Madre Natura, Padre Celeste.

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Madrechiesa, Morellino di Scansano, Terenzi.

naming marketing branding bottigliaSiamo qui a commentare un nome certamente originale, nel panorama denominativo delle italiche produzioni vinicole. Un paese che si è sempre mosso tra il sacro e i profano non può evitare riferimenti simbolici, semantici, sinoptici, alla tradizione cattolica che è proprio il caso di definire "canonica". Madrechiesa è un nome che in un certo senso incute timore reverenziale, quel timore che le popolazioni rurali di una volta "dovevano" al parroco locale. Qui però voliamo più in alto: Madrechiesa per Wikipedia è "Essenzialmente, la chiesa madre (o chiesa matrice) è la chiesa principale di un paese o di una città. A reggere tale chiesa è a volte un sacerdote insignito del titolo di arciprete". Ma la "Madre della Chiesa" è anche, niente di meno che Maria, la Madonna. E infine si intende per Madrechiesa in generale la Chiesa Cattolica: "...dal latino ecclesiastico catholicus, a sua volta dal greco antico καθολικός, katholikòs, cioè Universale: è la chiesa cristiana che riconosce il primato di autorità al vescovo di Roma". Molto più semplicemente o se vogliamo partendo dal basso e ricollegando il tutto, il sacro e il profano a madre natura, sappiamo che Madrechiesa (lo afferma il produttore) è il nome della vigna di sangiovese che genera questo vino. E allora in alto i calici: siano essi quelli del sacerdote sull'altare, siano quelli della tavola imbandita.

Loghi di Rovo

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Erbaluce di Caluso, Tenuta Roletto.

Crediamo che come in ogni progetto del genere la gestazione del logo di Tenuta Roletto, produttore piemontese, abbia richiesto molto tempo e denaro. Il risultato è quello che riportiamo qui di fianco e che campeggia in grande evidenza sulle bottiglie della gamma aziendale. Dall'uso "importante" del marchio si intuisce che la comunicazione dell'azienda sta puntando molto sulla notorietà che il marchio stesso dovrebbe generare. Duole osservare che il logo in questione, che riproduce un grappolo d'uva, non è tra i più chiari, sia per le soluzioni di design adottate, sia per la problematica leggibilità del nome. Ad una prima e veloce visione infatti non risulta una rapida intelleggibilità: è necessario soffermarsi più a lungo per trovare una interpretazione. La "T" posta sulla sommità del logo fa giustamente da "gambo" del grappolo, le altre lettere sono acini, uno più grande degli altri (la "O" centrale) con al suo interno una "r" minuscola, principale indiziata della difficoltà di lettura. In pratica si tratta di un "logo nel logo", una sovrapposizione che non pare funzionare nel generare una percezione "chiara e semplice". In pratica, oltre a non leggere bene e subito "Tenura Roletto", si sono voluti creare due marchi: quello del grappolo fatto di lettere e quello sintetizzato in quella "r" con il ricciolino alla sua sinistra. Dove la piccola "r" viene proposta di colore diverso rispetto alle altre lettere (come sull'etichetta dell'Erbaluce Docg) la situazione migliora, ma il risultato non è comunque vincente, a nostro modesto parere.
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Negro il Vino, Nera l'Alba

Alba Nera, Negroamaro, Azienda Alba Nera.

grafica packaging comunicazione storytellingL'etichetta è scura, come lo è la tipologia di vino contenuto nella bottiglia. E non si tratta certo di un design strabiliante, ma si fa notare con i caratteri di scrittura rossi su nero, la cornice dorata dalle linee morbide e il logo molto dinamico che ricorda la Trinacria (anche se in questo caso siamo in Puglia). Ed è chiaro che dopo un'Alba Nera quello che ci vuole, per esorcizzare ogni funesto sentimento, sono "Gocce di Euforia" e "Attimi di Ebbrezza" (gli altri due vini dell'azienda). La domanda sorge (come un sole radiante) spontanea: perché includere in questo trittico una visione così oscura come quella evocata da un'Alba Nera? Certo il vitigno è il Negroamaro: nero lo dice il nome, amaro pure. Ma un'alba "amara" non se la augura nessuno. Il nome in questione, se analizzato in modo lineare e diretto, parla di un'alba senza sole, tutto sommato. Giacché se il sole sorge l'alba sarà luminosa e gaudente. Ma forse in questo caso, proprio all'alba, c'è un tremendo temporale. Che poi si dissolve e torna il sereno. Sempre ottimisti!


