Bollicine Venete Crittografate

Ecelo I°, Spumante, Cà da Roman.

Non è stato facile decifrare questa strana etichetta. Oscillante tra il rebus e l’enigma da spionaggio, il nome di questo Extra Brut a base Souvigner Gris (vitigno PIWI) viene scritto in etichetta con un carattere chiaro e leggibile ma viene anche “inquinata” con un giochino cromo-grafico che alla fine (scopriamo) evidenzia “I°” come completamento del nome del condottiero al quale è dedicato. Ecelo I° infatti era il capostipite della dinastia degli Ezzelini e la spiegazione si trova nel sito del produttore: “…i nostri vini prendono il nome dalla dinastia degli Ezzelini, potente casata che dominò un vasto territorio nel Medioevo, che risiedeva tra i comuni di Romano d’Ezzelino e Bassano del Grappa, dove sorge oggi la nostra azienda agricola”. Già il nome “Ecelo”, diciamo, non è tra i più diffusi. L’aggiunta, in bianco del riferimento a “I°” complica ancora di più la comprensione. Per il resto l’etichetta si presenta molto elegante, con un colore di fondo verde inglese scuro, intarsiato con dei cerchi sovrapposti stampati in rilievo lucido. L’arancione di alcuni particolari contribuisce a dettare una attenzionalità moderna e al tempo stesso sobria. Fin troppo semplice il logo aziendale di “Cà da Roman” rappresentante un grappolo stilizzato.

Vino Francese… Made in Italy!

Petillant Naturel, Sauvignon e Semillon, Albert de Conti.

Questa è la storia di una famiglia italiana che è andata a produrre vino in Francia. Meriterebbero un medaglia. Ci accontentiamo di riassumere la loro avventura, approfittandone per mostrare uno dei loro prodotti: un rifermentato a base di Sauvignon, con una originale etichetta. Ma partiamo dalle radici italiche: nel 1925 Vincenzo e Clorinda de Conti arrivano in Francia con i loro 5 figli (poi ne faranno altri 7, autoctoni, per un totale di 12!). Si installano a Ribagnac, vicino a Bordeaux, per lavorare la terra. Nel 1963, due dei figli, Albert e Primo, iniziano a piantare vigne. Oggi i nipoti di Albert, Guillaume e Paul, hanno preso in mano l’azienda, ampliandola fino a 30 ettari in regime biodinamico, sotto l’appellativo “Bergerac”. Torniamo alla bottiglia di questo “frizzantino”: l’illustrazione a tutto campo colpisce subito per lo stile e gli “spari” di rosso che caratterizzano l’abbigliamento di una simpatica caricatura femminile. Assomiglia un po’ a Betty Boop, un personaggio a fumetti nato nel 1932 a NY, nel Bronx, e che ebbe grande successo in tutto il mondo. A volte si incontrano etichette (come questa) che apparentemente nulla hanno a che vedere con il vino, inteso come prodotto della tradizione. Ma quando ci sono simpatia e fantasia ci può stare tutto. A la santé!

Etichetta Fotografica, Biologica, Pragmatica.

Dòs de Nòa, Sauvignon, Cantina di Riva.

Siamo di fronte a una etichetta ben realizzata, piacevole, ordinata, con alcune caratteristiche che possono essere evidenziate. Innanzitutto vediamo che al posto di una illustrazione (presente nell’80% delle etichette per bottiglie di vino) c’è una vera e propria fotografia che in questo caso raffigura il dosso di Nòa, un colle posto a 350mt s.l.m. dal quale si può godere di uno splendido panorama sul Lago di Garda. La sede dell’azienda, infatti, si trova a Riva del Garda, in provincia di Trento. Il vino, un Sauvignon Blanc in purezza e biologico, si chiama “Dòs de Nòa”, espresso nel dialetto di quella zona. La carta dell’etichetta è piacevolmente “goffrata”, cioè leggermente in rilievo, ruvida al tatto. Due cornici dorate incasellano l’immagine generando uno stacco cromatico apprezzabile con il bianco e nero della fotografia. Il resto della grafica conformata a questo packaging-design risulta ben ordinato e con una scelta di caratteri di scrittura eleganti e funzionali (la leggibilità, sempre). Nel complesso possiamo dire che l’etichetta è ben riuscita e raggiunge l’obiettivo di comunicare sensazioni di affidabilità, storia, tradizione, sia pure in un contesto moderno e senza fronzoli. Piuttosto enigmatico, invece, il logo aziendale.

Le Quotazioni della Neve sono Molto Alte

La Riserva di Nevecrino, Spumante, Chemin.

