La Felicità di Iniziare Tutto da Zero


Felicitas, Müller Thurgau, Mai Domi.

Innanzitutto il nome dell’azienda, che incuriosisce: “Mai Domi”. Esprime già una forza e una passione particolari, in due brevi parole. Alex Salvi è il titolare di questa piccola azienda che nasce dalla sua esperienza come “tutto fare” presso una nota azienda della Valle d’Aosta, Maison Anselmet. Bella e orgogliosa l’affermazione che si legge in home page del sito aziendale: “Nessun terreno ereditato, nessuna azienda viticola di famiglia. Nasce tutto da zero. Quasi per gioco”. L’etichetta che riveste questa bottiglia di vino bianco (100% Müller Thurgau, insolito per questa zona) è bizzarra: macchie gialle e rossastre su una carta preziosa, ruvida al tatto. Al centro il nome del vino: “Felicitas”, a proposito del quale il produttore scrive: “La felicità nel bere un buon bicchiere di vino, questo è Felicitas. Un Müller Thurgau diverso, intenso. Un mix di profumi di frutta matura che accompagna una beva elegante e golosa. Vino dai più disparati abbinamenti, trova il suo connubio perfetto con il risotto alla crema di porri”. In alto, sopra al nome del produttore (curioso il carattere di scrittura con la “A” aperta) troviamo il logo, che potremmo definire “tribale”. Comunque molto di sintesi e accattivante.

La Coerenza tra Etichetta e Racconto del Vino


Lamettino, Marzemino (Merlot e Sangiovese), Tenuta La Vigna.


Spesso il problema delle etichette dei vini è quello della coerenza con il contenuto della bottiglia. Cioè il (dover) ritrovare una certa corrispondenza “caratteriale” (che diventa percettiva) tra il vino, la sua storia, il suo racconto e quello che di fatto sono gli elementi del packaging. Utilizziamo questa etichetta dell’azienda Tenuta La Vigna di Capriano del Colle (Brescia) di proprietà di Anna Botti (nomen omen). La narrazione (nel sito internet aziendale) dice: “Leggiadria e freschezza, il Marzemino avvolge i sensi con i suoi profumi fruttati, la sua contenuta freschezza e il suo delicato carattere. Un vino vivace, fragrante, elegante, di grande equilibrio”. In etichetta vediamo colori tenui, riconducibili al violetto (con un po’ di verde), disegni armoniosi, gentili, sfumati, con l’immagine stilizzata di un uccello acquatico (sembra essere un Cormorano, chiamato anche “Lamettino”, nome che viene dato a questo vino). Si può dire che c’è corrispondenza. L’essenza del vino, le sue caratteristiche, sono rispecchiabili nell’etichetta. E questo aggiunge equilibrio, cioè credibilità, alla comunicazione. Nel complesso molta eleganza. Uno stile distinguibile che “fa squadra” con tutto il resto.

Cento Anni (e Forse più) di un Vino Vulcanico


Centorami, Aglianico del Vulture, Tenute Agricole Santojanni.

L’Aglianico del Vulture viene considerato come il Barolo del Sud Italia. Vino di grande spessore in tutti i sensi. In particolare, questo top di gamma dell’azienda Santojanni nasce da uve maturate il altura, a 721 m. Il suo nome è originale e attira l’attenzione: “Centorami”. E non si riferisce al ceppo della vite che pure di diramazioni ne ha moltissime (se non si frenano con una adeguata potatura). Come spiega il produttore nel proprio sito interet: “Quercia secolare, albero padre di questo territorio, Centorami è il maestoso spettatore della storia che mantiene in vita il legame con il nostro passato. Tre fratelli ritrovano la cura e la passione per un vino intenso, robusto, longevo come il Centorami”. Centorami e cento anni (come minimo) verrebbe da dire. E aggiunge sempre il produttore: “Ottenuto dalle migliori uve DOP di Aglianico del Vulture del nostro vigneto affinate in legno per 13 mesi, Centorami è un vino intenso, robusto e longevo come l’arbusto monumentale di cui prende il nome”. Interessanti due particolari grafici di questa etichetta: il perimetro superiore ed inferiore della carta, seghettato, e una stampa in oro attorno al fusto rappresentato in etichetta (dove dei bambini giocano ad arrampicarsi). Interessante anche l’analisi del logo (quello stemma rosso che si trova in basso a sinistra: mostra la Torretta di San Zaccaria che fa parte della masseria di famiglia, accompagnata da un muro che rappresenta le case rurali tipiche di quella zona e dalla stilizzazione di un bosco, quello della pineta del Malandrino, che circonda le proprietà agricole dell’azienda. Nel complesso un packaging originale che attira l’attenzione con elementi costruttivi.

Parole d’Italia, la Francia s’è desta


Invitare, Viogner, Chapoutier.

L’inequivocabilmente francese Monsieur Michel Chapoutier, il noto produttore della Valle del Rodano (Condrieu), ha deciso di dare un nome in italiano a uno dei suoi vini di riferimento. E’ tutto molto classico, nella modalità francese di fare le etichette (che anche in Piemonte adottano spesso): uno stemma in alto, ben evidente (tre botti, un alfiere, un luna, un sole, le colline…), il nome del produttore in basso (che ripropone lo stemma già citato) con il motto “fac et spera”: un po’ come dire “aiutati che il ciel t’aiuta” in italiano. Ma a noi interessa prevalentemente il nome del vino, al centro, con un’ottima rilevanza (in termini di gradezza): “Invitare”. C’entra con la buona tavola e il buon vino: se io ti invito a cena, l’atto dell’invitare è necessario, allora devo premurarmi di poterti offrire qualcosa di speciale (altrimenti ognuno a casa propria). Stupisce l’utilizzo dell’italiano in un luogo così profondamente francese come la Valle del Rodano. Invitare in francese si dice “inviter” e quindi la parola è facilmente interpretabile in entrambi i paesi. Un guizzo di italianità, insomma. E noi ne siamo fieri.