Non Tutte le Etichette Fanno Centro

Pivot, Cesanese-Merlot-Cabernet, Az. Agr. L'Olivella.

packaging comunicazione storytellingDal punto di vista grafico questa etichetta appartiene al "gruppo" del packaging-estremo. D'accordo con la semplicità, chiave di saggezza e di buona comunicazione, ma qui siamo al semplicistico: fondo nero, scritta "a gessetto" in bianco, una cornice quadrata (almeno quella) e poi stop. Diciamo che quello che non torna è la scelta del carattere di scrittura, la sobrietà del resto potrebbe anche starci. L'effetto lavagna non giova alla leggibilità e non è elegante. Ma passiamo al nome, "Pivot", di chiara origine sportiva. Riferendosi infatti al mondo della pallacanestro Wikipedia dice: "Il centro (in inglese center) o pivot ("perno" della squadra) è uno dei ruoli standard". Oppure, se vogliamo spaziare in altri significati: "Il termine "Pivot" è un passo di danza di tecnica jazz/modern. Si esegue un passo avanti, si gira e si compie un altro passo indietro. Distinguiamo il pivot simple, pivot step, pivot turn". Già più "poetico". Ma il problema del nome Pivot non sta (solo) in uno dei suoi significati possibili, il fatto è che Pivot somiglia molto a Pinot e siccome si legge male, potrebbe essere frainteso. Ma questo vino non è composto dal alcun vitigno della famiglia dei Pinot: la svista ci sembra svantaggiosa.

Non c'è Bene, non c'è Male

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grafica bottiglia comunicazione storytellingMastro e Maia, Montepulciano e Pecorino, Cantine Maligni.

Fantastico. Dare a una negatività il beneficio di un sorriso. Ci sono riusciti i titolari delle Cantina Maligni che invece di nascondere il loro "nomignolo storico" non propriamente beneaugurante, lo hanno enfatizzato con un diabolico forcone. Ma analizziamo i fatti. Recita il sito internet del produttore che "Il nome Maligni è un appellativo che da oltre quattro generazioni identifica la famiglia Tomei e, secondo le ricerche effettuate, sarebbe da additare ad un contenzioso avvenuto tra l'allora pater familias Pasquale Tomei ed il parroco del luogo". Insomma, la storia li mette contro niente meno che il parroco e loro eleggono a simbolo dell'azienda la pastorale del diavolo. Complimenti per l'ironia e per il coraggio. In effetti è così che si dovrebbe fare in comunicazione (anche se questo, onestamente, sembra proprio un caso limite): dove ci sono negatività, asperità, problematicità. invece di nasconderle, renderle "simpatiche". Il logo quindi, nella sua semplicità e immediatezza riesce a "colpire nel segno". L'azienda produce solo due vini: Mastro e Maia, un Montepulciano d'Abruzzo e un Pecorino. Le etichette non sono male: essenziali, dirette, con un design elementare ma pulito, con, manco a dirsi, in grande evidenza tutta la malignità del marchio! Alla Salute!

Le Contesse a Volte Sono Brut

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Comitissa, Brut Gran Riserva, Lorenz Martini.

