Questa fattoria, completa di vigne e allevamento di maiali si chiama proprio “Bajta”, con la “j”. Siamo al confine con la Slovenia, vicino a Trieste, dove le autonomie e i linguaggi si mescolano da decenni. Come si descrive la proprietà? “La Fattoria Carsica Bajta è una azienda agricola sita a Sgonico, sull’altipiano del Carso in provincia di Trieste. È un’azienda a conduzione familiare, che opera nel settore vitivinicolo, zootecnico ed agrituristico. La filosofia principale dell’azienda è quella di seguire tutta la filiera nell’ ottenimento dei propri prodotti, ricercando un punto d’incontro fra artigianalità e tecnologia. In particolare nel proprio allevamento, dove i suini nascono e crescono all’aperto, sul altipiano carsico. In vigna invece, le moderne tecniche di gestione vengono integrate con la tradizione territoriale”. Ma veniamo all’etichetta di questo vino rosso tipico della zona: si tratta del vitigno Terrano detto anche Teran o Refosk (apparentato con il più noto Refosco, in particolare con il Refosco dal Penduncolo Rosso). Il packaging non lascia dubbi: il nome del vitigno viene “speso” su tutta l’ampiezza disponibile della grafica, spezzando in due la parola, ma riproponendola completa, in piccolo, al centro. Una scelta d’effetto che riduce l’eleganza in favore della visibilità. A lato, poco visibile, con un inchiostro dorato, leggiamo il nome dell’azienda. Bello forte, il tutto, un po’ come il vino che veste, del resto. P.S.: peccato per quella strana “n” che sembra una “m”. Ma probabilmente viene ritenuta una originalità.
La RossaraTrentina, Ripescata e Ri-Amata
In questo rosso del Trentino il nome del vitigno prende il sopravvento rispetto a quello del vino: si chiama Rossara (mentre il vino, con un artificio letterale, si chiama Legiare, cioè come dire “le Giare” ma tutto di seguito). Ma torniamo al vitigno che merita un racconto/descrizione, ben delineato nel sito del produttore: “Rossera, "Geschlafene" (Goethe, 1876). La "Rossara" che qui si descrive e che è tipica del Trentino, abbiamo preferito definire quest'ultima come "Rossara trentina" per evitare ogni confusione con la "Rossara" del Veronese - "Molinara", che non ha nulla in comune, ne nell’ampelografia ne come risultato finale vinificato. (Principali vitigni da vino coltivati in Italia - Volume II, Ministero dell'Agricoltura e delle Foreste, 1962). Con questo progetto abbiamo valorizzato il nostro lavoro di vignaioli e custodi di varietà antiche e rare. Varietà coltivata da sempre nel Campo Rotaliano, negli ultimi quarat’anni è stata lentamente abbandona per lasciar posto al Teroldego. Il colore rosso chiaro della buccia a maturazione accomuna la Rossara trentina ad alcuni vitigni con la stessa origine semantica del nome (Rossana, Rossanino, Rossola, Rossetta, Rossolina ) ma geneticamente sono molto distanti. La Fondazione E. Mach nei primi anni 2000 ha esposto una ricerca di vitigni antichi e noi incuriositi , ci siamo imbattuti in un contadino proprietario di una parcella abbandonata del vitigno in questione. Era un vigneto dai sesti d’impianto ampi, con ceppi vecchi di più 100 anni a piede franco . Nel 2003 portammo in cantina 10 quintali di Rossara vinificandola come un Teroldego di pronta beva e ne abbiamo capito la potenzialità. Eseguita una selezione massale dal vigneto d’origine, siamo riusciti mettere a dimora delle nuove piante di Rossara, recuperando così ben 36 diversi soggetti, affinché questo vitigno, che fa parte della cultura trentina, non venga perso“. Tutto ciò detto e scritto, a buona firma di Roberto Zeni, titolare dell’azienda.
Un Antico Vitigno tra Iran e Armenia
Ebbene sì, anche in Iran si producono vini. Anzi, a dire il vero, è proprio lì che il vino nasce, migliaia di anni fa. Quindi il rispetto per gli “antichi” qui ci vuole tutto. Ma veniamo all’etichetta di questo vino rosso che viene prodotto in quantità limitata da un vitigno che cresce su suolo vulcanico nella regione di Sardasht. Il produttore innanzitutto ci dice che “Il nome dato a questo squisito vino ha un profondo significato, rendendo omaggio al leggendario poeta persiano Rumi, noto anche come Molana o "nostro maestro". Inoltre: “L'influenza di Rumi si estende ben oltre i confini nazionali e trascende le divisioni etniche. Le sue parole e la sua saggezza hanno toccato i cuori e le anime di individui in tutto il mondo, unendoli nella ricerca condivisa di pace interiore, armonia e un mondo libero da ostilità e animosità. Ottenuto dall'antico vitigno persiano Rasheh, da viti coltivate in vigneti ad alta quota (1.480 m) in Iran, contrabbandato e vinificato in Armenia... di produzione estremamente limitata (solo 1.200 casse prodotte) questa bottiglia rappresenta una rara occasione per immergersi nella storia del vino iraniano…”. Tecnicamente vediamo un massiccio utilizzo di inchiostro dorato, molti inserti in rilievo che compongono una vite artizzata, altri particolari di notevole finezza, in un complesso molto arcaico ma anche elegante e valorizzante. Un’etichetta vintage di sicuro impatto.
