5 Soli Colorati che Illuminano un’Idea


Barbera, La Travaglina,

L’etichetta di questa Barbera che sta alla “base” dell’offerta dell’azienda pavese “La Travaglina”, sottoposta al giudizio di varie persone, riesce a raccogliere sensazioni e valutazioni diverse ma sempre positive. E’ la dimostrazione che anche un packaging semplice, per quanto riguarda la realizzazione, i colori, la carta, può riuscire ad attirare l’attenzione e a svolgere così la sua importante funzione: distinguere il prodotto. Il vino non ha nome (sarebbe meglio lo avesse, anche nei casi come questo, di bassa gamma), il fondo è scuro, dona eleganza. Una cornice arancione “contiene” gli altri elementi. Diciture di legge a sinistra con un carattere molto basilare. In basso il nome/logo dell’azienda. Ma il fulcro di tutto questo è quella illustrazione nella parte alta a destra: apparentemente 5 grovigli colorati senza arte né parte. E invece. Quei cinque gomitoli cromatici (giallo, arancione, viola, azzurro e verde) per alcuno sono 5 soli che illuminano la campagna dall’alba al tramonto. Per altri, per molti, sono invece gli acini di un variopinto grappolo d’uva. Fin troppo facile. Resta la prova che l’artefatto, volutamente non definito, non completo, suscita curiosità, interesse, genera memorabilità. Cosa può fare un’idea… anche molto semplice, ma originale al punto giusto. E pure senza spendere molti soldi.

Un Rinoceronte Corazzato per Dare Forza alla Comunicazione


Cà’ di Pian, Barbera d’Asti, La Spinetta.

Questo vino iconico, produzione della nota casa vitivinicola “La Spinetta” di Castagnanole delle Lanze (Asti), si ispira, col suo nome, a una zona di coltivazione. Il nome del fondatore di questa cantina, invece, è “Pin”, Sarebbe Giuseppe Rivetti che con la moglie Lidia fondò l’azienda negli ani ‘60. Ma quello che ci interessa veramente è “Il Rinoceronte”. Chissà quanti ammirati (per l’indiscutibile qualità del vino) avventori si sono chiesti: “Cosa ci fa un rinoceronte afrcano sulle etichette di un produttore piemontese?”. Ed ecco finalmente l’interessante, colta, nozionistica ma anche artistica e coinvolgente risposta che troviamo nel sito dell’azienda: “La scelta di raffigurare sull’etichetta dei nostri vini l’immagine de “Il Rinoceronte”, l’opera di Albrecht Dürer, è determinata dall’ammirazione di Giorgio Rivetti verso questo artista tedesco. L’opera “Il Rinoceronte” rappresenta l’arrivo di un rinoceronte indiano a Lisbona, in Portogallo, nel 1515: il primo animale del suo genere ad essere mai visto in Europa. Dürer ne realizza un disegno e un’incisione senza mai essere stato spettatore di quell’evento. Eppure il disegno e l’incisione sono così verosimili all’originale, che diventano oggetti d’ispirazione per gli illustratori europei dei 300 anni a seguire, anche dopo aver visto rinoceronti in carne e ossa, senza lastre e squame presenti invece nel disegno dell’artista”. Spiegazione affiancata da una bella sintesi filosofica: “L'abilità di Albrecht Dürer di realizzare un'opera cominciando da una semplice descrizione, può essere paragonata alla capacità dell'agricoltore di concretizzare un'idea”. Ed ecco creato il simbolo, oggi ben conosciuto, dei vini della famiglia Rivetti. Nelle etichette sempre presente, al centro, su fondi cromatici uniformi, con soluzioni grafiche semplici, chiare, lineari. Un packaging distintivo che viene comunicato con forza e coesione.

Amarcord e Amaracmand: Formule Magiche di Simpatia


Imperfetto, Sangiovese Amaracmand.

Siamo in Romagna, esattamente a Sorrivoli di Roncofreddo (che già come nome promette bene), e il dialetto locale è quello che ci ha insegnato il Maestro Fellini, ed esempio con il suo film “Amarcord”. Che in dialetto significa “mi ricordo”. Così come il nome di questa azienda, “Amaracmand”, significa, “mi raccomando”. Il vino in questione si chiama “Imperfetto” e trova un suo rational nelle parole della coppia di produttori, come si può leggere tra le pagine del sito internet: “Primo progetto enologico di Amaracmand, nasce dalla convinzione di Marco Vianello e della moglie Tiziana che: “L’imperfezione è soggettiva. Nessun vino è perfetto quindi nemmeno i migliori lo sono. Sono le loro imperfezioni a renderli unici, è l’imperfezione che crea lo stile”. E la raffigurazione in etichetta? Incuriosisce. Due volti al tratto, appena accennati. Un uomo e una donna che si baciano. A proposito di questo, i produttori, con una nota romantica affermano: “ In etichetta una coppia di amanti perché è l’amore a dar vita a questo come a tutti i vini dell’azienda”. Un’etichetta che attira l’attenzione, con poesia e passione. Molto particolare le “sporcature” cromatiche in rosso: delle macchie di colore, rosso-vino, che “timbrano” il packaging aggiungendo una nota in più di originalità. 

