Nomi Banditeschi per Esaltare il Commercio

Banditone, Sangiovese con Merlot e Colorino, Cantina Campotondo.

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Le affinità nei nomi dei vini si possono riscontrare rapidamente con un semplice "giro" di ricerca in Google. Sono note le assonanze tra i vari Sassicaia, Lupicaia, Volpaia, Ceppaia, Ghiandaia... (c'è anche Gattaia!). In questo caso ci diverte trovare una sorta di affinità tra il Soffocone (di Vincigliata), e l'Uccellone (Bricco del) con questo Banditone. Nel senso che anche la finale "one", e la sua esagerazione, ha un ruolo vasto nella "nominazione" dei vini italiani, così come la finale "aia" di cui si parlava prima. Vediamo cosa dice il produttore di questo vino: "Il Banditone è un vino austero e introverso che si mostra a tratti, rivelando poco a poco la sua natura profonda". Quindi un bandito un po' misterioso e tenebroso. L'accezione legata al "bandito" non è positiva in generale ma può evocare anche simpatia e vicinanza, sono note in Italia le imprese del romagnolo Passator Cortese, un brigante amato dal popolo e personaggio mitizzato. Per il resto, il design di questa etichetta è ordinato, preciso, abbastanza stereotipato nel suo genere. Bella in ogni caso (genera sempre ottime percezioni) l'icona della meridiana, incastonata anche dentro a un sole raggiante come logo aziendale.

Un Pet-Nat da Pic-Nic

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Gabry, Rosato Frizzante Igt, 
Viticoltori Lenza.

Di moda prevalentemente all'estero, la definizione "pet-nat" si riferisce a vini frizzanti lasciati rifermentare in bottiglia grazie al metodo ancestrale. Senza entrare nei dettagli si tratta di un vino molto spartano, naturale, diciamo "spontaneo". Una categoria che non piace a tutti ma ha comunque molti estimatori. Di questo vino il produttore dice: "Gabry è un vino da pic nic, beverino e divertente, un vino rosato frizzante prodotto dalla vinificazione in purezza da uve Aglianico. La rifermentazione in bottiglia è ottenuta grazie al metodo ancestrale e senza l’aggiunta di solfiti. Il risultato finale, è un rosato guizzante, fresco e succoso, caratterizzato da profumi di frutta fresca, dalla fragola al lampone". Ci è piaciuto il riferimento al pic-nic e al "rosato guizzante", e ci è piaciuto anche il simbolo aziendale, diventato logo, che propone la sagoma di un cavallo, in stile greco, dai tratti rastremati e
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moderni ma in "collegamento" col passato. Come dovrebbe essere in generale con il vino di tutta la nostra bella Enotria, figlia di un passato Etrusco, Romano, Greco e anche oltre, ma sia pure lanciata verso una nuova avventura per quanto riguarda la qualità dei vini. Niente di speciale invece, tornando a parlare delle etichette, per quanto riguarda i nomi dei vini di questa azienda: Gabry, Donna Palmina, Valentina... (nomi e riferimenti a persone o a personaggi che risultano non particolarmente distintivi, come invece si dimostra il design delle etichette). 

Il Vino di Sting è un Casino

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Casino delle Vie, Rosso Toscano, Il Palagio.

Etichetta creativa, funambolica, divertente, per questo rosso composto principalmente da Sangiovese con piccole quantità di Canaiolo, Colorino e Merlot. Un uomo ben vestito sta in equilibrio su una bottiglia con il solo "sforzo" di un dito. Fantastico, nel vero senso della parola. Dietro a questa azienda c'è Sting, il noto perfomer canoro, e la sua passione per la Toscana (e per il vino buono, evidentemente). Etichetta curiosa quindi, diversa dal solito, in grado di attirare l'attenzione. Per quanto riguarda il nome del vino, "Casino delle Vie", è necessario fare qualche breve considerazione. "Casino" in toscana significa piccola casa, casetta, minuto casolare, ma nell'Italia intera "casino" è tutt'altra cosa e viene riferito a confusione, talvolta a festosa sarabanda. In generale non è molto positiva, come parola. Associata a "Vie" può generare una specie di marasma viabilistico, sempre in senso negativo, che si riferisce a qualcosa che non si riesce a trovare, ad esempio quando ci si è inoltrat nelle innumerevoli stradine sterrate della Toscana centrale. Certo, questo nome può risultare anche memorabile, lo immaginiamo sintetizzato in "Casino", semplicemente, senza aggingere altro. "Cos'hai bevuto ieri sera?" - "Ha bevuto un Casino". Si scherza, anche solo per far capire le variabilità della semantica e le volubilità della lingua parlata. Non c'è dubbio però che la notorietà del produttore può superare anche queste piccole e tutto sommato divertenti incongruenze. 