La cantina, piccola, recente, valdostana, si distingue per una produzione unicamente di bollicine. E anche, diciamo noi, per un marketing alla ricerca di idee originali. Ma partiamo dal nome del vino, “La Riserva (in etichetta scritto senza spazio) di Nevecrino”. Si tratta delle punta di diamante della produzione, realizzato in sole 700 bottiglie, 72 mesi sui lieviti, come derivazione del figlio minore “Nevecrino” (30 mesi sui lieviti). I vitigni impiegati sono l’autoctono Prié Blanc e l’intenazionale Chardonnay. Qual è la particolarità di questi vini, e di pari passo delle scelte di comunicazione e marketing? Le bottiglie affinano non in una cantina normale bensì nei Barmet, grotte naturali con pareti di roccia, riempite di neve. Infatti nell’etichetta, sotto al nome del vino troviamo la frase: “Le bollicine affinate in una grotta innevata”, in italiano e in inglese (snowy cave). Le soluzioni grafiche del packaging sono di ottima fattura e forniscono pregio alla bottiglia: il fondo è completamente dorato, sopra al nome troviamo tre picchi montagnosi stilizzati e innevati. L’effetto del bianco (connotazione topografica da alta montagna) sul fondo oro è originale ed elegante. Certo, il marketing (come tutto il resto del processo produttivo) ha un costo (per il marketing si tratta di un costo aggiuntivo), per cui questa bottiglia non la troverete a prezzi popolari. E “Nevecrino”? E’ il cavallo appartenuto per lungo tempo a Re Théoden di Rohan (Terra di Mezzo, Tolkien). Destriero nobile, dal manto bianco, presumibilmente appartenente alla razza dei Mearas. 

Il Bacco-Pascià di un Italiano in Oregon

Solimano, Nebbiolo e Pinot Nero, 
Marchesi Vineyards.

A dispetto del cognome italico, questa azienda ha sede e produzione in Oregon, negli Stati Uniti che si affacciano sul Pacifico. Le origini però sono quelle. Tutto ciò si evince facilmente dai nomi dei vini della gamma di questo produttore. Ne citiamo solo alcuni: Eridano (Cabernet), Giuseppe (Pinot Noir), Valentino (Primitivo), Achille (Barbera), Angiola (Pinot Grigio), Emma (Sangiovese) e altri, tra i quali il “Solimano” che mostriamo qui a sinistra. Franco Marchesi, l’attuale proprietario è originario di Borgosesia, nell’Alto Piemonte. Si è stabilito negli Usa all’età di 22 anni con il pallino di coltivare uve tipicamente italiane (oltre a quelle internazionali necessarie a completare l’offerta qualitativa e commerciale). Ma veniamo al nome di questo vino, Solimano, detto il Magnifico, che fu Sultano dell’Imperto Ottomano dal 1520 in poi. Un sultano turco, in pratica. Certo, in medio oriente si coltivava la vite così come in Enotria, ma le imprese del pascià in questione poco c’entrano con la figura illustrata in etichetta, dove, almeno in apparenza, un Bacco felice ci mostra un grappolo d’uva. Insomma un mix di storia, cultura, popoli e paesi, che alla fine veste questa bottiglia di vino in modo abbastanza arcaico, con stilemi che rincorrono percezioni stereotipate, comunque in grado di attirare paciosi consensi.

Tre Passi tra i Filari delle Colline Monferrine

Tre Passi Avanti, Dolcetto, Cascina Gentile.

Questa cantina che ha sede e vigne al confine tra Piemonte e Liguria (non lontano da Gavi, per intenderci) viene oggi condotta dal nipote del fondatore: Daniele Oddone (in etichetta, in basso lo troviamo con la modalità “cognome e nome” secondo una logica antica, oggi ampiamente superata). Si tratta di un Dolcetto, molto in auge da quelle parti. Il vino si chiama “Tre passi avanti” nome/frase subito seguita dalla precisazione “uno indietro per umiltà”. Scopriamo che nell’insieme si tratta del testo di una canzone del gruppo fiorentino Bandabardò (che dà anche il nome all’album uscito nel 2004). Per completezza delle infomazioni semantiche, il nome di questa band è dichiaratamente un omaggio a Brigitte Bardot. Sulla parte sinistra dell’etichetta si intravvede una trama, un disegno, che rappresenta il filari sulle colline, ma come si può immaginare il protagonista resta il nome, posto esattamente al centro del packaging, in bianco su fondo nero, quindi molto visibile. Sulla destra un tratto rosso a tutta altezza divide la parte allegorica dell’etichetta da quella informativa e legale. In basso, in corsivo, il nome dell’azienda: Cascina Gentile. Si tratta quindi di un’etichetta che possiamo definire creativa, quasi emozionale, sicuramente in grado di incuriosire, con un nome del vino molto originale. Emerge anche un certa semplicità esecutiva che viaggia di pari passo con la genuinità degli intenti e della comunicazione.

