Un Mare di Vigneti nella Valle della Loira

La Sirène, Chardonnay, Domaine de la Fessardière.

La piccola azienda che produce questo vino si trova nei pressi di Nantes, a meno di un’ora dalle coste francesi sull’Oceano Atlantico. Guardando l’immagine in etichetta, subito dopo aver notato una elegante e suadente sirena, viene il sospetto che quelle colline vitate, ondulate, possano essere volutamente confuse con i flutti del mare. Il colore aiuta questa interpretazione. Un verde-acqua poco utilizzato nel packaging dei vini. Ma torniamo al design di questo Chardonnay (in matrimonio con il Melon de Bourgogne, vitigno tipico di quella zona): il nome del vino è “La Sirène”, inequivocabile, l’immagine lo conferma mostrandoci, di spalle, una affascinante sirena, dalle sembianze mediterranee. L’illustrazione presenta uno stile che a tratti sembra pittorico, vedasi l’ombra lasciata sulla roccia dal corpo della sirena. La “mano” di chi l’ha realizzato ha voluto trasmettere con una modalità creativa, non banale, il concetto di salinità, caratteristica che a detta dei produttori si può facilmente ritrovare nel calice. Ne risulta un packaging fresco, invitante, concettualmente pregnante, con una modernità che nella Valle della Loira fatica tutt’oggi a farsi largo.

L’Amore Universale per i Vitigni Autoctoni

Lovamor, Albillo, Alfredo Maestro. 

Se vogliamo parlare di nomi di vitigni, giusto per entrare in argomento, c’è l’Albana, l’Albarola e, in Spagna, anche l’Albillo. Vitigni che generano uve a bacca bianca molto diversi tra loro ma molto somiglianti nel nome. In questo caso parliamo di un vino prodotto nella Tierra de Castilla y Leon, in pratica nei pressi di Valladolid, nel nord-ovest del paese. Evocativo il cognome del produttore “Maestro”, nomen omen, può essere utile in comunicazione: un tassello in più. Ma naturalmente è il nome del vino e la sua etichetta che ha attirato la nostra attenzione e che ha stimolato la pubblicazione di questo post. Ed ecco “Lovamor”, un neologismo anglo-ispanico che l’illustrazione rende inequivocabile: vediamo un Cappuccetto Rosso molto elegante (con tacchi) che tenendo per le zampe il lupo cattivo lo bacia innocentemente. Più amore di così! Ed è proprio questo il senso che il produttore vuole dare a questa bottiglia. Con giocosa creatività e anche con un pizzico di provocazione. “Vibrante e pieno d’amore!”, scrive Alfredo nel proprio sito internet. E noi lo applaudiamo per il coraggio e l’ironia che ha saputo mettere nell’etichetta.

Una Chiara Alba Notturna, a Caluso

Chiaralba, Erbaluce di Caluso, 
Cooperativa Produttori.

Cosa si nasconde dietro alla dicitura “Aziende Agricole Associate” (che troviamo alla base di questa etichetta con caratteri in oro)? Semplice ma non chiarissimo: si tratta della Cooperativa Produttori Erbaluce di Caluso (lunga definizione che si legge invece nel retro-etichetta). Mentre il relativo sito internet (dominio) si chiama “produttorierbaluce.it”. Nel logo stilizzato (nel sito web) troviamo invece scritto “Cantina Produttori Erbaluce di Caluso. Insomma, ben 4 definizioni per la medesima azienda. L’etichetta invece è bella e ben eseguita. Si tratta di un Erbaluce di Caluso Docg a tutti gli effetti che si chiama “Chiaralba”. Come la celebre canzone di Vasco Rossi, “Albachiara”, ma al contrario. L’etichetta è divisa in due parti, un sopra e un sotto. Sotto troviamo tutte le scritte, sopra una bella illustrazione in stile moderno con il profilo di un paesello e di alcune montagne. Il cielo è blu-notte, una grande luna si staglia sopra alle viti e alle vite umane. Si tratta di un packaging molto semplice ma in grado di far sognare, i colori e le scelte grafiche sono equilibrati. E’ una bottiglia che si porta volentieri in tavola. Tutto il resto lo faranno la convivialità e il buon umore.