La Semplicità degli Elementi della Natura

Contessa Staffa, Rosato (Montepulciano), Antica Enotria.

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packaging design etichette vino winedesignInnanzitutto merita di essere citato il testo di presentazione che si trova nella home di questa azienda pugliese, eccolo nella sua interezza: "Il respiro della terra. Il suo vivere complesso e fitto. Il silenzio della terra, e la sua voce. Le stagioni della pioggia, il tempo del sole. Il respiro della terra. Ogni giorno diverso, potente o sommesso. Lo ascolti e respiri con lei, seguendo il suo ritmo, finché un giorno ti accorgi che il respiro della terra ed il tuo respiro hanno lo stesso affanno. Notte e giorno, neve e vento, lavoro e riposo, tu e la terra. Lo stesso ritmo. Capisci che vi sono concessi gli stessi giorni, le stesse ore, le stesse stagioni e che nessuno può dare di più senza pagarne le conseguenze. Improvvisamente sei consapevole che non puoi continuare a sfruttare, avvelenare, forzare perchè cio che fai alla terra lo fai a te stesso. Lo stesso destino. Ed inizia il rispetto. Il rispetto per te stesso e per la terra, per il tempo e per la vita. Il respiro torna regolare, naturalmente lento, finalmente naturale. La vigna che coltivi diventa avara, ma lo capisci: i suoi grappoli sono ora più preziosi ed il vino è ricco, come tutte le cose povere. Agricoltura Biologica, la chiamano. Per me e per mio figlio è scegliere la vita, da anni ormai. Io mi chiamo Raffaele Di Tuccio e la mia terra è la Puglia: con mio figlio Luigi e mia moglie Antonia, vi invitiamo nella nostra masseria per ascoltare il respiro della terra". Un testo poetico, un racconto emozionale, vero, sincero, che viene dal cuore dell'uomo e dal cuore della terra. E poi le etichette, semplici ma eleganti, di un'eleganza "terrena", come quella del rosato da vitigno Montepulciano, che presenta, come le altre etichette dell'azienda, un elemento della natura, ben fotografato, in questo caso i piccoli frutti del melograno. In un altro caso, Montepulciano e Uva di Troia, vino rosso, a destra, che si chiama "Senzazolfo", privo di solfiti, con i nodi dei tralci in primo piano. Una bella realtà che racconta se stessa in modo schietto e diretto. Un esempio di semplicità intelligente, creativa, costruttiva. P.S.: bello ed evocativo anche il nome aziendale "Antica Enotria".

Le Parole non Dette, e Quelle non Lette

grafica lettering marketing comunicazioneQuercetonda, Vino Nobile di Montepulciano, Le Casalte.

