Danzatori Folli dal Canada al Messico


Fandango, Albariño e Verdejo, Terravista Vineyards.

Anche se può sembra strano, due vitigni tipicamente spagnoli sono stati piantati in Canada da questa giovane (come fondazione) e piccola azienda. Il risultato è questo vino bianco molto pallido al calice (dicono) ma molto colorato in etichetta. Parliamo del nome del vino, “Fandango”. Nella memoria collettiva Fandango è un film del 1985, scritto e diretto da Kevin Reynolds e prodotto da Steven Spielberg. Il film, che narra il viaggio di un gruppo di amici che dagli Stati Uniti si reca in Messico per ritrovare e stappare una bottiglie di Dom Pérignon seppellita nel deserto anni prima, si conclude con una festa dove due dei protagonisti ballno il fandango, una danza spagnola dai movimenti frenetici e improvvisati, che filosoficamente indica qualcosa di folle e bizzarro, Il nome di questo vino è quindi un omaggio al film, alla danza, ma soprattutto a uno stile vita che fa del -qui e ora- il sunto del senso della vita. Il nome, in alto,  lo troviamo scritto con un carattere che rispecchia la dinamicità della danza, rappresentata, subito sotto al nome e al centro dell’etichetta, con due figure, uomo e donna, con vestiti molto colorati, che danzano indiavolati. Le due figure vengono raffigurate con uno stile grafico molto originale anche se davvero abbozzato. Si potrebbe anche dire “raffazzonato”. L’impressione è che si potrebbero assimilare a due bamboline voodoo. Il colore comunque attira lo sguardo e il nome incuriosisce anche chi non conosce né la storia del film, né quella della danza. E per quanto riguarda il Dom Pérignon forse meglio poterselo gustare con la vista sulla Torre Eiffel.

Champagne Esoterico Quanto Basta


Shaman 22, Campagne Rosé Brut Nature, Marguet.

Cos’è esattamente uno sciamano? Abbiamo diverse definizioni… secondo Treccani: “Sciamano (dall'ingese shaman, adattamento del tunguso (Siberia) samān, probabilmente dal pali-samana "prete buddista", attraverso il cinese sha men): individuo che, praticando la meditazione, può raggiungere stati di estasi e assumere nella comunità il ruolo di tramite con le entità soprannaturali”. Wikipedia in pratica conferma alcune di queste supposizioni: “La prima attestazione in lingua occidentale del termine schamane ("sciamano") è databile al 1698, quando il mercante di Lubecca Adam Brand lo riporta nel suo diario riguardante il viaggio compiuto tra Mosca e Pechino. Il termine "sciamano", quindi "sciamanesimo", entra nella lingua italiana nel 1838. Il termine italiano e il suo corrispettivo tedesco schamane, nonché quello inglese shaman, risultano adattamenti del russo šaman, a sua volta resa del tunguso šamān. Con ogni probabilità il termine tunguso šamān è la resa in quella lingua del sanscrito śrāmaṇa o śrāmaṇera, forse per mezzo di un possibile ricostruito cinese sha-men”. Insomma, come minimo mezzo giro del mondo . A noi piace ricordare anche il celebre e bellissimo album di Santana che porta questo nome: pubblicato nel 2002 con il contributo di diversi artisti Rap e Hip Hop. Ma torniamo al nome del vino, in questo caso uno Champagne Rosé formato per il 76% da Chardonnay e per il restante 24% da Pinot Noir: etichetta pulita, semplice, ordinata, ma dotata di originalità grazie al nome e al simbolo soprastante. Ma soprattutto per quel particolare carattere di scrittura del nome stesso che fa molto mistero, oriente, fugacità dell’essere (come delle bollicine, del resto). Il 22 invece è l’anno in cui è stato posto in vendita il vino (e si torna con i piedi per terra).

Ai Pirati di Pesaro Piace il Pinot Noir


Focara Rive, Pinot (Noir) Nero, Fattoria Mancini.

