I Cinque Cavalieri dell’Apocalisse (dal Sud con Ardore)


Edizione Cinque Autoctoni, Blend di Rossi, Fantini.

Per l’annata 2022 Fantini esce con una etichetta davvero particolare: in morbido “velluto”. In pratica la carta del packaging frontale è realizzata con un materiale sintetico che la rende vellutata al tatto. L’originalità di questo vino non inizia (e non finisce) qui: si tratta di un progetto di ampio respiro che merita di essere raccontato. I vitigni che compongono questo vino sono 5 (come afferma il nome stesso, che troviamo in alto nell’etichetta) e sono tra i più importanti del Sud Italia: Montepulciano, Sangiovese, Primitivo, Negroamaro e Malvasia Nera. L’idea di metterli insieme nasce nel 1996: durante un incontro tra “addetti ai lavori”, cioè tra Valentino Sciotti, oggi direttore della “Farnese Group”, Filippo Baccalaro, enologo del gruppo, Hugh Johnson, famoso giornalista del mondo del vino e Jean Marc Sauboua, enologo francese. In quella occasione, Hugh Johnson lanciò l’idea di creare un grande vino del Sud Italia, realizzato con i migliori vitigni di questo territorio. Ed ecco nascere e perdurare nel tempo l’Edizione Cinque Autoctoni, coltivati nei comuni di Colonnella, Ortona, Sava e San Marzano. Le uve Montepulciano e Sangiovese provengono da vigne abruzzesi poste a 300 mt. s.l.m. Mentre le altre varietà, Primitivo, Negroamaro e Malvasia Nera, sono coltivate in Puglia. Sul velluto blu di sfondo, tutti i particolari sono in oro: nome del vino, riproduzione dell’edificio della sede, firma dell’enologo, annata e nome aziendale. Sul collarino è appeso un cartaceo con il racconto del vino. Un’edizione speciale che fa lustro di sé.

Con le Mele Stiamo a Zero


Zerozzante, Succo di Mela, Raumland.

Grande e nota azienda tedesca più celebre per il “Sekt”, lo spumante germanico che tenta di essere qualcosa di somigliante al nostro Prosecco. Qui si presenta una versione particolare di succo di mela frizzante, senza alcool. Per cui: non è vino e non è nemmeno un succo alcolico. Il tutto viene sancito da un nome quasi imbarazzante: “Zerozzante”, scimmiottando le due parole italiane “zero” e “frizzante”. Per quanto riguarda “zero” ormai in uso concreto anche in inglese e francese (zero dosage et affini). Frizzante invece diventa simbolo di spigliatezza, aperitivezza, giovinezza, anche più di “spumante”, che viene ormai ritenuta parola “vecchia”. Ed ecco qui un fantastico succo di mela rossa, tutto naturale, dove la sola soddisfazione palatale viene probabilmente delegata all’equilibrio tra acidità e dolcezza. Una specie di Champagne fruttarello. A parte il nome il resto del packaging design non è affatto male: carta preziosa, illustrazioni ben fatte, equilibrio degli elementi, chiarezza dei caratteri di scrittura. C’è pure un accenno di inchiostro dorato per dare un tocco di percepibile valore commerciale, oltre che ingredientistico. Che dire?  Un mondo fantastico!

Una Dea della Fertilità e un Sarto, in Val di Cembra


Frau Pèrtega ed El Piceno, Schiava e Müller Thurgau, La Campirlota.

Elisa e Paolo hanno “messo su” La Campirlota (nome dell’azienda vinicola e molto altro). In una zona rurale della Val di Cembra si occupano… di vivere in simbiosi con la natura (e con asini, carpette, cani, gatti e tutta la biodiversità possibile). Producono, per ora, solo due vini, un bianco e un rosso. Le etichette sono state disegnate da una amica illustratrice e personificano due leggende del posto, ben raccontate (e qui riportate) nei ripetitivi retro-etichette: “La figura più emblematica delle leggende cimbre, la Frau Pèrtega, vive a Luserna, in una profonda grotta sul precipizio che domina la Valdastico. Qui, all’interno di grandi botti colme d’acqua, custodisce i bambini che devono ancora nascere. Una dea della fertilità, custode di un legame profondo con la madre terra. A lei abbiamo voluto dedicare la nostra Schiava, un vino rosato fresco e fruttato, un vino da compagnia, da bere insieme. Ma non lasciarti ingannare dalla sua freschezza: la sua storia ha radici profonde, quelle delle vigne da cui proviene, che sulle spalle portano quasi un centinaio di primavere”. E poi: “Un sarto protestante di origini svizzere che lavorava a servizio dei signori del castello di Segonzano. Gobbo e piccolotto, ma straordinariamente abile nel creare abiti meravigliosi. Ecco chi era El Picena, protagonista di un’antica leggenda cembrana. Un sarto ribelle, che pagò con la vita la propria libertà: cadde da un fico cresciuto su uno strapiombo mentre fuggiva dai padroni che volevano costringerlo a convertirsi alla religione cattolica. Il nostro Müller Thurgau è un po’ come El Picena: vino aromatico e decisamente sapido, schietto e sincero ma mai arrogante. Coltivato interamente a mano, cresce su terrazzamenti arditi e lotta tenacemente per restare fedele alla propria identità”. Due storie all’interno di una storia più grande, fatta di passione e condivisione. Complimenti e avanti così.

