Unicità che Valorizzano

Muntrivè, Barbera, Alfiero Boffa.

Alfiero Boffa (nome di battesimo davvero raro e intrigante) colloca sotto al proprio marchio la dicitura “vigne uniche”. Non è una affermazione a caso, come spesso capita in queste situazioni, dove si sente la necessità di affermare qualcosa, ma senza un vero costrutto. In questo caso le vigne uniche di Alfiero sono un “marchio di fabbrica”, infatti l’idea imprenditoriale, fin dall’inizio dell’attività, è quella di separare le uve e quindi le produzioni, di vigna in vigna, insomma come direbbero i francesi, di “cru in cru”. Ecco che i lotti di produzione, ben distinti da numeri di partita e di serie riportati anche in etichetta, fanno riferimento a specifiche vigne storiche. La produzione è incentrata sulla Barbera, siamo in Piemonte, a San Marzano Oliveto, e il vino che abbiamo preso come esempio è il “Muntrivè”, nome antico del vigneto. Certo l’etichetta appare molto classica, al punto da risultare in un certo senso stereotipata. Ma le descrizioni che vi troviamo riescono comunque a distinguerla. Ad esempio la precisazione sul lotto con una numerazione da edizione speciale. Gli ettari di questo vigneto, il Muntrivè, sono solo 2 e quindi il numero di bottiglie prodotte annualmente è davvero limitato. Anche la precisazione “vino fiore”, mai sentita finora, è interessante: a definire la differente qualità di un vino ottenuto da mosto fiore e quella di un vino di seconda e terza spremitura (e non andiamo oltre, per carità). La numerazione della bottiglia fa il resto nell’incoraggiare una percezione di unicità e quindi qualità del prodotto. In alto a destra un bollo/timbro celebra il fondatore Nello Boffa e la sua genealogia. Si tratta quindi di un’etichetta spartana ma con alcune particolarità che la rendono interessante.

Rosso Pernice da Intenditori

Alectoris Rufa, Gamba di Pernice (Calosso Doc), Cagnotto Marcello.

L’azienda agricola Cagnotto Marcello (testuale, cognome e nome) di Cagnotto Emilia, come recita l’intestazione su Facebook, si trova a Calosso in provincia di Asti e in questo caso vinifica un vitigno davvero raro che si chiama “Gamba di Pernice” per il colore rosso che il graspo acquisisce in fase di maturazione del grappolo. E’ un vitigno che in Piemonte si trova solo in tre comuni, a Castagnole Lanze e Costigliole d’Asti, oltre che a Calosso, denominazione della Doc. L’etichetta è estremamente decorativa: quasi tutto lo spazio “cartaceo” disponibile è occupato da una maestosa illustrazione di una vegetazione lussureggiante dove un paio di pernici si aggirano felici. Il nome del vino in questione, infatti, è l’allocuzione scientifica in latino della Pernice Rossa, “Alectoris Rufa”. Ed ecco spiegato il tutto. In modo molto semplice così come è graficamente semplice l’etichetta. La bella illustrazione attira l’attenzione e si fa notare con eleganza. Forse risulta un po’ datata, classica, antica, ma la forza dei colori e la stranezza del nome possono giocare le loro carte sullo scaffale. Per quanto riguarda il vino, rimane solo da provarlo (se riuscite a trovarlo).

Tra Francia e Spagna c’è di Mezzo il Latino

Tesselae, Carignan, Domaine Lafage.