Il Vento Caldo dell’Inverno (e Fresco d’Estate)

Fallwind, Pinot Nero Rosato, St. Michael Eppan.

La nuova linea di vini di questa nota azienda altoatesina si chiama “Fallwind” che in tedesco significa “venti di caduta” inteso ad esempio il Foehn (Favonio, in italiano) che da nord discende dalle montagne con una dinamica riscaldante, per cui tutt’altro che gelido. In generale, freddo o caldo che sia, il vento fa bene alla vigna, perché mantiene i tralci e i grappoli asciutti, quindi riduce il rischio di muffe e malattie per le viti. In questa etichetta (e in quelle di tutta la gamma che si compone di diverse tipologie) il vento viene davvero celebrato: da notare anche la scritta in latino sopra al nome, “ventus ferat, ventus creat” che significa “il vento soffia, il vento crea”, con l’intenzione di comunicare che si tratta di un elemento “che rende perfetto il microclima che caratterizza tutta la zona di coltivazione”. Tra queste parole vediamo una iconografia del sole e della luna, affiancati, a completare il discorso climatico in modo, se vogliamo, molto orientale: lo Yin e lo Yang, il bianco e il nero, il giorno e la notte, insomma le contrapposizioni. La grafica dell’etichetta è stata ben studiata: in basso la tipologia si esprime con un arancione vivo che si fa notare. Al centro troviamo un disegno al tratto della parete alpina che si trova alle spalle dei vigneti e che conduce al Passo della Mendola, una specie di protezione naturale per la vite e per chi vive e lavora in questo luogo ameno (siamo sull’altopiano del lago di Caldaro). 

Sassi Ovunque, sulla Costa Toscana

Sassi Sparsi, Cabernet e Merlot, 
Rocca delle Macie.

Ed ecco che questa azienda toscana di proprietà della Famiglia Zingarelli con sede in Castellina in Chianti, in un certo senso “fa il verso” al celeberrimo Sassicaia, chiamando questo rosso di ispirazione bordolese “Sassi Sparsi”. In sostanza i sassi più o meno grandi che caratterizzano la geologia dei vigneti (presso Castagneto Carducci), non sono così ammassati bensì sparsi un po’ in giro. Tanto che l’immagine in etichetta lo conferma sia pure in modo non propriamente efficace. Cosa ci comunica il packaging? Vediamo innanzitutto il nome del vino, molto grande e leggibile, notiamo che le due “s” iniziali si intrecciano in un ipotetico abbraccio. Quindi vediamo delle forme irregolari di color giallastro che effettivamente potrebbero essere dei sassi ma anche delle briciole di pane su una tovaglia bianca. Sotto al nome del vino appare il nome della Doc, Bolgheri, evidenziata in rosso: elemento molto importante in quanto posiziona il prodotto in una zona che, grazie al noto concorrente, ha acquisito negli ultimi decenni una enorme importanza, strategica e commerciale. Al netto della volontà di collocarsi in una dimensione concettualmente “sassosa” come possiamo giudicare questo nome? Definisce il tipo di terreno, si aggancia al costrutto valoriale dei vini della Costa Toscana (la nostra piccola Bordeaux) ma non spicca per originalità e intensità emotiva. E anche dal punto di vista grafico, probabilmente si poteva immaginare di meglio.

Suona Bene o Male? La Fonetica Come Elemento Apicale

Nebbiolo d’Alba, Monpissan.

Una piccola cantina piemontese a conduzione famigliare ha scelto di chiamarsi “Monpissan”. Non conosciamo le reali origini di questo nome, si può pensare a qualcosa di topografico: nomi originari di zone, colline, bricchi, sono molto utilizzati in questi paraggi (siamo a Canale in provincia di Cuneo). Certo non suona favoloso: nelle inflessioni italiche la “pissa” non è riconducibile solo alla “pizza”. E anche se fosse non andrebbe bene lo stesso. Uno degli aspetti che governa la creazione di nomi è la fonetica, che probabilmente viene ancora prima della semantica. Insomma se un nome “suona male” non fa bene il proprio lavoro. Soprassedendo possiamo aggiungere che l’etichetta in questione, graficamente è ben impostata, certo la struttura a rombo è un po’ desueta e lo sono anche i caratteri di scrittura che vengono utilizzati in questo packaging. L’illustrazione in oro, invece, è ben realizzata e costituisce elemento che valorizza. Anche il logo che appare in un cerchio sotto al nome del produttore è ben fatto e aggiunge valore (si tratta di un bel galletto), peccato che risulti molto piccolo nel complesso del design che troviamo sul fronte della bottiglia. Infine l’utilizzo del fondo nero ha sempre una marcia in più in termini di eleganza.