Una Turbiana che Vuol Fare la Preziosa


Lugliet, Lugana, Cantina Loda.

Questa cantina bresciana con sede a Pozzolengo sceglie uno stile pulito ma anche a suo modo originale, per le proprie etichette. L’iniziale del nome del vino, infatti, viene evidenziata al centro del packaging nella forma maiuscola, con all’interno della quale una texture di trame che potrebbero ricordare i tralci superiori di una vite. Quello che sembra è uno “scarabocchio” ma che non entra in conflitto con il resto della grafica, anzi, attira l’attenzione con quel pizzico di originalità che mai nuoce a una etichetta di una bottiglia di vino. Originale anche il nome di questo Lugana (o Turbiana che dir si voglia): “Lugliet”. Potrebbe far pensare al mese di luglio, essenziale per la maturazione di queste uve, ma in realtà si tratta del nome geografico/dialettale della vigna relativa alle uve di Lugana dalle quali nasce questo bianco sapido del Lago di Garda. In alto leggiamo il nome, con stemma, della cantina (governata dai fratelli Umberto ed Egidio Loda), in basso le diciture di legge, l’annata, e la doverosa precisazione “vino biologico”. La carta dell’etichetta è di quella tipologia che si definisce “goffrata”, cioè con una trama in rilievo che piace al tatto e che impreziosisce la percezione in generale.

Soffia un Vento Antico e Nuovo in Valtellina


Boffalora, Nebbiolo delle Alpi.


L’azienda e quindi, in un certo senso, la linea dei vini, si chiama Boffalora, nome che viene così commentato dal produttore Giuseppe Guglielmo (nome e cognome): “L'azienda è nata nel 2002. Il nome “Boffalora” nasce dal toponimo di una delle vigne principali dell’azienda e richiama il soffiare del vento: in Valtellina i venti si chiamano Breva e Tivano, di giorno dal lago di Como sale la Breva e di notte in senso opposto scende il Tivano”. Quindi “Boffalora” sta per “boffa” (soffia) “l’ora” (nome del vento, in generale nel nord Italia, che a una certa ora sale da sud come accade alla vera e propria “Ora del Garda”). I vini del Beppe (così viene chiamato in Valle) sono 4 + 1 e hanno tutti dei nomi particolari: i quattro rossi in fotografia, a base Nebbiolo (delle Alpi), più, dal 2021 un rosato in anfora che si chiama Anforosa (crasi molto interessante dal punto di vista semantico). Ma vediamo i nomi in dettaglio: Pietrisco, il top di gamma, immaginiamo che il nome derivi dal tipo di terreno dove viene coltivata la vigna, che in etichetta mostra un antico papiro commerciale della zona; Umo, che sembra derivare da “Uomo” (nobile incontro tra Uomo e Natura, dice il produttore); Runco de Onego, che nasce da una citazione in latino: “Noi, Garaldo e Grima vendiamo la vigna in loco et fundo Andevenno a locus ubi dicitur Runco de Onego…” (da Codice Diplomatico Longobardo, A.D. 1035); la Sàsa, Riserva da vendemmia tardiva a 700mt. S.l.m. Nell’ordine, in queste ultime tre arcaiche etichette, vediamo, un tavolo con calice e bottiglia con lo sfondo del paesello, uno scarabocchio che riproduce una faccia cherubina e un viso triste ma vendemmiante. Scelte a volte bizzarre da parte di un vignaiolo vero e sincero come i vini che produce.

Bacco e il Suo Leopardo, a Cavallo di una Mitica Epoca


Pella, Cabernet Sauvignon, Pella Wine.

Il nome di questo vino rosso che viene dalla Napa Valley ha origini lontane. O meglio, origini diverse: una molto vicina ai due titolari e produttori, Kristof Nils Anderson e sua moglie Jennifer, ovvero la figlia maggiore che hanno deciso di chiamare “Pella” (sì, Pella e non Bella). Ma naturalmente c’è di più, ed esattamente una antica città della Grecia, nella regione della Bottiea, nella Macedonia greca (vicino a Salonicco). Pella fu sede dell’Impero e città natale di Alessandro Magno. Nel 1953 sono iniziati una serie di scavi che ancora oggi stanno portando alla luce mirabolanti opere artistiche di 2000 anni fa, tra le quali il mosaico di un Bacco a cavallo di un leopardo che Pella Wine ha deciso di utilizzare come immagine per l’etichetta di questo vino. La straordinaria scena artistica è stata ritrovata sul pavimento di una villa rinominata “Casa di Dioniso”. Sicuramente per decidere tutto ciò (nome ed etichetta di questo vino) i produttori devono aver accumulato una grande passione per il mondo dell’Antica Grecia e per i suoi miti. Questo Cabernet Sauvignon, del resto, è molto prezioso, ambizioso e raro, visto che se ne producono solo circa 500 bottiglie per ogni annata, diventando anch’esso un mito come il racconto e la cultura che raffigura.


