Cognomi Storici che Cambiano ma non Mentono


DeSilva, Sauvignon Blanc, Peter Sölva.

Questo storico produttore altoatesino porta con orgoglio in primo piano, alla nostra attenzione, il cognome di famiglia. Quello che è stato e che ha dato origine al cognome attuale: Sölva. Nel sito internet, nell’ scheda dedicata alla storia di famiglia (e di conseguenza dell’azienda), si racconta che… “Questo nome di famiglia è un'eredità dei nostri antenati, a cui dedichiamo tutto il nostro rispetto. DeSilva è sinonimo di selezione dell'uva e cura dei vigneti più vecchi secondo una lunga tradizione. La provenienza e il carattere dei nostri vigneti fanno la differenza. DeSilva è stato il nome originario della nostra famiglia fino al 1880 circa, quando è stato cambiato in Sölva nella monarchia austro-ungarica. I nostri antenati si stabilirono come viticoltori nel nord Italia, in Alto Adige, intorno al 1200. In quanto cantina storica, fondata ufficialmente nel 1731, è naturalmente molto importante rispettare questa storia e riportarla ai giorni nostri. DeSilva è quindi oggi sinonimo di selezione dell´uva e cura dei vigneti piú vecchi con radici profonde che esaltano il nostro terroir”. Particolare anche lo stemma di famiglia che trionfa nella parte centrale dell’etichetta. Due uomini, che sembrerebbero indossare un turbante, brandiscono come una chitarra (potrebbe essere un Sitar indiano) quella che invece si manifesta come una scimitarra, una lancia insomma, con fare guerresco (o musicale, per come si potrebbe percepire). Lo stemma è adagiato su un fondale in bianco e nero che raffigura una vigna (e che stempera un po’ l’aggressività dei due gendarmi).

Essere Amato Come un Magliocco Rosato


Amaris, Magliocco, Biofattoria Sociale Marinello.


Un vino rosato vestito di azzurro-cielo. Anomalia di un packaging azzardato o nozze prelibate tra cromie d’estate? Non è necessario rispondere, ma di certo questo azzurro intenso si fa notare. Veniamo al nome del vino, innanzitutto: “Amaris” che dovrebbe essere stato “estratto” dal latino. L’Intelligenza Artificiale (ormai i vocabolari non si usano più) ci dice che: “Il significato più comune e grammaticalmente regolare di “amāris” è “tu sei amato” (forma passiva di amāre)”. Bello. Essere amati. E questo vino probabilmente, nella sua metamorfosi da germoglio a nettare, è stato molto amato dal suo produttore (e lo sarà, piacendo, a chi lo verserà nei lieti calici). Nell’etichetta, in alto la stilizzazione di un casale. E subito sotto la definizione dell’impresa, originale: Biofattoria Sociale. Il tutto si colloca quindi in un’area di percezione rurale, sincera, austera, di campagna. Amaris viene definito come “vino biologico” a conferma delle attività “naturali” dell’azienda. Peccato che il nome del vino e la sua definizione vengano scritte con un inchiostro fucsia che sul fondo azzurrone vibra a un punto tale da impedire quasi una immediata lettura. In basso la regione di provenienza (e di coltivazione e produzione) con l’orgogliosa precisazione: “Magliocco in purezza”. Vitigno tipico della Calabria subito connotabile. Etichetta semplice, lineare, che fa venire qualche dubbio sulle scelte cromatiche ma che si vende bene nel contesto in cui opera.

Le Trame Biologiche di una Antica Diramazione


Refosco (dal Peduncolo Rosso), Villa Bogdano 1880.

Il logo di questa azienda veneta attinge a dei ritrovamenti romani nella zona di Portogruaro dove l’Antica Via Annia collegava Padova ad Aquileia. La Dea raffigurata in sintesi nel marchio è Diana: “Il ritrovamento di epoca romana più importante emerso durante gli scavi del 1926 è il gruppo bronzeo raffigurante Diana Cacciatrice, con occhi e diadema in argento, nell’atto di togliere una freccia dalla faretra e lanciarla con l’arco stretto nella mano sinistra. Ai suoi piedi un cane e una cerva; sulla base l’iscrizione votiva del soldato siriaco Titus Aurelius Seleucus a Giove Ottimo Massimo Dolicheno. Il prezioso reperto, risalente al III secolo d.C., è conservato al Museo Nazionale Concordiese di Portogruaro. Dalla figura della dea Diana nasce l’ispirazione per il logo figurativo, che caratterizza la linea vini di Villa Bogdano 1880”. Solide basi storiche, quindi, per un marketing attuale e ben articolato. Ma l’etichetta di questa bottiglia di Refosco non si ferma qui: un’altra particolarità è l’uso dell’inchiostro dorato per rappresentare, sulla destra, quella che sembra una macchia, una sporcatura; in realtà si tratta della trama fogliare di un albero, il Carpino Bianco, il cui nome in latino, “Carpinus Betulus”, viene citato in etichetta in basso, sempre con inchiostro dorato. I vigneti dell’azienda infatti sono attigui ad una riserva naturale particolarmente nota per la sua biodiversità. Coerenza ed eleganza.

Rapimenti Tattili e Organolettici nell’Isola più Greca d’Italia


Nuhar, Pinot Nero e Nero d’Avola, Tenuta Rapitalà.