L’uso del latino è noto e sfruttato in tutto il mondo. E’ una specie di lingua internazionale, almeno per il Vecchio Continente dove gli Antichi Romani lo hanno distribuito (insieme a molte barbatelle) da sud a nord. Questo vino francese, della costa catalana (ai confini, infatti, con la Catalogna) si chiama “Tesselae” che in latino significa “piastrelle”, “tessere”, “mosaico”. L’illustrazione in etichetta conferma: vediamo una serie di tasselli colorati, concentrici, realizzati con inchiostri colorati e lucidi, che attirano l’attenzione. Richiamano l’occhio in un vortice cromatico, graficamente molto gradevole e attenzionale. La ragione di questi rettangolini colorati non è nota. Si potrebbe ipotizzare la rappresentazione di appezzamenti viticoli su una collina tondeggiante. Sarebbe la quadratura del cerchio. Ci accontentiamo di poter godere di una etichetta ben realizzata, elegante e “sprintosa”, tutt’altro che classica e noiosa. Di ottimo impatto visivo pur conservando una propria dignità formale. In alto troviamo una importante precisazione (sotto al nome del vitigno): “vieilles vignes” a indicare agli astanti la nobiltà dei ceppi dai quali scaturisce questo nettare. Infatti una delle caratteristiche di questa azienda sono le bassissime rese che consentono di ottenere solo una bottiglia per ceppo. Poco ma buono e molto parcellizzato.

I Contorsionismi del Marketing Internazionale

Kamasutra, Sauvignon Blanc.

Si tratta di un chiaro esempio dove il nome è la parte preminente di tutto il business. Prendiamo un’azienda che coltiva uva e produce vino in India. Come la chiamiamo? Con una parola nota in tutto il mondo che risulta anche molto curiosa per il suo significato. Il gioco è fatto. Se aggiungiamo che c’è una corrispondenza storica e culturale con il paese di origine, la formulazione è ancora più plausibile. Fortunatamente il produttore (un grande gruppo che si occupa di “beverages” a tutto tondo) non scade in illustrazioni equivoche, proponendo invece un disegno della tradizione indiana a decoro dell’etichetta. Il risultato “ottico” è valido. Il packaging risulta elegante, ordinato, memorabile, cromaticamente equilibrato (intendiamo il colori scelti per le varie etichette, per la gamma, che raffiguriamo qui alla base del testo e che annovera anche un vino che si chiama “sette” in italiano, confermato da numeri rimani sullo sfondo). Certo che qualcuno potrebbe definire questo nome come “una furbata”. Di fatto lo è, però ben applicata, con evidenti obiettivi commerciali che non devono mai mancare in una logica di marketing che punta a un successo imprenditoriale fatto anche di immagine e non solo di contenuti.

Fratelli di Barbera in Terra Australiana

Barbera (Granite Belt), 
Golden Grove Estate.

C’è sicuramente un po’ di nostalgia di “casa” nella produzione e nei nomi dei vini di Golden Grove Estate, azienda vitivinicola del Queensland (Australia). I fondatori, infatti sono Mario e Nita Costanzo che nel 1946 iniziarono a coltivare uva e altra frutta. Oggi figli e nipoti (dai nomi non più italiani: Sam, Grace, Ray…) portano avanti la produzione con Barbera, Sangiovese, Nero d’Avola, Vermentino e anche due blend che si chiamano “Tranquillo Rosso” e “Tranquillo Bianco”. Nel nostro caso abbiamo preso come esempio l’etichetta della Barbera dove il nome del vitigno viene letteralmente “gridato” a caratteri molto grandi. A dire il vero di fianco a “Barbera” leggiamo anche in piccolo “Granite Belt”, a sancire il tipo di terreno. La scelta di evidenziare (per di più in rosso) il nome dell’italico vitigno risiede certamente nel tentativo di trasmettere in Australia la buona fama delle tradizioni del nostro paese. E c’è da pensare che questo possa rappresentare un vantaggio anche commerciale. Per quanto riguarda la grafica dell’etichetta, molto disimpegnata da canoni classici, vediamo delle pennellate di colore che danno agio alla bottiglia di farsi notare con spiccata modernità, oltre che cromaticità. 

Filosofie Germaniche nel Profondo Veneto

Sehnsucht, Syrah, Calalta.

