Prendere una Scimmia in Romagna


Ronco della Simia, Sangiovese, Ronchi di Castelluccio.

Con sole 2500 bottiglie prodotte in un anno, questo Sangiovese di Romagna si colloca nell’alta gamma di questa azienda con sede a Modigliana, in provincia di Forlì-Cesena. Colpisce subito il nome del vino, “Ronco della Simia”, una intuitiva traduzione per “scimmia” (in Lombardia, “prendere una scimmia” significa anche prendersi una sbornia). Colpisce la scimmia stessa in alto, nell’etichetta, probabilmente un babbuino, con il tipico deretano rosso e una prominenza anteriore, sempre rossa, che non si identifica al meglio. Nel testo, nella parte centrale si celebra “l’avventuroso primate che abitò i boschi di Modigliana”. Chissà in quale periodo storico. Crediamo non più nell’epoca attuale. In basso una riproduzione a disegno di una torre, forse parte dell’edificio storico aziendale. Ma vediamo cosa riferisce il sito internet del produttore: “Ronco della Simia è un Sangiovese noto per la sua carnositá e la buccia spessa che conferisce al vino caratteristiche uniche, combinando la naturale finezza ed eleganza con una potenza insolita che richiede una lunga maturazione in bottiglia per equilibrarsi. Questo vino si distingue anche per la sua etichetta originale, ispirata alle illustrazioni cinquecentesche del naturalista bolognese Ulisse Aldrovandi”. Dalle colline romagnole per ora è tutto. Se per caso prendete una scimmia evitate di mettervi alla guida. Oppure consegnatela alla protezione animali.

Un Barolo Molto Privato, Stimato e Stemmato


Monprivato, Barolo, Mascarello.

Uno dei vini più famosi e costosi del mondo viene dalle Langhe, piccola “microregione” del Piemonte. L’etichetta di questo Barolo è molto classica. Insomma non si discosta (e mai oserà farlo) da quei canoni che fanno della storia una tradizione. Ma qualcosa da dire c’è. Innanzitutto siamo di fronte a un packaging molto ricco di parole. In alto leggiamo “Monprivato in Castiglione Falletto”, la località del vigneto. Poi, stranamente, troviamo la gradazione, l’annata e la capienza delle bottiglia in alto (e non alla base come di solito si usa). Ancora più in basso ecco dei numeri relativi alle bottiglie prodotte, nelle varie tipologie e il numero seriale della bottiglia stessa. Quindi un grande stemma araldico (unica illustrazione colorata dell’etichetta) con il motto in latino “solum habet qui dat” che sarebbe “ha veramente solo chi dà” ed esprime in modo controverso il concetto che si possiede davvero solo ciò che si dona e, se vogliamo, anche che solo la generosità è ciò che dà valore la possesso. Certo che scritto su una bottiglia di vino che costa centinaia di Euro fa un po’ pensare. A seguire, sotto allo stemma, la dicitura Docg Barolo e il cognome (e nome) del produttore. E ancora la puntualizzazione della località della cantina (Monchiero) e la data ancestrale dell’inizio dell’attività (1881). Nel complesso si è deciso di fornire tutte le informazioni sul fronte della bottiglia generando un certo affollamento. Per il resto il vino parla da sé. E questo i gentili (e facoltosi) acquirenti lo reputano ampiamente sufficiente.

Divinità Italiche Vestite alla Francese


Mater Matuta, Syrah e Petit Verdot, Casale del Giglio.


Un nome curioso che potrebbe ricordare certe parole africane come… Hakuna Matata, celebre canzone del film Disney con il Re Leone. Ma qui siamo in Italia, in centro Italia, in una regione, il Lazio, più consona storicamente agli Etruschi e a seguire ai Latini. Infatti, Casale del Giglio, premiata azienda vinicola, ci dice che: “Il nome Mater Matuta deriva dall’antica divinità italica, Dea dell’Aurora, protettrice della vita nascente e della fertilità. Il culto di questa divinità era assai diffuso nell’Italia Centrale e le fu dedicato il famoso tempio dell’antica città di Satricum presso Le Ferriere (Latina)”. Si tratta di un Rosso Igt Lazio che segue una propria strada caratteriale miscelando due vitigni tipicamente francesi. L’etichetta è super classica ma con una modalità stilistica che ha reso distintiva l’appartenenza a questa cantina che non rinuncia a produrre vini di ottima qualità anche con vitigni internazionali (ma anche con vitigni tipicamente italiani come Bellone, Trebbiano, Biancolella, Cesanese…). Carta gialla, anticata, cornice dorata, un disegno del Casale al centro, scritte di legge e nomi ben ordinati al centro. Un packaging che si fa rispettare, proprio come il vino che vuole rappresentare.

