Iniziamo dal nome dell'azienda anche perché non si può "evitare": una grande F campeggia ovunque, nel sito del produttore come su tutte le etichette della gamma proposta al pubblico. F come "Fontorfio". Certo questo nome suona davvero male, foneticamente, costringendo chi lo pronuncia a delle buffe contorsioni di labbro e lingua. L'analisi si sposta sulla grafica, perché è questo che si fa notare maggiormente: una grande F, come già detto, su sfondi monocromatici che cambiano tono ma rimangono con la medesima impaginazione. La F diventa simbolo, mezzo di comunicazione, fonte di ricordo, presenza (anche un po' ingombrante) quasi fisica. Una iniziale eletta a protagonista di tutta la comunicazione dell'azienda. Di positivo c'è che ogni vino, in aggiunta alla grafica che abbiamo descritto, ha un nome proprio, per cui: Salomè per il Montepulciano, poi abbiamo Cossineo (Pecorino e Passerina), Gaio Mario (rosé da Montepulciano), Castello di Marte (Montepulciano), Ortensia (spumante rosé da Montepulciano e Sangiovese), Cuprense22 (spumante da Passerine, Montepulciano e Pecorino. Per concludere, l'uso di lettere grandi può essere risolutivo e anche di un certo effetto ma non concede molto alle emozioni, cioè non va a costruire basi solide di comunicazione, rimanendo nel "campo" di una memoria visiva che aiuta più il lato commerciale piuttosto che quello emozionale.