VRH, Chardonnay e Sauvignon,
La Castellada.
La Castellada.
Cosa può spingere un produttore (italiano) di vino a scegliere un nome come "VRH" che starebbe bene, forse, a uno scooter, a un trattamento antiparassitario, a un cacciavite, a un software per macchine che stampano circuiti elettronici, o cose così. Eppure è accaduto. Ecco qui. VRH, vino bianco Riserva Collio Doc. Oltre alla "teoria" la pratica: l'etichetta, invece di rendere meno evidente, il nome, la sigla, il trittico di lettere in questione, lo sbatte in faccia all'ignaro cliente a caratteri letteralmente cubitali. È per certi versi inspiegabile. Se non andando a rovistare nella toponomastica della zona (nella versione in lingua slovena) e scoprire che questa "parola" significa "cresta, crinale". Ma le perplessità rimangono. In Italia il 97% delle persone non potrebbe comprenderlo, all'estero ancora meno. Un omaggio alla generosa terra di confine tra Italia e Slovenia non giustifica l'adozione di un nome praticamente inservibile. Inoltre non si può non notare il fatto che le tre lettere in questione sono anche difficilmente intelleggibili a causa del carattere di scrittura adottato, di tipo non certo lineare. Insomma, una specie di autogol dal punto di vista della comunicazione. Alla base dell'etichetta troviamo il nome dell'azienda insieme ad altre tre lettere: "CRU", che in questo caso, logicamente, richiamano l'eccellenza dei vigneti come vengono definiti in Francia (ma qui siamo a Oslavia, in Friuli, in Italia, fino a prova contraria).