Omaggio a Ligabue e alla Sua Fiera Mente


1958, Lambrusco, Cantina Gualtieri.

Il nome di questo vino è una data: l’anno di nascita della cantina che lo produce. La cantina si chiama Gualtieri come la località dove ha sede (in provincia di Reggio Emilia, tra Mantova e Parma, per una migliore collocazione geografica). Il vino è molto particolare perché si tratta di una vinificazione in bianco di uve a bacca nera. Come è noto, infatti, il Lambrusco è un rosso (più o meno scuro, secondo il clone del vitigno, la zona e il terreno. L’etichetta è di quelle importanti, con particolari in oro e una grafica moderna caratterizzata dai grandi numeri della data di cui sopra. Ma veniamo alla descrizione fornita dal produttore nel proprio sito internet, che ci porta a conoscenza anche dell’immagine che vediamo nel packaging: “1958 è un mix di vivacità, morbidezza e freschezza. Il perfetto equilibrio tra olfatto e gusto. Lambrusco Maestri e Marani vinificati in bianco si fondono in uno Charmat lungo, in versione secca, dal naso delicato e floreale. Un “Blanc de Noir” brillante e piacevole, espressione di un vitigno straordinario che nuovamente dimostra una grande versatilità per un prodotto che si adatta a fini aperitivi, a piatti di pesce e crostacei. Una piccola rivoluzione nel modo di vedere e trattare il lambrusco… Sull'etichetta l'immancabile omaggio al noto pittore Ligabue, con uno dei suoi bozzetti a matita”. In basso a destra vediamo infatti l’immagine stilizzata di una tigre, animale tra i preferiti del noto pittore emiliano che visse dal 1919 al 1965 propio a Gualtieri (tranne qualche periodo trascorso all’Ospedale Psichiatrico San Lazzaro di Reggio Emilia). Bella etichetta quindi, e bello anche l’omaggio al folle artista che immaginava e dipingeva la savana dai suoi rifugi in Bassa Padana. Forse con l’ausilio di qualche bottiglia di Lambrusco, quello tradizionale che da quelle parti si beve ancora oggi in tazza.

Moderatamente Alcolico, Allegoricamente Natalizio


Sidro Melchiori Trentino, Lucia Maria Melchiori.

A ridosso di ogni Natale fioccano le edizioni speciali dei vari prodotti enogastronomici e di conseguenza dei loro packaging. A dire il vero questo sidro di mele non rientra nell’enogastronomia perché… gli manca “l’eno”. Anche se alcolico non è un vino. Vediamo comunque per i non addetti di cosa si tratta, nella descrizione che viene data da questa azienda nel loro sito Internet: “Il sidro è un fermentato di frutta, ad esclusione dell’uva, opportunamente preparato per il consumo. Il sidro più consumato e prodotto è sicuramente quello derivante dalla fermentazione delle mele: è un prodotto vivace, fresco, pieno di storia, simpatico e felice, da gustare in ogni momento della giornata. Bevanda di colore giallo, leggermente alcolica, acidula o dolce, caratterizzata da aromi particolari e diversi che derivano dalla frutta utilizzata e dal metodo di produzione impiegato che può essere Charmat, dove il prodotto fermenta in autoclave, o Metodo Classico, quando il prodotto fermenta in bottiglia”. Ebbene sì, il sidro di mele può essere finalizzato anche in versione “Metodo Classico”. Ma veniamo a questa confezione particolare: carta rossa natalizia con fiocco verde sul collo della bottiglia, illustrazione da favola con montagne rocciose (le nostre, non quelle americane) sullo sfondo e slitta di Babbo Natale alla base. Tutto molto aulico. Da portare in tavola con festosa appartenenza. Per il resto il sidro è un prodotto moderatamente alcolico, in grado quindi di fornire allegria, senza eccessi. E la mela fa pure bene.