Già parlare di Pinot Nero (Noir, troviamo scritto sull’etichetta) nelle Marche può risultare strano. Se poi vogliamo aggiungere che le vigne sono a 500mt (in linea d’aria) dal mare, la particolarità risulterà ancora più grande. Molto dettagliate le descrizioni di questo vino nel sito internet del produttore: “Vigna di Rive a Fiorenzuola di Focara - Parco Naturale del Monte San Bartolo - Comune di Pesaro, distanza dalla costa: 0,5 km, altitudine: 100/150m slm, terreni: limosi, profondi, calcarei, alta componente sabbiosa…”. E naturalmente è bene far notare alcune particolarità dell’etichetta: una banda rossa diagonale attraversa tutta la finestra del packaging ricordando certe etichette francesi e in particolare quella dello Champagne Mumm; quindi, come già detto, la decisione di scrivere “noir” in francese; poi l’idea di rappresentare nell’illustrazione una mappa del tesoro con la riproduzione della zona di origine. Alcuni particolari divertenti: una specie di mostro di Lockheed in basso a sinistra che emerge dai flutti adriatici; un galeone forse piratesco navigante proprio sotto alle scogliere delle Rive di Focara; altre imbarcazioni sulla destra in alto, presso la Baia di Vallugola. Nel nome del vino troviamo, oltre a Focara, la località dove allignano le viti, anche la parola Rive, molto utilizzata in zona (e Docg) Prosecco ad indicare vigneti di qualità (in quel caso le Rive sono collinari e pre-montane, in questo caso si tratta di vere e proprie scogliere sul mare). Alla base il logo e nome aziendale, molto “antico”, con il disegno di una pressa a mano e la locazione Pesaro in basso. Questa etichetta si fa notare? Sì. Andrebbe forse un po’ svecchiata, nonostante la simpatia dell’illustrazione? Ugualmente sì.

Il T14 e le DInamiche Barocche Tradite


T14, Trebbiano, Guccione.

Questo piccolo produttore siciliano, con sede e vigne in Contrada Cerasa a Monreale (Palermo), ha una passione per il biodinamico e anche una, evidente, per le sigle. Diversi vini in gamma infatti vengono contraddistinti da lettere e numeri. E’ il caso di questo Trebbiano che si chiama T14 laddove la “T” sta per il nome del vitigno e il 14 per l’annata di vendemmia (dopo la quale sono seguiti 6 anni di affinamento in botte grande). Nell’offerta dei vini di Francesco Guccione troviamo altri nomi “robotici”, diremmo anche adatti più a delle autovetture o a degli scooter: P16 è un Perricone di lungo corso, RC è il Rosso di Cerasa, NM il Nerello Mascalese e così via. La sigla letterale e numerica si scontra un po’ con la grafica arcaica e tradizionale di una Sicilia barocca. In etichetta infatti vediamo un fondale molto decorato, con stilemi floreali color nocciola e carta da zucchero. In alto uno stemma che richiama i temi nobiliari di casate antiche che nel racconto del Gattopardo hanno fatto della vita reale un romanzo, e viceversa. In basso la dicitura “Vino Bianco”, di norma, e una frase non scontata: “Prodotto in Italia”. A nostro parere, considerato il giusto orgoglio regionalista, ci sarebbe stato anche “Prodotto in Sicilia”. L’isola triangolare amata dal resto d’Italia e dal resto del mondo, infatti, può essere considerata praticamente una nazione a sé. L’etichetta nel suo complesso è bella, si fa notare, ha carattere… se non fosse per quella sigla al centro. Ma nessuno è perfetto. Anzi, nel mondo del vino la perfezione è noiosa e ritenuta poco naturale.

Una Connessione con la Natura non Molto Affidabile


Reliance, Champagne, Franck Pascal.

Una grande lettera “R” accoglie lo sguardo che si rivolge a questa bottiglia di Champagne (Brut Nature) che viene prodotto nella Valle della Marna, a base Pinot Meunier, secondo i crismi della biodinamica. Ma veniamo al nome del vino, “Reliance”, dai molteplici significati. Siamo sicuri che il produttore, in prima battuta, intendesse dire “connessione”, quindi fiducia e affidabilità, che nel settore enologico, per il consumatore, significa molto. Ma anche connessione con la natura, vista l’assenza di trattamenti per la coltivazione delle uve atte a produrre questo Champagne. La traduzione di questa parola dall’inglese si presta invece ad altre interpretazioni. Ad esempio può significare fiducia ma che dipendenza, che nel mondo dell’alcol, sopratutto anglosassone, non è una cosa buona. Il mercato dello Champagne ha infatti molti sbocchi in paesi di lingua inglese (Stati Uniti, Gran Bretagna, Australia, etc.), oltre al fatto che l’inglese ormai viene considerata lingua internazionale molto più del francese. Per il resto l’etichetta si presenta con stili classici. Sotto alla grande “R” troviamo la stilizzazione di una pianta, probabilmente la rappresentazione di un giovane tralcio con i pampini della vite. In alto a destra il nome (e cognome) del produttore sormontato da una decorazione grafica abbastanza scontata. Nel complesso un’etichetta che annega un po’ nel mare magnum dell’offerta di bollicine francesi.

Effimero Quanto Basta, Questo Champagne Atletico


Air, Champagne, Augustin.

