L’Agricoltura della Luce e del Carbonio


Bolle di Magenta, Garganega Frizzante, Nous.

Questa piccola cooperativa formata da una decina di soci, produce una serie di vini locali (siamo in Veneto, vicino a Soave) adottando i principi della coltivazione biodinamica. I vini in gamma vengono definiti dal produttore come: “i Vini di Luce” e il tipo di agricoltura “della Luce  e del Carbonio”. Di cosa si tratta? In breve ecco la descrizione che si trova nel sito internet: “I nostri vini utilizzano il Metodo Vini di Luce. L’uva ottenuta con questo Metodo è naturalmente ricca di antiossidanti che preservano il gusto e gli aromi grazie a vinificazioni naturali, con bassi dosaggi di solfiti in tutto il processo produttivo. Inoltre escludiamo l’utilizzo di lieviti che alterano i gusti e le caratteristiche aromatiche delle nostre uve, gli enzimi industriali, i chiarificanti e le filtrazioni invasive così da fornire al consumatore non solo un vino buono e piacevole, ma anche sano, vitale, biodisponibile e con tutto il gusto del territorio!”. Parliamo dell’etichetta: curioso il nome del vino, “Bolle di Magenta”, laddove si tratta proprio dell’omonima cittadina a sud di Milano, che ha dato il nome al colore stesso, il magenta appunto, una tonalità di rosa acceso, diciamo pure fucsia, che in questo caso fa da sfondo nel packaging. Il fiore rosa in etichetta, invece, non è ben definito: dobbiamo accontentarci della macchia di colore. In basso il nome del vitigno, in alto il nome del produttore e il logo. Si tratta di una stilizzazione di un pampino incastonato dentro a un acino d’uva. O almeno così sembra. In generale siamo di fronte a un buon lavoro di grafica, dotato di originalità.

Attraverso il Fiume e Oltre



Roncaglie, Barbaresco, Socré.

In primo luogo è bene spiegare il nome aziendale, Socré, che potrebbe sembrare un francesismo per “zuccherato”. Ma questo vino di sicuro zuccherato non è, anche perché si tratterebbe di una pratica enologica vietata dal disciplinare (i francesi, invece, a volte zuccherano). Inoltre stiamo parlando di un Barbaresco, vino rosso a base Nebbiolo, che sicuramente si manifesta in una modalità asciutta, elegante ma austera, lontano da amabilità tipicamente da vini bianchi alsaziani. Sucré, dicevamo. Il significato viene dall’antico proprietario dei terreni che faceva lo zoccolaio (in dialetto piemontese del luogo). Il nome del vino, invece, in basso nell’etichetta, è “Roncaglie”, riferito al nome storico della vigna dalla quale viene ottenuta l’uva per produrre questo vino. Ma l’attenzione primaria per questo packaging va a quel bollo blu che troviamo, molto presente, in alto: “Citra Flumen et Ultra” che in latino significa “Attraverso il fiume e oltre”. Inteso come il fiume Tanaro, che separa la zona eletta delle Langhe da una regione geologicamente diversa ma ugualmente molto adatta per coltivare uva (e nocciole). Nel complesso si tratta di una etichetta molto spartana, sia nella grafica che nei cromatismi. Caratterizzata unicamente dal cerchio con la massima latina. Certo che il solo nome “Barbaresco” è in grado di nobilitare il tutto.

Una Poetica Vulcanica Egoriferita


Soave, Garganega, Sandro De Bruno.

Un’etichetta semplice, dove trionfa il nome del proprietario nonché vignaiolo e produttore di questa azienda veneta, che opera alle pendici di una zona vulcanica ancora oggi sottovalutata. Breve racconto per inquadrare la situazione: “A circa 600 metri d'altitudine sul Monte Calvarina, dopo una serie di sinuosi tornanti, si aprono alla vista i nostri vigneti, estesi su 11 ettari di superfice in lunghi filari sviluppati su terreni vulcanici. Il Monte Calvarina è infatti uno dei maggiori edifici vulcanici subaerei del veronese, parte di un maestoso complesso vulcanico attivo che emergeva dall'antico mare della Tetide, circa 40 milioni di anni fa. Ci troviamo di fronte ad un panorama mozzafiato: la Pianura Padana si distende innanzi a noi accompagnata a sud dagli Appennini Emiliani e a nord dal Monte Baldo e dal Monte Pasubio”. Il racconto è denso ed emozionale, mentre l’etichetta, come si diceva all’inizio, è parca e lineare. Oltre al nome del produttore, troviamo unicamente le diciture di legge che riguardano il vitigno e la Doc. Mentre sullo sfondo, abbastanza sfumata, vediamo la sagoma di una punta di lancia di epoca paleontologica, probabilmente risultante dai ritrovamenti di antichissima età di quelle zone che riguardano anche fossili di vario genere e natura. Interessante il testo che sta nella parte bassa dell’etichetta e che riportiamo qui: “Ti porterò qui, dove le nubi sono le regine del cielo. Respirerai aria fresca e ti sentirai sovrano della pianura. Il tuo sguardo non avrà impedimenti fino all’infinito orizzonte. Il tuo animo poetico si colmerà di gioia allo spettacolo del vento che compie il suo percorso,sulle creste, laddove l’universo, pian piano, si tramuta in terra”. Autore anonimo, dedicato al Monte Calvarina. Etichetta quindi dagli elementi insoliti. Che certamente si distingue, ma attraverso un semplicità che diventa complessità nel momento in cui si decide di approfondire leggendola nella sua interezza.

Il Lampo dell’Assoluto nelle Sfumature di un Prosecco Particolare


Ramatodorè, Fondante Integrale (Spumante), Cima del Pomer.

