Proprio dove il Piemonte cede il passo alla Liguria e le brezze marine asciugano le nebbie dell’entroterra, nasce e cresce un vitigno autoctono del quale si stanno perdendo le tracce. Luigia Zucchi, la produttrice titolare dell’azienda Rugrà, ha deciso di salvare questo clone di Dolcetto (dal Peduncolo Rosso, così viene definito dagli annali di viticoltura) e di produrre in quantità limitate (solo 2 ettari di vigne) il Nivö. ll nome di questo vino sarebbe la forma dialettale di Nibiö che anche se somiglia e potrebbe ricordare il celebre Nebbiolo non lo è. Il bisticcio di parole può generare confusione, certo. Ma in questo caso vince l’espressione antica che domina ancora in quella zona: i nomi dei vitigni (soprattutto quelli autoctoni) bisogna tenerli così come i contadini e i loro avi li chiamavano e continuano a chiamarli. L’etichetta è molto semplice: in alto, in buona grandezza, il nome del produttore. Al centro una quercia stilizzata. In basso il nome del vino con un carattere di scrittura che simula l’amanuense (e che crea qualche perplessità tra a”v” e la “n”, e viceversa). Per tutto il resto vigono le tradizioni e la voglia di brindare con vini veraci (e bio).