L’Isola che Non c’è Più e che Oggi Diventa Icona
Un Sangiovese di Spessore che Promette Bene
L’Erpico, Sangiovese, Pian di Bugnano.
Il Montecucco è una di quelle Docg (recente, creata nel 2011) dedicate al Sangiovese, di cui si sa ancora poco. E di conseguenza, non avendo raggiunto ancora livelli di “glamour” altissimi, il rapporto qualità-prezzo si mantiene molto interessante. Vieppiù nel caso di questa piccola cantina di Seggiano (in provincia di Grosseto) che produce vini del territorio a prezzi decisamente abbordabili. Parliamo e mostriamo in questo caso il top di gamma, un Sangiovese in purezza, che matura in barriques e che si chiama “L’Erpico”. Dice il produttore che il nome del vino è dovuto alla menzione topografica del luogo della vigna: nomi storici, locali, che si tramandano di generazione in generazione. Forse richiama l’erpice, macchina agricola “dentata” che serve per arare, oppure qualcosa tra l’erta (sommità) e l’inerpicarsi. Il nome così com’è risulta comunque funzionale e memorabile. Veniamo alla grafica dell’etichetta: una traccia in inchiostro dorato rappresenta le curvature della collina o anche le trame delle vigne. Il nome del vino è in evidenza al centro, impresso con un inchiostro nero, in rilievo. Il nome dell’azienda, Pian di Bugnano, viene relegato sulla sinistra, in verticale, soffrendo quindi di una sindrome da abbandono (giusto per parafrasare il fatto che risulta poco agevole la sua lettura). Nel complesso un’etichetta incisiva, di carattere, elegante e sincera. Proprio come il vino che rappresenta.
Per Passione o per Diletto, dal Calcio alla Vigna
Elementi di Storia e Geografia nella Campania Rurale
La Nudità Ancestrale di un Rosato Rifermentato
Nude, Blend di Uve Rosse e Bianche, Zanotto.
Si potrebbe arrivare a pensare che “col fondo” sia effettivamente un riferimento all’immagine in etichetta. Diciamo che non possiamo escluderlo. Anche se in questo caso, col fondo (non filtrato) significa che il vino è stato prodotto con il metodo ancestrale. Insomma mantiene tutti i suoi lieviti sul fondo e qualcuno se li beve anche. Ma torniamo al design, essenziale ma diretto, diciamo pure fumettistico alla Milo Manara. In un ampio “total white”, una figura di donna, di spalle, emerge con un tratto nero molto marcato ed evidenzia senza alcun dubbio il sinuoso “lato B” della medesima. Subito sotto all’immagine ecco il nome del vino, “Nude” e la firma del produttore “Zanotto” con il vezzo grafico di una “n” specularmente rovesciata. Sul collarino della bottiglia, come già detto, leggiamo “Col fondo” e la piccola dicitura “non filtrato”. L’illustrazione certamente è protagonista. Si tratta di uno stile pseudo-artistico, quasi da scultura, che sposa ugualmente una sorta di iper-realismo nell’immaginario erotico. Il vino potrebbe piuttosto definirsi romantico, grazie a un colore rosa, molto pronunciato, quasi salmone. Il risultato finale (del packaging) sorprende, attira l’attenzione, rompe gli schemi classici, azzarda una proposta che potrebbe scandalizzare. Ma lo fa con innocente mano d’artista e appassionata mano di viticoltore. A noi rimane solo la possibilità di assaggiare (se ci piacciono i vini-birra).
La Diabolica Tintilia dei Misteri Molisani
Vietènn, Tintilia del Molise, Colle Sereno.
La particolarità di questa etichetta è strettamente legata alle tradizioni del Molise, ed esattamente alla sfilata dei Misteri. Di cosa si tratta? A Campobasso per la festività del Corpus Domini, sfilano dei carri con delle rappresentazioni “misterico-religiose”. Ogni carro rappresenta un Santo o una circostanza legata alla devozione. Ad esempio (tra angeli, demoni, santi e madonne), abbiamo San Crispino, San Gennaro, Abramo, l’Immacolata Concezione e così via… fino al carro del Diavolo e la Donzella dove un satana tentatore cerca di attirare l’attenzione e le grazie di una bella fanciulla gridando incessantemente “tunzella, tunzella, vietènn, vietènn!”. Si tratta del carro detto anche di Sant’Antonio Abate, vittima anch’esso delle tentazioni del diavolo. Fatto sta che questa Tintilia (vitigno autoctono del Molise) porta in etichetta la rappresentazione proprio di un diavolo e di una fanciulla e si chiama “Vietènn” (che significa vieni, avvicinati a me). La provocazione sortisce l’effetto di risultare molto attenzionale, grazie anche ai colori forti come il nero, il rosso e il bianco, con le corna del diavolo in enfasi cromatica, così come il nome del vino, scritto di getto con un corsivo satanico. Etichetta molto particolare: lo stile illustrativo è moderno, ma richiama, come detto prima, una tradizione antichissima e molto rispettata in Molise. Altrove può funzionare questo senso di trasgressione che emerge dal packaging a tutto spazio.