Il nome di questo vino è fuorviante. Si pensa a un produttore germanico o comunque estero. Poi si legge il nome dell’azienda alla base dell’etichetta, Calalta, e si comprende che siamo comunque in Italia (e per la precisione in provincia di Vicenza). E quindi cosa significa quel nome? La traduzione non è facile e nemmeno immediata: la letteratura dice che “…è uno dei concetti chiave del Romanticismo tedesco ed è un termine difficilmente traducibile in Italiano con una sola parola. La parola indica lo struggimento e il desiderio ardente, ma anche la nostalgia, per una cosa o una persona ed è strettamente collegato al dolore derivante dal fatto di non poter raggiungere l’oggetto di tale desiderio”. Siamo in campo filosofico. La definizione richiede almeno una o due riletture. Ci accontentiamo della stranezza e passiamo a commentare la grafica del packaging. Siamo nelle sabbie mobili anche in questo caso: in alto a sinistra un reticolo cromatico nebuloso ci porta verso l’arte astratta. Forse una riproduzione delle superficie di Marte. Ma lo diciamo più come battuta. Certezze non ce ne sono. Sappiamo invece che il rosato in questione è frutto della lavorazione del vitigno Syrah. Non propriamente un autoctono veneto, come ammesso dal produttore stesso. Per il resto l’etichetta è pulita, lineare, ordinata, moderna. Strana, sì, anche questo. Grazie a Sara Missaglia per le ricerca e la segnalazione: etichetta impegnativa!

Frammenti di Vigne Colorate nel Roero Piemontese

Valfaccenda, Roero Arneis, 
Az. Agr. Valroggero.

La “faccenda” potrebbe sembrare complessa. E forse di fatto lo è, guardando questa etichetta. Ma procediamo con ordine. L’azienda si chiama “Valfaccenda” (che funge in questo caso anche da nome del vino), ipotesi confermata anche dal fatto che il dominio internet è proprio questo. Sul lato destro dell’etichetta si legge invece che si tratta della “Azienda Agricola Valroggero” di Carolina Roggero. Carolina e Luca sono la giovane coppia che coltiva e produce vini sostanzialmente a base Nebbiolo e Arneis. La località dove ha sede l’azienda si chiama Val Faccenda e prende il nome dei precedenti proprietari che la gestirono dal 1928 ad opera del patriarca Leone Faccenda. Quindi, in un certo modo, la faccenda è questa. Per quanto riguarda la complessità grafica e cromatica dell’etichetta possiamo solo enunciare delle supposizioni: i tasselli colorati che fanno impazzire gli occhi sono degli appezzamenti di terreno, oppure i frattali di una serie di riflessi e forse anche di riflessioni di chi l’ha pensata e creata (in questo caso la titolare). Il risultato è qualcosa di attenzionale, questo sì, con una percezione da arte contemporanea non risolta ovvero autoriferita che non riesce a comunicare granché, e se lo fa, propone una visione molto spezzettata, spigolosa, astratta e personalistica. Ad ognuno la propria etichetta, direbbe un saggio!

Saggezza Antica e Moderna in Moldavia (o Moldova)

Uneori, Merlot, Asconi Winery.

Questo produttore della Moldavia, con annessi GuestHouse e Ristorante, ha generato una serie di etichette che nella loro pur semplice esecuzione, attirano e incuriosiscono. Prendiamo ad esempio questo Merlot che si chiama “Uneori Sometimes” dove Uneori sarebbe Sometimes in moldavo: si tratta in entrambi i casi della parola iniziale di una frase che continua sotto, più in piccolo e con inchiostro nero: “you have to be your own hero”. Una frase tra il filosofico e l’aforistico. L’etichetta, come si diceva all’inizio, è davvero semplice: oltre al nome del vino e alla frase centrale, notiamo in alto il nome della cantina e in basso vitigno e annata. Le altre etichette relative a Glera (eh sì, coltivano pure la Glera), Cabernet Sauvignon, Riesling, Moscato, riportano altre frasi, sempre precedute da “Sometimes” in rosso: “we need a little magic” o anche “we’ve got the whole world in our hands”, e così via. Le frasi sorprendono e fanno riflettere. Qualche calice di vino farà il resto. Si tratta di una soluzione molto originale che non toglie eleganza all’etichetta che risulta al tempo stesso moderna ma anche dotata di una saggezza antica. Come da quelle parti, del resto, è giusto riconoscere. N.B.: il sito internet dell’azienda è sorprendente per dinamica, grafica e contenuti: www.asconiwinery.com

Giramenti di “P”

Pianacce, Vermentino, Giacomelli.