Alcuni elementi insoliti per uno Champagne, appaiono in questa etichetta. Il tono generale è molto “modernista”: non vengono utilizzate le solite iconografie ed elementi decorativi stereotipati. Ma partiamo dal nome del vino, “Air”. che ricorda, sì, il nome di una celebre scarpa di Nike, ma che su una bottiglia di Champagne fa il suo buon gioco: evoca la leggerezza di bollicine sottili e quella evanescenza che solo questa mitica “bevanda degli Déi” può condurre e rappresentare. Inoltre è un nome molto breve e memorabile, coraggioso e originale, non in assoluto, ma nell’ambito dell’offerta di Champagne. Al centro del packaging troviamo un simbolo che integra l’iniziale del nome del produttore, Augustin, ma che riporta immediatamente all’icona dell’infinito. Un bel segno, realizzato con un inchiostro in evidente rilievo che si fa notare e ricordare. I caratteri di scrittura sono chiari, semplici, lineari, di ottima lettura. Una cornice in inchiostro argentato racchiude gli elementi dell’etichetta. Sulla carta, una quasi impercettibile goffratura romboidale racchiude ulteriormente gli elementi al centro dell’etichetta. Da notare che il nome del vino è realizzato con un inchiostro in oro, che si stacca da tutto il resto. Piccolo produttore famigliare, questo Augustin, ma che ci sa fare, con il packaging, a livello delle grandi case.

Fiero e Alato, Questo Sangiovese Bollicinato


Vìndice, Metodo Classico, Poggio della Dogana.

Per l’analisi e il commenti di questa bella etichetta ci viene in aiuto direttamente il produttore, che dimostra molta “agilità” creativa per tutte le etichette della gamma in opera. A noi piace prendere in esame questa, relativa a un Metodo Classico da vinificazione in bianco di vitigno Sangiovese (decisamente insolito come prodotto enologico). L’immagine (molto bella, evocativa) e il nome del vino (molto particolar) vengono così descritti nel sito aziendale: “L’etichetta è tratta da uno dei bozzetti di Silvio Gordini, trisavolo di Aldo e Paolo (i titolari, n.d.r.) famoso pittore romagnolo dei primi del ‘900. Il disegno è probabilmente uno studio preparatorio per la decorazione murale di una abitazione privata: una fiera alata composta da motivi floreali allegorici. La sinuosità delle forme e la vivacità dei colori rappresentano a pieno un vino fresco, deciso ma di grande finezza come Vindice. Questo Metodo Classico Pas Dosé prende il nome da uno dei cavalli da corsa della scuderia del nonno materno di Aldo e Paolo Rametta. Un grande campione, vivace e astuto ed elegante, ricordato con grande affetto dalla famiglia”. La descrizione che qui abbiamo riportato va di pari passo con l’eleganza dell’etichetta. Un packaging che attira l’occhio e che fa venire voglia di acquistare, di provare, di stappare, di assaggiare. Ed è proprio questo il compito tutt’altro che marginale dell’etichetta di una bottiglia di vino.

Le Sirene del Garda Guardano al Futuro


Sirenella, Custoza Doc, Villa Meneghello.

L’illustrazione che domina questa etichetta è sicuramente molto colorata (e per questo si fa notare), ma anche molto moderna come stile comunicativo. I colori sono “sfasati”, inaspettati, da arte contemporanea, diciamo così. Il busto di donna rappresentato in etichetta ci riporta a una figura fatale, altera, a suo modo affascinante. Potrebbe essere un tipico incontro da aperitivo serale sul Garda. L’azienda infatti ha sede vicino a Lazise, località turistica lacustre, e il mix di vitigni che danno luogo alla Doc Custoza è classicamente da pre-serata. Da finger food modaiolo. Forse anche da pesce di lago. Un altro particolare che distingue questa etichetta è la modalità in verticale con la quale viene scritto il nome del vino: “Sirenella”. Leggibilità contraffatta ma modernità grafica garantita. La sirenella in questione è naturalmente la signorina ritratta in questo packaging che si vuole garantire la peculiarità di essere “giovane”. La sirenella riguarda anche la leggenda riferita nel sito del produttore che qui riportiamo: “Nella mitologia del Garda le Sirene erano le antiche abitanti del lago. Si narra che in una notte d’estate esse si rivelarono ad alcuni pescatori, offrendo loro una bevanda miracolosa…”. Al di là delle necessità comunicative e di marketing diciamo che le sirene del lago oggi sono rappresentate dalla turiste tedesche, sempre in gran numero ad affollare le spiagge e i locali serali di tutto il circondario. Alla base della parte illustrativa di questa etichetta troviamo il logo e il nome del produttore: “Villa Meneghello”. Nel logo una stilizzazione della sede storica che si dice possa vantare una datazione secolare.