La Casualità della Creatività (del Packaging)

Lagrein, Kurtatsch.

Molto semplice e al tempo stesso molto bella questa etichetta della Cantina Cooperativa di Cortaccia sulla Strada del Vino (Kurtatsch, in lingua asburgica, siamo infatti nella provincia di Bozen, Bolzano). Sala degustazione panoramica, recentemente rinnovata, vigneti in quota (tra i 220 e i 900m s.l.m.), idee chiare e vini di qualità. Questo Lagrein non ha un nome proprio, il packaging si esprime quasi unicamente con immagini. E cosa vediamo distintivamente nell’etichetta? Tre cipressi. Si potrebbe pensare alla Toscana, ma qui siamo in Alto Adige. E secondo la proprietà i tre cipressi esprimono tre valori: la consapevolezza del terroir, la dedizione nel lavoro, la dinamicità del team. Sempre con i piedi per terra (scrivono nel sito aziendale). I cipressi in questione si stagliano su un fondale di montagne (alte, non colline), illustrazione minimalista, toni tenui, rivelati. Nella parte sinistra del design vediamo una striscia rossastra che attraversa il nome del vitigno e della doc dall’alto in basso e che ci sta proprio bene… peccato che non si tratta di una scelta di packaging, ma di una goccia di vino che, uscita del collo della bottiglia durante un versamento, ha impregnato la carta dell’etichetta. Una specie di branding casuale, di quelli che fanno dire “però, niente male”. A questo punto crediamo fortemente in un restyling che possa comprendere la strisciata di vino. Chissà se verremo ascoltati?

Un Nuovo Vino tra le Stelle del Firmamento Amarone

Cercastelle, Merlot e Oselèta, Elèva.

I due titolari di questa azienda vitivinicola che conta 6 ettari terrazzati nella Conca d’Oro dell’Amarone, dedicano molta attenzione ai nomi. Cosa rara in Italia. Un altro che può vantare questa peculiarità personale è un tale Angelo Gaja che per i suoi vini ha cerato nomi discutibili (spesso in dialetto), ma certamente originali. Ma torniamo all’azienda “Elèva” di Raffaella Veroli (enologa) e Davide Gaeta (professore) e alla spiegazione che troviamo nel sito web: “Perché “Elèva”? Perché fin da subito si è voluto dare un’idea di questa realtà: Eleva è un’azienda che si trova in una posizione “alta”, in collina, a quasi 300 m/slm. Inoltre, “elevare” è un termine che in enologia significa affinare, in particolare in legno; una pratica che viene applicata in genere ai vini di maggior pregio, quali appunto sono per l’azienda l’Amarone della Valpolicella e il Valpolicella Ripasso”. Il concept non fa una grinza. Passando al vino, in questo breve articolo parleremo dell’ultimo nato, abbiamo un mix tra il morbidone Merlot e l’ispida Oselèta, a creare un equilibrio perfetto in bevibilità. Il vino è stato chiamato “Cercastelle”. Neologismo purissimo ma in grado di evocare sensazioni romantiche da inizio estate. Questo nome trova un rational nella volontà di inserire in gamma, nel “firmamento” dei vini dell’azienda, una stella nuova, forse la più lontana rispetto alle denominazioni tipiche della zona (Amarone, Recioto, Valpolicella Ripasso). Nome certamente originale, etichetta elegante, con particolari in oro, raffigurante un universo ignoto quanto sognante.

Le Monache Raccolgono Ortaggi ma Bevono Vino

Orto delle Monache, Morellino di Scansano, Argentaia.

