Cantagrì, Canavese Rosso e Dry Ice, Erbaluce di Caluso, Silva.
Ecco il caso di due nomi, della medesima cantina piemontese, Silva Vini di Agliè, provincia di Torino, che si possono considerare "giusti" (nulla che non va nelle due nominazioni, a livello letterale) e al tempo stesso sbagliati (se si approfondiscono un attimo i concetti che si muovono attorno a questi due prodotti vinicoli). "Cantagrì", definizione accompagnata da un grillo in etichetta, è abbastanza chiaro nella sua esposizione. Si tratta però di un vino rosso (un blend di vitigni non meglio precisati dal produttore) ed è proprio il "però" che ci porta alla critica: i grilli ricordano ampiamente l'estate, la campagna assolata e quindi il consumo di vini bianchi, o al massimo rosé, freschi e beverini. Il grillo insomma (oltre a definire anche un vitigno siciliano, tutto un altro discorso), è una iconografia chiaramente estiva che applicata a un vino rosso, stride (frinisce, potremmo a buona ragione dire). Il secondo nome qui in esame, porta i segni di problematiche diverse che conducono a una critica finale di tipo tecnico e non iconografico. "Dry Ice" infatti (oltre a significare "ghiaccio secco" in inglese, CO2 allo stato solido) è un nome che evoca i "vini di ghiaccio", cioè quei vini prodotti (in Canada ma anche qui da noi in Trentino, ad esempio) lasciando le uve sui tralci fino a dicembre, aspettando che congelino per poterne concentrare maggiormente il nettare. Qui invece si tratta di un vino bianco piemontese, l'Erbaluce di Caluso, che viene raccolto in modo normale, forse con qualche surmaturazione ma niente di più. Il nome, si intuisce, riguarda la tecnica di vinificazione, per criomacerazione, che se evocata in questo modo, utilizzando la parola "Ice", può essere interpretata non nel modo giusto. E infine nulla da dire sul design delle etichette: un no-comment generato dal loro "anonimato".