graphicdesign labels etichette marketing comunicazione croma brandingHey Mambo, Swanky White.

Cosa sia uno Swanky White non lo sappiamo e nemmeno lo vogliamo sapere. In California si sono inventati questa etichetta e soprattutto questo nome per un vino bianco che evidentemente dopo averlo bevuto "fa ballare il mambo". Divertente allegoria, enfatizzata dal disegnino in alto a destra con due provetti e scatenati ballerini alle prese con la sfrenata danza. Hey Mambo è anche una famosa canzone ma in fin dei conti cosa c'entra con un vino? Parliamo anche dei toni cromatici davvero "drammatici" di questa etichetta: bianco e rosso, come dire la Croce Rossa. Al di là delle facili battute il rosso è da sempre considerato un colore allarmante, tensiogeno, poco rilassante. Codici cromatici che si prestano forse per una tequila, non per un vino bianco. Ma il mondo è bello perché è... mambo!

Illustrare il Vino

Bonarda Pinot Barbera Riesling, Tenuta Mora Bassa.

naming etichette marketing comunicazione vitigno grafica labelsQuesti vini non hanno nome (se non il nome del vitigno con il quale sono prodotti) ma mettono in mostra della belle illustrazioni "a tutta pagina". Illustrazioni che di fatto assurgono al ruolo di protagonista nell'economia di etichette molto colorate ma con sobrietà, decorative ma con gusto. Gli "artwork" rappresentano 4 animali, uno per ogni sorte di vino (gallina, airone, cinghiale, pesce) con una vaga "sindrome" da consiglio d'uso. In pratica, alla "prova scaffale", la piacevolezza delle illustrazioni prende decisamente piede, anzi conquista l'attenzione degli occhi: si tratta di interpretazioni dotate di gusto estetico e artistico, equilibrio nei colori, estro creativo nelle forme, e anche una certa poesia del comunicare visivamente. Ad alcuni potrebbero risultare forse troppo giocose ma nel complesso si possono considerare un'ottimo esempio di packaging.

Buoni Amici del Vino

design illustrazione grafica etichette labels wineloversBonamici, Merlot e Cabernet Franc.

Raramente il cognome di un produttore può funzionare anche come elemento valorizzante dell'immagine aziendale ed eventualmente come nome di prodotto. Siamo di fronte ad uno di questi rari casi. Certo il cognome del produttore (probabilmente di origini toscane) che nel proprio significato contiene la percezione semantica di "Buoni Amici" è davvero un patrimonio da sfruttare. Buoni amici del vino, buoni amici quelli che condividono i piaceri della tavola, buoni amici l'uomo (il vignaiolo) e la terra (la vigna), buoni amici tutti coloro che vorranno e sapranno apprezzare questo vino. Insomma chiamarsi Bonamici è un vantaggio. Se oltre a questo, con estro creativo, si decide di mostrare in etichetta una illustrazione al tratto con due "buoni amici" volanti dentro a una botte, allora il gioco è fatto.

Etichette che Raccontano una Storia

etichette labels naming storytelling packaging graphicdesign bottiglia australiaLadies who Shoot their Lunch, Shiraz, Fowles Wine.

Questo packaging, che veste una bottiglia di Shiraz  in arrivo dalle terre australiane, non è nulla di speciale: non lo è l'illustrazione in evidenza, senza stile o estro particolari, non lo sono i caratteri di scrittura (troppi e troppo diversi tra loro), non lo sono il design, la grafica e l'impaginazione in generale (salvo quella paperella volante che decora il collo della bottiglia). Possiamo e dobbiamo cercare le sue peculiarità nel nome e nella storia che vuole raccontare. Una storia di donne cacciatrici (e qui sovviene probabilmente l'indicazione di consumo con uccellagione selvatica) "che sparano al loro pranzo", cioè che si procurano la materia prima da mettere in padella, in modo autonomo e un po' "maschio". Sicuramente questa "formula" comunicativa da etichetta "alternativa", incuriosisce un target sia maschile che femminile e in più, si integra allegramente nell'attualissima moda dello "storytelling" (niente di speciale anch'essa ma sorvoliamo per ora, come fa la papera fuggitiva).

