Felice di Stare Lassù

Pink, Sangiovese, Podere San Cristoforo.

Dobbiamo confessare che il suino volante ci ha colpiti. Attraversa un cielo primaverile leggiadro e orgoglioso della sua forma fisica. Mettendo in mostra la sua epidermide rosa, in perfetta sintonia con il vino che vuole rappresentare. Certo, siamo di fronte a un’etichetta insolita. Prima di tutto perché è iper-realistica, forse fotografica (almeno per quanto riguarda le nuvole). E poi perché quel maiale in volo stupisce e diventa icona. Così come lo è stato su una copertina di un celebre LP dei Pink Floyd (che contiene anche un brano che si intitola proprio “Pigs”). Gli stratagemmi per “accompagnare” concettualmente un vino rosato sono infiniti. Si citano rose, roseti, fenicotteri, tutto ciò che è rosa o che può essere affiancato idealmente a questo colore. Maiali compresi, naturalmente. Certo che un rosato, sia pure strutturato come questo da vitigno Sangiovese, non si presta, solitamente alla carne di maiale. E sarebbe anche di cattivo gusto far trionfare il suino in etichetta per poi fargli la festa in cucina. Diciamo che siamo nel campo delle allegorie e che in questo senso il packaging in oggetto fa la sua porca figura. Da notare, in basso, sotto al nome dell’azienda, un scritta in inglese: “tuscan coast rosé”, del resto anche il nome del vino è in quella lingua. Un certa coerenza si ritrova quindi anche nei testi, oltre che nei cromatismi di questa bottiglia che naviga allegramente tra il rosa e l’azzurro.

Moderno e Divertente ma Poco Coinvolgente

Scialusu, Blend di Bianchi, Azienda Agricola Bagliesi.

La componente creativa di questa etichetta si limita praticamente al nome del vino, “Scialusu”, che in dialetto siciliano significa “divertente”. Siamo infatti a Naro, in contrada Cammuto (nell’entroterra agrigentino). Non che il nome derivante da una parola esistente del dialetto locale possa essere ritenuta un’invenzione straordinaria, ma se viene concettualizzato, qualcosa di buono rimane. A questo proposito. l’azienda stessa definisce questo bianco prodotto con vitigni vari, come un vino di facile beva, di grande piacevolezza, di spiccata vocazione conviviale. Quindi divertente. Per la cronaca il regime agronomico è biologico e si sviluppa attualmente su 25 ettari di vigneti che vendono la presenza di vitigni autoctoni come Catarratto, Grillo, e Nero d’Avola, ma anche internazionali come Syrah, Merlot e Cabernet. Cosa aggiungere come ulteriore commento a questo packaging? E’ molto spartano, il nome del produttore, che troviamo nella parte alta, risulta otticamente più grande del nome del vino e viene riportato anche sul collarino, giustamente in tinta con il croma dell’illustrazione nella parte centrale dell’etichetta. Quest’ultima è composta da elementi grafici abbastanza stereotipati che fanno unicamente da decorazione. Pulizia grafica, pochi elementi molto chiari, ottima memorabilità nonostante la mancanza di uno spunto creativo e concettuale di maggiore ampiezza e narrabilità.

All’Orlando (Probabilmente) Piaceva il Lambrusco

Canta Storie, Lambrusco, Emilia Wine.

L’idea di fondo che ha generato questa linea di etichette dedicate alle varie sfumature del Lambrusco, è quella di unire la storia di questo vino e di queste terre con il noto poema “l’Orlando Innamorato” (che poi diventa “Furioso” ad opera dell’Ariosto) del reggiano Matteo Maria Boiardo, composto a fine ‘400. Le etichette (e il poema) raccontano le avventure, come in una fiction all’antica, tra Morgana, Angelica, Malagise, Merlino, Rinaldo e logicamente anche Orlando. Ogni etichette un episodio. Con uno stile illustrativo molto colorato e coinvolgente. Una scelta coreografica di tutto rispetto per una cantina sociale composta da 730 soci conferitori che vuole distinguersi nell’ampio panorama commerciale del lambrusco. A proposito di queste nuove e allegre etichette l’azienda afferma che: “La linea Canta Storie rappresenta il nostro impegno, perché, come i nostri vini, i personaggi che compaiono in etichetta sono frutto dell’estro e dell’ingegno del nostro territorio. Entrambi raccontano storie che, nel corso del tempo, sono state scritte e continueranno ad essere scritte a pochi metri da noi. Da qui l’idea di far convergere le due strade, quella della linea Canta Storie e quella del poema l’Orlando Innamorato, in un unico progetto”. Un ottimo incentivo per rileggere il poema con un buon calice di lambrusco sulla tavola.