Dalle Montagne Austriache alla “Muntagna” di Catania


Contessa del Vento, Carricante, Theresa Eccher.

Che nome (aziendale) strano, Theresa Eccher, per essere sulle pendici dell’Etna. Sembra, anzi, é, un nome Austriaco… Ed ecco infatti la spiegazione che troviamo nel sito internet di questo produttore “siciliano”: “Theresa Eccher è prima di tutto una famiglia: persone che condividono una storia, un’idea, un progetto. Le origini si trovano in un tempo lontano, la fine del 1700, in Val di Non: un luogo che allora era Austria. La leggenda parla di una bella vedova, Marianne, proprietaria di un’osteria. Lorenz Eccher scende dalle natie montagne di Laurein e la incontra. La sua corte è serrata. Lei non è indifferente alle avances del giovane. Si sposano. E da li a poco Lorenz e la sua Marianne cominciano a produrre il vino che vendono. E quando, ai tempi nostri, Daniela Conta Eccher e suo marito Andrea Panozzo decidono di convertire la comune passione per il vino in una scelta di vita, non possono fare a meno di ricordare la nonna di Daniela, Theresa Eccher. A lei intitolano il loro progetto, che trova realizzazione sulle pendici del vulcano Etna, a circa 800 metri di altitudine. È a Solicchiata, nel vocato versante Nord, che si trova un vigneto antico, messo a dimora prima che la storica epidemia di Fillossera uccidesse buona parte degli impianti europei e, quindi, anche etnei. Daniela e Andrea se ne innamorano e infine riescono ad acquistarlo. È il vero inizio. La storia di oggi parte da qui, e coinvolge anche Ginevra, figlia di Daniela e Andrea”. Ma parliamo di questo vino, che tra la non ampia gamma di Theresa Eccher, ben rappresenta un Carricante in purezza: si chiama Contessa del Vento, bel nome, evocativo degli elementi del meteo, quindi della natura, con un accenno ad una nobiltà soprattutto d’animo e logicamente anche di tradizione vinicola. Va da sé che in moltissimi casi famiglie nobiliari hanno fondato e tramandato attività vinicole importanti. La Contessa in questione si avvale della raffigurazione del Vulcano, a Muntagna, come lo chiamano in provincia di Catania, con un pennacchio azzurro. Alla base, sopra al nome aziendale, una bella corona stilizzata. E la mutazione da nord a sud è compiuta. In nome del vino.

Lo Chardonnay di Cà’ del Bosco ha un Nuovo Nome


Selva della Tesa, Chardonnay, Cà’ del Bosco.

Parte così il racconto storico aziendale nel sito internet di questo grande produttore franciacortino: “La nostra storia inizia quando Anna Maria Clementi, madre di Maurizio Zanella, acquista Ca’ del Bosco, una piccola casa in collina a Erbusco, due ettari di proprietà immersi in un fitto bosco di querce e castagni”. I vini di questa nota cantina che hanno conquistato fama internazionale sono altri (in particolare le bollicine della Cuvée Prestige e del top di gamma intitolato alla celebre fondatrice). Ma qui intendiamo questa volta prendere in esame un vino meno conosciuto, uno Chardonnay in purezza che si avvale di 7 parcelle diverse, e che si chiama Selva della Tesa. Il nome, nuovo dal 2019, si riferisce al bosco che circonda il vigneto della Tesa, tra i primi, alla fine degli anni ’70, ad essere piantato, per circa mezzo ettaro di viti, collocato in una zona nascosta e protetta da un fitto bosco, vicino alla sede storica di Ca’ del Bosco. Il nome di compone di parole “nobilitanti” come altre volte abbiamo letto su etichette di vini costosi: “selva” e “tesa” sono espressioni tra il poetico e il forbito, sicuramente evocative. L’etichetta, graficamente è minimalista, molto semplice, pochi elementi, fondo scuro. Campeggia a sinistra, in colonna, il nome del vino (la lettura risulta non immediata), al centro un’asta arancio/dorata (davvero di sintesi, diciamo così), mentre in basso a destra troviamo il logo e il nome del produttore con l’indicazione del numero della bottiglia (in questo caso la n.1 perché la foto è stata presa dal sito del produttore ed è unicamente di riferimento).

Un Jambon del Beaujolais con Tanto Amore


Une Tranche d’Amour, Gamay (Beaujolais), Jambon/Lotrous.