Omonimia Latente

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Nero, IGT Salento Rosso, Conti Zecca.

naming packaging confezione grafica design marketing comunicazioneDue settori alimentari diversi, il vino e il cioccolato. Che pur sempre, in certi casi, hanno vite parallele incrociandosi in degustazioni particolari. Ma non è l'aspetto organolettico che interessa in questa sede, bensì la scelta del nome: Nero per il vino rosso a base Negroamaro del produttore Conti Zecca e altresì Nero per il cioccolato fondente Perugina (in diverse proposte di gusti e aromatizzazioni). Anche il modo in cui è stato deciso di scrivere il nome è decisamente somigliante: su due righe a caratteri cubitali. Per fortuna almeno il carattere di scrittura differisce. E naturalmente la grafica delle etichette: essenziale e lineare quella della bottiglia di vino, graziata e più eleborata quella del cioccolato. Grossi problemi di "copyright" non ce ne sono, se non un certo rischio di "confusione" nella mente dei consumatori quando il "Nero" si stabilizza nei loro ricordi: sarà un vino o un cioccolato? E' nato prima l'uovo o la gallina?

Vigne Predilette in Bianche Etichette

brunello montalcino design labels etichette toscana marketing comunicazioneLa Casa e La Caduta, Brunello e Rosso di Montalcino, Caparzo.

Si tratta dei due vini "di punta" di un noto produttore toscano di Montalcino. Nella gamma delle sue etichette (le altre sono monocromatiche e colorate) queste due risultano come le più semplici, ma anche come le più "dimesse". La semplicità e la linearità dei tratti, in comunicazione, sono dei valori. Proprio perché sono in grado di "arrivare" all'obbiettivo con efficacia e senza "rumori di fondo". Ma naturalmente c'è semplicità e semplicità. In questo caso specifico le etichette sembrano davvero prodotte in tipografia. Dove gli schemi grafici sono limitati e la "visione" poco concettuale. Il carattere di scrittura, unico elemento che avrebbe potuto fornire distinzione su una etichetta bianca e decisamente neutra, è anch'esso ricco unicamente di normalità. Siamo di fronte tra l'altro ad un vino (come tipologia) tra i più noti d'Italia e nel mondo, in questo senso decisamente valorizzabile.
Passando ad una specifica analisi dei nomi di questi due vini la situazione non migliora: dove la scelta di nominare il Brunello di Montalcino con "La Casa" potrebbe, nella sua disarmante "normalità", risultare interessante per il mercato estero (sono quelle parole facili, in italiano, che tutti gli stranieri conoscono, dai russi agli anglosassoni, fino ai paesi scandinavi) ed essere quando meno memorabile (in quanto breve ed immediato) per il mercato italiano, ebbene, la versione Rosso di Montalcino denominata, ahinoi infelicemente, "La Caduta", risulta appesantita da un problema puramente semantico, di significato, che crediamo anche un bambino saprebbe intravvedere.

Laurea in Grafologia


Maoro e Donna Ittoria, Vigneti Zicca.

Serve una laurea in grafologia o molta fortuna (chiamiamolo intuito) per leggere i nomi dei vini delle Cantine Zicca. Il carattere di scrittura scelto è (in termini tecnici) un graziato che più graziato non si può. Ovvero uno di quei caratteri molto "arzigogolati", riccioluti, complessi. Al punto da ostacolare seriamente la lettura. L'obiettivo di un nome di un vino è quello di distinguersi (dalla concorrenza) e farsi ricordare. Ma se non riusciamo a leggerlo (già quando siamo sobri, figuriamoci dopo il primo e il secondo bicchiere!) come potremo ricordarcelo o riferirlo a qualcuno? Anche la modalità di scrivere il nome in verticale è davvero una pessima idea. Se le mettiamo insieme possiamo capire che questa azienda potrebbe ben considerare di ritornare sui propri passi e cercare di tracciare i nomi dei propri vini in modo più intelleggibile. A parte il fatto che "Maoro" non conduce a nessun chiaro significato (anzi, crea confusione di interpretazione). E l'altro nome? Donna Ittoria (i clienti si chiederanno se si sono persi una "V" in tipografica, probabilmente) dal vigneto "Curru Trabutzu": ci vuole un enigmista per risolvere il rebus comunicazionale!

Il Design di Livello è Sempre Moderno

etichette labels marketing comunicazione graphicdesign branding Pn, Pinot Noir, Heraszthy Vineyards.

Se ne vedono di tutti i colori per quanto riguarda la creazione di etichette "moderne" o presunte tali. Per i colori, appunto. Per le grafiche, che spesso privilegiano grandi lettere tipografiche. Se ne vedono di forme e di concetti svariati, variegati, svarionati. Ma alla fine è il gusto che è chiamato a dominare la scena. Il gusto, l'intelligenza, la creatività, l'estro, le idee. Ecco qui un esempio di "etichette moderne", che vogliono cioè uscire dagli schemi "classici", ma che lo fanno in modo squisitamente elegante. Caratterizzate da grandi lettere (di fatto sono evidenzioate delle lettere che rappresentano la sintesi dei nomi dei vitigni che compondono i vini: Ch per lo Chardonnay, Pn per il Pinot Noir, una strana Ö che sta per Öreghegy il nome del vigneto, in questo caso). Armonia nei colori, quelli sì che rimangono "sul classico": diciamo che sono adatti ai vini che rappresentano. Armonia delle forme e nell'impaginazione, e anche nei "pesi", cioè nel dimensionamento dei vari elementi che partecipano alla "costruzione" dell'etichetta. Belle carte, inchiostri speciali, ma tutto nei limiti (anche se non è corretto parlare di limiti nella creatività) di quel gusto, citato all'inizio di questo commento: un gusto che "fa la differenza". Nelle cose della vita, e anche nel naming e nel packaging per il vino.