Siamo in Toscana, nella celebre Montepulciano, patria di quel Sangiovese che laggiù chiamano Nobile. Il cugino meno importante del Brunello, tanto per chiarire. Ma veniamo all'analisi di questa etichetta che verte quasi totalmente sul nome del vino, quella scritta in corsivo sulla sinistra, molto grande, in oro, posta in verticale, che non si può non vedere ma che si potrebbe non leggere. Infatti non solo la sua verticalità non facilità l'occhio, ma anche il tipo di scrittura e il nome stesso creano altri ostacoli. La "r" di Querce, ad esempio, difficile da intercettare, perché praticamente solo accennata. E poi il vezzo di alternare il plurale con il singolare: "querce" e "tonda", perché il nome è proprio così. Poco importa che in toscano la quercia si dice "querce" e che in latino fa "quercea", chi legge l'etichetta è un pubblico che può essere anche molto erudito ma al quale potrebbe risultare comunque strano questo salto fonetico e semantico, prendendolo magari come un errore. Il nome, per la cronaca, è proprio riferito a una quercia dalla chioma tondeggiante, che si trova nei pressi della vigna dove crescono le uve di questo vino. Etichetta essenziale e con una velleità di eleganza grazie all'oro e al fondo nero, ma i problemi di impaginazione e di leggibilità non finiscono qui, coinvolgono anche il marchio aziendale, Le Casalte, realizzato con una strana conformazione del trittico "lte" finale, e la dicitura relativa al vitigno anch'essa poco leggibile avendo utilizzato un corsivo molto graziato. Da vedere e rivedere, sia per chi vuole capire prima di comprare, sia per un eventuale ripensamento del progetto.

Rotolano Ciotoli di Normalità in Valpolicella

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Campo Ciotoli, Valpolicella Ripasso, 
I Campi.

Spesso in questo blog abbiamo innalzato inni alla semplicità: nel design e quindi nel packaging meglio togliere che aggiungere per ottenere risultati visivi e di comunicazione eccellenti. Certo c'è modo e modo di essere semplici. In questo caso, nell'esempio in causa, possiamo parlare di "eccesso di semplicità". Ma vediamo gli elementi che compongono la grafica dell'etichetta, uno a uno. L'azienda si chiama "I Campi", nome abbastanza generico e "contadino": trasmette genuinità, agricoltura, tradizione, ma non eleva il prodotto, non lo valorizza. Il nome dell'azienda, scritto in modo semplice al punto che non si può parlare di logo, viene evidenziato da un tassello, una barra colorata, nella modalità cara ad Angelo Gaja e a molti vini piemontesi che l'hanno imitata. Sotto al nome aziendale ecco una specie di marchio, logo, simbolo, anch'esso molto semplice, esile nei tratti, che raffigura un sole sulla campagna, sui campi, appunto. Sembra un disegno infantile. I tratti si percepiscono bene, si capisce cosa vuole significare, ma non aggiunge emozione e prestigio al tutto. Quindi, in ordine dall'alto in basso, il nome del vino, "Campo Ciotoli". Si comprende che la vigna alla quale ci si riferisce è formata da molti sassi, ma anche questo, la parola "ciotoli" in sé, è tutt'altro che valorizzante, se non fosse che per gli esperti la presenza di un terreno sassoso può significare maggiore espressività delle uve e quindi del vino. Quindi le menzioni di legge, Valpolicella Ripasso Superiore, etc., molto ordinate, centrate, semplici, lineari. C'è da dire che anche per gli altri vini in gamma di questa azienda viene utilizzato il medesimo schema grafico, variando solo il colore della banda in alto (ad esempio per l'Amarone, risulta a sfondo nero), variando logicamente anche il nome del vino e le menzioni da disciplinare. In sostanza: linearità, centratura, ordine e leggibilità ci sono. Manca creatività, colpo di genio, invenzione e quindi emozione. Diciamo che si tratta di una etichetta "didattica", ma non tattica e tanto meno strategica.

Un Montefalco Biologico che Comunica Bene

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Ilbio, Umbria Igt Rosso, Lungarotti.

