In questo mondo variegato del vino italico si susseguono nomi stereotipati, allegorici, strani, insoliti, sfrontati, a volte anche adeguati, per fortuna. Qui ne abbiamo uno che è il frutto di una scelta davvero particolare: chiamare un vino “Bifolco”. Si tratta di una parola desueta che quasi nessuno pronuncia più. Ma sulla Treccani come su tutti i principali dizionari si trova ancora: “…singolare maschile (dal latino bubŭlcus, bufulcus). 1. Guardiano di buoi; chi lavora il terreno coi buoi. 2. Soggetto ignorante, zoticone, screanzato. 3. In astronomia, Bifolco, è altro nome della costellazione di Boote”. Prendiamo per buona la prima: guardiano/lavoratore con i buoi. Ma nella comprensione generale purtroppo emerge sempre in prima battuta il secondo significato qui esposto. E quindi? Potrebbe di conseguenza derivarne una comprensione non limpidissima, poco vantaggiosa, diciamo così. E la grafica in etichetta? Vediamo una mano nell’atto di afferrare qualcosa, mano realizzata con un fondo cielo stellato. Enigmatica quanto basta e poco legata al nome del vino. Se non vogliamo intendere che il contadino che lavora la terra lo fa sotto un cielo stellato (ma la terra si lavora di giorno, non di notte). Il logo dell’azienda è una rosa dei venti. Il pay-off (lo apprendiamo dal sito) è “gusto e tradizione dal 1917”. Per la cronaca ci troviamo sul Garda e i vitigni che compongono questo vino rosso sono il Rebo, il Merlot e il Cabernet.