Philippe e Catherine Jambon hanno fondato la loro tenuta a Chasselas, nel Beaujolais settentrionale, nel 1997. Nel corso degli anni hanno acquisito 3,5 ettari di micro-appezzamenti sparsi nella zona. Fin dall'inizio, la loro filosofia è stata la stessa: coltivare i vigneti con cura e senza prodotti chimici e produrre vini senza sostanze “addizionali”, dedicando loro il tempo necessario in cantina, in botte e in bottiglia. Le loro bottiglie sono difficili da trovare ma possono generare ottime sensazioni palatali. Jambon, il cognome della famiglia, abbiamo detto… ed è forse per questo che nella semplicissima etichetta del loro Sant’Amour (che si chiama, appunto, “Une tranche d’amour”), in alto, campeggia una trionfante testa di maiale, probabilmente anche come consiglio gastronomico per questo Gamay, vitigno davvero ancora poco valorizzato e apprezzato. Il fondo dell’etichetta somiglia proprio a una di quelle tovaglie che si trovano ancora oggi nelle trattorie francesi (e anche italiane, certo). Segno di genuinità, di “credibilità” contadina, e automaticamente di qualità originaria. Certo non possiamo parlare di eleganza… una eleganza che possiamo recuperare nel vino, questo sì.

Memorie Contadine in un Nuovo Percorso Aziendale


Curù, Nero d’Avola, Musanegra.

Per la serie, ormai davvero nutrita, delle etichette molto colorate, ecco un Nero d’Avola rosato coltivato e prodotto in Sicilia, a Castelvetrano, in provincia di Trapani. L’azienda è di quelle che vuole porsi sul mercato in modo giovane e moderno: tutte le etichette della gamma sono molto fantasiose (visibili nel funzionale ed elegante sito internet www.musanegra.it). Questa in particolare, che veste il rosato di nome “Curù”, ci ha colpito per la bella, originale e coraggiosa rappresentazioane dei fichi d’india, che vediamo nell’illustrazione subito ai lati della parte centrale con il nome del vino. Le foglie e i frutti dei fichi d’india sono infatti molto colorati, quasi dei fuochi d’artificio naturali. Un commento particolare va al logo e al nome aziendale: “Musanegra”. Evidentemente si tratta di un nome scelto prima delle più recenti disquisizioni sulla correttezza della dizione “nera” o “negra”. Bella la raffigurazione di profilo di un viso di donna coronata. Va detto che la storia dell’azienda parte da Giuseppa Musacchia, nonno Pé per la famiglia, che ha acquistato i primi vigneti portando alla decisione dei nipoti di vinificare in proprio. A lui sono dedicati un Syrah, un Catarratto e un Nero d’Avola con questo nome (“Pé”). Non possiamo non riportare una bella frase che termina la storia aziendale nel sito internet: “Ho sacrificato tutta la mia vita per non far sentire più le urla di un padrone ai miei figli! E voi, ora che potete, cosa siete disposti a fare per non diventare come lui?”. Firmato Nonno Pé, libero spirito contadino.

L’Etna Etnico e Colorato dei Suoli


Piripicchio e Riliei, Nerello Mascalese, I Suoli.

Tre amici con l'amore per il vino e la voglia di osare (perché i viticoltura osare è tutto). Nasce cosi, con questa motivazione questa azienda sull’Etna. Si chiama “I Suoli” e mette insieme tre grandi nomi del vino italiano. Emiliano Falsini, rinomato enologo di grandi firme del vino, in perpetuo movimento, con una passione profonda per il proprio lavoro. Giuseppe Russo, patron della cantina Girolamo Russo a Passopisciaro, una delle cantine più importanti di quella zona vulcanica. il terzo è Dante Pasqua, amico storico di Giuseppe, piccolo vignaiolo anche lui con un vigneto a Calderara Sottana e oggi uno dei più stretti collaboratori della Girolamo Russo. Sull'Etna, con l’acquisto di un piccolo vigneto di poco più di 1 ettaro in Contrada Pignatone, a Randazzo sul versante nord del vulcano, hanno realizzato un progetto enologico con il desiderio forte di fare qualcosa di diverso e di sperimentare. In questo caso presentiamo un rosato e un rosso, entrambi realizzati con il 100% di Nerello Mascalese, il vitigno di riferimento delle pendici dell’Etna. Le etichetta sono davvero vulcaniche: coloratissime, sprizzano gioia, sole, colore, vita, gioia, in tutti i sensi. Mani grafiche e fumettose giocano con acini voluttuosi come coriandoli, o forse con sassi di lava, ancora incandescenti. Progetto nuovo e ambizioso, divertente e coraggioso. Per quanto riguarda il nome Piripicchio, chissà, ognuno lo “traduce” come meglio crede!