Etichette Intelligenti

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Dofì, Priorat Doc, Alvaro Palacios.

Intelligenti come il delfino, protagonista ed emblema di questa etichetta che si presenta in modo gentile ed elegante. Inoltre è anche ironica e giocosa ma senza perdere autorità. Colori chiari, tratti leggeri, impaginazione equilibrata. Un piccolo delfino dorato e coronato fa il giocoliere con una bottiglia di vino sul muso. Un'immagine semplice, in grado però di attivare le sinapsi dell'attenzione e della memorabilità. A volte basta poco, ma ci vuole un'idea. Il nome del vino, in evidenza come dimensioni e "presenza" grafica, è una contrazione quasi poetica di "delfìn" in spagnolo. Anch'esso può contare su un paio di "vantaggi", in questo caso semantici: sintesi e simpatia. Garbo e intelligenza: qualità che "ripagano".

Roma Amor

graphicdesign naming doc nome lazio labels winelovers rosso cesaneseRoma, Montepulciano Cesanese Sangiovese, 
Castello di Torre in Pietra.

Un caso eclatante nella sua semplicità: tempo fa il Ministero dell'Agricoltura decide di creare la Doc Roma (non senza seguenti polemiche). "Ti piace vincere facile? Recita una recente pubblicità. Si tratta di fatto di una "zona vinicola" non certamente pregiata (e questo è emblematico: gli Antichi Romani hanno portato la cultura del vino in tutta Europa e i romani di oggi non avevano ancora una Doc) che produce vini rossi con vitigni "mutuati" dalle regioni limitrofe, salvo, forse il Cesanese di laziale stanzialità. Ebbene ecco dimostrata la forza di un nome (che non è stato creato ad-hoc ma erà già lì pronto da cogliere) come Roma che sfrutta la notorietà in tutto il mondo della "città eterna". Il successo è assicurato, soprattutto a livello turistico, molto "spicciolo", ma anche per le esportazioni. Quel nome ben evidente su una bottiglia di vino rosso assicura già una base di vendite dall'introito considerevole. Potrebbe funzionare anche con "Firenze"o "Venezia" o "Siena", logicamente.

Sua Azzurrità il Tralcio

packaging graphicdesign marketing etichette labels wine illustrazioneHenry of Pelham, Pinot Noir, VQA Ontario.

Si vede che di notte in Ontario la vigna, sotto la luna, prende un tono azzurro-notte. Come in ogni altra parte del mondo, forse. Ma tra gli azzurri "poco alimentari" e quindi poco "vinicoli" questo è uno di quelli accettabili. Il tralcio in primo piano, azzurro chiaro, si staglia in un fondo azzurro-notte e quindi emerge con buona eleganza e grazia. Certo che per un vino rosso i codici visivi (perlomeno quelli abituali, diciamo ancestrali) Europei "storcono il naso". Ogni continente ha le proprie logiche e la propria cultura. Dipende a quale "target" ci si vuole rivolgere. Questa etichetta, comunque sia, soprattutto per il mercato nordamericano, si presenta con equilibrio e gradevolezza estetica. Pochi elementi ben enfatizzati, nome principale in evidenza e un po' di poesia nell'illustrazione. Henry of Pelham, in particolare, è il nome dell'azienda, dove Henry è il nome di battesimo di un antico fondatore che gestiva una taverna in zona e Pelham la località sede aziendale nei pressi delle Cascate del Niagara.

Gli Elementi Essenziali

Ancient Earth, Shiraz, Bellingham.

Si tratta della linea di etichette di una azienda vinicola sudafricana che ha costruito una bella immagine di comunicazione attorno a sé. Il sito internet già lo dimostra. La linea di vini "Ancient Earth" oltre a comunicare in modo facile e diretto il concetto di "Terra Antica" o anche "Venerabile", rafforza questa idea di "radici" e "origini" con una pregevole illustrazione che in modo artistico e creativo interpreta la vigna e la sua "interazione" con il terreno. Il tralcio che emerge sulla linea dell'orizzonte è formato da una fantasiosa trama di radici che da sottoterra gli forniscono slancio e linfa vitale. E' un'immagine forte dal punto di vista del significato, ma anche graficamente piacevole. Ne consegue un'ottima efficacia comunicativa. L'etichetta è quindi ben progettata, salvo per i testi che hanno tutti quasi egual peso visivo (Shiraz, Ancient Earth, Bellingham): in particolare il marchio aziendale poteva essere meno invasivo.