Come vino, spumante, non si tratta delle solite bollicine: la versione "Gold" (solo annate speciali) viene lasciata a "maturare" sui lieviti per 120 mesi (10 anni). Vino da intenditori. Non per tutti anche per il prezzo (attorno ai 50 Euro). Ma qui parliamo di etichette. E in particolare del nome "Comitissa". Per inquadrare il concept citiamo ad esempio Garzanti Linguistica che dice: "lat. mediev. comitissa(m), deriv. dicŏmes -ĭtis ‘conte’: donna che ha il titolo comitale, moglie di un conte, figlia di un conte dim. contessina". Il Ristorante "Sala della Comitissa" (a Baschi, in Umbria) nel proprio sito web precisa che "Comitissa è un rafforzativo del titolo nobiliare di Contessa, una sorta di Contessissima". E Wikipedia parla di Matilde di Canossa come della "Grancontessa (magna comitissa) Matilde... certamente una delle figure più importanti e interessanti del Medioevo Italiano". Siamo di fronte quindi a un nome interessante, originale, colto, foneticamente valorizzante, superlativo (che nel caso della versione speciale con etichetta oro, viene affiancato dalla dicitura "Gold", ove ci fosse bisogno di aggiungere sfarzo). Quello che non torna, a nostro parere, è il rapporto tra nome e carattere di scrittura, cioè quell'aspetto spesso sconsiderato, che lega il nome al design complessivo dell'etichetta. In questo caso il carattere di scrittura scelto per "esprimere" il nome Comitissa è molto lineare, rigido, sterile, poco emozionale. D'altro canto il carattere di scrittura della dicitura "Gold" è troppo lezioso e "graziato". Forse ci voleva una intuizione che stava nel mezzo. Per il resto, etichetta in generale, notiamo una sobrietà e una piattezza eccessiva, probabilmente specchio del carattere schivo e riservato della zona di produzione, l'Alto Adige. Riassumendo: nome azzeccato e lodevole, grafica sottotono e non del livello che questo vino richiederebbe.
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Il Vino è Anche Estro e Fantasia

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Natura, Senza Solfiti, Chiusa Grande.

Cosa dire di un produttore di vino che suddivide e propone la propria gamma così: Vini dell'Eros, Vini dell'Esoterismo, Vini della Tradizione, Vini della Ruralità, Vini della Tendenza, Vini della Sophia, Vini della Follia, Vini della Natura? Serve certo un po' di follia nel redarre una simile lista (nel sito Web dell'azienda vinicola in questione) e anche nel consultarla. Ma noi ci vediamo qualcosa di vivo, positivo, creativo, estroso. Passiamo ai nomi, perché c'è da divertirsi. Ad esempio i "nomi derivanti dal dialetto arcaico abruzzese": Ciferette e Arcaserene. Il primo "spirito irrequieto e monello che abita le montagne abruzzesi... nome antico, figlio della cultura agropastorale abruzzese" dice il produttore. Il secondo, "Arcaserene", sarebbe Arcobaleno "nella cultura popolare abruzzese". Ma abbiamo anche Tommolo, Soma e Mezzetto (nella sezione Vini della Ruralità) dove "Tommolo" è "un’antica unità di misura della civiltà contadina abruzzese". Bella e originale la descrizione completa che l'azienda pubblica nel sito web: "Tommolo, seduzione ardente molto speziata. Nessun segnale del tutto esplicito è seducente. La seduzione è lo spazio che intercorre tra ciò che si mostra e ciò che si lascia intuire.

Questo vino, che prende il nome da un’antica unità di misura della civiltà contadina abruzzese, è un Montepulciano rosso più del sangue che scorre nelle vene, più dell’emozione disegnata sulle guance. Spiccatamente fruttato, con sentori di spezie e liquirizia, Tommolo aiuta chi vuol sedurre, ma seduce chi crede di saper sedurre." Possiamo solo aggiungere che tra gli altri vini sono menzionabili Perla Bianca e Perla Nera (tra i Vini dell'Eros), Roccosecco, Mattè e Tatà (tra i Vini della Tradizione), Id, Is ed Ee (sono tre nomi distinti e vengono collocati tra i Vini della Tendenza). La bizzarria del design delle etichette non è da meno: a partire dal cromatico vulcano che distingue i "Vini della Natura". Complimenti per la fantasia, quindi, e per l'interesse che queste nomi (storie, più che nomi, o meglio, storie dietro ai nomi) sono in grado di suscitare. L'efficacia e la memorabilita, la coerenza di progetto e la fluidità comunicativa sono altri aspetti importanti sui quali, in questa occasione, così sfavillante di "coraggio creativo", ci sentiamo di soprassedere.

Etichette Antiche per Vini Moderni

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Cerbero, Falerno del Massico, Chimera Vini.

