(Potremmo chiamarlo L’Impronta),
In tempi recenti molte persone che hanno voluto o dovuto chiedere il rinnovo della Carta di Identità sono state sottoposte coattamente al rilevamento delle proprie impronte digitali (dove in questo caso non si tratta del “digitale” inteso come qualcosa di informatico). Le impronte delle nostre dita sono diverse per ognuno e quindi sono in grado di “firmare” in modo inequivocabile quello che tocchiamo. Ed è proprio questo il senso di questa etichetta che evidentemente vuole attribuire molta importanza all’impronta del vignaiolo (almeno, questo sarebbe il messaggio, anche se il vino è di quelli ad ampia produzione industriale). Nel supporto cartaceo di questo packaging (carta elegante, importante, goffrata) campeggia molto in grande una impronta digitale (si direbbe di un indice) caratterizzando nettamente la comunicazione, quanto meno quella di primo impatto. Il resto (poco spazio rimane) viene dedicato al nome del vitigno (e quindi alla sua Doc di riferimento), poi, alla base, l’annata e “Italia”, a sancire, la provenienza d’Enotria (probabilmente ad uso di mercati esteri). Non c’è un nome per il vino in questione, e nemmeno il nome del produttore (che troviamo, almeno come origine e provenienza, cioè imbottigliamento, nel retro etichetta). Forte impatto, quindi, dovuto alla grande impronta. Concetto trasmesso in modo molto diretto, quindi di grande efficacia, sicuramente per quanto riguarda l’effetto scenico.