Packaging Originali, Nomi Confusi

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Col di Manza, Prosecco Docg, Perlage.


Chiariamo subito che "Perlage" non è il nome del vino, ma dell'azienda. Insomma qualcosa non quadra. Andiamo per ordine partendo dall'alto: davvero originale il collo incappucciato di questa bottiglia, un insolito packaging in grado di attirare l'attenzione. La funzione del "cappuccio" con spago oltre che estetica ha una valenza storica, perché riporta a quando era indispensabile trattenere i tappi dei vini spumantizzati per evitare "esplosioni" inaspettate. Originale e caratterizzante anche lo stampo in vetro che riproduce due volatili sulla bottiglia. Ma torniamo ai nomi, nota dolente di questo packaging. Il nome del prodotto è Col di Manza (non propriamente un bel nome), Perlage è il nome del produttore e Rive di Ogliano, si presume, il luogo della vigna. Insomma regna la confusione, anche perché il nome Perlage ha maggiore evidenza (grandezza, colore) degli altri due e potrebbe benissimo essere nome di prodotto, visto che si tratta di bollicine. Col di Manza e Rive di Ogliano, insieme alla necessaria dicitura Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg e alla precisazione "Millesimato", completano un "quadro" molto articolato. Forse troppo. Notare che ci sono delle scritte, in rilievo a vetro, anche alla base dell'etichetta. Si può ben dire che è stato utilizzato tutto lo spazio disponibile, senza considerare che spesso "nel meno c'è il più". Soprattutto nel packaging.

Bella Lì! (ma non Qui)

naming packaging grafica design labels etichette brandBella Sera, Chianti Docg, Healdsburg & Modesto.

naming graphicdesign packaging etichette labels marketingUna società californiana che commercializza vini italiani con proprie etichette. E rivolgendosi al mercato americano sfrutta ruffianamente ma opportunamente un "modo di dire" facilmente comprensibile anche al pubblico anglofono: Bella Sera. In realtà in Italia si dice "Buona Sera" per salutare e "Bella Serata" per accennare a una piacevole cena conviviale o ad un evento particolare. Probabilmente "serata" non è nelle corde semantiche degli americani e quindi il nome è diventato Bella Sera. Ci può stare a quelle longitudini. Criticabile invece il fatto che le etichette hanno tutte quel tono "carta da zucchero", sia per i bianchi (meno male, non è un azzurro intenso) che per i rossi. Per il resto le etichette sono ben studiate: equilibrate nell'impaginazione, eleganti, leggibili. 

Viola Violaceo

packaging design graphicdesign labels etichette marketing comunicazione namingZaha, Malbec, Altamira Mendoza.

Il viola miete ancora molti design-victims, almeno in Italia. Il già accennato rischio-scaramanzia, legato al colore viola, di fatto non preoccupa per nulla il resto del mondo che spesso e volentieri abbiglia le bottiglie di vino con un colore che da noi ricorderebbe subito i paramenti funerari. Oltre a questo (cioè oltre al "profondo viola" della capsula, sul collo della bottiglia), l'illustrazione che vediamo come protagonista assoluta dell'etichetta e che raffigura una vigna, sembra proprio un "tunnel dell'ignoto" che finisce nel buio più cupo. Sul nome non mettiamo becco, anche perchè le sue ragioni sembrano insondabili. Che sia una divinità dell'oltretomba?

Lo Champagne Giusto per George Clooney

packaging George Clooney immagine comunicazione labels branding namingCuveé Prestige, Champagne, Alain Navarre.

matrimonio venezia Clooney sposi Non somiglia un po' a lui, al mitico George, questa bottiglia? Non può ricordare la sobria eleganza ma anche la spumeggiante simpatia del Clooney attore e personaggio pubblico? In pratica questa è stata la scelta dei due sposi, a Venezia, per brindare al loro "celebratissimo" matrimonio. Un piccolo produttore di Passy-sur-Marne, nella regione eletta dello Champagne. Non una grande marca quindi, non una operazione di "grande marketing" anche se di certo questo fortunato (e probabilmente molto bravo e qualitativo) produttore vedrà salire in modo consistente la sua quota di mercato. Magari rovinando quella che sembra essere una piccola e curata produzione, in favore di una produzione più commerciale, per rispondere alle pressanti richieste dei consumatori. Ma veniamo alla bottiglia: forma insolita, slanciata, elegantissima. E alla sua vestizione: una capsula dorata e decorata che impreziosisce il collo, e una etichetta nera, quadrata, molto "pulita", semplice, alla Giorgio Armani (il nostro grande Giorgio), con un inserimento in alto a destra di un particolare dorato. La scelta del "nome" da evindeziare va al nome del produttore. Come spesso accade per gli Champagne che vengono caratterizzati dal loro creatore. Insomma, salute, gioia (e bellezza) agli sposi!