Due Simpatiche Canaglie (in Francese ma Piemontesi)

Visages de Canaille, Brut Rosé, 
Cascina Baricchi.

Non si spiega ancora oggi la “passione” dei piemontesi per i francesi. Forse sentono ancora nelle vene sangue transalpino. Tant’è che spesso si trovano vini che hanno nomi in lingua francese. Come questo “Visages de Canaille”, un Metodo Classico Rosé da Nebbiolo al 100%. Siamo proprio nel centro delle Langhe, a Neviglie, presso Barbaresco, dove la tradizione la fa da padrona e i padroni dei vigneti sono i discendenti di viticoltori che qui hanno salde radici. In questo caso parliamo di Cascina Baricchi, oggi guidata da Natale Simonetta, figlio del primo proprietario e imprenditore degli anni ‘70, Giovanni. Traducendo il nome di questo vino, arriviamo a “Facce da mascalzoni”. Che poi sarebbero nonno e nipote, uno di fronte all’altro, di profilo, a formare l’illustrazione centrale di questa etichetta. Oggi il nonno fondatore non c’è più e il figlio ha voluto dedicargli questo vino. Colpisce il fatto che il nome del vino sia in francese ma anche la sua traduzione. Il bello è che in questo modo il produttore si prende un pò in giro autodefinendosi una faccia da mascalzone. Ci sentiamo di riportare anche la bella frase a firma del titolare dell’azienda che si trova nella home-page del sito internet: “...Il vino per me è passione, è famiglia e amici, è calore del cuore e generosità. Il vino è arte, è cultura, è l'essenza della civiltà e l'eleganza del vivere...”. Una bella storia a prescindere dai francesismi.

Banksy (o Chi per Esso) Dedicato a un Vispo Sangiovese

Il Vispo, Sangiovese, Fattoria La Magia.

Per vestire questo Sangiovese prodotto in zona Montalcino, il produttore ha “scomodato” l’artista di strada Banksy. Nel senso che la curiosa illustrazione che si presenta sul packaging è ispirata alle opere estemporanee degl’ignoto writer (di fatto Banksy è molto noto ma nessuno sa chi egli sia). Il vino, che viene arrubricato sotto la denominazione “Toscana Igt”, si chiama “il Vispo”. Nome che come si può dedurre si riferisce sia alle caratteristiche del vino stesso, sia all’intraprendenza del ragazzino raffigurato in etichetta. A conferma di ciò riportiamo qui il commento del produttore che si trova sulla scheda tecnica del prodotto: “Un vino di grande freschezza, prodotto con sole uve Sangiovese, caratterizzato da un frutto vivace e una piacevolezza e gradevolezza che lo rendono adatto per ogni occasione. E... se dentro la bottiglia trova posto un vino giovane ma dal carattere deciso, all'esterno c'è un'etichetta fuori dal comune che si ispira all'artista e writer Banksy, uno dei maggiori esponenti della street art”. Un’altra particolarità di questa bottiglia è che il nome del vino viene scritto con due colori diversi: “Il” in rosso, “Vispo” in azzurro (ma col puntino rosso). Probabilmente si tratta di un vezzo grafico senza particolare significato. Nel complesso l’etichetta ispira simpatia e attenzione. E la bottiglia si stacca così dallo stereotipo in uso, ancora frequentemente, nella zona del Brunello di Montalcino.


Una Provocazione che… Provoca Azione.

Vulva Secco, Sekt (Spumante), Cecilia e Laura.