Il Resinato più Famoso di Grecia (e del Mondo)
Questo vino non si chiama “Retsina” per caso. Il suo nome (di categorica, come vedremo in seguito) è facilmente riconducibile alla parola “resina” in italiano. E’ un vino tradizionale, prodotto in tutta la Grecia preparando una miscela di uve Savatiano con l’aggiunta al mosto di una piccola percentuale di resina di pino marittimo, affinché il sapore balsamico venga assimilato durante la fermentazione. Fa parte così di una categoria di vini molto particolare: i resinati. La cantina che produce questo resinato, attualmente si chiama Greek Wine Cellars che sarebbe la precedente “Kourtaki Wines” fondata nel 1895 da Vassilis Kourtakis. In seguito il figlio Dimitris Kourtakis, dopo gli studi a Parigi, ha reso la cantina Kourtaki famosa nel mondo. In etichetta, molto spartana a proposito di Grecia Antica, vediamo il nome della cantina in alto e una descrizione al centro che vanta la tradizionalità di questo preparato (5000 anni!). Il cromatismo giallo limone (molto forte) aiuta sicuramente a rendere la bottiglia molto visibile, distinguibile e memorabile. Sul sapore del vino, invece, non mettiamo la mano sul fuoco (sacro).
Un Brodo Dolce, dalla Storia Antica
Per commentare il nome di questo vino “lasciamo la parola” al testo pubblicato nel sito internet del produttore, davvero esaustivo: “ “Andare in brodo di giuggiole” è un proverbio molto conosciuto in Italia. In riferimento al contenuto zuccherino delle giuggiole, frutto commestibile, il proverbio viene usato per indicare chi prova, per merito proprio o di altri, la dolcezza di un forte godimento. Il Giuggiolo Ziziphus zizyphus, noto anche come dattero cinese, è una pianta a foglie decidue della famiglia delle Rhamnaceae. Sovente viene utilizzato come pianta ornamentale. Si ritiene che il giuggiolo sia originario dell’Africa settentrionale e della Siria, e che sia stato successivamente esportato in Cina e in India, dove viene coltivato da oltre anni. I romani la importarono per primi in Italia, e la chiamarono “Zyzyphum”. Narra Omero Libro IX dell’Odissea che Ulisse e i suoi uomini, portati fuori rotta da una tempesta, approdarono all’isola dei Lotofagi secondo alcuni l’odierna Djerba, nel Nord dell’Africa. Alcuni dei suoi uomini, una volta sbarcati per esplorare l’isola, si lasciarono tentare dal frutto del loto, un frutto magico fece loro dimenticare mogli, famiglie e la nostalgia di casa. È probabile che il loto di cui parla Omero sia proprio lo Zizyphus lotus, un giuggiolo selvatico, e che l’incantesimo dei Lotofagi non fosse provocato da narcotici, ma soltanto dalla bevanda alcolica che si può preparare coi frutti del giuggiolo. proprio come quella che dopo tanti anni siamo riusciti a riportare in vita. Pare infine che per gli antichi Romani, il giuggiolo fosse il simbolo del silenzio e come tale adornasse i templi della dea Prudenza. In Centro Italia in molte case coloniche era coltivato adiacente alla casa nella zona più riparata ed esposta al sole e si riteneva che fosse una pianta portafortuna. Ma la giuggiola, oltre ad essere tanto stuzzicante per il palato, ha anche ottime proprietà medicinali. Contiene infatti saponine triterpeniche, piccole quantità di alcaloidi, glicosidi flavonoidici, ma soprattutto vitamina C. Infatti le giuggiole equivalgono alle arance. Le loro principali proprietà terapeutiche sono le seguenti epatoprotettive, ipocolesterolemiche, antipiretiche, antinfiammatorie, emolliente ed espettoranti. Nella medicina popolare è considerata uno dei quattro frutti “pettorali” con fichi, datteri e uvetta. Il Giuggiolone è ottenuto dalla macerazione del frutto della giuggiola con vino trebbiano in un procedimento molto particolare che dura quasi tre anni e che permette di estrarre il succo oleoso del frutto. Il Giuggiolone è una bevanda a base di vino di un colore oro intenso. Al naso regala tutto il profumo del frutto della giuggiola matura e il gusto conferma in pieno il naso mostrando anche di essere ben bilanciato”. Possiamo solo aggiungere che, sorprendentemente, “Bacco non lo sa”!
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