Le Uve Mascarate di Vittoria


Maskarìa. Cerasuolo di Vittoria, Terre di Giurfo.

L’etimologia del nome di questo vino è davvero complessa e merita di essere approfondita. Alcune fonti dicono che potrebbe trattarsi di un’antica forma derivata dal latino tardo, del settimo secolo, per “masca”, che significa “strega”, o dall’italiano antico “màscara”, cioè “maschera”. In effetti in questa etichetta vediamo due maschere contrapposte, una rossa e una solo tracciata. Semanticamente si tratta di accezioni volte a indicare qualcosa di oscuro, come un volto coperto o camuffato. Questa stessa etimologia è propria anche dell’italiano “mascàra”, il noto trucco cosmetico per occhi usato per allungare, ispessire e, soprattutto, scurire le ciglia. In Sicilia, non solo una persona, ma anche il tempo può “mascariarsi”, cioè annerirsi quando il cielo terso si annuvola; così come l’uva, che si “mascaria” se diventa rancida e scura. E ancora: mascariaturi è chi imbratta qualcosa o infama qualcuno, mentre mascarò è un segno di sporco e mascarittedda è detta scherzosamente una donna brunetta, scura. Può anche capitare che qualcosa “si nun tinci mascarìa”, cioè “se non tinge sporca”, ossia che pur non facendo del tutto male lascia comunque un segno (tratto dall’interessante sito, SicilianPost, storie dalla Sicilia e dal mondo). Il Cerasuolo di Vittoria (nominato DOCG non molto tempo fa) si compone in effetti di due vitigni siciliani classici, il Frappato e il Nero d’Avola. Forse fa riferimento anche a questo la grafica in etichetta, con due personaggi che si confrontano mescolando le proprie caratteristiche. Resta ai consumatori un nome originale, che si fa notare, e che per ragioni di registrazione presenta una “k” al posto di una “c”. E un’etichetta scura, elegante, a tratti misteriosa, che rende il tutto memorabile.