Non è uno scherzo, anzi è una cosa seria. Non si direbbe a giudicare dal nome di questo vino e dalla illustrazione al centro dell’etichetta. Sembra più una provocazione. Ma infatti in buona parte lo è, perché per generare interesse a volta bisogna “provocarlo”. Cecilia e Laura, due ragazze tedesche, hanno avuto l’idea di commercializzare questo vino al seguito di un evento negativo, ed ecco come lo spiegano nel sito dedicato alla loro iniziativa: “…abbiamo dato vita a Vulva Secco 2022 perché vogliamo lasciare il segno. Una nostra amica è morta molto giovane di cancro al seno: una perdita indescrivibile per noi che ci ha lasciato un segno profondo. Lei, per Natale, aveva regalato a Cecilia un libro sulla vulva da colorare ed è stata per noi un modello negli argomenti femministi e nelle discussioni sull'uguaglianza. Dal nostro dolore è nata l’idea di voler creare qualcosa per donare i nostri profitti ad organizzazioni che promuovono la ricerca sul cancro e sostengono le persone colpite. Così è nato Vulva Secco, un omaggio a noi donne e soprattutto alla nostra amica che ora non c’è più. Con Vulva Secco portiamo la vulva al centro di tutte le conversazioni, direttamente sul tavolo. Ciò crea discussioni e conversazioni meravigliose che rompono i vecchi tabù che circondano la vulva”. E’ necessario aggiungere che le due imprenditrici hanno deciso di donare 1 Euro per ogni bottiglia venduta, a due istituti di ricerca sul cancro. Nel loro sito risultano tutti i dati economici di tali donazioni e i profili dei due istituti. Il vino viene prodotto nella regione della Renania-Palatinato ed è un blend dei vitigni Riesling, Müller Thurgau, Kerner e Scheurebe. Iniziativa troppo sfrontata? Il bello di questa idea è proprio il grande divario, la dicotomia, tra la provocazione che sa di scherzo se non di scherno e la grande serietà dell’argomento sanitario trattato e finanziato. In linea generale le provocazioni funzionano.

Eleganza Formale ma non Formidabile

Gabardine, Aglianico, Anna Fendi (Selection).

Fendi, oggi del gruppo LVMH, è un cognome noto in Italia e nel mondo. Lo portano 5 sorelle che hanno creato un impero nel settore della moda: Alda, Franca, Carla, Paola e Anna. Quest’ultima (in questo elenco, ma in realtà è la secondogenita) si è dedicata nel tempo anche ad altre attività creative, come le collezioni di servizi per la tavola e, con il compagno Giuseppe Tedesco, anche una selezione di vini italiani. I nomi sono tutti legati al mondo della moda: l’Aglianico che presentiamo qui in fotografia si chiama Gabardine, ma nelle gamma troviamo anche Loden (un Gewurztraminer), Flanella (un Pinot Grigio), Bolero (un Barolo), Broccato (Montepulciano d’Abruzzo), Negligé (Brunello di Montalcino), Lamé (Prosecco), etc. L’idea di nominare i vini con termini legati a tessuti ed abiti risulta molto originale, anche perché il vino, in effetti, con le sue trame olfattive e gustative può ricordare corrispondenti tessiture d’abbigliamento. Ci piace in modo particolare questo “Gabardine”, termine piuttosto desueto ma molto elegante. Vediamo cosa dice Treccani a tal proposito: “ġabardìn” in francese ma anche dallo spagnolo “gabardina”, derivato di gabán, “gabbano”, incrociato con tabardina, diminutivo di tabardo o “tabarro”. In generale stoffa di lana o cotone, per lo più tessuta a diagonale, adatta per abiti e soprabiti di media pesantezza, facilmente impermeabilizzabile. Per estensione semantica viene definito così anche il soprabito stesso”. Creativo il nome ma poco fantasiosa l’etichetta: solo scritte centrate con un marchio che sa di antico. Nulla più.

L’Occhio di Dio, o Forse della Ferragni

Sonnweiler, Chardonnay.

Il vino si chiama come la cantina, o viceversa. Personalmente abbiamo tradotto (un po’ poeticamente) Sonnweiler con “spicchio di sole”. Siamo in Italia, anche se i soci di questa cantina si ostinano a chiamare quella zona “south tyrol” (il sito internet è in inglese, forse per par condicio). Le etichette dei vini in gamma, come si può vedere nell’esempio che riportiamo qui a sinistra, sono molto vistose. E no, non si tratta del celebre occhio di Chiara Ferragni, diventato suo marchio e simbolo, ma è abbastanza simile, e sicuramente molto attenzionale. Un occhio così lo vedi a molti metri di distanza: marketing primario dello scaffale. I titolari dell’azienda si professano anche amanti del design, oltre che del buon vino biologico. Infatti questa coloratissima illustrazione sembra uscita dai manuali di grafica degli anni ‘70, ‘80, ‘90? Insomma è una di quelle soluzioni grafiche senza tempo. Non contenti della centralità dell’occhio, anche il nome Sonnweiler ha il suo centro di attenzione con una specie di mirino dentro alla lettera “o” (che riprende la pupilla dell’occhio magico). Il mantra aziendale recita: “for sunny, happy people” puntando sui giovani, a quanto pare (anche se si può essere soleggiati e felici anche da vecchi). Cosa aggiungere? Che sicuramente si tratta di un packaging ad alto coefficiente di originalità. Trasgressivo e irriverente nel mondo del vino. Ma qualcuno deve pur avere il coraggio di farlo.