Nu Go Quae, Nasco e Moscato Bianco, U Tabarka.
Un Fenicottero Esotico in una Enclave Ligure
Nu Go Quae, Nasco e Moscato Bianco, U Tabarka.
Un Mix di Rossi su Carta Arancione
Mixtico, Blend di Rossi, Le Gatte.
Questo vino della Doc Capriano del Colle (Brescia) nasce su un altopiano di circa 10 km quadrati (il Montenetto) con terreno prevalentemente argilloso, che si eleva (si fa per dire) sulla Pianura Padana fino a 133mt di altitudine. Quanto basta per assicurare alla vigne quello scorrere via dell’acqua piovana e di conseguenza dell’umidità che spesso nuoce alle uve. Bella questa etichetta “ottica” che si presenta con un arancione molto protagonista e con un nome originale del vino: “Mixtico”. Parola inventata, certo, operazione creativa ormai necessaria in ogni settore per distinguersi dal nugolo di nominazioni già registrate o tutte uguali a sé stesse. Mixtico sta a significare che in questo vino c’è un mix di vitigni (e anche il riferimento fonetico a “mitico” emerge chiaramente), ed esattamente Merlot, Marzemino, Sangiovese e Barbera. Da vigne nuove coltivate in un comprensorio aziendale di 15 ettari, fiancheggiati da maestosi boschi. Il nome del vino, in inchiostro bianco in rilievo, si staglia su un non meglio comprensibile fondo che potrebbe sembrare un disegno tribale o una cartina geografica solo accennata. Sotto troviamo il nome/logo dell’azienda, Le Gatte (oro su arancione, criticabile). Ancora più giù, alla base del packaging vediamo la scritta “La vita è troppo breve per bere cattivo vino”. Frase un po’ inflazionata ma che fa sempre il suo effetto. La firma sottostante è della “Famiglia Cirillo”, proprietaria della tenuta.
Il Cantiniere al Centro del Mondo
Pinot Noir, Ottin.
Siamo in una delle regioni più “indipendentiste” d’Italia, insieme all’Alto Adige, naturalmente. La differenza è che in Valle d’Aosta non fanno clamori, al limite utilizzano la lingua francese, a tratti differente da quella originale, per definire le proprie attività. Ed è quello che succede in questa etichetta del Pinot orgogliosamente Noir di Ottin, piccolo ma ottimo produttore del luogo, dove sotto al nome (cognome) aziendale leggiamo “viticulteur” (viticoltore, questo è facile) ed “encaveur”, termine di non facile traduzione se non approfondendo la ricerca tra le pieghe delle forme dialettali. In quella zona infatti, da “encavage” (cioè la “messa in cantina di prodotti enogastronomici), risulta come nome di colui che se ne occupa, cioè, potremmo dire, il cantiniere. Quindi Ottin si definisce, in etichetta, come “viticoltore e cantiniere”, fornendo quindi una garanzia in più sul controllo diretto di tutto il processo produttivo dei suoi vini. A conferma di ciò, la gentile (fin troppo esile) illustrazione al centro del packaging vede un omino chino nell’atto di spostare una botte, probabilmente per sistemarla opportunamente in cantina. L’opera, appunto, del cantiniere che in questo caso è stato anche viticoltore ed enologo. Bella la semplicità di questa etichetta: pochi elementi, alcuni evidenziati dal croma rosso, su un fondo di carta goffrata, spessa al tatto, valorizzante. La piccola Valle d’Aosta si fa notare.
Il Leone Unghiato di un Sangiovese Soleggiato
Pinocchio e una Fata, nel Sole, tra i Castelli
La CapoVolta, Verdicchio, la Marca di San Michele.
Il mantra filosofico e di marketing di questa piccola azienda biologica marchigiana è “Solo cru. Un vigneto, un vino”. Niente male. Un’affermazione forte, deliberata, che conduce la narrazione verso un aspetto qualitativo fondante, per la produzione di buon vino. Siamo in Contrada San Michele, a Cupramontana, grazioso paese in provincia di Ancona. 10 ettari di vigne e una serie di etichette sorprendenti, tra le quali questa che portiamo in visione. Il nome del vino è “La CapoVolta”, forse riferito a qualche dinamica di produzione (macerazione sulle bucce, sei mesi sui lieviti), forse a qualche struttura storica della cantina. Sta di fatto che il packaging di questo Verdicchio dei Csatelli di Jesi si fa notare: una leggiadra figura femminile vestita di rosso fugge via verso l’orizzonte. In primo piano un ricordo di Pinocchio col suo bel naso lungo. Eppure le bugie hanno le gambe corte, dice il proverbio. Certo la “V” maiuscola del nome “La CapoVolta” qualcosa dovrebbe significare. Mistero. Favola. Racconto (che manca, nel sito del produttore, speriamo in aggiornamento). E il vino? Costoso, ma (dicono) molto buono, soprattutto con certe ricette di pesce di grande consistenza materica e palatale.
Sotto al Vulcano, Sopra il Mare
Mareneve, Blend di Bianchi, Federico Graziani.
Dice Federico Graziani che “il vino non deve essere perfetto, deve essere vero”. Si può essere d’accordo con questa affermazione oppure no. Quello che rimane è la sensazione, ora et semper soggettiva, all’assaggio. Sicuramente questo blend di vitigni coltivati a 1200 mt. s.l.m. sulle pendici dell’Etna comunica tanta freschezza e un mare di qualità. Lui, il produttore, parla di freschezza di montagna (“a muntagna”, come viene chiamato il vulcano da quelle parti) e di salinità del mare. In etichetta spicca un nome originale, “Mareneve”, che esprime proprio questo stacco geofisico laddove i due elementi si accomunano e rendono il clima davvero unico. Spicca anche, nel packaging, il profondo azzurro cromatico dell’illustrazione in primo piano. Opera di arte contemporanea dove ognuno ci vede quello che vuole o che può. Noi ci vediamo delle stelle, ma tutto è relativo quando la natura suggerisce e l’uomo recepisce. In buona sostanza un piccola produzione animata dalla passione. Certo che l’esperimento in alta quota è venuto bene. E sono soddisfazioni.