L’etichetta di questo Vermentino che nasce sui Colli di Luni, a Castelnuovo Magra, sul confine tra la Liguria e la Toscana, punta tutto sul nome del vino. In grande evidenza (dimensionale) nella parte centrale del packaging. Il nome del vino è “Pianacce”. Si nota subito che la lettera iniziale “P” è girata, specularmente, a sancire una stranezza che attira l’occhio ma rende difficile la lettura. Certo, si intuisce subito che la parola è quella, ma la distorsione non aiuta la memorizzazione. Pianacce è una definizione geomorfologica, sarebbe come dire “pianure”, o a anche “zona pianeggiante” in generale. La “forma” e la fonetica della parola portano in grembo una sorta di tono “peggiorativo”, come se “Pianacce” venisse tradotto con “pianuracce”, cioè della pianure non belle, di aspetto o di consistenza geologica. Invece qui cresce, a quanto parte, un ottimo Vermentino, che sfrutta i frammenti delle cave di marmo, alle spalle dei Colli di Luni, che da anni si depositano nelle porzioni di terreno che portano al mare. Per il resto, l’etichetta appare abbastanza elegante, grazie al fondo nero, ai caratteri di scrittura graziati e a una impaginazione ordinata e lineare. Il logo aziendale, in alto al sinistra, espone (in modo troppo minuto) un panorama notturno con luna, che evidenzia delle torri padronali, probabilmente presenti nel comune di appartenenza.

In Nome delle Donne Frizzanti

Lucìe, Inzolia, Scirocco.

Davvero singolare questo vino, così come il suo nome e il suo packaging. Viene prodotto da Samantha Di Laura. Nata al nord ma di origini siciliane, torna nella sua terra prima come Direttore Commerciale di una grande cantina, ora come produttrice di vino a Menfi. Il nome di questo “frizzante” sui lieviti è “Lucìe”, un femminile plurale che diventa “femminile singolare” nel claim di prodotto. “Lucìe”, dice la produttrice, in omaggio alle donne, alle tante “Lucia”, nome molto diffuso in Sicilia e nell’Italia intera. L’azienda infatti si vanta di essere tutta al femminile: tutti gli incarichi sono coperti da donne, caratteristica evidenziata attraverso una narrazione cinematografica nelle pagine del sito aziendale (www.lucie.wine). Il materiale grafico è davvero ben realizzato, dall’etichetta (che sulla bottiglia viene integrata con un pendaglio) al sacchetto in carta, fino a proporre una deliziosa scatola in metallo in stile retrò. Anni ‘50 è anche la foto di una donna con foulard svolazzante che occupa gran parte dell’etichetta. Immagine sognante, fluida, felliniana. Particolare anche il nome dell’azienda, “Scirocco”, come un noto vento del sud, ma anche epiteto che la madre di Samantha le attribuiva per il suo carattere, diciamo così, burrascoso. E infine il vitigno, l’Inzolia (o Insolia che dir si voglia), di solito utilizzato per vini fermi, qui dà origine a un frizzante senza zuccheri, senza solfiti, biologico, volutamente di bassa gradazione per una bevibilità sana e gradevole. 

Il Nome dei Non-Nomi

Dysnomia, Pergolone e Moscatello Selvatico, Pistis Sophia.