Love is in the Air (anche i Colori)

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Prestige Collection, Prosecco-Moscato, Mionetto.

Non sappiamo se è nato prima l'uovo o la gallina e non abbiamo nemmeno cercato di saperlo. Certo che quando le "tendenze" iniziano a manifestarsi avviene una sorta di contaminazione... con i colori delle etichette ad esempio. Dopo una fase, alcuni anni orsono, in cui si vedevano toni scuri, altèri, eleganti, sobri, come il verde inglese, il marrone, il bronzo, l'antracite e via dicendo, ora trionfano certi azzurro-cielo e arancione-leone. Chi sono gli avanguardisti tra Bellavista e Mionetto? Due aziende primarie in Italia, sempre avanti anche come design. Non importa saperlo in questa analisi. La sostanza è che si vedono in giro sempre più spesso colori accesi sulle bottiglie del Bel Paese (all'estero ci avevano già stupito con effetti speciali, ma si sa, gli americani hanno un'altra cultura). Nuova tendenza (soprattutto per le bollicine) per stupire, per farsi notare, per evolvere, per fare "i moderni", per conquistare dunque le "nuove leve" dei bevitori? Certo che lo stacco tra la sobrietà, l’eleganza, e i colori fluo è notevole. 

Mille Bolle Viola

labels marketing branding design graphicdesign classicdesign etichetteDosaggio Zero, Spumante Metodo Classico, Letrari.

packagingdesign brend mktg labels etichette naming trendI pregiudizi legati al colore viola sono antichi quasi quanto la coltivazione della vite. Quasi. Risalgono infatti al Medioevo e sono collegati a questioni religiose, abiti talari e quaresime. Nel mondo dello spettacolo il viola viene visto ancora come il fumo negli occhi (perché quando i sacerdoti in quaresima vestivano in viola, la chiesa vietava le rappresentazioni teatrali e quindi per gli attori era una sciagura). Di fatto, nel packaging alimentare il viola non viene molto utilizzato. Di più nella cosmetica, nei profumi, nei saponi. Letrari, premiata azienda spumantistica, ha deciso di "distinguere" la versione Dosaggio Zero del proprio Metodo Classico con una etichetta di stile classicheggiante e cromaticamente di un viola pronunciato (questo colore viene anche utilizzato nei paramenti per le esequie, per cui qualche "scaramantico" potrebbe manifestare avversione). Probabilmente sono solo retaggi del Bel Paese, all'estero, forse, non ci pensano nemmeno. In ogni caso sullo scaffale si fa notare: è davvero raro vedere bottiglie "vestite" con questo colore. Per quanto riguarda il nome,  come risulta evidente, la scelta dell'azienda è di evidenziare il marchio stesso rinunciando a un nome di prodotto vero e proprio. 

Vini che Raccontano una Storia

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Tutto Iniziò Così, Vermentino, Cantine Massidda.

Da qualche tempo si parla di "vino parlante". Facendo riferimento ad un tipo di etichetta, brevettato da una società italiana, che si apre a libro e che consente di argomentare sul vino contenuto nella bottiglia. Le Cantine Massidda invece, hanno pensato di raccontare "la loro storia" direttamente in etichetta, cioè sfruttando lo spazio, certo esiguo, messo a disposizione da una normale etichetta da fronte-bottiglia. Senza quindi altri accorgimenti cartotecnici o innovazioni relativi alla confezione. Le bottiglie sono libri, con un titolo e un incipit che può essere approfondito collegandosi al sito aziendale (anche attraverso il QR code presente sul retro dell'etichetta, quindi con dispositivi mobili).
I nomi dei vini, titoli della storia, incuriosiscono, invitano alla "lettura del vino", anche attraverso il suo assaggio, logicamente. Grafica moderna, elegante, insolita per la presenza di così tante parole. Abbiamo spesso cricato i nomi lunghi (fatti di molte lettere o di parole composte) ma in questo caso la scelta creativa di questa azienda si colloca in un'altra dimensione, facendo un po' categoria a sé.

Angelo Gaja dal '64 a Oggi

naming etichette vino packaging design grafica labels winemaker mktg brandingCosta Russi, Barbaresco, Gaja.