Ha un'etichetta decisamente particolare il nuovo vino, il primo biologico, di una nota cantina umbra, Lungarotti (è un Sagrantino di Montefalco in purezza ma per regolamento non si può affermare in etichetta). Particolare anche il trattamento semantico del nome che, attraverso un piccolo trucco verbale, comunica il biologico appropriandosi di un nome che di fatto è anche registrabile: "Ilbio", tutto attaccato. Nella grafica vediamo che la "b" di questo nome è evidenziata in rosso proprio per dare maggior concretezza al significato che vuole trasmettere. Al di là del nome, furbo e funzionale, notiamo che, in un design comunque pulito e ben architettato, vengono aggiunte delle scritte in corsivo, isolate in tasselli, che comunicano una serie di informazioni molto interessanti per chi vuole capire di più su questo vino. Informazioni che vengono date nel fronte etichetta, quindi, fatto piuttosto insolito nel panorama del packaging del vino in Italia. Leggiamo, tra le altre cose, "Longevità 8-10 anni" e anche "Altitudine 450 mt s.l.m." con altre note sulla tipologia del terreno dove vengono coltivate le uve, sull'affinamento e anche sul tipo di calice da utilizzare per degustare il vino in oggetto. Sullo sfondo l'immagine è un po' stereotipata: la mappa catastale del vigneto. Ma comunque ben realizzata, con l'obiettivo di trasmettere tradizione e qualità. Il tutto, insomma, ben riuscito: il falco vicino al logo aziendale fa buona guardia allo stile generale.

Sporgenze Decorative in Alsazia

grafica cartotecnica label winedesign marketingArnaud, Riesling, Domaine de l'Oriel.

Le etichette dei vini alsaziani faticano molto a "rinnovarsi", perseguendo uno stile molto classico, datato, tradizionalista. Non è sbagliato, considerato anche che gli elementi di spicco di quella regione vinicola situata nel nord della Francia spesso sono dati dalla storicità dei luoghi e degli strumenti di lavoro. In questo caso il protagonista dell'etichetta e anche del nome aziendale è un "Oriel", tipica sporgenza architettonica che abbellisce le facciate delle case e ne fa vanto da parte delle famiglie abbienti del luogo. La parola oriel, dal francese antico, significa portico o semplicemente balcone e sembra possa derivare dal latino medievale "oriolum". Ai tempi nostri qualcuno lo chiama bow-window. E veniamo ai lati migliorabili di questa etichetta. Diciamo subito che siccome di oriel in Alsazia se ne vedono tanti, definire un'azienda come il "Domaine de l'Oriel" rischia di risultare troppo generico e quindi non caratterizzante. Per quanto riguarda il testo è inspiegabile lo spazio che si vede tra la "elle" iniziale di "l'Oriel" e l'apostrofo. Otticamente non funziona. L'unica concessione creativa di spicco di questa etichetta è la cartotecnica nella parte superiore, che evidenzia l'oriel creando una sorta di finestra ottica. Design migliorabile, vino eccelso, di un piccolo produttore specializzato in Riesling nel quasi impronunciabile paesello di Niedermorschwihr. 

Satiri Bacchici in Terra Sicula

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Satiro Danzante, Nero d'Avola, Foraci.

bacco baccanti dionisoL'etichetta di questo vino rosso riconduce al noto Satiro Danzante ritrovato nel Canale di Sicilia nel 1998 a 500 metri di profondità. Si tratta di una statua bronzea alta due metri, prezioso esempio di arte ellenica, esposta al Museo del Satiro Danzante di Mazara del Vallo. Capelli al vento che ondeggiano al ritmo del suo ballo orgiastico, ha una dinamica che lo rende tutt'oggi emozionante. Nella mitologia greca i satiri erano una collettività di esseri che vivono per lo più nel bosco, circondati da una natura selvaggia, spesso insieme alle ninfe (dall'enciclopedia Treccani). Esiodo li definisce buoni a nulla che giocano dei tiri ai mortali e, conformemente al loro aspetto semi-animalesco, sono sensuali, aggressivi, ma anche vili. In epoca classica i satiri fanno ormai regolarmente parte del corteo bacchico... A parte il nome del vino che è proprio "Satiro Danzante" e la bella raffigurazione della scultura, l'etichetta è impaginata in modo piuttosto sommario, senza vertici di creatività per quanto riguarda il design. Diciamo pure che il Satiro svolge buona parte del lavoro di packaging e di notorientà (chiamasi anche memorabilità).

L'Eleganza del Cygno (di Terracotta)

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Rukh, Bronner e Johanniter (PiWi), 
Nove Lune.