L’Eleganza del Noir, lo Charme dello Champagne

Cuvée Dame Noire, Champagne, Boulachin-Chaput.

Il nero slancia, lo sa bene Giorgio Armani che da una vita propone le sue creazioni soprattutto in toni molto scuri. Amore per le forme o per le donne? Ensemble. Ed eccoci a commentare l’elegante etichetta di questo piccolo produttore di Champagne, situato ad Arrentières, a nord di Bar-sur-Aube. Nome del vino? “Dame Noire” in perfetta sintonia con l’illustrazione che occupa la parte sinistra del packaging. La dama in questione è molto silhouettata, il vestito casca bene, si intuisce una scarpa décolleté con cinturino alla caviglia, mentre in alto assistiamo ad una acconciatura raccolta ma con qualche ricciolo che non sfugge all’attenzione. La posa è sfidante, attraente, molleggiata. Nel complesso l’etichetta, tutta nera con le scritte in oro e in rilievo, dona molto charme e fa venire voglia di poter godere, a tavola, di una siffatta bottiglia, oltre che del suo nettare nel calice. Le etichette di Champagne fanno categoria a sé stante. Stemmi, cornici e abbellimenti vari fanno parte del gioco. E anche un certo riferimento al romanticismo di una cena a due, magari al lume di candela.

Mal Che Vada, Arte e Vino Vanno a Braccetto

Mal Che Vada, Malvasia e Sauvignon, 
Renato Keber.

Per commentare il nome, molto particolare di questo vino, andiamo a pescare una famosa citazione di Giovanni Agnelli, che un giorno disse: “Fare viticoltura è sempre un’ottima impresa, mal che vada il vino te lo bevi”. E come non essere d’accordo? Non sappiamo se è stato questo il pensiero di Renato Keber nel creare questo blend di bianchi, coltivati sul confine tra Italia e Slovenia, ma il concetto ci sta tutto. Nome particolare, abbiamo detto. Composto. Praticamente una frase, lasciata in sospeso: “Mal che vada…”. E ognuno può pensare e aggiungere quello che vuole, tutto sommato. L’etichetta è molto spartana, si caratterizza per la proposta, al centro, di una scena pittorica firmata dall’artista Maurizio Armellin. Una casa, una strada, la luna, forme geometriche che segmentano l’illustrazione. In alto, scomposto e difficilmente leggibile, il nome del produttore, in basso il nome del vino. Alla base l’annata viene espressa con la dicitura “Collezione 2018” a sancire un certo collegamento tra l’arte di fare il vino e l’arte creativa e figurativa. Il packaging non è tra i più eclatanti ma la curiosità spinge l’acquisto.

Tanto Amore Greco, sull’Orizzonte Turco

Ti Amo, Moscato Bianco di Samos, Vakakis.

Un’azienda greca ha deciso di chiamare un proprio vino con parole in italiano. E che parole! Niente di meno che un “Ti Amo”, piazzato lì, tra il lusco e il brusco. Potremmo anche dire tra il giorno e il tramonto, viste le velleità turistico/romantiche di questo prodotto. Ma andiamo con ordine. Il vitigno del quale si pregia questa bollicina isolana è il Moscato di Samos (l’isola greca più vicina alle coste turche). Sull’etichetta, alla base, viene indicato come “Moschato Bianco”, in un misto tra straniero e italiano che non si capisce bene se è voluto o se si tratta di errore. Le uve vengono coltivate tra gli 800 e i 1000 mt. sul livello del mare, in questa piccola e brulla isola, prettamente turistica (in estate). A parte il nome del vino che vuole richiamare (in italiano) una certa atmosfera da coppie in vacanza, è interessante far notare il tentativo, da parte dei designer, di nascondere nel packaging il nome dell’isola: infatti prima e dopo la parola “amo” troviamo due “s” stilizzate, a comporre (dopo la parole “ti”) la parola “SamoS”. Un gioco non facilmente comprensibile ma che aggiunge preziosità alla comunicazione visiva, grazie anche agli elementi grafici come le bollicine, distribuite attorno al nome e alle “s” decorative. Nel complesso si tratta di una operazione abbastanza commerciale, di marketing, ma ben sviluppata per gli obiettivi che l’azienda, con questo tipo di prodotto, si prefigura.