Dal 1964 ad oggi le etichette di Angelo Gaja (del suo Barbaresco di "punta") non sono cambiate molto. Il giovane Angelo aveva allora 24 anni e l'azienda era sotto la guida del padre Giovanni: sua l'idea della prima etichetta con il nome in grande e lo stacco cromatico tra il bianco e il nero. Dice ora Angelo che il nero rappresenta il passato e il bianco il futuro. Una "comunicazione" semplice, tutto sommato. Una modalità chiara e lineare, diretta, schietta, che da molti, in questi anni, è stata imitata. I nomi che Angelo Gaja attribuisce ai propri vini di successo spesso sono curiose parole dialettali oppure il nome "locale" del vigneto "cru". Le etichette sono sempre uguali, rimodernate, attualizzate, molto riconoscibili nello stile sobrio, ma anche "furbo", di un nome aziendale in grande evidenza. Il resto lo fa il vino, nel bicchiere.

Mister "Vite" è Argentino

Mr.Vine, Malbec, Mendoza.

Di forma insolita, questa etichetta spicca cromaticamente sul vetro scuro della bottiglia. Si tratta di un Malbec argentino che si chiama Mr.Vine. Traducendo in italiano: "SignorVite" o "SignoraVite", visto che qui da noi la vite è al femminile. Il nome che può sembrare banale e fuorviante (per l'affinità tra "Vine" e "Wine", anche di pronuncia) porta in dote una sua originalità. Quel "Mr." trasporta l'attenzione verso qualcosa di rispettabile, di elegante. La grafica e la forma dell'etichetta, come già detto, confermano una certa classe, pulizia di design, sia pure con dei codici da vino "tradizionale" come il bollo rotondo con illustrato un tralcio(in oro e in rilievo). Un'ottimo lavoro, di gusto ed equilibrio. Mr.Vine si farà ricordare.

Più Rosa Non Si Può

SeriouslyPink, Blend, PfeifferWines.

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Un produttore australiano ha creato un rosé d'impatto. Non sappiamo se al naso o in bocca (non l'abbiamo assaggiato), ma sicuramente agli occhi. Etichetta semplice, lineare, chiara, pulita, molto rosa. Un grappolo formato da tante macchie di colore, come gocce di smalto cadute sul foglio, colpisce la retina con un tono fucsia molto vibrante. Il nome "SeriouslyPink", un po' lungo, ma snellito da un carattere di scrittura esile e moderno, comunque incuriosisce ed è dotato anch'esso di personalità. Forse non adatto al mercato europeo ma di sicuro impatto per il resto del pink-mondo.

Un Nome che Canta la Gioia


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Agricanto, Liquore alla Frutta, Paladin.

naming ricerca nome etichette brand marketing labels packagingIl protagonista di questa etichetta è senza dubbio il nome. Certo la grafica è ben realizzata, equilibrata, coerente con la proposta di prodotto, giustamente arcaica e cromatica. Ma è il nome (in ottima evidenza, come dimensioni) che dà personalità al prodotto: Agricanto. Il "canto del campo" potremo dire, cercando di spiegarlo (spiegare un nome non è mai un operazione plausibile: se funziona, si spiega da solo). Da Agro, Ager, cioè Campo. E dentro al prodotto di campi ce ne sono: raboso (il vino), ciliegie, mandorle, erbe officinali, grappa, spezie. Il canto, è anche quello che l'ugola produce, quando può bearsi di questo nettare. La forma della bottiglia (il design industriale, quindi) è giustamente da liquore. Una operazione a "tutto tondo", si potrebbe ben dire. 

La Comunicazione Fa Volare (il Vino)

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Tinto-Blanco-Rosado, Tempranillo e Verdejo, Cantinas del Campo.

Questa cantina ha commissionato a un gruppo di designer una serie di tre vini, diciamo pure basici. Ma le etichette che caratterizzano queste bottiglie di rosso, bianco e rosato, volano alto. Non solo per la raffigurazione di mongolfiere e farfalle, ma anche e soprattutto per lo stile artistico di un certo livello che è stato scelto per rappresentare il prodotto. Le illustrazioni sono di grande respiro, di ottima realizzazione, di spiriro elevato. Aiutano a comunicare un senso di qualità, cultura, spensieratezza, prestigio, naturalità, ma con semplicità, con "vicinanza" al cliente. A livello di naming viene deciso di valorizzare il nome aziendale (in evidenza sulle etichette, a discapito di un vero e proprio nome, che diventa, in piccolo, semplicemente "Tinto" o "Blanco" o "Rosado"). Scelta opinabile ma anche accettabile se i prodotti in questione sono all'esordio e quindi la cantina ha necessità di affermare e diffondere il proprio nome. In ogni caso: bellezza e sentimento. Bravi.