Un Vero Vino Libero (Altro che Chiacchiere)


Libero, Blend di Rossi, Az. Agr. Casagori.

Questo vino prodotto a metà strada tra Montalcino e Montepulciano può considerarsi davvero “Libero”. Lo è di nome, innanzitutto, lo è l’etichetta, molto spartana, semplice, diretta, con quel carattere di scrittura corsivo, appena tracciato e tutte quelle “caravelle volanti” che donano sensazioni di leggerezza, di alterità, di gioia e spensieratezza. E’ un vino libero anche per il fatto che viene prodotto in regime biologico. Vediamo cosa recita in propostito il sito internet del produttore: “E’ il vino Libero di Casagori. Sincero e leggiadro come il vento che spira tra questi filari. Fermentato grazie a lieviti indigeni senza controllo della temperatura con un 5% di raspi interi. Dopo una lunga macerazione pellicolare, il vino affina per 12 mesi in tonneaux da 500 lt di rovere francese, esausti”. Un po’ di poesia, nel descrivere un vino, non guasta mai. Ma anche qualche dovizia tecnica per i più avvezzi. L’azienda si trova a Pienza e in tutta la proprie comunicazioni manifesta una certa genuinità di intenti e di di filosofia. Le etichette si fanno notare per questo tratto (anche quello relativo alla parte illustrata) immediato, quasi bambinesco, davvero poco serioso, mancante quindi di credibilità “tattica”, ma dotato di molta empatia. Il vino, come la sua comunicazione, deve essere sempre un’alchimia di elementi. Che portano ad un assoluto che sfocia nel bicchiere e nel godere, del  buon bere.

Un Castello Molto Rappresentativo, in Due Tratti


Peverelli, Rossese di Dolceacqua, Mauro Zino.

In questo caso quello che potrebbe sembrare il nome del vino è in realtà una zona vitata di particolare pregio: Peverelli. Situata proprio sopra all’abitato di Dolceacqua, a 400 mt. S.l.m. Particolare il nome del vitigno: Rossese di Dolceacqua. Molto localizzato, perché solo lì attorno rende bene a livello qualitativo, nonché viene “autorizzato” dal relativo disciplinare. Che dire di una località che si chiama Dolceacqua, che si trova a pochi chilometri dal mare e che produce ottimo vino? Uno scherzo della topografica e della storia di quei territori. Chi è stato a Dolceacqua, uno dei più borghi più belli d’Italia, non può dimenticare il castello che troneggia sul paese. Emblema anche di questa etichetta che lo rappresenta in modo molto schematico, in linguaggio tecnico, stilizzato. E che stile! Con due o tre tratti di pennello ecco tracciato in basso il corso del fiume, e in alto il perimetro del castello (che fu della casata dei Doria). Altri due brevi segmenti “dipingono” le feritoie o le finestre della torre. Estrema sintesi, che di solito sfocia in bellezza. In questo caso lo ha fatto, con eleganza anche dei colori, laddove le tinte scure aumentano la percezione di qualità (questo in generale, ma non è una legge assoluta). L’azienda vinicola, evidenziata in alto a sinistra, con uno scudo e il sottostante nome del titolare, è davvero piccola, come le produzioni di quelle scoscese colline. Particolari e peculiarità che solo nel Bel Paese si possono ancora trovare.

Vini Atletici con un Marketing Ben Allenato


Les Athlètes du Vin, Gamay, Vin Be Good.

Si tratta di un distributore nato nel 1999 che seleziona produttori, spesso piccoli, e produzioni che ritiene possano risultare di successo presso un pubblico comunque appassionato. Opera prevalentemente con i vini della Loira e propone una gamma di etichette con il comune denominatore degli sport olimpici, disegnati in modo “fumettoso” e quindi divertente. Ginnastica artistica, canoa, judo, ma anche attività ludiche come il surf o il salto con la corda. Nel caso di questo Gamay troviamo una ballerina con un gonnellino rosso fatto di bottiglie. Rosso come il vino che contiene questa bottiglia e che, con leggerezza, si rivolge agli amanti dei rossi delicati e poco invasivi a livello palatale. Questo packaging fa parte senza dubbio di quel genere che induce al sorriso, alla simpatia, allo scherzo, perdendo qualcosa in termini di credibilità “tecnica” ma guadagnando i favori di chi cerca anche la parte relativa all’evasione, nel portare in tavola un vino e successivamente nel degustarlo. Il nome di gamma, “gli Atleti del Vino” lascia presagire l’apprezzamento per distinte caratteristiche che ogni vitigno e assemblaggio può costituire. E induce a generare nel consumatore la volontà di provarli tutti. Anche questo è marketing.