Uno Champagne del Sud, Forte e Delicato (con Cappello)


Osmose Rosé, Champagne, Mademoiselle Marg’o.

Un’etichetta che invita all’assaggio. Spumeggiante, primaverile, leggiadra, certo anche molto femminile. Una figura di donna con un copricapo a falda larga. Fiori, vegetazione, foglie che volano. Sguardo e cappello molto sfiziosi. Molto francese, insomma. E anche per i nomi l’immagine del produttore è andata verso il classico, l’intrigante, il romantico: “Mademoiselle Marg’o” è il nome dell’azienda guidata da Aurelie e Sonia, “Osmose Rosé” è il nome di questa cuvée a base Chardonnay con un pizzico di Pinot Noir vinificato in nero. Tutto insomma ruota attorno a una immagine bucolica, piuttosto stereotipata, certo, ma resa molto bene dall’illustrazione in etichetta e dalla delicatezza dei suoi particolari. Compresa la goffratura (lo spessore, in rilievo) della carta che sullo sfondo ripropone il tema vegetale. Insomma molto candore (di colore) con un po’ di malizia che male non fa. Bollicine birichine che allietano la tavola anche con la loro presenza scenica. Il resto lo farà il calice (rigorosamente in cristallo di Boemia).

Il Gallo Nero Sorveglia il Terreno


Le Tre Vigne, Chianti Classico, Terreno.

In questo packaging molto “casereccio” (o quanto meno così vuole apparire) troviamo l’elemento “nome dell’azienda” molto importante, come presenza. Al punto da poter sembrare il nome del vino. “Terreno” è quindi l’azienda, mentre “Le Tre Vigne” è il nome del vino (un po’ nascosto anche dalla traccia rossa che in realtà sarebbe servita ad evidenziare). A seguire la denominazione “Chianti Classico” e il nome della titolare dell’azienda: “Sofia Ruhne”. Sopra al nome aziendale troviamo uno scudo, un marchio, uno stemma, che riporta tre foglie di vite, una stella, un grappolo d’uva e una “R” al centro (iniziale del cognome della famiglia proprietaria). L’etichetta dunque è semplice, di quelle fintamente compilate a mano, che fa molto artigianalità, attività umane dirette. L’azienda risale al 1988 e dal 2014 è diventata biologica. L’impressione è quella di un Chianti (inteso come zona) contadino che ha ricevuto la spinta di investimenti importanti. E che si colloca a metà tra una logica tradizionale e un marketing attuale. Il Gallo Nero, sul collarino della bottiglia, veglia sulla genuinità del tutto. 

Il Grillo in Spagna Non è un Vitigno


Hop Hop, Syrah e Garnacha, El Grillo Y la Luna.

Una piccola azienda spagnola, quasi famigliare, nella zona del Somontano de Barbastro, alle pendici dei Pirenei, si diverte a creare etichette bizzarre che hanno sempre per protagonista un grillo (stilizzato). In questo caso, un vino rosso a base Syrah e Garnacha, il nome effettivo sembrerebbe essere “Hop Hop”. A simboleggiare in modo onomatopeico (diciamo così) il saltellare del celebre e simpatico insetto parlante estivo. Si tratta di una bottiglia decisamente giocosa che lascia poco spazio a nozioni e sensazioni tecniche, enologiche, gustative. C’è solo la simpatia, che cattura, certo, ma che non trasmette valori relativi ad affidabilità e competenza dell’azienda produttrice. Fino a che punto è giustificabile sacrificare la credibilità in favore dell’ allegoria? Non lo sappiamo. La misura è diversa per ognuno. Certamente il packaging di questa bottiglia è stato studiato bene e realizzato con eleganza e chiarezza. Il resto lo saltiamo, un po’ come fa il grillo, senza troppi complimenti. N.B.: il Grillo in Italia, e in particolare in Sicilia, è un vitigno. Tant’è che in prima battuta abbiamo pensato che ci fosse proprio quello in questa bottiglia!

Madre Terra, Creatrice della Semplicità


Gea, Pinot Nero, Il vino e le rose.

L’azienda che ha dato alla luce questa etichetta si trova sulle colline tortonesi, tra Tortona e Varzi, ed esattamente a Momperone. Si chiama “il vino e le rose” nome poetico, romantico, evocativo. E nel proprio sito internet si definisce come “produzione di vino e ospitalità rurale”. Nella sede vi sono infatti anche camere per la permanenza notturna. Il packaging design di questa bottiglia di Pinot Nero è molto interessante, a partire dal nome del vino, “Gea”, la trasposizione italiana del greco “Gaia” cioè terra. La Madre Terra è raffigurata in etichetta nelle sembianze di una donna mediterranea, mora. Dalle sue vesti, o propaggini, scaturisce un panorama fatto di campi, colture, vegetazioni. Il mood della grafica è molto semplice, “casereccio”, la donna non è particolarmente bella o sensuale, le scritte che accompagnano l’elaborato illustrato sono molto “di stampa”, piuttosto disordinate, diciamo più funzionali che eleganti. Ma il tutto ha una propria dimensione, un proprio stile anche se molto spartano. In alto a destra il simbolo chimico della SO2 viene barrato per narrare lavorazioni dure e pure.