Un Fenicottero Esotico in una Enclave Ligure


Nu Go Quae, Nasco e Moscato Bianco, U Tabarka.


Il nome di questo vino incrocia la propria genesi con la storia di almeno tre territori. Genova (per l’esattezza, il quartiere di Pegli), Tabarka, città della Tunisia al confine con l’Algeria, e la Sardegna dell’estremo Sud-Ovest. Andiamo innanzitutto al significato (secondo quanto scritto nel sito del produttore): “Il nome Nu Go Quae, in dialetto carlofortino “non ho voglia”, deriva dal nome del Quae (voglia), vino da uve stramature realizzato dalle medesime uve ma in chiave passito e decisamente dolce”. In sostanza “Da alcuni atti legali, è accertato che parecchi cittadini pegliesi emigrarono fondando piccole colonie in: Corsica, Sardegna, Sicilia, Alessandria d’Egitto, Provenza, Catalogna e un po’ ovunque per il Mediterraneo. Nel 1544 Carlo V concede alla famiglia Lomellini l’isola di Tabarka al largo della costa tunisina, per praticarvi la pesca del corallo e il commercio in generale. Dato il numero di ville e la loro ubicazione in Pegli probabilmente i Lomellini erano i più autorevoli nobili del paese. Dovendo colonizzare l’isola si rivolgono quindi alla popolazione pegliese, sempre aperta a nuovi sbocchi commerciali. A Tabarka i coloni vendono il corallo ai Lomellini. Le perdite economiche dovute ai saraceni, la diminuzione del banco corallifero, le incursioni corsare, l’eccesso di popolazione, fanno divenire meno attraente l’isola. Già nel 1736, quando Carlo Emanuele III° decide di valorizzare la Sardegna, un gruppo di tabarchini guarda con molto interesse l’isola di S.Pietro. In accordo con il Vicerè di Cagliari si pianifica l’arrivo di 300 coloni nella nuova terra. Nel 1737 si ipotizza l’arrivo di 700 nuovi tabarchini con la promessa di poter commerciare il corallo con lo stesso trattamento economico fatto dai Lomellini. Viene stabilito entro la primavera del 1738 l’arrivo dei tabarchini”. In pratica, si tratta di un dialetto ligure parlato ancora oggi in questa enclave sarda (Carloforte, Calasetta e Sant’Antioco). In etichetta, a parte l’originale nome, vediamo la sagoma stilizzata di un fenicottero (specie che popola l’Isola di San Pietro e dintorni).