Una nuova e al tempo stesso antica etichetta veste il Falerno del Massico (vitigni Aglianico e Piedirosso) dell'Azienda Chimera Vini di Sessa Aurunca (Caserta). La raffigurazione in primo piano, la medesima dalla quale viene "estratto" il logo aziendale (che a dire il vero è piuttosto enigmatico se non spiegato), rappresenta un mosaico di antiche origini (probabilmente Roma Antica). Il produttore nel proprio blog, parlando di questa etichetta dice: "Il concept nasce dalla riflessione sul fatto che il Falerno è uno dei vini più antichi d’Italia, e ci giunge prezioso dal passato, nella sua unicità di sapore, profumo e colore. Volevamo accostarlo visivamente, quindi, a qualcos’altro che ci giunge di prezioso dall’antichità. La scelta è caduta su un mosaico; tipico reperto, che spesso viene ritenuto tra i Reperti di Gran Pregio. La mission dell’etichetta vuole essere proprio questa: comunicare al consumatore il fatto di avere tra le mani, qualcosa di unico e prezioso". Il concetto è chiaro: antico per antico, storia e quindi tradizione. Sia pure nella modernità delle tecnologie attuali nel produrre vino. Il principio è corretto: dal passato a oggi, portandosi dietro sapienza e competenza. Per quanto riguarda il nome, Cerbero, dice Wikipedia che "è entrato nella lingua italiana per esprimere, per antonomasia e spesso ironicamente, un guardiano arcigno e difficile da superare". In pratica Cerbero è un mostro canino a tre teste che sta a guardia dell'ingresso degli inferi. Si immagina invece che degustando questo vino si possa accedere metaforicamente al paradiso!
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Etichette Macchiate

storytelling nome bottiglia toscanaMacchiatonda, Rosato, La Corsa.

L'azienda si chiama "La Corsa", situata nel grossetano. Nome forse più adatto a un allevamento di cavalli da competizione, ma tant'è, una ragione ci sarà. Il vino in questione si chiama "Macchiatonda", non male, forse allude a un nucleo boschivo di macchia mediterranea che ha forma tondeggiante, o forse più maccheronicamente ad una chiazza di pomodoro sulla tovaglia. Il vino, si sa, ruota sempre attorno al cibo. E viceversa. In questo caso però la nostra disanima verte sulla grafica in etichetta, giacché il nome "Macchiatonda" male non è: originale, vagamente territoriale, foneticamente "danzante" tra vocali e consonanti in giusta misura e successione. La grafica in etichetta si diceva. Una scelta di colori e forme che compromette evidentemente la leggibilità del nome del vino (al centro) e quella del nome dell'azienda (in alto). In pratica l'arcaica e arcuata cornice rosato-metallizzata che contorna l'etichetta impedisce a tratti la leggibilità di alcune lettere. Potrebbe sembrare problema minore e invece dal punto di vista della notorietà e della diffusione del nome e del marchio rappresenta di fatto un ostacolo. Al quale sarebbe stato semplice ovviare con scelte di colori diversi o con una struttura del design migliorativa. Anche perché nel suo complesso l'etichetta appare piatta, uniformata e davvero poco interessante.

Predatori di Attenzione

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Bocca di Lupo, Aglianico, Tormaresca.

Raramente capita di assistere ad un commentario così esaustivo, a tratti romanzesco, come per questa etichetta di Castel del Monte (Aglianico) di Tormaresca. Il produttore attraverso una chart illustrata e scritta a mano vuole e riesce a comunicare quali sono i punti salienti dell'etichetta, sottolineando le motivazioni delle scelte grafiche e di design. Ed ecco che il quadro si completa, dal nome del vino alle illustrazioni dei luoghi, dalla storia legata al territorio a quella più ampia di "Enotria". Questo è il modo ideale per spiegare a clienti vecchi e nuovi quali sono le specificità del vino in oggetto, generando empatia, ricordo, affezione quindi "adozione" del prodotto e di tutto quello che riesce a rappresentare in termini di sensazioni ed emozioni.
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Suona schietto il nome "Bocca di Lupo" (soprattutto come elemento complementare di tutto il discorso), regge bene infatti, senza crepe concettuali, la presenza del lupo e si rivela ottima l'idea della moneta in rilievo alla base del packaging (dona preziosità). Si tratta di una nuova etichetta (quella in alto, commentata dalle scritte a mano) che prende il posto della vecchia, riportata qui a fianco. Una apprezzabile operazione di restyling-storytelling.

In Nome del Pater (e del Figlio)

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Semel Pater... (semper pater), Pinot Noir, Anselmet.