La definizione che sta alla base di questo vino e del metodo con il quale viene prodotto non è nota ai più. Si tratta di una piccola produzione che trae origine da antiche modalità. Ma veniamo prima alla spiegazione di questo termine (fornita dall’azienda nell’ottimo e descrittivo sito internet): “Venivano chiamati fondanti, non tanto nel senso dei moderni ‘col fondo’ o ‘colfondo’ ma poichè allora nelle nostre zone, questo metodo di produzione familiare era ‘fondativo’, originario. Era l’unico procedimento possibile per ottenere il vino ‘mosso’ secondo i tempi della natura: imbottigliato ancora fresco di spremitura, con il freddo invernale riposava per poi risvegliarsi con i tepori primaverili e riprendere a fermentare. Ancora oggi realizziamo così il nostro spumante fondante che definiamo integrale perchè non togliamo il suo naturale sedimento costituito da soli lieviti. E sono proprio i lieviti a restituire aromi e sapori autentici di questo territorio, a rendere i nostri vini vivi e mutevoli, ma anche invitanti e molto appaganti, freschi e, caratteristica fondamentale, cosi digeribili da non presentare fastidiose conseguenze”. Si tratta pur sempre di Prosecco, certo, e di Glera (il vitigno) ma con un’attenzione produttiva (e narrativa) particolari e davvero unici nel panorama vinicolo di quelle zone. In questa etichetta, molto classica, elegante ed equilibrata, troviamo i 4 famosi cavalli di San Marco, anche in questo caso proponiamo la spiegazione del produttore: “Il colore intenso di questo spumante unico, ci ricorda la finitura preziosa dei cavalli della Basilica di San Marco, un’opera straordinaria contesa molte volte. Ai quattro destrieri indomiti, simbolo di forza e di indipendenza della venezianità, è dedicato il nostro spumante Ramatodorè, un vino dal colore buccia di cipolla che riporta nel calice il profumo dei suoi aromi di bacca rossa”. E infine cosa dire di quella frase che troviamo in etichetta: “Infondata, indiscutibile e soggiogante, come una  formula matematica, la bellezza è il lampo dell’assoluto nella miseria del tempo”. Favoloso, applausi.

Un Chiaretto Pallido ma Molto Espressivo


Il Rosé, Chiaretto di Bardolino, Giovanna Tantini.

Sulle rive del Lago di Garda vengono prodotti vini fin dai tempi degli Antichi Romani. Ma oggi la fama di questi vini è decisamente scarsa. Certo, il Bardolino si conosce. Ma non è stimato come altri vini italiani. Qui abbiamo il Chiaretto di Bardolino, un rosato prodotto con uve Corvina, Rondinella e Molinara, dall’Azienda Vinicola che fa capo a Giovanna Tantini. L’azienda fa leva soprattutto sul colore, rosa tenue, di questo vino, ottenuto con una delicata lavorazione. Logicamente questo è un segno di qualità oltre che puramente estetico. Qualità che viene riflessa in tutto il processo produttivo. 10 ettari vitati e grande attenzione per ogni passaggio che riguarda la creazione dei vini in gamma. Vediamo l’etichetta: il vino si chiama semplicemente “il Rosé”, scelta piuttosto anonima che si scontra con tutta una serie di nominazioni, molto simili, che riguardano i vini rosati. Ma è inevitabile per questa categoria di prodotto.  Graficamente emerge immediatamente un volto di donna, quello della titolare dell’azienda. Con un cromatismo rosa salmone che pervade tutta la bottiglia. L’espressione del viso è solare, vivace, accogliente, felice. Presenta bene, in armonia, la bottiglia. E’ piuttosto egoico ma vincente, se pensiamo al concetto di “metterci la faccia”. In basso, alla base del packaging, il nome e logo aziendale. Il logo è una specie di grappolo molto stilizzato. Funziona. Sintesi e impatto. 

I Vini dell’Etna Vanno Veloci Come un Treno


Fermata 125, Carricante, Baglio di Pianetto.

La bella illustrazione che domina questa etichetta si fa notare per gli intensi cromatismi ma anche per il tema che tratta: la locomotiva di un treno che vede sullo sfondo un fumante Etna. Il vino nasce infatti alle pendici del vulcano, “a muntagna”, come lo chiamano da quelle parti. Ma è nel nome del vino, “fermata 125”, che scopriamo  la particolarità di questo branding. Come riferito dal produttore: “Di fronte alla fermata 125 della storica Ferrovia Circumetnea sorge la cantina dove nascono i vini dell’Etna di Baglio di Pianetto. Il treno rappresentato (nel disegno) è il modello ALN56 degli anni ‘30”. Vengono così coinvolti anche i collezionisti di modellini di treni, tutta una cultura giocosa che in Italia ha sempre tenuto banco. L’originalità di questa etichetta nasce quindi dal racconto, dalla storia e anche dalla voglia di enoturismo che negli ultimi anni l’Etna ha coltivato e fatto crescere. Proprio come la qualità dei vini prodotti in quel panorama geologico e naturalistico davvero unico. Per la cronaca, oggi la Ferrovia Circumetnea è attiva descrivendo un semicerchio attorno al vulcano, partendo da Giarre, transitando da Randazzo e Bronte (tra le altre località) fino a Paternò. Le particolarità si concludono facendo notare che sotto al nome/marchio del produttore, in alto, Baglio di Pianetto, viene integrata la distintiva dicitura “vini d’altura” (la rima non è voluta ma gradita). Le vigne dell’azienda infatti, oltre che sull’Etna, si trovano a 900 mt. s.l.m. anche nell’altra zona coltivata in Provincia di Palermo.