Se partiamo dai nomi dei vitigni troviamo già qualcosa di insolito: il Pergolone e il Moscatello Selvatico. Un approccio creativo, nella scelta di autoctoni davvero sconosciuti da parte di questo piccolo produttore di Ortona in provincia di Chieti. Il vino in questione si chiama “Dysnomia” e secondo Wiktionary (versione in inglese): “Anomic aphasia (also known as dysnomia, nominal aphasia, and amnesic aphasia) is a mild, fluent type of aphasia where individuals have word retrieval failures and cannot express the words they want to say (particularly nouns and verbs)”. Insomma si tratta di una anomalia mnemonica che impedisce ai soggetti che ne sono affetti di ricordarsi, di ritrovare nei meandri della mente, quindi di menzionare le cose con il loro nome. Diciamo allora che chiamare un vino con un nome che riguarda l’incapacità di nominare le cose è un corto-circuito semantico non da poco. E non da tutti. Procedendo nell’analisi dell’etichetta è necessario fare riferimento al nome dell’azienda (in alto, sotto a un marchio che propone una crasi grafica tra una “P” e una “S”): “Pistis Sophia”. Ecco la spiegazione del produttore: “Pistis Sophia è un libro, per la precisione un vangelo, che ha influenze mistico-filosofiche, scritto in lingua copta, evoluzione dell’ egiziano antico. Abbiamo scelto questo nome per due motivazioni principali, la prima è il significato delle parole greche Pistis e Sophia ovvero Fede e Conoscenza, due concetti alla base del nostro modo di lavorare; la seconda deriva dalla parte finale di questo vangelo in cui Gesù incontra Pistis Sophia. A livello intellettuale, Pistis Sophia è una figura che rappresenta la fase della creazione, all’interno della quale l’anima umana, caduta nel caos della materia, trova l’opportunità per risalire e tornare al Dio ineffabile. Il contenuto del Pistis Sophia altro non è che la rappresentazione della vicenda umana: dalla creazione alla salvezza, passando per la caduta”. Criptico? Salvifico? Concettuale? Filosofico, certo. E ora concludiamo con l’analisi del logo (la “P” e la “S”): “Il nostro logo prende forma dalla cosiddetta “sezione aurea”, rappresentata dalla lettera greca Phi (Φ); conosciuta anche come “divina proporzione”, è la sintesi matematica dei concetti di bellezza ed armonia. Così intendiamo i nostri vini, un equilibrio di gusto tra gli elementi della nostra amata terra e la meraviglia che sprigionano ad ogni sorso”. I nomi degli altri vini di questa azienda “pescano” nel greco antico, tipo: Parthéna, Didymoi, Karkinos, Pàgos, Ichthyes, sempre più difficile… (c’è un vino che si chiama C9H9No3-B (non è uno scherzo, esiste davvero). Grazie a Sara Missaglia per questa straordinaria scoperta! Ci scusiamo per la scarsa qualità delle immagini, ma sono le uniche che siamo riusciti a reperire: evidentemente le teorie “naturali” dell’azienda comprendono anche la divulgazione di materiale grezzo anche per quanto riguarda la comunicazione.

La Sorprendente Impronta del Somarello

Imprint, Susumaniello, A Mano Wine.

Questa azienda, condotta da Mark Shannon ed Elvezia Sbalchiero in Puglia (lui americano, lei friulana), si chiama “A Mano Wine” ed è facile capirne il senso: viticoltura artigianale e volontà di generare percezioni di autenticità. Mark ed Elvezia approfondiscono soprattutto il Primitivo, come ricerca personale e come fenomeno ampelografico che nella lontana California diventa famoso col nome di Zinfandel. Nella produzione si dedicano con passione ad altri autoctoni della regione come ad esempio il qui raffigurato rosato da vitigno Susumaniello. Si tratta di una edizione speciale che rende l’asinello (somarello in dialetto) assoluto protagonista, con un’etichetta fustellata che lascia libera al centro (bucata) la sagoma dell’equino scalciante. Nell’etichetta usuale il riferimento al somarello rimane solo alla base, come anche in questo caso, dove l’asino scalcia la “m” della parola “susumaniello”: una simpatica nota di colore grafico e folklore ironico. Il nome di questo rosato è invece “Imprint (di Mark Shannon)” laddove il nome del produttore poteva anche essere tralasciato o isolato in altre sezioni del packaging, e dove, sempre ironicamente ipotizziamo che l’imprint (l’impronta) sia quella lasciata dallo zoccolo dell’ asinello sul deretano di qualche incauto visitatore delle vigne. Nota a margine: bello il richiamo cromatico tra il blu della scritta in basso e la chiusura del tappo laccata in alto.