Questa azienda toscana che ha sede in maremma (in Strada Colle del Lupo, località Banditaccia, Magliano), si distingue per una serie di etichette molto semplici dove il nome del vino è centralizzante. Ma partiamo dal nome del produttore, “Argentaia”. Viene così commentato nel sito web: “Il nome di Argentaia è un omaggio al promontorio e al mare dell’Argentario che si staglia di fronte alla tenuta offrendo una vista senza pari”. Il logo, che domina l’etichetta dall’alto, è un cerchio bronzeo con all’interno l’immagine di una fortezza sul mare. Per quanto riguarda il packaging qui rappresentato, relativo a un Morellino di Scansano Riserva (vitigno Sangiovese), possiamo vedere nella parte bassa la stilizzazione di tre monache nell’atto di raccogliere degli ortaggi, mood confermato dal nome del vino in modo inequivocabile: “Orto delle Monache”. Ed ecco la spiegazione che il produttore ci offre nella pagina internet di questo vino: “Argentaia ospita un antico vigneto, dal tempo in cui un convento dominava la collina. Le monache prima e le generazioni di agricoltori poi se ne sono occupate, rendendolo una testimonianza della storia e un tesoro dei sapori della tenuta. Dalle sue uve nasce Orto delle Monache: Morellino di Scansano Riserva, vino introspettivo, austero nel profumo e dal sapore intenso, capace di trasmettere la spiritualità di Argentaia”. L’etichetta si presenta in modo forse fin troppo lineare e diretto. La grafica infatti non spicca per originalità o creatività interpretativa. Contiamo sul fatto che all’assaggio il prodotto possa lasciare un ottimo ricordo di sé e dell’azienda.

Grazie dei Fiori (e del Nebbiolo)

Al posto dei fiori, Nebbiolo Rosato, Le Pianelle.

Questa piccola realtà vitivinivcola che opera nell’Alto Piemonte prende il proprio nome dalla località “La Pianella”, nel territorio del comune di Roasio, tra Gattinara e Biella. Dal singolare al plurale, visto che le parcelle di vigna sono diverse e molto frastagliate. Ma è il nome del vino che ci ha incuriosito di più. Si tratta di un nebbiolo vinificato in rosa che si chiama “Al posto dei fiori”. E’ un nome lungo, composto da ben 4 parole e da un totale di 15 lettere, per cui non propriamente un esempio di sintesi. Insomma non si può nemmeno considerare un nome: è più simile a una frase. E grazie proprio alla sua complessità riesce a comunicare emozioni articolate. L’interpretazione può essere multipla: potrebbe infatti essere inteso come “il posto dei fiori” (ad esempio, dove si trova la vigna) oppure così come si legge, evocando un gradito omaggio, la bottiglia, proposto in alternativa a un mazzo di fiori. Atto comunque romantico, visto che il vino è un rosato, tipologia apprezzata in generale, ma riconducibile in particolare a occasioni di coppia (oppure conviviali ed estive). A noi piace immaginare che il significato ultimo sia proprio quello di un gesto d’amore. Laddove regalare un vino è sempre un atto di gentilezza, di attenzione, di affetto. Insomma una gran buona abitudine, anche al di fuori delle occasione speciali. L’etichetta è graficamente molto pulita, essenziale, lineare. Vediamo pochi elementi che spiccano e si fanno ricordare. Non resta che brindare in nome del buon vino e della passione che anima chi lo produce e chi lo sa apprezzare.

Cappuccetto Rosso ha Domato il Lupo

Little Red Riding Wolf, Pinot Noir e Merlot, 
Staffelter Hof.

La fantasia non manca a questa azienda vinicola tedesca che opera nella Mosella e veste le proprie etichette con illustrazioni da fiaba (con uno stile adulto, però). In particolare questo vino rosso si presenta con una allegoria della nota favola di Cappuccetto Rosso. E’ necessario spiegare che in inglese il titolo del celebre racconto è “Little Red Riding Hood” che significa “mantellina rossa”, qui da noi tradotto in “cappuccetto”. Si tratta per la precisione di un tipo di mantellina che si indossa per fare equitazione. Orbene, il Cappuccetto Rosso raffigurato nell’etichetta sta cavalcando… il lupo! E lo fa con gran piglio e carattere come se lo avesse, effettivamente, domato. Questa originale Cappuccetto Rosso, molto sexy, per giunta, brandisce un legno sul quale è appeso un grappolo d’uva che le serve per ingolosire il lupo. Volano veloci nel cielo. Insomma la favola viene stravolta, adattata, edulcorata, creando un nuovo mito che come minimo incuriosisce, attira l’attenzione, rende memorabile il prodotto. Sullo sfondo si vedono chiaramente le colline che il fiume Mosella ha tracciato nel tempo attorno alle proprie curve sinuose. Non c’è che dire, si tratta di un packaging bizzarro e coraggioso. Che strappa un sorriso e probabilmente anche un calice in più.