Se Non Lo Vedi Non Ci Credi

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Jamie's, Terre Siciliane, Settesoli.

Qualcuno ha progettato e stampato queste etichette (prodotti venduti da Tesco). D'accordo, è per il mercato inglese. Sono state commissionate da Jamie, un tale gourmet girovagante che afferma la propria competenza in fatto di cibo e vino italiano. E va bene che gli inglesi bevono di tutto ma qui abbiamo veramente toccato i confini estremi del design. Anche volendo interpretarle con una visione kitsch, non se ne esce. Non sono valorizzanti. Dequalificano il prodotto o come minimo lo collocano in altre "aree percezionali". Andrebbero forse bene per una linea di shampoo, di quelli con un profumo fastidioso. E il produttore? Settesoli, grande cantina siciliana (certamente in senso di produzione, 22 milioni di bottiglie), di Menfi, che ha approvato il progetto, altrimenti l'etichetta non sarebbe stata realizzata. Con buona pace per l'immagine e per i suoi detrattori. P.S.: questi vini vengono venduti, tra l'altro, a caro prezzo, 18 Euro a bottiglia per il rosso, ad esempio. Ma su questo, niente da dire. Complimenti a chi lo vende e salute a chi lo compra! 

Tante Belle Storie

packaging design graphic labels marketing californiaCryptic, Zinfadel-PetitSirah-Cabernet, CrypticWines.

Questa etichetta racconta una storia: antica, fondata su fatti reali, intrigante, coinvolgente e soprattutto coerente con le caratteristiche del prodotto. Si tratta di una grande operazione di marketing che coinvolge guide, esperti, enologi, comunicatori. L'obiettivo sono le quote di mercato, è chiaro. Ma il lavoro è svolto così bene che si potrebbe anche perdonare il commercialismo sfrenato che sta dietro a questi sforzi (e investimenti). Il nome del vino è Cryptic, la storia, narrata sul sito dell'azienda, visibile qui, racconta di un codice di scrittura per comunicazioni segrete, creato da Re Enrico II di Francia (che tra le altre imprese "strappò" il Piemonte e la Savoia agli spagnoli). La crittologia quindi alla base di questa "misteriosa" etichetta. Le tre "C" raffigurate nel simbolo rappresentano i tre vitigni "segreti", con i quali è composto il vino. L'etichetta in generale ha uno stile grafico prezioso ma anche nitido e diretto. Probabilmente il vino non è tra i migliori della terra, ma tutto quello che ci sta attorno, sì.

Il Linguaggio della Comunicazione

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Autin Lungh, Dolcetto, Eraldo Revelli.

Il nome di questo Dolcetto, vitigno che trova le sue migliori espressioni nei pressi di Dogliani, in Piemonte, sembra quasi in inglese, forse anche in gallese o irlandese. Invece si tratta, come spesso accade per i vini italiani, di dialetto regionale. E' il nome dell'antico vigneto da dove provengono le uve di questo vino. Vigna che ha una disposizione particolarmente allungata. Da qui "Lungh" in senso di lungo. Sono senz'altro possibili delle incomprensioni. "Autin" non è una forma dialettale inglese di "Autunno" bensì un nome tradizionale italiano (che non significa autunno). In buona sostanza si tratta di un nome di difficile lettura e di memorizzazione quasi impossibile. Per altro il "visual", termine inglese per dire "immagine" in etichetta, non aiuta la comprensione perché non rafforza quanto viene affermato dal nome (una vigna allungata) bensì illustra un ramo di more selvatiche. Notiamo anche che la "R" del copyright vicino al nome è inusitata e graficamente fastidiosa. Ambiguo anche il logo "ER" che sintetizza il nome del produttore (Eraldo Revelli). 

Carta Canta

Crisp White, Sauvignon Blanc, Chateau Crisp.

packaging confezione etichette bottiglia involucro La moda delle "bottiglie incartate" a volte ritorna. Si tratta di una piccola percentuale di produttori che decide di coprire il vetro avvolgendo la bottiglia in una specie di "grande etichetta". Il risultato è di sicuro effetto perché in grado di stagliarsi, nello scaffale e in ogni caso nel panorama commerciale dell'offerta vinicola, visto che quasi tutte le altre bottiglie hanno etichette "normali". Per questa particolare scelta si pagano costi, oltre che di produzione, anche per quanto riguarda la praticità (stockaggio, trasporto, etc.) Ma la possibilità di stupire, logicamente, aumenta: con un involucro esterno a "farla da padrone", la bottiglia si veste di forme e dinamiche insolite. Viene certamente valorizzata. Tanto più che le enoteche di prestigio, avvolgono comunque le bottiglie "normali" in carte personalizzate che garantiscono un "effetto regalo" molto efficace. Qui sotto alcuni esempi di packaging cartaceo (tra i quali "The Wine with No Name": c'è sempre qualcuno che cede alla tentazione di "non chiamare" un vino).
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Il Giallo delle Tre Torri

Trebbiano dell'Emilia, Tre Torri.