Sulle bottiglie di vino della Valle d'Aosta si trova la versione francese del nome della regione, cioè Vallée d'Aoste. Regione bilingue, molto vicina al confine con la Francia e quindi in teoria molto affine per cultura del vino. In realtà in Valle d'Aosta albergano da secoli anche molti vitigni autoctoni, spesso con nomi in francese, ma comunque specifici di quel piccolo luogo. In questo caso si tratta di un Pinot Noir (insomma, Nero) che attira l'attenzione per il suo nome, particolare per la "stesura" e anche per il significato: "Semel pater... semper pater". Questa la dizione completa. Che in etichetta si sintetizza, per ovvie opportunità grafiche e di comunicazione, in "Semel Pater". Il produttore, noto e stimato in valle, in Italia e nel mondo, fa sapere che "Semel Pater... sempre pater" (traduzione dal latino: "una volta che si diventa padre, lo si è per sempre") è un vino di nuova concezione ma di antica tradizione. Dedicato al padre Renato, fondatore dell'azienda, oggi ancora operativo a fianco del figlio Giorgio Anselmet. Padre e figlio, in perfetta sintonia ammettono, anzi ne fanno vanto, di essere andati "a scuola di pinot" in Borgogna. Con il bagaglio di trucchi del mestiere ed esperienza vitivinicola ottenuti oltralpe, hanno lavorato a lungo in vigna e in cantina per creare questo nuovo "figlio prediletto" dell'azienda, su territorio italiano ma con un po' di sangue francese nelle vene. Di padre in figlio quindi, con un nome particolare, come già detto, molto concettuale, evocativo, incipit di una storia (personale e famigliare degli Anselmet) che viene voglia di approfondire. 
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Ed è proprio questo il compito di una etichetta: portare l'intenditore nel territorio, nella storia, far comprendere la passione e la fatica che risiedono dentro alle sensazioni olfattive e gustative di un vino, nel magico momento della degustazione. Graficamente l'etichetta è molto classica, non concede molto credito alla creatività, al design, predilige la concretezza: afferma il nome di famiglia "Anselmet" in alto, in evidenza, come una sorta di garanzia-ombrello. Al centro celebra il nome (e in nome) del Pater, con l'aggiunta, alla base, di quel piccolo (come dimensione di stampa), grande vanto qualitativo che recita: "vin non filtré". Paternità francese, emozione latina. 

Burbero Toscano (e Umbro)

packaging grafica brand marketing branding marketing design packaging etichetteBurbero, Sangiovese-Cabernet, MorandiWine.

In Italia le parole "praticabili", cioè quelle note, regolarmente riportate dei dizionari, utili a denominare un vino, sono già molto inflazionate. L'Italia delle regioni però ha quella grande risorsa che sono le inflessioni dialettali. Caratterizzano, fanno "territorio", possono risultare ostiche per gli stranieri ma anche generare simpatia. Purché la fonetica non le penalizzi troppo. Fonetica intesa come pronunciabilità, in questo caso. Questo nome, "Burbero", sembra un gioco di lettere: "bur-ber-o" e così potrebbe risultare a un tedesco o a un americano. In toscana suona simpatico. Il produttore MorandiWine lo definisce così nel proprio sito web: "tipico aggettivo che viene usato nel dialetto toscano per indicare una persona che può sembrare scontrosa ma che conoscendola si rivela amabile". Amabile 
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non è il vino, frutto in prevalenza di Sangiovese con una piccola parte di Cabernet. Burbero quindi il prodotto, comunicativo il produttore, che sia pure con una parola presa dal "passato", dalla tradizione, si rivolge al proprio pubblico con piglio dinamico. Sull'etichetta (a destra in alto) troneggia il logo aziendale a tutto campo: una scelta di design forse esagerata, grossolana, ma in una fase di lancio del marchio (l'azienda è molto giovana), ci può stare. Da notare che esiste anche un altro Burbero (qui a sinistra), questa volta umbro, anch'esso da vitigno Sangiovese ma con Merlot e Ciliegiolo. A riprova che anche le parole dialettali non sono immuni del meccanismo (consigliabile) della registrazione e del brevetto. 

Barolo, Tartufi e Beagle

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La Tartufaia, Barolo, Giulia Negri.