Due “neri” per questo vino siciliano che ambisce ad essere internazionale. Il Nero d’Avola, tipico della Trinacria e il Pinot Nero che regna sovrano in Francia. Insieme per un’idea di vino completo e complesso. Partiamo dal nome dell’azienda, “Rapitalà”, laddove il rapimento non è criminale ma romantico. Narra di una donna rapita da un tramonto stellare e forse anche dall’amore per un cavaliere (anch’esso nero, viste le dominazioni che la Sicilia ha dovuto subire nei secoli). Ed ecco il nome del vino, “Nuhar”, nel racconto del produttore che troviamo nel sito internet nella scheda del prodotto: “Nel cuore del monte che domina la Tenuta, sono coltivati i vigneti dove selezioniamo le uve per la produzione del Nuhar, “fiore” in arabo. Questo vino nasce dall’unione di due grandi vitigni neri, il Pinot Nero, re di Borgogna, che al caldo di Sicilia risponde con colore, dolcezza e spessore improbabili altrove, e il Nero d‘Avola che in queste condizioni si arricchisce di tannino e corposità”. Molto bello il design dell’etichetta con un elemento figurativo in alto, articolato, prezioso, artistico, evocativo e storico; il nome del vino in chiaro al centro, scritte in colore violaceo in basso, che emergono bene dal contesto. Carta di tipo “tattile”. Preziosità percepita: alta. Ottimo lavoro.

Vetro Verde, Vino Rosso

Bufferìa, Chianti, LU.CE.

Questa azienda toscana diretta da Jacopo Rossi ha deciso di caratterizzare le proprie bottiglia con un nome che non è solo topografico. Nel retro etichetta infatti si legge tutta la storia che qui sintetizziamo: “Le vetrerie di Bufferìa per tutto il XIX secolo, e almeno sino alla prima metà del ‘900, rappresentavano l’attività predominante delle fornaci situate in Valdelsa e nel Valdarno e, in senso più generale, nell’intera Toscana. Producevano vetro per uso comune, ossia quello destinato ad usi domestici, alla tavola e soprattutto all’imbottigliamento e alla commercializzazione del vino e dell’olio. Le vetrerie fabbricavano fiaschi, ampolle da olio, levaolio, imbuti, canne per infiascare, colmatori per botti, con il caratteristico vetro di colore verde”. Il vetro infatti è sempre stato un “prodotto gemello” del vino: è andato di pari passo il loro sviluppo qualitativo e commerciale. Ancora oggi i nuovi materiali fanno molta fatica a scalzare le classiche bottiglie in vetro (che oggi non sono più solo verdi ma anche marroni o incolori). In questa etichetta, di fianco al nome del vino troviamo un disegno con il classico fiasco e un grappolo d’uva. Apprezzabili le scritte in corsivo e in basso la carta sagomata tipo pergamena.

Un Trisnonno Tardivo, Come il Suo Passito


Tardivo (Bianco), Grillo Passito, Foderà.


Nella descrizione di questo vino, ad opera del produttore nel proprio sito internet, troviamo una parola desueta che ha attirato la nostra attenzione: “La storia di Cantina Foderà inizia nel 1849, quando il nostro bisarcavolo Matteo Foderà cominciò a vinificare le uve delle proprie vigne in Contrada Giardinello, a Marsala. Il vino ottenuto da lui e dalle quattro generazioni successive è stato venduto, per oltre un secolo, ai tavernari e alle ditte locali che lo utilizzavano come base per il vino Marsala”. Si tratta della parola “bisarcavolo” che non è una parolaccia. La base è quella di “arcavolo” che significa “trisavolo” (cioè trisnonno, ovvero il padre del bisavolo). Insomma, bisarcavolo sarebbe il padre del terzavolo. Un bel dilemma! Siamo nella Sicilia storica e tradizionale (i termini come “bisarcavolo” e “tavernari” lo confermano) a nord di Marsala, dove un giovane discendente ha iniziato (nel 2001) a produrre vino in bottiglia invece di fornire semplicemente uva ai produttori locali di marsala (il noto vino liquoroso). Il passito a base Grillo qui raffigurato è il risultato di una piccola vendemmia da 900 bottiglie. E di tanto orgoglio territoriale, storico, culturale e anche e soprattutto personale. Il vino si chiama “Tardivo”, una dichiarazione che riguarda il tipo di lavorazione (le uve vengono appassite oltre ad essere raccolte tardivamente). L’etichetta si presenta con una texture di fondo goffrata e nera, elegante e sincera. Il cognome del produttore e della famiglia è Foderà con l’accento sulla “a”. Nell’etichetta non si vede bene, ed è un peccato, perché l’accento viene stampato in oro. Il logo sembrerebbe uno stemma araldico sormontato da un sole radioso.

Uno Zibibbo che Vola Via


Ad Majora, Zibibbo, La Vecchia Tine.

Di questo nome di vino, “Ad Majora”, l’intelligenza artificiale racconta che “… è una locuzione latina che significa "verso cose più grandi" e si usa come augurio per successi sempre maggiori in qualsiasi campo della vita. Si utilizza spesso per congratularsi con qualcuno dopo il conseguimento di un traguardo, come la laurea, una promozione o un matrimonio. “Ad meliora et majora sempre” è la forma più completa che sarebbe: (brindiamo) “a cose sempre migliori e maggiori”. Un brindisi quindi, con un vino bianco tipicamente siciliano, lo Zibibbo, noto anche come Moscato d’Alessandria e imparentato (figlio e cugino) con il Moscato Bianco e il Moscato Giallo, pur essendo più aromatico di essi. Nell’etichetta di questo piccolo produttore marsalese, in alto e in basso, notiamo una corona di voglie di vite, stampate con un inchiostro metallico verde. Al centro un disegno acquarellato dove una “macchina volante” di un tempo (una specie di dirigibile ante litteram) attraversa il cielo con spirito d’intraprendenza. Belle soluzioni grafiche che con semplicità catturano l’attenzione e trasmettono sensazioni di purezza e sogno. L’azzurro, anche se poco utilizzato nel packaging alimentare, dona in questo caso, grazie anche alle nuvole, una percezione di leggerezza a tutto vantaggio di un consumo estivo.