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Un caso eclatante: un produttore emiliano per il proprio Trebbiano frizzante, crea un'etichetta che di fatto raffigura tre torri. Peccato che la raffigurazione in oggetto corrisponda esattamente alle torri situate nel comune di Albenga, in Ligura, simbolo di quel paese, tra l'altro molto turistico e quindi noto a molti. Ma come? Per caratterizzare un vino emiliano si sceglie un simbolo del territorio ligure di ponente? Come è possibile commettere una simile "svista"? Tant'è che il comune di Albenga ha diffidato il produttore emiliano che adesso probabilmente si vedrà costretto a sostituire tutte le etichette affrontando costi considerevoli.  I "confini" del packaging a volte superano ogni immaginazione, ma in questo caso l'errore è sconcertante.

Lo Champagne è Donna

Belle Epoque, Champagne, Perrier Jouet.

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Spesso le etichette dei produttori di Champagne sono rivolte alle donne. Hanno un'indole femminile nella proposta di comunicazione che "contengono". Certamente le prestigiose bollicine francesi sono tenute in buon conto dal gentil sesso. Una nomèa che si conferma con pubblicità che evocano appuntamenti galanti, cene romantiche ed evasioni erotiche. Il rischio è di sbilanciare quella particolare forma di pubblicità che di fatto è l'etichetta di un vino, verso territori non riconoscibili dalla parte maschile del "target". Insomma lo Champagne non è macho (e forse nemmeno mucho). Perrier Jouet da sempre adotta "vestizioni" floreali per le proprie bottiglie, un cliché ormai consolidato che fa parte del modo di comunicare dell'azienda. In questi due specifici casi, vini molto femminili anche nella sostanza, il Blanc de Blanc e il Rosé, utilizzando colori pastello con toni flessuosi.

Etichette Come Manifesti: Storico-Culturali

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Tres Exilios, Malbec, Eagle Eye.

Questa serie di etichette, create per un distributore americano, celebrano un presidente argentino dalle travagliate vicissitudini. Il nome in particolare, "Tres Exilios" fa chiaro riferimento al fatto che per tre volte Domingo Faustino Sarmiento ha dovuto affrontare l'esilio in Cile prima di tornare in patria. Ma a parte il sia pure importante richiamo storico e culturale, siamo di fronte a un progetto ottimamente sviluppato. Le illustrazioni in etichetta "raccontano la storia" in modo evocativo, quasi poetico, ma con un linguaggio grafico essenziale, lineare, diretto. La scelta dei colori (un po' forti per il mercato Europeo, più adatte a quello oltre-oceano), degli spazi, dei caratteri di scrittura, costruisce una gamma che a livello di comunicazione funziona nel modo giusto, muovendo cioè le "leve" dell'attenzione e dell'emozione. Nel piccolo spazio di un'etichetta viene creato un "manifesto" che racconta. Questo è il packaging.
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Esaltazioni Etiliche

packagingdesign graphicdesign branding labels etichette bottigliaVaiss, Malvasia Spumante, Bepin de Eto.

Sarà un'acqua di colonia? Oppure una bizzarra e preziosa (non c'è che dire) confezione di succo d'ananas? Avvicinandoci alla categoria di prodotto alla quale di fatto appartiene, questa potrebbe essere la bottiglia di un liquore alla frutta o forse di una grappa speciale. Insomma la confezione sorprende. Perché si tratta di fatto di uno spumante italiano. I francesi saranno sfarzosi con alcune proposte di Champagne, ma qui probabilmente si è esagerato sconfinando del kitsch (o nel kirsch). Passiamo al nome dell'azienda:  Bepin de Eto, contrazione dialettale di Giuseppe del Nicoletto, l'avo fondatore. Loghizzato in modo "moderno" ma non leggibile, soprattutto all'estero. Sono scelte. Certo sulla "memoria storica" non si discute. Ma la comunicazione segue canali che dovrebbero unire razionalità e logica alla praticità. I nomi dei vini, infine, della gamma spumanti di questa azienda veneta: oltre al qui rappresentato "Vaiss" (forse "bianco" in idioma tedesco), spiccano "Josà" (non pervenuto) e "Flavè Rosato" (che ricorda la flavescenza, una malattia della vite!)