Una delle tante Ragazze del Vino (fa "moda" e forse anche marketing), in questo caso in Piemonte, nelle pregiate Langhe, produce questo Barolo che come nome (sottonome a dire il vero) riporta "La Tartufaia". Certo il Barolo è un vino, tra i pochi, che può reggere un antagonismo gustoso come quello che lo metterebbe a contatto con piatti a base di tartufo. Ed è proprio per questo che il riferimento diretto al nobile tubero potrebbe "deviare" la percezione, evocando secrezioni salivari depistanti o quanto meno sensazioni distraenti. Il "concetto" di tartufo viene rafforzato dal logo aziendale, un cane. Per la precisione dovrebbe trattarsi di un Beagle, razza cara alla Regina d'Inghilterra, utilizzata più per la caccia che per gli annusamenti. Un cucciolo di Beagle per l'esattezza.
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Dicono che in comunicazione i cuccioli risultano attraenti e simpatici, sarà questa la ragione di questa scelta da parte dell'azienda, anche se, come detto in altri articoli, la presenza "animale" in etichetta non va a toccare corde positive nell'inconscio umano (tranne che per gli adoratori dei Beagle, naturalmente). Per quanto riguarda il design dell'etichetta, la classicità dei caratteri di scrittura, molto "graziati", e la carta goffrata non riescono a sdoganare il prodotto verso regioni semantiche moderniste. Per un Barolo ci può stare, ma anche il Re dei vini italiani avrebbe bisogno di un restyling concettuale. E le etichette (quelle di produttori illuminati) potrebbero fare da apripista.

Vini di Grotta

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Grottesco, Genazzano Bianco IGT, Schiavella.


design grafica comuniazione vinoDice Treccani on-line che Grottesco "è tutto ciò che, per essere goffo, paradossale, innaturale, muove il riso pur senza rallegrare". Di fatto la parola si riferisce in origine a pitture parietali dette "grottesche". Riguardo a questo nome, in un certo senso il produttore, nel sito aziendale conferma la tesi storica affermando testualmente che: "Le grottesche erano utilizzate nell'antichità il cui nome deriva dalle grotte del colle Esquilino a Roma, che altro non erano che erano i resti sotterranei della Domus Aurea di Nerone, scoperti nel 1480 e divenuti immediatamente popolari tra i pittori dell'epoca che spesso vi si fecero calare per studiare le fantasiose pitture rinvenute. Tra questi vi furono il Pinturicchio, Raffaello, Michelangelo e altri che in seguito diffusero questo stile". A questo punto che dire? Il termine è "giusto", sia pure attraverso un concetto allargato, ma l'accezione, nell'uso generalizzato, ha acquisito una valenza negativa. Questo ci porta a dire che a livello linguistico-comunicativo questo vino potrebbe incontrare ostacoli di percezione, a livello inconscio quanto meno. Il design dell'etichetta invece non presenta smagliature, anzi risulta gradevole, con una grafica sufficentemente originale per generare ricordo e attenzione (ci scusiamo per la scarsa qualità dell'immagine grande, ma è quanto è reperibile attualmente in rete).

La Poesia Sfaccettata del Linguaggio

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Coll'Amato, Sangiovese-Cabernet-Merlot, Belisario.

Andar per colli (ma non quelli famosi della nebbia piovigginosa che sale) con l'amato o l'amato colle di tradizioni lontane? Come lo si giri, questo poetico nome assegnato a un rosso marchigiano trasmette sensazioni suadenti e "morbide", poetiche e romantiche, grazie anche ad una fonetica dominata dalle "o", dalle "elle" e da una "emme". La parola "amore" (e tutte le sue derivazioni), inoltre, fa scattare subito reminiscenze d'affetti e facilita il compito della comunicazione in etichetta. Chissà quindi se il produttore intendesse alludere a un colle antico, amato da tutti, nel territorio vitato, oppure a romantiche passeggiate al tramonto in compagnia della persona diletta. In ogni caso, nonostante appartenga alla categoria dei nomi composti, forma un bell'insieme, con sonorità confortevoli e significati incisivi. Purché nessuno legga e intenda in primis "colla", perché le unioni amorose troppo forzate, magari da elementi di interesse o da fattori "esterni", non donano la gioia nemmeno con l'aiuto di un bicchiere di vino.

Un Tuffo nel Design "Alternativo"

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Ciuffa Style, Frascati Superiore.