E’ Rosa, è Nera, è Rossa ed è Anche Mora.

Rosa Mora, Malvasia Nera, 
Cantine Paolo Leo.

Dunque, cerchiamo di ricapitolare. La Malvasia (il vitigno) è Nera (quando di solito è “bionda”, insomma, gialla o bianca). Di conseguenza la Rosa è Mora (nome del vino), cioè il vino è rosato ma da vitigno “nero”. Ci potrebbe stare. Ma suona tutto un po’ strano. Anche perché la donna in etichetta è rossa, non è bruna. Insomma, un bel rebus, probabilmente voluto, per sottolineare la particolarità del prodotto. Questo vino, che viene dal Salento, è consigliato a tutto pasto, non solo col pesce, e in estate. Ha un “corpo” che riesce a reggere anche pietanze più saporite. Ma torniamo all’etichetta dove una giovane donna con grandi orecchini e due curiosi “pomelli” grigi sulle guance, si mette in posa coprendosi l’occhio sinistro con la mano destra. La cartotecnica del packaging segue le forme del disegno configurando un’etichetta dall’andamento irregolare. Sicuramente, insieme al colore del vino (imbottigliato in vetro bianco, trasparente), molto sensuale, la particolarità dell’elaborato fa la sua parte per attirare l’attenzione. 

La Solita Storia, con un’Insolita Etichetta

Ghjlà, Vermentino di Gallura, Vigne Cappato.

La storia di questo vino e di questa azienda è simile a molte altre: un professionista, architetto milanese, Giovanni Cappato, decide di cambiare vita, diventa enologo, acquista delle vigne in Sardegna e inizia a produrre vino. Si integra a tal punto nella cultura e nell’ambiente isolano che attribuisce due nomi derivati dal dialetto ai due vini per ora in gamma: il Nibe (che significa neve) un Vermentino frizzante e il Ghjlà, del quale documentiamo l’etichetta in questo post, che significa gelo. Al di là della difficoltà di lettura e di pronuncia di questo “Ghjlà”, vediamo il suo significato (che sono almeno tre): gelo, come abbiamo detto, quindi un richiamo alla prima vendemmia di queste uve, caratterizzata, nel 2017, da una gelata che ha compromesso non solo il raccolto ma anche la vitalità di molti dei tralci in vigna, e infine il fatto che questo vino viene prodotto con una “catena del freddo” che prevede la raccolta notturna, la conservazione in cassette in ambiente refrigerato per alcune ore e la seguente criomacerazione in acciaio per 36 ore. Il gelo c’è tutto, nel processo di lavorazione e anche nella memoria storica dell’azienda. La grafica dell’etichetta è molto particolare: caratteri grandi, in evidenza il nome del vino e quello della Docg, Vermentino di Gallura, giusto puntualizzare, su un fondo a tinta uniforme di colore giallo caldo. Cromatismi insoliti che caratterizzano il packaging e lo rendono molto visibile e memorizzabile. 

Alla Fonte del Sagrantino si Coltiva Anche Trebbiano

Arnèto, Trebbiano Spoletino, Tenuta Bellafonte.