Vino Bianco con Maiale (Posticcio)
Totus Porcus, Blend di Bianchi,
Tra le etichette simpatiche ma enigmatiche collochiamo sicuramente questa, di un produttore americano di origini italiane. Partiamo dal nome dell’azienda, capitanata da Marty Lagina che in onore della nonna italiana, che si chiamava Teresa Mari, ha dato questo nome alla propria impresa. Sempre in omaggio all’Italia, il produttore ha piantato molti vitigni autoctoni italiani come il Sangiovese e il Nebbiolo. In questo caso stiamo parlando di un bianco ottenuto da uno strano dosaggio di Gewurztraminer, Riesling e Pinot Grigio. Molto strani anche l’etichetta e il nome del vino: “Totus Porcus”. Possiamo solo tentare di interpretare il tutto, visto che il produttore non fornisce una spiegazione al riguardo: il nome in latino riconduce a “tutto il maiale” (insomma, del maiale non si butta via niente) ma anche a “tutti maiali”. Quest’ultima interpretazione viene agevolata dall’immagine in etichetta: un uomo (in ciabatte!) porta sulle spalle un cane, al quale sono state aggiunti (con inchiostro dorato, quindi in grande evidenza) un codino e un muso posticci. Insomma il cane viene camuffato da maiale. Sembra un rebus. Forse è un gioco. Sicuramente si tratta di una trovata che fa parlare di sé e che attira attenzione e memorizzazione. Stranezze del Michigan (sede dell’azienda), da parte di una famiglia di origini italiane. Come dire, il pragmatismo e l’organizzazione americana con la fantasia e il sollazzo del Bel Paese.
Ma l’Amore No, l’Amore Mio non Può…
Malamore, Sangiovese Rosato, Bagnaia.
L’etichetta di questo vino toscano, Orcia Doc, ci offre la gustosa occasione di parlare in modo univoco del nome del vino. E’ questo infatti che “tira la volata” alla bottiglia. Non può esserlo la grafica, il packging, insomma, il design, alquanto normale, modesto, “già visto”. Il nome invece… può spaziare in molte direzioni. Partiamo da una lettura lineare e continua, “Malamore”, quindi il male d’amore, forse un amore malato, un amore sbagliato? L’immaginazione corre e con essa si fissa il prodotto nella memoria. Con l’eco della nota canzone “malafemmina” di Totò, possiamo immaginare relazioni che iniziano a tavola con un rosato (questo da Sangiovese in purezza) e finiscono non troppo bene. Niente di negativo, tutto sommato, lezioni di vita, da accettare e da berci sopra. Ma vediamo che il nome del vino qui è scritto in modo particolare, come se si volessero accennare due parole: “MaLamore”. Quella “l” maiuscola fa la differenza. Sarà forse da intendersi come “Ma l’amore…”, dove la fantasia corre ancora di più, secondo i personalissimi stati d’animo, situazioni relazionali o esperienze di ognuno. Ma l’amore sì o ma l’amore no? Insomma non siamo più così certi che l’amore sia in questo caso un’accezione negativa. Il bello è che si può interpretare in mille modi e sfumature. Di rosato, naturalmente.
L’Immaginazione e la Follia al Comando
Il Tempo delle Rose in una Lattina
Ring Around the Rosé, Zinfandel, Baca Wines.
Ebbene sì, stiamo mostrando e parlando di un vino in lattina. Capita. Soprattutto in America. Si tratta di un rosato da vitigno Zinfandel (sarebbe il Primitivo, in Italia), di un produttore californiano che ha fatto del marketing uno strumento importante della propria missione vitivinicola (diciamo così, per non dire “missione commerciale”). Questa azienda ha fatto una scelta particolare: produce solo vini a base Zinfandel. Quello mostrato qui a fianco è un rosato, del quale non esiste la versione in bottiglia (chi vuole provarlo deve acquistarlo in lattina). Il nome del vino, “Ring around the rosé” è praticamente un gioco di parole preso dalla frase “Ring aroung the rosie” (o “rosy”), una filastrocca che corrisponde praticamente al nostro “giro, giro tondo…”. Il nome del produttore, invece, ha un aggancio a qualcosa di più serio e culturale, infatti “Baca”, sarebbe il latino di “bacca”, insomma chicco d’uva. Ne deriva, grazie alla grafica, una parola sezionata in due che diventa logo. Colori forti, ben abbinati, e alla base della confezione una decorazione che ricorda i livelli altimetrici di una collina. Operazione molto “sul mercato”, ma ben condotta come storytelling e packaging.