Questa insolita etichetta ci offre l'occasione di esprimere alcune valutazioni su aspetti grafici e semantici del packaging. In primo luogo il nome, Ciuffa Style, che risulta dal cognome del produttore (Ciuffa) e da una parola inglese nel tentativo di rendere moderno il tutto. A parte il grande contrasto tra le due parole in esame, una italiana e molto basica, l'altra inglese e modaiola, si può notare che per scelta grafica "Style" è scritto in modo speculare, cioè al contrario. Scelta "dinamizzante", forse, nelle intenzioni del designer, ma discutibile per leggibilità e nell'insieme anche per gusto. Inoltre, ferma restando la soggettività del gradimento dei "buchi neri" su sfondo argento che caratterizzano la base dell'etichetta, notiamo che le scritte Frascati e Superiore si intersecano nei cerchi, non sempre in modo efficace dal punto di vista della comunicazione: in modo particolare per la parola "Superiore" stampata in toni cromatici ridotti. E infine il vero dilemma di questa etichetta: quello strano "tuffatore", o "nuotatore" che si vede stilizzato sulla destra che non riesce a trovare una ragion d'essere. Almeno ad una osservazione esterna, tipo quella che potrebbe avere un possibile acquirente di questo vino.

Nomi Intriganti (o Intricati?)

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Moalmàcie, Ribolla Gialla, Grandi Vigne (Iper).

Cosa siano le "Moalmàcie" non è dato a sapere. Sta di fatto che questo termine è diventato un nome di un vino, di una Ribolla Gialla per l'esattezza, commercializzata sotto il marchio privato di Iper (Gdo), Grandi Vigne. Probabilmente si tratta di una parola mutuata dal dialetto friulano, vista l'origine del vino e del vitigno soprattutto. Ma servirebbe la consulenza di un madrelingua e forse riusciremmo a dare interpretazione a questa contorta accezione. Foneticamente è un'ottima ginnastica per la lingua, anche in termini anatomici: "Moal", la prima parte, già costringe a strane smorfie, il seguito, "màcie", completa l'opera portando la mascella ad evoluzioni insolite. A parte l'umorismo, si tratta di un nome davvero difficile da leggere, pronunciare e ricordare! Forse è stato pensato per veicolare l'attenzione più sul marchio "cappello" Grandi Vigne, che sul vino stesso. Acrobazie del marketing?

Vini Italiani con Nomi "Stranieri"

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Sirì d'Jermu, Dolcetto di Dogliani, Pecchenino.

Non si tratta del noto sistema di riconoscimento vocale di Apple, che si chiama Siri. Non avendo trovato spiegazioni in rete ipotizziamo che, nel caso di questo Dolcetto di Dogliani, la prima parte del nome, "Sirì", sia una variante dialettale di "Sorì" che significa bricco, colle, in piemontese. Quello che viene dopo, "d'Jermu", comunque non aiuta la comprensione (di chi piemontese non è) e nemmeno la memorizzazione del nome. E' difficile anche da leggere, da pronunciare, oltre che da ricordare. La "J" gli accorda inoltre uno strano tono esterofilo che fa "cortocircuito" mentale con la comunicazione volutamente regionale e territoriale. Insomma messaggi discordanti veicolati con un nome quantomeno di difficile assimilazione. Prevale la parte e la volontà di far percepire il territorio, la genuinità, le origini, ma questo non deve rappresentare un limite nella divulgazione e nella praticità del nome. Del resto l'etichetta è gradevole, abbastanza originale, equilibrata e "pulita".

Qualità con il Sorriso

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Belato, Pecorino, Carminucci.

Strappa decisamente un sorriso questa etichetta in stile fumetto, dedicata a un Offida Pecorino della provincia di Ascoli Piceno nella regione Marche. Anche il nome è scritto in stile "disegnato" ed è decisamente simpatico: Belato. Quasi tutti i produttori di Pecorino giocano con il nome del vitigno (che in realtà è della famiglia di Greco e Grechetto) raffigurando pecore o agnelli. Questa azienda, oltre che rappresentare la pecorella "di ordinanza", è andato oltre decidendo di chiamare il vino "Belato" e quindi aggiungendo una nota ironica all'insieme. Come regola generale quando si vuole trasmettere un messaggio di qualità legato al prodotto vino, sarebbe meglio non scherzare troppo, insomma sarebbe meglio non "buttarla in ridere" ma la simpatia di certe soluzioni, ed è proprio il caso di questa etichetta, supera le barriere della seriosità e guadagna comunque favori.