Mentre il nome del vino, “Arnèto”, sembra derivare da una geolocalizzazione (zone vinicole del luogo), il nome del produttore racconta una piccola storia. Bellafonte, che in italiano potrebbe sembrare dicotomico rispetto alla missione dell’azienda, cioè produrre vino. Ma si sa che l’acqua e il vino sono stati da sempre, in un certo senso, legati. Fin dai tempi dei miracoli nell’Antica Giudea. La bella fonte in realtà non deriva da una reale presenza di acqua surgiva, bensì dal cognome del fondatore dell’azienda, Peter Heilbron, laddove Heil (in tedesco) sta per “bellezza”, “amenità”, e Bron sta per “fonte”. Il cognome dell’altra proprietaria (e compagna) tradisce invece origini chiaramente centroitaliche: Sabina Latini. Germania - Italia 1 a 1. Pari e patta. L’etichetta di questo Trebbiano Spoletino al 100% è molto spartana: in alto il nome del produttore, in grande evidenza, in basso il nome del vino e al centro uno stilema ottenuto da due pennellate di colore che a nostro avviso potrebbero simboleggiare le lettere “H” e “B”. Il tutto è molto simbolico, rastremato, essenziale, diretto. E quindi anche memorabile? Non sempre. Comunque questo packaging si fa notare anche da lontano. E questo potrebbe risultare alla fine vantaggioso. P.S.: siamo nel territorio di Montefalco e quindi del Sagrantino, ma i produttori di questo austero vino rosso si sono recentemente messi in testa di produrre anche da vitigno Trebbiano (verietà di Spoleto), il tempo dirà se con successo oppure no.

Occhio di Lince, Anzi no, di Lepre (Forse)

Suzzane, Garnacha (Rioja), Oxer Wines.

Questa strana, a tratti inquietante, etichetta viene dalla Spagna. Nasconde un messaggio positivo in una grafica da film thriller. Il packaging potrebbe essere la locandina di un film come (ad esempio) “il silenzio degli innocenti”. Eppure è un vino. Una Garnacha della Rioja. In pratica, un Cannonau spagnolo (Grenache per i francesi). Veniamo al nome del vino: “Suzzane” (con due “z” e una “n”) che per ammissione e descrizione del produttore nel proprio sito internet, si riferisce alla canzone Suzanne (con una “z” e due “n”) del celebre cantautore Leonard Cohen. Si tratta di un “inno alle donne”, puntualizza il produttore. Sul retro dell’etichetta segnaliamo un’altra (alta) citazione, ecco quanto riportato testualmente nella scheda del vino: “The back label cites Eduardo Galeano: “I crack this egg and woman and man are born. And together they will live and die. But they are born again. They will be born and die and come into rise again. And will never stop being born because death is a lie” (Mito de los indios makiritare. Memoria del Fuego). Eduardo Germán María Hughes Galeano è stato un giornalista e scrittore nato a Montevideo in Uruguay, figlio di un mix di parenti europei (gallesi, tedeschi, genovesi e spagnoli). Una delle più autorevoli personalità della letteratura latinoamericana. Tornando alla fantasiosa etichetta possiamo dire che si fa certamente notare, sullo scaffale. Quel grande occhio di donna-lepre non può essere facilmente evitato.

Il Piccolo Demone Australiano che Produce Fiano

Little Demon, Fiano, Maxwell.

Forse di demoniaco c’è solo il fatto di coltivare il Fiano (di Avellino) in Australia (e di produrre il relativo vino). Ma si sa che le influenze italiche nel nuovo mondo sono ancora molto evidenti. Questo produttore, che vanta nella propria gamma anche un Nero d’Avola, giustifica così la presenza del noto vitigno campano: “Fiano, the world renowned white winegrape of sunny Campania (Italy), has become the darling of McLaren Vale in just a short 10 years. Its ability to stay fresh & bright in the face of Mediterranean warmth & wind means it is perfect for our rolling coastal hillscape”. Comunque l’etichetta attira. E’ davvero molto particolare nella sua composizione. Il “piccolo diavolo”, Little Demon il nome del vino, si presenta in forma fotografica, in bianco e nero, con una allegoria di graficismi degni di nota. E’ un uomo barbuto dal cervello labirintico, con le corna da diavolo e una serie di decorazioni tra il floreale e il faunistico. Farfalle e fiori bianchi, più che altro. La fittizia dinamicità del packaging viene incoraggiata da alcune frecce che indicano il percorso in volo delle farfalle. Alla base il logo e il nome del produttore, con la fatidica indicazione “Fiano 2021”. Bizzarrie di vini e di terre lontane. Ma la creatività c’è.