Anfore Ricche di Storia nel Mediterraneo Brindisino

Philonianum, Susumaniello, Tenute Lu Spada.

A volte i nomi dei vini sono il frutto di ricerche storiche. E’ questo il caso del vino rosso 100% Susumaniello (detto anche Somarello Nero) qui rappresentato e prodotto dall’azienda “lu Spada” di Brindisi. Il nome del vino, “Philonianum”, che l’etichetta potrebbe indurre a credere si riferisca a una specie arborea o a un fiore (che ci sembra di scorgere al centro del packaging evidenziato con un elegante inchiostro bronzeo in rilievo), si riferisce invece a un ritrovamento archeologico in Medio Oriente, così raccontato nel sito aziendale: “A questo vino Tenute lu Spada ha scelto di dare il nome di Philonianum. L’azienda ha creato un’etichetta che richiama un’antica anfora vinaria come testimonianza della storia del vino di Brindisi. Con l’aiuto del prof. Antonio Caputo, Carmine Dipietrangelo, amministratore di Tenute lu Spada, ha ricostruito il percorso di un vino prodotto a Brindisi nel 19 a.C. e spedito a Masada, in Giudea. In questa località durante gli scavi archeologici fatti tra il 1980 e il 1986 emerse un’anfora vinaria su cui era inciso il nome di un vino prodotto a Brindisi dalla famiglia Laenius e dal nome Philonianum. Tenute lu Spada ha deciso così di dare il nome di Philonianum al vino di Susumaniello…”. L’etichetta è elegante e distintiva, il nome del vino non facile da pronunciare ma portandosi dietro una storia e più facile da far “accettare”. Resta qualche dubbio sull’immagine: forse la sagoma di un’anfora, ma d’impatto potrebbe essere qualcosa di diverso. 

Copernico, Bowie e Einstein, Tutti in un Vino Rosso

Rivoluzione Cabernicana, 
Cabernet Sauvignon, Fra i Monti.

A Terelle, sperduto e ameno paesello che si colloca a metà strada tra Isernia e Frosinone, la piccola e giovane azienda vitivinicola “Fra i Monti” coltiva uve autoctone come lo sconosciuto Maturano (bianco), ma anche internazionali come il Merlot. Le etichette dei vini in gamma sono davvero eccentriche. Abbiamo deciso di mostrare quella del Cabernet Sauvignon, davvero originale. Il vino si chiama “Rivoluzione Cabernicana” e il riferimento è chiaramente alla Rivoluzione Copernicana messa in atto nel 1543 da Nicolò Copernico, ribaltando la concezione Geocentrica (la Terra al centro dell’universo) in favore di quella Eliocentrica (il Sole al centro di tutto il sistema orbitale). Oggi, nel comune dialogare, si fa riferimento alla Rivoluzione Copernicana come a qualcosa che ribalta concetti precedenti e superati. In questo caso la rivoluzione viene compiuta nella vinificazione, in quando viene scelto di lavorare in modo più fresco e bevibile, un vitigno, il Cabernet, che di solito risulta piuttosto arcigno nel calice. Nella figura in etichetta il concetto “rivoluzionario” viene sottolineato da un Copernico con la faccia truccata alla David Bowie (somiglia anche al trucco adottato dai Kiss, storico gruppo rock) e con la lingua di fuori, in modalità Einstein. Insomma un mix di culture e personaggi che attribuisce a questo packaging-design una spiccata attenzionalità. Forse le stranezze sono anche ridondanti, ma quello che si ottiene è una efficace memorabilità.