Ci sono diverse analisi da fare su questa bottiglia e sugli elementi che la comunicano. Innanzitutto salta all'occhio quel bollo giallo in rilievo posto al centro del design. Raffigura tre anfore stilizzate e porta il nome del vino, "Rukh", sul quale ci soffermeremo più avanti. Il mosto infatti viene lasciato a macerare sulle proprie bucce, per ben 2 mesi, dentro a grandi anfore di terracotta. Il medesimo materiale che compone il bollo rotondo applicato sul vetro della bottiglia. Per consentire ai possibili clienti di toccare con mano la porosità di questo materiale particolarmente adatto al perfezionamento del vino. Si tratta certamente di un lavoro manuale di applicazione e ancor prima anche di studio dei materiali adatti, per caratterizzare così, in modo positivo ed attenzionale, la bottiglia. Altro elemento curioso è il nome del vino, "Rukh", da ricondurre alla costellazione del Cigno come spiega Wikipedia: "Delta Cygni era conosciuta anticamente con il nome persiano di Rukh o Ruc, oppure con quello accadico di Urakhga, entrambi riferiti a un mitico uccello di enormi dimensioni e forza. I popoli mesopotamici, i persiani e gli arabi dell'antichità rappresentavano infatti la costellazione del Cigno come il Ruc in volo ad ali spiegate". E infine il logo e il nome aziendale, Nove Lune, che nelle intenzioni (bio) del produttore è da collegare a "no veleni", mutando sillabazione e un paio di lettere. Nel logo vediamo 9 lune schierate in una trama orientaleggiante, dal mistero ma anche dall'eleganza intrigante.

Un Medioevo Rivisitato e Macchiato di Giallo

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Il Mandolo, Roero Arneis, Cantina del Glicine.

packaging marketing comunicazioneEtichetta con un proprio stile, invero arcaico ma dotata di originalità. Un viticoltore medievale è intento a vendemmiare. Si tratta di un disegno "antico" di un vigneto dove i grappoli d'uva vengono evidenziati con un colore forte, il giallo. Colore utilizzato anche per il carattere di scrittura del nome del vino. Questa semplice idea contribuisce a fornire un guizzo di attenzionalità all'etichetta e a connotare come peculiare, originale, diverso dal solito il packaging design. Il nome "il Mandolo", sta a metà tra il riferimento ad uno degli aromi di questo vino (mandorla) e quello che riguarda lo strumento antico a corde, più noto nella sua versione ridotta, detto mandolino. Logicamente la forma della mandorla c'entra in ogni caso. Da far notare anche il logo aziendale che riportiamo sulla destra: dove il nome del produttore fa da corona a un bacco-giullare ridanciano e gioviale. Davvero simpatico, anche se l'elaborato dell'illustrazione non è molto definito. I tratti si confondono e di conseguenza la percezione del piccolo personaggio alticcio non è immediata, soprattutto in formati ridotti.

Lo Scheletro e la Rosa, in Posa.

grafica illustrazione winedesing comunicazioneSi Rose, Gewürztraminer e Pinot Gris, Domaine Binner.

Si tratta di un vino alsaziano e di un viticoltore un po' folle. Sicuramente creativo. Anche per quanto riguarda i vini che produce, oltre che per le etichette. Infatti "Si Rose" è un vino composto da Gewürztraminer e Pinot Gris che macera a lungo per diventare "arancione". Una tipologia di vini particolare, diciamo pure di nicchia. In etichetta vediamo immediatamente una rosa (più di una) che richiama l'aroma del Gewürztraminer e che... si trova nelle fauci di uno scheletro! Proprio così. Un'etichetta macabro-romantica. Divertente, forse. Curiosa, sicuramente. La grafica comunque è ben eseguita. Gli elementi equilibrati. E oltre alla rosa, allo scheletro e al nome del vino, nella parte inferiore leggiamo "Et si bon ma foi(e)", gioco di parole, in francese che inziando la frase dal nome dovrebbe suonare più o meno così: "È così rosa e così buona la mia fede (il mio fegato)". Visto che "foi" è fede, mentre "foie" è fegato. Notare, a quanto pare, il fegato dello scheletro, sulla sinistra, unica parte vitale rimasta... decisamente folle ma simpatica. Salvo per quelle persone che sono un po' prevenute su argomenti macabri.