Chiaretto, Garda Classico Doc, Società Agricola Taver.
Parleremo brevemente del "chiaretto". Non tanto come vino, del quale, in alcuni casi se ne trova di ottima qualità. Ma della parola. Perché le parole sono importanti, nella vita di tutti i giorni e anche per il vino e il suo apprezzamento. "Chiaretto" non è una parola nobilitante. Sminuisce. Un po' come "prosecchino" o "vinello", o anche "rosatello". Chiaretto allude al colore di questo vino che indubbiamente è, deve essere, di un rosa più o meno pallido. È anche dicitura legale "chiaretto garda classico doc". Ma perché reiterarlo, oltre ad evidenziarlo? In questa etichetta (ci scusiamo ma l'abbiamo trovata solo "sdraiata") la parola "chiaretto" viene riportata due volte, in modo evidente e la seconda, la più grande, con colori molto visibili. Certo, va evidenziata la tipologia di vino di cui tratta la proposta commerciale, ma non siamo davanti a un Barolo, a un Barbaresco, a un Amarone, a un Chianti, nomi altisonanti, non solo per fama acquisita ma anche perché definiscono vini di un certo spessore. Il "Chiaretto" ne esce male, timidino, sciapino, pallidino, dà quasi l'impressione di non sapere di nulla e la parola non aiuta. Non stiamo parlando di questo vino in particolare, del quale non conosciamo le caratteristiche organolettiche non avendolo assaggiato ma, ripetiamo, della sua etichetta, prendendolo come esempio per la categoria. La nobilizzazione del Chiaretto non sarebbe facile per nessun marketing, ma almeno bisogna cercare di nasconderne le debolezze.